Jasmine, la vergine nera umiliata e abusata

di
genere
dominazione

Avvertenza:

Questo racconto tratta di abusi e umiliazioni condotte ai danni di una giovane ragazza africana. Non è intenzione dell'autore propagandare teorie razziste o xenofobe, che non condivide e non appartengono in alcun modo alle sue categorie mentali.
Se vorrete comunque proseguire nella lettura, sarei lieto di ricevere vostri commenti e suggerimenti all'indirizzo e-mail: markshaghan@mail.com



*****



Mentre stamattina mi recavo in auto al lavoro, ho spento la radio e mi sono messo a ripensare alla ragazza più giovane con la quale ho giocato a fare l'uomo cattivo. Aveva 19 anni ed era originaria del Senegal. Oltre ad essere una bella ragazza era molto aggraziata nelle relazioni con le persone, nelle movenze e nel parlare; peccato che avesse il vizio di rubare.

L'avevo assunta come domestica da quasi due mesi quando un giorno, controllando per caso le telecamere di sorveglianza che avevo nascosto in tutta la casa, la sorpresi a nascondere nello zaino un bracciale di mia moglie. Ovviamente mi premurai di salvare una copia di quel video che la incastrava da usare, se fosse servito, come prova inconfutabile della sua disonestà.
Secondo te, cosa avrei dovuto fare? Denunciarla alla Questura e buttarla in mezzo una strada (con un permesso di soggiorno provvisorio che le sarebbe stato immediatamente revocato), oppure, più umanamente, proporle una "compensazione"?
Jasmine, così si chiamava, era estremamente ingenua (come è normale che sia a quella età), per cui non mi fu difficile approfittare di lei. Attesi ancora per qualche giorno, così da cogliere l’occasione che mia moglie si sarebbe assentata per un weekend e Jasmine ed io saremmo rimasti da soli.
Il venerdì sera, appena rientrai a casa dal lavoro, la chiamai nel mio studio e, senza fare alcun commento, le mostrai il video. Come potrai immaginare, lei iniziò a piangere e a scusarsi, giurando che una cosa del genere non l’aveva mai fatta prima e che se l’avessi perdonata non sarebbe mai più capitata. Da parte mia, mi mostrai estremamente deluso dal suo comportamento e le spiegai come la Legge italiana sia molto severa in materia, soprattutto con gli extracomunitari, e che se l’avessi denunciata avrebbe certamente dovuto tornare in Senegal e, cosa che la colpì particolarmente, avrebbe dovuto rinunciare al progetto di sposarsi con il suo fidanzato, anche lui del Senegal ma con un lavoro a tempo indeterminato e ormai residente in Italia da diversi anni. Per inciso, avevano già previsto di sposarsi entro due anni.
Lei piangeva e si disperava. Mi supplicava di non denunciarla e – proposito che attendevo trepidante che prima o poi pronunciasse – si dichiarava disposta a qualunque cosa purché io la perdonassi.
Rimasi in silenzio diversi minuti ad osservarla, mentre lei se ne stava in ginocchio sul pavimento, continuando a piangere disperata e a dire frasi sconclusionate.
Potevo, secondo te, essere così spietato da non accogliere le sue suppliche ed accettare il suo proposito di riparare al crimine commesso?
Le dissi di alzarsi da terra, e lei rimase lì in piedi con le mani incrociate dietro la schiena e la testa bassa, non osando guardarmi negli occhi.
“Mia moglie tornerà a casa lunedì pomeriggio, per cui starai qui da sola con me per quasi tre giorni. In questi tre giorni, tu sarai la mia schiava negra e dovrai sottostare a tutto quello che ti ordinerò di fare. Alla minima obiezione, porto questo video alla Polizia e tu te ne torni in Senegal, chiaro?”.
Avevo volutamente utilizzato i termini “schiava negra”, che non rientravano e non rientrano tutt’oggi nei miei schemi mentali, con l’intenzione di umiliarla e farle capire, fin da subito, che quello che pretendevo da lei era la totale sottomissione.
“È CHIARO?”, le chiesi nuovamente urlando, visto che stava lì immobile ed in silenzio. Lei, sorpresa e spaventata dal mio atteggiamento fattosi inaspettatamente aggressivo, ebbe un sussulto e rispose a bassa voce: “Sì Signore”.
“Non ti ho sentita. Ripeti quello che hai detto”.
“Sì Signore”.
“Sì Signore, che cosa?”
“È chiaro”.
“Cosa è chiaro?”.
“Devo fare tutto quello che lei vuole”.
Le mie domande incalzanti stavano ottenendo lo scopo che avevo previsto: giocando sulla sua fragilità, ne stavo indebolendo l'autostima e l’istinto innato all’autodifesa, così da renderla completamente mia succube.
Sì, lo so, sono un grandissimo bastardo. Quella povera ragazza non meritava così tanta cattiveria e ancor meno meritava tutto quello che le feci poi subire in quei tre giorni in cui fu prigioniera delle mie perversioni, ma vederla così bella, giovane e vulnerabile aveva liberato il mio demone, e arrivato a quel punto non mi era più possibile ricacciarlo nel fondo buio della mia anima.
“Adesso togliti le scarpe e i vestiti. In questi tre giorni che staremo insieme dovrai rimanere sempre completamente nuda”. Lei spalancò gli occhi e mi guardò per qualche istante sgomenta, come se avesse visto in me il Demonio.
“Nessuna obiezione”, le dissi lentamente e cadenzando ogni sillaba per rimarcare il suo debole tentativo di non rispettare il patto che avevamo fatto. Il volto di Jasmine si abbassò immediatamente e tornò ad assumere l’espressione umile che aveva fino a poco prima. Con gli occhi sempre rivolti a terra iniziò a spogliarsi: le scarpe basse di vernice nera, il grembiule-pettorale bianco, la divisa di servizio grigia. Si tolse dai capelli la crestina bianca di pizzo. Prevedevo di doverla sollecitare perché si togliesse anche l’intimo, ma dopo solo un po’ di titubanza, senza che le dicessi altro, si sfilò le autoreggenti, slacciò il reggiseno e lo depose con gli altri vestiti sulla poltrona, si abbassò gli slip e li lasciò cadere sul pavimento, prima di raccoglierli e riporli ordinatamente con tutto il resto. Rimasta nuda, non riuscì a trattenersi dal portare una mano sul pube e con l’avambraccio cercare di occultare i seni.
“Alza le braccia e congiungi le mani dietro la nuca”. Ubbidì.
“Allarga un po’ i piedi e stai bene diritta”. Ubbidì.
“Sciogliti i capelli”. Sfilò l’elastico che le tratteneva i folti capelli neri in una coda di cavallo alta e questi le ricaddero fluenti a coprirle le spalle, poco sopra le scapole.
Non puoi immaginare quanto mi sembrò bella e sensuale in quel momento. I suoi occhi scuri e profondi erano gonfi di lacrime, manifestando lo sforzo che stava facendo per non sciogliersi in un pianto dirotto. Il suo volto era di una tenerezza sconvolgente, e chi non avesse saputo che aveva già 19 anni non gliene avrebbe dati più di 16. La sua pelle scura e vellutata era coperta da un velo di sudore e non vi era sul suo corpo alcuna traccia di peluria, ad eccezione di uno sparuto ciuffo di riccioli neri sul pube e qualche debole accenno di ricrescita sotto le ascelle.
Jasmine non era alta come sono normalmente le sue connazionali. Penso non raggiungesse i 170 centimetri, e questo le conferiva ancora di più l’aspetto di un’adolescente. I seni erano piuttosto grandi – ma comunque proporzionati con il resto del corpo – e sormontati da grandi areole scure e capezzoli turgidi colore dell’ebano. I glutei torniti e le gambe perfette disegnavano delle curve armoniose che, scendendo con lo sguardo, preludevano a dei piedi morbidi e delicati, in cui le unghie delle dita apparivano quasi candide, pur non portando la minima traccia di smalto.
Cosa avrei potuto fare, secondo te, dinnanzi a tale bellezza che mi veniva così generosamente offerta?
La rassegnazione alla inevitabile sconfitta della più debole di fronte al più forte... Hai perfettamente ragione, è esattamente questo lo stato d'animo a cui il mio demone ambiva portare quella povera fanciulla.
Oh com'era eccitante osservare il suo corpo nudo scosso dai tremiti della tensione, e quanto era delizioso l'odore della paura che la sua pelle bruna emanava. Non avevo mai avuto occasione prima di allora di godere del corpo di una donna nera. Alcuni amici, probabilmente con la testa infarcita di pregiudizi razzisti, mi avevano raccontato che per quanto belle siano tutte le donne nere puzzano, ma ti posso assicurare che Jasmine aveva un odore meraviglioso ed estremamente sensuale, che ricordava la curcuma e la cannella, pur non facendo uso di profumi o deodoranti. Forse era semplicemente l'odore della giovinezza che nelle varie etnie umane si manifesta in modi diversi ma sempre seducenti. Nelle adolescenti italiane, ad esempio, ho notato che prevalgono gli aromi che ricordano i confetti alle mandorle, mentre quando sono un po' più grandi, dopo i 22-23 anni, subentrano fragranze più fruttate.
Mentre la osservavo, Jasmine restava in piedi immobile con le mani congiunte dietro la nuca e gli occhi chiusi, quasi a volersi isolare da quella ispezione così umiliante a cui la stavo sottoponendo. Con i piedi disgiunti e le gambe lievemente aperte le piccole labbra tendevano a dischiudersi, svelando il roseo antro della sua vagina ancora intatta.
"Sei ancora vergine, non è vero?", le sussurrai avvicinandomi al suo volto, tanto da poter assaporare il profumo dei suoi capelli e percepire il soffio tiepido del suo respiro. Lei non rispose, costringendomi a ripeterle con più durezza la domanda. "Ti ho chiesto se sei ancora vergine. Rispondi!". Vidi una lacrima scenderle lungo la guancia mentre pronunciava un flebile sì.
Nella cultura del suo paese è tutt'oggi inammissibile che una ragazza perda la verginità prima del matrimonio, per cui la risposta alla mia domanda era quasi scontata, ma quello che desideravo era in realtà costringerla a rivelarmi gli aspetti più intimi della sua persona, in modo da mettere a nudo la sua mente, oltre il suo corpo.
"Tu Jasmine immagino vorresti conservare la tua verginità per Ahmadou e donargliela nella vostra prima notte di nozze, non è vero?".
"Sì Signore". Un'altra lacrima le bagnò la guancia per poi caderle sul petto.
"Tu lo sai che potrei prendermi la tua verginità con la forza, facendoti tanto male?".
"Signore... la prego...". Questa volta Jasmine non riuscì a trattenere il turbamento e si sciolse in un pianto dirotto. Io rimasi lì ad osservarla in silenzio per alcuni minuti, mentre lei piangeva e si sforzava di trattenere i gemiti.
"Smettila di piangere. Non ho intenzione di violentarti... almeno non nel modo che temi". Mi venne spontaneo accompagnare a quelle parole un riso maligno, che però Jasmine non ebbe modo di notare poiché continuava a tenere gli occhi chiusi.
Mi posi alle sue spalle e le afferrai i seni tra le mani, accostando il petto alla sua schiena e lambendole i glutei con il bacino. Immergevo il mio viso nei suoi capelli fluenti e con le labbra le sfioravo il collo, quando percepii il sussulto del suo corpo che desiderava allontanarmi. Allora la strinsi con più forza a me e le impastai le mammelle con ancora maggior vigore, pizzicandole le areole e torcendole i capezzoli tumidi con l'intento di farle male. Non ci volle molto perché i suoi lamenti evolvessero in piagnucolio e poi in grida di dolore, mentre il suo volto tornava a bagnarsi di lacrime.
"Sdraiati a pancia in su sopra il tavolo... Adesso allarga bene le gambe e porta le ginocchia contro il petto... Afferra le gambe con le mani e tienile bene divaricate". Jasmine eseguì ubbidiente, rimanendo sdraiata sulla schiena in una posizione per cui le zone anale e vaginale risultavano perfettamente accessibili e pronte per essere gustate dalla mia bocca vorace.
L'odore un po' pungente emanato dalle sue intimità non poteva diminuire la bramosia con la quale mi avventai su di lei. Dopo averle leccato la rosetta di carne che le incorniciava l'ano, con la lingua mi insinuai nel suo orifizio più intimo, prima di salire lungo il perineo e raggiungerle la vagina umida dei suoi umori salmastri. Con la punta della lingua le stimolavo il clitoride, mentre con le dita forzavo il suo glande a fuoriuscire dal prepuzio. La sentivo irrigidirsi e gemere mentre godevo come mai nessun uomo prima di me delle sue intimità, e la mia lingua le strappò un lamento quando le forzò il piccolo orifizio dell'uretra dal sapore asprigno. Non pensare che fu facile contenere l'ingordigia che mi avrebbe condotto ben volentieri a violare la promessa che le avevo fatto di non rubare la sua verginità.
Con una mano tornai a tormentarle i seni, percependo con il tatto le sue grandi areole che si increspavano ed i capezzoli che ritornavano turgidi mentre li pizzicavo e li torcevo tra le mie dita crudeli. Con l'altra mano tastavo le sue intimità umide dei suoi umori mescolati alla mia saliva. Con il dito indice percorrevo circolarmente la rosetta di carne in rilievo che le coronava l'orifizio anale, che lentamente forzavo a dilatarsi. Percepii il suo sfintere che si irrigidiva nel vano tentativo di opporsi alla punta del mio dito che la stava penetrando, affondando sempre più in profondità nel suo ano fino a sparire poi completamente al suo interno.
"Nooo... la prego, non così...".
"Stai zitta, sporca negra. Ricordati che sei soltanto una ladra, e questo è il modo in cui devi pagare per il crimine che hai commesso".
In risposta ai suoi lamenti, estrassi il dito indice dal suo ano ma soltanto per rimpiazzarlo subito con il medio, così da affondare ancora di più nelle profondità delle sue viscere. La sua bocca si aprì in un grido straziante quando sentì il mio dito che ispezionava senza alcun garbo dentro di lei. Era evidente che mai prima di quel momento aveva subito una tale penetrazione, probabilmente nemmeno quando in solitudine, come tipico delle ragazze nell'adolescenza, sperimentava con le dita la sensibilità del suo corpo.
Per quanto mi sforzassi di trattenere la smania del mio demone, non fui capace di contenermi ancora dal possedere completamente quel suo delizioso recesso. Quasi senza che io stesso me ne accorgessi, liberai il mio fallo già in erezione e senza alcuna delicatezza iniziai a forzare con il glande gonfio l'ingresso del suo orifizio anale mai violato prima, se non dalle mie dita. Imprigionandole le gambe in alto con le mie braccia, la costringevo a tenerle divaricate e a sollevare ulteriormente il busto, in modo da agevolare ancor meglio la penetrazione a cui la stavo sottoponendo. Le piante morbide e color avorio dei suoi piedi nudi si muovevano nell'aria mentre tentava inutilmente di fuggire a quella brutale aggressione, ed i suoi lamenti si mutarono in urla disperate quando il suo sfintere anale cedette alla violenza incontenibile del mio pene, che iniziò ad affondare inesorabile dentro di lei, lacerandola dolorosamente.
"Nooo... basta basta, fa tanto male, basta...". Jasmine piangeva, gridava, supplicava, ma il mio demone si era ormai liberato dalle catene con cui avevo tentato invano di trattenerlo e poté acquietarsi soltanto quando un getto copioso del mio sperma le irrorò le viscere, continuando ancora, dopo che ero uscito da lei, a fluire dal suo orifizio anale pulsante, per colarle lungo la schiena e infine depositarsi in una piccola pozza biancastra sul tavolo su cui l'avevo distesa.
Mi allontanai da lei e rimasi ad ammirare la sensualità del suo corpo nudo, bagnato di sudore, abbandonato privo di forze su quel tavolo. Jasmine continuava a singhiozzare mentre teneva la testa reclinata di lato e gli occhi chiusi. Ripulendomi il pene con un Kleenex, mi accorsi che ero sporco del suo sangue. La brutalità della penetrazione a cui l'avevo sottoposta le aveva evidentemente provocato delle lacerazioni che certamente le avrebbero causato sofferenza anche nei giorni successivi.
Per un momento provai compassione per quella povera ragazza, e pensai alla stupidità e alla misoginia di molti uomini convinti che una donna possa provare piacere quando viene violentata. Quale piacere si può provare quando sei pervasa dal terrore, quando il tuo corpo viene denudato con la forza ed oltraggiato, quando le tue intimità sono violate e lacerate, quando preghi Dio che ti conceda di perdere i sensi per non vivere coscientemente ogni istante di quel supplizio che a te sembra non finire mai. Ma quella compassione fu presto scacciata dal demone nero che aveva ripreso il sopravvento nella mia anima e che ora mi faceva ardentemente desiderare di vederla soffrire.
Quando ritornai nella sala, Jasmine era ancora sdraiata sul tavolo, nella stessa posizione in cui l'avevo lasciata alcuni minuti prima. Aveva smesso di piangere e sembrava assopita, ma guardandole il viso mi accorsi che aveva gli occhi aperti, fissi nel vuoto. Dal capanno degli attrezzi avevo recuperato una corda con la quale avevo intenzione di legarla. Avrei desiderato avere a disposizione dei bracciali di cuoio da fissarle ai polsi ed alle caviglie, in modo da appenderla con le gambe e le braccia divaricate. Questa è infatti la posizione da me prediletta per tormentare le mie vittime, essendo in questo modo ogni parte del loro corpo accessibile e non essendo per loro possibile opporre alcuna resistenza, ma non ebbi il tempo sufficiente per organizzare quella prigionia, per cui dovetti arrangiarmi con quello che avevo in casa.
"Alzati in piedi". Glielo dovetti ripetere due volte perché lei ubbidisse. La seconda volta alzai la voce, facendola sobbalzare e risvegliandola bruscamente dal torpore a cui si era abbandonata.
"Porgimi i polsi". Prevedevo che avrebbe tentato di opporsi a quella richiesta, ma inaspettatamente Jasmine, evidentemente rassegnata a quello che sapeva essere il suo destino, protese le braccia in avanti e lasciò docilmente che le imprigionassi con la corda i polsi. Afferrato l'altro capo, lo lanciai sopra la capriata che stava sopra di noi e, dopo averlo fatto ricadere dalla parte opposta, lo tirai verso il basso, forzando così Jasmine ad alzare le braccia sopra la testa e sollevandola fino a quando poté appoggiarsi al pavimento soltanto con le punte dei piedi.
Non so se sono capace di descrivere con le parole quanto fosse sensuale il suo corpo nudo con i muscoli delle braccia, dei glutei e delle gambe così in tensione. La sua pelle bruna era imperlata di sudore. La schiena inarcata faceva sì che il suo petto si protendesse, spingendo in fuori i seni procaci, sui quali i capezzoli carnosi, color dell'ebano, erano un invito ad essere succhiati come deliziosi cioccolatini fondenti.
Più la osservavo e più mi accorgevo di quanto fosse bella. In un'altra vita mi sarebbe piaciuto avere dei figli da lei, e un po' invidiavo Ahmadou che da lì a poco sarebbe divenuto suo sposo.
Ma ora volevo soltanto vederla soffrire. Desideravo ammirare quel corpo giovane e meraviglioso danzare sotto i colpi di frusta. Anelavo di deliziarmi dell'odore della sua paura, delle sue urla di dolore, delle sue lacrime e delle sue suppliche vane.
Non potevo però permettermi di segnare la sua pelle con ferite che avrebbero impiegato molti giorni per scomparire. Il tempo a mia disposizione per godere di lei era troppo poco, e quando tutto fosse finito e l'avessi lasciata libera, nessuna traccia di ciò che le stavo facendo subire doveva essere visibile sul suo corpo. Per questo motivo dovetti rinunciare ad utilizzare la frusta per l'addestramento dei cavalli, come avrei desiderato: i lividi e le lacerazioni che le avrebbe provocato avrebbero richiesto almeno due settimane per svanire completamente. Optai quindi per un lungo e sottile ramo di salice che picchiato sulla sua pelle le avrebbe causato dei dolori atroci, ma senza segnarla eccessivamente. E così fu...
Non puoi immaginare quanto fosse la mia eccitazione nel vedere quella fanciulla dimenarsi mentre la frustavo. Osservare i muscoli del suo giovane corpo che si irrigidivano quando la colpivo, e sentire le sue grida che seguivano dopo un istante gli schianti delle frustate sulla sua pelle. Ammirare i suoi occhi terrorizzati ed increduli, gonfi di lacrime che scendevano copiose a rigarle le guance per poi cadere a bagnarle il petto. Ascoltare le parole insensate con le quali invano mi chiedeva pietà. Godere della sua vergogna quando si accorse che in preda agli spasmi non era riuscita a trattenere la vescica e si era fatta la pipì addosso, come una bambina.
Quando finalmente il mio demone fu sazio della sua sofferenza, smisi di frustarla e rimasi a lungo ad osservarla. Il suo corpo nudo, grondante di sudore, di saliva e di lacrime, era segnato ovunque da striature violacee in rilievo, che erano particolarmente evidenti là dove le donne sono più delicate e sensibili al dolore, e dove io mi ero più accanito a frustarla: la schiena, i glutei, il costato, i seni, l'addome, le cosce, il pube...
Jasmine era abbandonata alla forza di gravità, sorretta soltanto dalla corda con cui l'avevo appesa, non avendo più la forza nelle gambe per poter scaricare parte del suo peso a terra appoggiandosi sulle punte dei piedi, che ora spazzavano inermi il pavimento mentre il suo corpo ondeggiava esanime.
Ma era soltanto venerdì sera ed il suo supplizio era appena iniziato. Avrei avuto ancora più di due giorni a mia disposizione per godere del suo corpo e per sottoporla alle punizioni che ritenevo più adatte a castigarla del grave crimine che aveva commesso: tentare di rubare della paccottiglia del valore di poche decine di euro.
scritto il
2023-08-26
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