Ingrid (2)

di
genere
dominazione

Ingrid è (era, dato che ha superato l’esame in primavera) una mia studentessa. La notai appena entrai in classe il primo giorno di corso: mentre gli altri studenti erano riuniti in gruppi e chiacchieravano, lei era sola, in piedi, vicino alla finestra dal lato opposto a quello della porta da cui entrai. Per un brevissimo istante, i nostri occhi si incollarono come calamite. Fu un solo, brevissimo istante, ma fu sufficiente a riconoscerci, a capire che, nonostante la differenza di età e di ruolo, avevamo qualcosa di profondo in comune, anche se in quel momento non era chiaro cosa fosse. Col senno di poi, divenne chiaro. Avevamo (anzi abbiamo) in comune due cose.
La prima è la solitudine. E’ una solitudine molto diversa nei due casi. La mia è una solitudine intellettuale (dovuta al mio approccio teorico non convenzionale all’economia e alla libertà) che a sua volta ha prodotto, nel tempo, una solitudine sociale e, da poco, anche una solitudine familiare. La solitudine di Ingrid ha un’origine diversa: non intellettuale ma psicologica. In quanto tale, è più complessa ma può essere riassunta dicendo che si sente fuori posto nel mondo. Per certi versi è ancora più sola di me, perché non ha un amore.
La seconda cosa (forse connessa alla prima) che col senno di poi è emerso che abbiamo in comune, e che ci ha fatto riconoscere al primo sguardo, è il bisogno di una dimensione erotica di dominazione/sottomissione.
Senza sapere ancora queste ragioni, in quell’istante ci riconoscemmo come due alieni nascosti fra gli umani. Fu solo dopo, quando iniziai la lezione, che notai la sua bellezza. La prima cosa che notai, perché era impossibile non notarla, furono i suoi capelli. Ha dei capelli fino alle spalle di un biondo così chiaro da essere quasi bianco, e sono talmente lisci e lucenti da sembrare seta. Non avevo mai visto dei capelli così, neanche nei paesi scandinavi. La sua pelle è chiarissima. Gli occhi, di un blu caldo, sono intelligenti e profondi. E’ magra e slanciata: ha un fisico tonico e atletico. Dimostra forse un paio d’anni di meno dei suoi 24.
Prima di Ingrid non ho mai neanche immaginato di poter essere attratto da una delle mie studentesse: non solo per ovvie ragioni di professionalità ma anche perché la sola idea che una studentessa possa essere affascianta dalla mia piccola posizione di potere in quel ristretto ambito, o ancora peggio l’idea di abusare di quella piccola posizione di potere, mi repelle. Questo può sembrare in contraddizione col fatto che, essendo un Dominante, amo avere potere sulle donne. Tuttavia non c’è contraddizione: si tratta infatti di due forme di potere molto diverse. Un conto è il potere che deriva dalla tua persona (dal tuo carattere, dalla tua mente) e una cosa completamente diversa è il potere che deriva da una piccola posizione di autorità in un determinato abito. La seconda forma di potere (su chiunque, non solo sulle donne) la disprezzo. Una sola volta mi è capitato che una studentessa, peraltro carina, brava e molto intelligente, mi facesse delle avances: dopo aver ricevuto il massimo dei voti all’esame, mi scrisse una bella mail facendo cenno a un eventuale drink. Le risposi in modo cordiale non cogliendo l’invito.
Il mio stile di insergnamento si basa molto sul fare domande apparentemente banali agli studenti e di partire dalle loro risposte per costruire una struttura teorica che, regolarmente, per via puramente logico-deduttiva, demolisce la struttura di pensiero che avevano sempre dato per scontata senza mai mettere in discussione. Di fronte a questo approccio, la maggior parte degli studenti si chiude a riccio, rigettando a priori qualsiasi argomentazione come per autodifesa. Una minoranza, tuttavia, è incuriosita e sviluppa dei dubbi. Una minoranza ancora più piccola cambia prospettiva con sorprendente facilità perché vi riconosce una sistematizazione organica di idee che in qualche modo già aveva intuito ma che non riusciva a strutturare. Fu subito chiaro che Ingrid apparteneva a quest’ultimo gruppo. Come mi raccontò dopo, per la prima volta nella sua vita, nell’imparare quell’approccio all’economia così non convenzionale e allo stesso tempo così perfettamente verificabile su base logica, capì che il fatto che si fosse sempre sentita fuori posto nel mondo era un segno positivo. Per la prima volta nella sua vita si sentì parte di qualcosa, vi si appassionò e vi si applicò con un’energia sorprendente. Non solo lesse, nei primi giorni di corso, il matriale dell’intero corso, ma me ne chiese altro, di continuo. Sviluppò in breve tempo una comprensione e una conoscenza sorprendenti, al punto che spesso, sapendo che io incoraggiavo sempre la discussione fra tutti piuttosto che il mio monologo, rispondeva lei alle domande degli studenti in modo non solo perfettamente corretto ma a volte spesso più chiaro di quanto avrei potuto fare io (col risultato di alienarsi ancora di più dal resto degli studenti). Alla fine di ogni lezione aspettava che gli altri studenti che si avvicinavano alla cattedra avessero finito di farmi domande, e poi mi raggiungeva. Uscivamo insieme per lasciare l’aula al professore seguente e discutevamo di economia camminando, spesso fermandoci davanti a una finestra. Le sue domande erano precise, profonde, e sempre più avanzate. Ingrid ha un’intelligenza superiore: a metà del corso, parlavo con lei non più come a una studentessa, ma da pari a pari.
Prima della fine del corso, mi consegnò il suo paper d’esame. Mi sentii quasi in imbarazzo a valutarlo: era non solo migliore di qualsiasi mio paper sullo stesso argomento (più profondo, più originale, più innovativo) ma uno dei migliori paper che avessi mai letto. La convinsi a proporlo a una rivista accademica americana, la più importante al mondo per quel tipo di argomento da quella particolare angolatura. La informai che i tempi di risposta sarebbero stati lunghi.
“Faccio quello che lei mi dice. Il tempo non è un problema” mi rispose guardandomi dritto negli occhi, seria e composta.
Nelle lezioni che seguirono, Ingrid in classe rimase in silenzio. Non interagiva più: né con me né con gli altri studenti. All’inizio, pensai che fosse perché aveva già superato l’esame prima ancora di finire il corso, ovviamente col massimo dei voti e la lode (che era ben lontano dall’essere abbastanza), oppure perché ormai era troppo avanti rispetto agli altri, e per certi versi anche rispetto a me. Questi erano fatti oggettivi, ma come capii dopo non era questa la ragione. Ingrid viveva la fine del corso come un dramma. Nelle sue parole, l’unica cosa che le aveva trasmesso entusiasmo, che l’aveva fatta sentire parte di qualcosa, l’unica collaborazione che avesse mai avuto (quella con me) , l’unica esperienza di felicità avesse mai provato, stava per finire. Viveva questa fine come un ritorno in prigione, in isolamento, ed era terrorizzata. Come mi disse dopo, avrebbe voluto che il mio corso durasse per sempre. Ma non mi disse nulla. Non a parole almeno. Ma la sua disperazione era sempre più evidente. Durante la penultima lezione, pianse in silenzio. Cercò di nascondere le lacrime. Stupidamente, non ne immaginavo la ragione. Pensai a un lutto. Quel giorno non si alzò per venire a parlare con me fuori dall’aula. Rimase seduta al banco, immobile, guardando nel vuoto, sola.
L’ultima lezione non venne. Fare lezione senza la presenza di Ingrid mi dette una sensazione di vuoto. Non riuscivo a trovare la concentrazione per fare la lezione. Perdevo il filo del discorso. MI fermavo. Cercai di riprendermi, di agire in modo professionale, di perfino di ridicolizzare quella sensazione: “per una ragazzina!”, mi dissi, come se fosse una ragazzina qualunque. Ovviamente non servì a nulla. Anzi peggiorò le cose. Il mio stato d’animo apatico non migliorò quando tornai a casa da mia moglie e mio figlio. Mia moglie ovviamente si accorse che c’era qualcosa che non andava. Mentii dicendo che non mi sentivo bene.
Non avevo altro modo per contattare Ingrid che la sua mail dell’università, ma non le scrissi. Sapevo che si sarebbe rifatta viva: durante il corso fra di noi c’era stata una forma di rapporto, di collaborazione privilegiata. Non sarebbe sparita senza salutarmi.
Uno dei giorni successivi era il mio giorno di ricevimento. Dopo l’ultimo studente, mentre mi alzavo dalla scrivania e mettevo il comouter nella borsa, entrò Ingrid. Non disse una parola. Chiuse la porta a chiave dietro di sé. Mi guardò negli occhi, continuando a non dire una parola. Tolse dalla sua borsa un guinzaglio di pelle e lo posò sulla scrivania, guardandomi in silenzio. Fu in quel momento che realizzai che aveva un collare al collo di pizzo nero con un anello di metallo. Continuammo a guardarci in silenzio. Quello fu il momento in cui emerse la seconda cosa, oltre la solitudine, che avevamo in comune: il bisogno di un rapporto erotico di dominazione/sottomissione. Come mi disse poi, lei lo aveva capito subito. Io invece lo capii solo in quel momento.

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2023-09-10
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