Il Pescatore di Favignana 2
di
LunaScrittore
genere
gay
Cosa può significare una stretta di mano forte da parte del proprio oggetto del desiderio?
Alberto non ha mai provato quella sensazione. Sta ricevendo il regalo più bello della sua vita e la connessione che in quel momento è venuta a crearsi tra lui e quell’aitante pescatore mezzo sconosciuto in mezzo al mare non ha alcun precedente.
È atterrito dal flusso di sensazioni mai provate e cerca di mantenere la calma e a freno la sua eccitazione. Non vede l’ora che Giuseppe mantenga la sua promessa e che lo porti a casa sua dopo quel bellissimo giro in barca – non brama di essere posseduto ma anela quell’ebrezza che la vita ti regala quando sei vicino al raggiungimento di un impalpabile piacere che non sai descrivere a parole, stare con la persona desiderata. Toccarla, sentirla, possederla, averla, baciarla, tastarla…
Quella frase sussurrata come un segreto dentro il suo orecchio, rifletté, è stato l’invito più gaudente che abbia mai ricevuto – come quella piacevole sensazione che si prova quando si riceve un’attenzione da parte di una persona che ti desidera veramente, la cura di una persona cara. Continuava a sentirla rimbombare nella sua testa: “quando ritorniamo al porto vuoi venire a casa mia?”. Quella frase sussurrata nell’orecchio era la poesia più bella che aveva mai sentito.
La voce tremula e grave di Giuseppe, fortemente mascolina, virile ed energica, a due palmi da lui era poi come una rete lanciata dentro il giovane orecchio, come quelle che solitamente il pescatore buttava in mare. Era entrata prepotentemente nel condotto uditivo di alberto, si era fatta spazio urtando nel timpano, scesa dalla tuba di eustachio, si era propagata dentro di lui sino a catturare il suo cuore. Adesso era una vera e propria mattanza.
Alberto sente il vento in viso che lo accarezza e nel frattempo desidera ardentemente un contatto con Giuseppe e lo osserva in tutto il suo vigore. Stando seduto nel sedile dietro di lui può vedere quella peluria che contorna il suo fondoschiena, che esce fuori dal costume e che lascia intravedere un po’ le natiche. Peluria che sale con diverse gradazioni per tutte le sue grosse e muscolose spalle. Quella visione assume per lui immediatamente la familiarità e l’affetto delle cose che si possiedono già. Un giardino segreto dove rifugiarsi. I campi elisi così tanto ricercati. In quel corpo solido e virile, il suo pescatore rappresenta una vera e propria divinità, immortale come un dio e capace di ogni manifestazione di potenza virile capace di innalzarlo a livello degli immortali piaceri.
Giuseppe ferma la barca e cala giù l’ancora per consentire agli ospiti paganti una sosta e un bagno nelle acque cristalline e blu di Cala Rossa. La baia ha una forma di anfiteatro incorniciata dalle rocce di calcarenite che si apre nel mare più bello di tutta l’isola di Favignana e fa da sfondo al momento in cui Alberto ha un’erezione. Quell’immagine e quei luoghi assumeranno per la vita di Alberto un significato profondo e indelebile.
Giuseppe si alza sgranchendosi le braccia e guarda il ragazzo fisso negli occhi, gli sorride e sente che la cosa è bella quanto l’innocenza che coglie dal suo viso di giovane desideroso di averlo. Tutto gli sembra davvero strano, persino quel silenzio tra loro mentre i turisti, che stanno portando nel giro turistico, sguazzano in acqua è surreale e stordente. Comincia a raccontare ai suoi ospiti paganti che quella cala era stata lo scenario sanguinario di una battaglia tra romani e cartaginesi durante il periodo delle guerre puniche. Il nome della cala deriva, infatti, proprio dal Sangue dei marinai uccisi durante lo scontro che arrivò, con la corrente e le onde, a lambire la costa dell’isola. Gli anziani signori parlottano tra di loro, fanno sorrisi compiaciuti, si mostrano soddisfatti del denaro speso per quella gita. Alberto si immagina ferito e salvato da Giuseppe che a nuoto lo assicura alla riva, forte come un guerriero fasciato da una corazza che protegge solo parzialmente quel corpo peloso e sfacciatamente prorompente.
Quella sera il paese è in subbuglio più del solito, quando arrivano al porto Giuseppe congeda i turisti che avevano portato in giro e gli altri pescatori pronti e deferenti al loro arrivo. Nessuno riesce a dimenticare come qualche giorno prima Giuseppe si fosse distinto per aver trascinato in barca tutto da solo un enorme e malcapitato squalo bianco incagliato tra le reti della pesca del tonno; una bestia enorme, lunga circa cinque metri e mezzo e pesante circa due tonnellate.
“Spero che il giro in barca ti sia piaciuto”, fa Giuseppe finalmente solo con Alberto.
“Mi è piaciuto moltissimo! Si vede che l’isola ti piace perché stavi spiegando tutto molto bene”, fa il ragazzo.
“Si mi piace molto, sei un ragazzo molto perspicace. Sono cresciuto a Favignana e da qui non sono mai andato via. Questa è la mia casa”, dice il pescatore. “Ma magari ti racconto un po' meglio dopo. Vuoi venire da me?” Fa Giuseppe in un siciliano disinvolto ma arrossendo e strizzando l’occhio a Alberto.
Così si incamminano verso la vespa parcheggiata, che Giuseppe accende con un colpo secco della gamba muscolosa. Un invito a salire, un posto comodo dietro nonostante la stazza del guidatore. Alberto si posiziona e comincia a parlare per rompere qualsiasi imbarazzo si potesse creare. La vespa si muove velocemente per una strada che conduce fuori dal paese. Quando si sente al sicuro, Alberto cinge la vita di Giuseppe. Sente i muscoli dell’addome contrarsi. Sta abbracciando l’intero mondo.
Arrivano in una piccola casa in mezzo al nulla, sullo sfondo il mare e qualche pianta di gelsomino in mezzo a cave di tufo, qualche piccola palma nana. La casa isolata non è sfarzosa ma è di un bianco candido che abbaglia e ha le persiane lapislazzuli. Alberto scende dalla vespa e si lascia spingere da Giuseppe che lo prende per mano. La calura esterna rimane fuori mentre all’interno sente una leggera brezza di frescura dovuta al fatto che la casa era rimasta chiusa. Buio all’interno, forse penombra. Alberto non ha nemmeno il tempo di abituare la vista che Giuseppe lo tira a sé e lo bacia sul collo con un’avidità che mai avrebbe osato esercitare sulla pelle liscia del collo di un giovane ragazzo. Morde e sente l’altro quasi svenirgli tra le braccia. Ora lo possiede.
Alberto si lascia andare, è finalmente accontentato, nelle mani del suo dio, tra i peli benedetti dalla vita, con l’odore di mare e di sudore, riceve quel morso e si gode il contatto di tutto il suo corpo con quello sacro, compatto ed imponente di Giuseppe. Poi assaggia le sue labbra. Sanno di fumo e di stantio e sono turgide e vigorose. Si lascia penetrare da quella lingua violenta e dura tutta la bocca. Sente le mani di Giuseppe sode e ostinate farsi spazio sotto i suoi vestiti. Si sente totalmente accerchiato da quella presa e si sente catturato dalle braccia possenti del suo Animale immortale. Si perde e si lascia spogliare.
Giuseppe pensa a quanto ha dovuto soffrire prima di ricevere quel regalo. Prima di avere dalla vita quella soddisfazione e quel corpo perfetto di Alberto, liscio come la seta della gonna che sua madre metteva durante le feste. Lo vuole toccare avidamente e riavere una gioia perduta ma questa volta strofinarlo meglio di come avrebbe potuto fare con quel tessuto materno. E con questo proietta su Alberto ogni genere di virtù. Fuori dalla porta rimane il dolore delle perdite e della sua solitudine sciogliersi al sole, nel cortile. Finalmente la sua anima addormentata viene ascoltata e accarezzata da quelle mani leggere e piccole in un fresco e una penombra che sa di casa. Sente di doversi donare. Lo fa con tutta la potenza che si libera in un botto dopo lunghi momenti di astinenza.
Fanno l’amore nel modo più avido che abbiano entrambi fatto e che mai faranno nella loro vita. Giuseppe sente di dover attraversare il corpo di Alberto in una perenne unione, farlo suo per sempre. Alberto di lascia sfondare come se sentisse di dover totalmente dematerializzarsi, per donarsi al suo nuovo semideo. Il suo corpo risplende di una luce accecante che genera quel feroce accanimento di Giuseppe. Poi si lascia manovrare, si concede, si scioglie, si plasma, si apre nel turbinio di una frenesia che non ha eguali.
Ora quel ragazzo assume il valore universale della vita. Giuseppe sta assaporando tutte le gradazioni della cupidigia, nelle forme simili e diverse della bramosia, della passione, dell’appetito, dell’impazienza, dell’ardore, della foga, della ghiottoneria, della furia, del fervore, del desiderio. La sua vita, la sua casa, la sua funzione nel mondo hanno ora un significato tutto nuovo in quella presenza estemporanea del corpo e dell’anima di quel ragazzo tra le sue forti braccia che gli cingono il collo. La stanza balla e Giuseppe ha tra le sue mani un bottino prezioso che emana un profumo inebriante. Per averlo e sentirlo bene deve acchiapparlo, agguantarlo bene e arpionarlo in maniera penetrante; proprio come si fa con un tonno. Alberto però è il re dei pesci, il suo splendido ed esile Nettuno, un mare di vita che lo avvolge. Lo spreme, lo sfrega, lo strozza, lo allarga, lo prende, lo beve, lo mangia, lo stantuffa fino ad esplorare tutto l’esplorabile, anche a costo di dover allargare al massimo i confini dello spazio. Arrivato nella parte più alta della scala del piacere sente irrigidirsi e tremare in quel corpo affranto e provato. Nel momento più cavalleresco del donarsi celebra la continuità del suo vigore nell’atto di produrre nuova vita nel corpo ormai anestetizzato di Alberto. a
Il giovane si insemina lo stomaco e i semi sbucano sollecitati da quella lava eruttata dal vulcano divino che ha in grembo.
In questa ebbrezza unguentata di sudore e di ogni genere di umore che scivolando, sfrigola su quei corpi caldi e tanto diversi tra loro, si celebra così l’amore in un abbraccio che dura ore.
Interrompono quell’idillio quando sentono entrambe le loro pance brontolare. Sazi ma di nuovo pervasi da una fame diversa. Si osservano e sorge spontaneo un sorriso di tenerezza e complicità. Giuseppe prepara per entrambi gli spaghetti con pomodoro fresco, aglio, capperi, mandorle e basilico appena raccolto dal giardino.
Un sapore che Alberto non riuscirà mai più a dimenticare.
Alberto non ha mai provato quella sensazione. Sta ricevendo il regalo più bello della sua vita e la connessione che in quel momento è venuta a crearsi tra lui e quell’aitante pescatore mezzo sconosciuto in mezzo al mare non ha alcun precedente.
È atterrito dal flusso di sensazioni mai provate e cerca di mantenere la calma e a freno la sua eccitazione. Non vede l’ora che Giuseppe mantenga la sua promessa e che lo porti a casa sua dopo quel bellissimo giro in barca – non brama di essere posseduto ma anela quell’ebrezza che la vita ti regala quando sei vicino al raggiungimento di un impalpabile piacere che non sai descrivere a parole, stare con la persona desiderata. Toccarla, sentirla, possederla, averla, baciarla, tastarla…
Quella frase sussurrata come un segreto dentro il suo orecchio, rifletté, è stato l’invito più gaudente che abbia mai ricevuto – come quella piacevole sensazione che si prova quando si riceve un’attenzione da parte di una persona che ti desidera veramente, la cura di una persona cara. Continuava a sentirla rimbombare nella sua testa: “quando ritorniamo al porto vuoi venire a casa mia?”. Quella frase sussurrata nell’orecchio era la poesia più bella che aveva mai sentito.
La voce tremula e grave di Giuseppe, fortemente mascolina, virile ed energica, a due palmi da lui era poi come una rete lanciata dentro il giovane orecchio, come quelle che solitamente il pescatore buttava in mare. Era entrata prepotentemente nel condotto uditivo di alberto, si era fatta spazio urtando nel timpano, scesa dalla tuba di eustachio, si era propagata dentro di lui sino a catturare il suo cuore. Adesso era una vera e propria mattanza.
Alberto sente il vento in viso che lo accarezza e nel frattempo desidera ardentemente un contatto con Giuseppe e lo osserva in tutto il suo vigore. Stando seduto nel sedile dietro di lui può vedere quella peluria che contorna il suo fondoschiena, che esce fuori dal costume e che lascia intravedere un po’ le natiche. Peluria che sale con diverse gradazioni per tutte le sue grosse e muscolose spalle. Quella visione assume per lui immediatamente la familiarità e l’affetto delle cose che si possiedono già. Un giardino segreto dove rifugiarsi. I campi elisi così tanto ricercati. In quel corpo solido e virile, il suo pescatore rappresenta una vera e propria divinità, immortale come un dio e capace di ogni manifestazione di potenza virile capace di innalzarlo a livello degli immortali piaceri.
Giuseppe ferma la barca e cala giù l’ancora per consentire agli ospiti paganti una sosta e un bagno nelle acque cristalline e blu di Cala Rossa. La baia ha una forma di anfiteatro incorniciata dalle rocce di calcarenite che si apre nel mare più bello di tutta l’isola di Favignana e fa da sfondo al momento in cui Alberto ha un’erezione. Quell’immagine e quei luoghi assumeranno per la vita di Alberto un significato profondo e indelebile.
Giuseppe si alza sgranchendosi le braccia e guarda il ragazzo fisso negli occhi, gli sorride e sente che la cosa è bella quanto l’innocenza che coglie dal suo viso di giovane desideroso di averlo. Tutto gli sembra davvero strano, persino quel silenzio tra loro mentre i turisti, che stanno portando nel giro turistico, sguazzano in acqua è surreale e stordente. Comincia a raccontare ai suoi ospiti paganti che quella cala era stata lo scenario sanguinario di una battaglia tra romani e cartaginesi durante il periodo delle guerre puniche. Il nome della cala deriva, infatti, proprio dal Sangue dei marinai uccisi durante lo scontro che arrivò, con la corrente e le onde, a lambire la costa dell’isola. Gli anziani signori parlottano tra di loro, fanno sorrisi compiaciuti, si mostrano soddisfatti del denaro speso per quella gita. Alberto si immagina ferito e salvato da Giuseppe che a nuoto lo assicura alla riva, forte come un guerriero fasciato da una corazza che protegge solo parzialmente quel corpo peloso e sfacciatamente prorompente.
Quella sera il paese è in subbuglio più del solito, quando arrivano al porto Giuseppe congeda i turisti che avevano portato in giro e gli altri pescatori pronti e deferenti al loro arrivo. Nessuno riesce a dimenticare come qualche giorno prima Giuseppe si fosse distinto per aver trascinato in barca tutto da solo un enorme e malcapitato squalo bianco incagliato tra le reti della pesca del tonno; una bestia enorme, lunga circa cinque metri e mezzo e pesante circa due tonnellate.
“Spero che il giro in barca ti sia piaciuto”, fa Giuseppe finalmente solo con Alberto.
“Mi è piaciuto moltissimo! Si vede che l’isola ti piace perché stavi spiegando tutto molto bene”, fa il ragazzo.
“Si mi piace molto, sei un ragazzo molto perspicace. Sono cresciuto a Favignana e da qui non sono mai andato via. Questa è la mia casa”, dice il pescatore. “Ma magari ti racconto un po' meglio dopo. Vuoi venire da me?” Fa Giuseppe in un siciliano disinvolto ma arrossendo e strizzando l’occhio a Alberto.
Così si incamminano verso la vespa parcheggiata, che Giuseppe accende con un colpo secco della gamba muscolosa. Un invito a salire, un posto comodo dietro nonostante la stazza del guidatore. Alberto si posiziona e comincia a parlare per rompere qualsiasi imbarazzo si potesse creare. La vespa si muove velocemente per una strada che conduce fuori dal paese. Quando si sente al sicuro, Alberto cinge la vita di Giuseppe. Sente i muscoli dell’addome contrarsi. Sta abbracciando l’intero mondo.
Arrivano in una piccola casa in mezzo al nulla, sullo sfondo il mare e qualche pianta di gelsomino in mezzo a cave di tufo, qualche piccola palma nana. La casa isolata non è sfarzosa ma è di un bianco candido che abbaglia e ha le persiane lapislazzuli. Alberto scende dalla vespa e si lascia spingere da Giuseppe che lo prende per mano. La calura esterna rimane fuori mentre all’interno sente una leggera brezza di frescura dovuta al fatto che la casa era rimasta chiusa. Buio all’interno, forse penombra. Alberto non ha nemmeno il tempo di abituare la vista che Giuseppe lo tira a sé e lo bacia sul collo con un’avidità che mai avrebbe osato esercitare sulla pelle liscia del collo di un giovane ragazzo. Morde e sente l’altro quasi svenirgli tra le braccia. Ora lo possiede.
Alberto si lascia andare, è finalmente accontentato, nelle mani del suo dio, tra i peli benedetti dalla vita, con l’odore di mare e di sudore, riceve quel morso e si gode il contatto di tutto il suo corpo con quello sacro, compatto ed imponente di Giuseppe. Poi assaggia le sue labbra. Sanno di fumo e di stantio e sono turgide e vigorose. Si lascia penetrare da quella lingua violenta e dura tutta la bocca. Sente le mani di Giuseppe sode e ostinate farsi spazio sotto i suoi vestiti. Si sente totalmente accerchiato da quella presa e si sente catturato dalle braccia possenti del suo Animale immortale. Si perde e si lascia spogliare.
Giuseppe pensa a quanto ha dovuto soffrire prima di ricevere quel regalo. Prima di avere dalla vita quella soddisfazione e quel corpo perfetto di Alberto, liscio come la seta della gonna che sua madre metteva durante le feste. Lo vuole toccare avidamente e riavere una gioia perduta ma questa volta strofinarlo meglio di come avrebbe potuto fare con quel tessuto materno. E con questo proietta su Alberto ogni genere di virtù. Fuori dalla porta rimane il dolore delle perdite e della sua solitudine sciogliersi al sole, nel cortile. Finalmente la sua anima addormentata viene ascoltata e accarezzata da quelle mani leggere e piccole in un fresco e una penombra che sa di casa. Sente di doversi donare. Lo fa con tutta la potenza che si libera in un botto dopo lunghi momenti di astinenza.
Fanno l’amore nel modo più avido che abbiano entrambi fatto e che mai faranno nella loro vita. Giuseppe sente di dover attraversare il corpo di Alberto in una perenne unione, farlo suo per sempre. Alberto di lascia sfondare come se sentisse di dover totalmente dematerializzarsi, per donarsi al suo nuovo semideo. Il suo corpo risplende di una luce accecante che genera quel feroce accanimento di Giuseppe. Poi si lascia manovrare, si concede, si scioglie, si plasma, si apre nel turbinio di una frenesia che non ha eguali.
Ora quel ragazzo assume il valore universale della vita. Giuseppe sta assaporando tutte le gradazioni della cupidigia, nelle forme simili e diverse della bramosia, della passione, dell’appetito, dell’impazienza, dell’ardore, della foga, della ghiottoneria, della furia, del fervore, del desiderio. La sua vita, la sua casa, la sua funzione nel mondo hanno ora un significato tutto nuovo in quella presenza estemporanea del corpo e dell’anima di quel ragazzo tra le sue forti braccia che gli cingono il collo. La stanza balla e Giuseppe ha tra le sue mani un bottino prezioso che emana un profumo inebriante. Per averlo e sentirlo bene deve acchiapparlo, agguantarlo bene e arpionarlo in maniera penetrante; proprio come si fa con un tonno. Alberto però è il re dei pesci, il suo splendido ed esile Nettuno, un mare di vita che lo avvolge. Lo spreme, lo sfrega, lo strozza, lo allarga, lo prende, lo beve, lo mangia, lo stantuffa fino ad esplorare tutto l’esplorabile, anche a costo di dover allargare al massimo i confini dello spazio. Arrivato nella parte più alta della scala del piacere sente irrigidirsi e tremare in quel corpo affranto e provato. Nel momento più cavalleresco del donarsi celebra la continuità del suo vigore nell’atto di produrre nuova vita nel corpo ormai anestetizzato di Alberto. a
Il giovane si insemina lo stomaco e i semi sbucano sollecitati da quella lava eruttata dal vulcano divino che ha in grembo.
In questa ebbrezza unguentata di sudore e di ogni genere di umore che scivolando, sfrigola su quei corpi caldi e tanto diversi tra loro, si celebra così l’amore in un abbraccio che dura ore.
Interrompono quell’idillio quando sentono entrambe le loro pance brontolare. Sazi ma di nuovo pervasi da una fame diversa. Si osservano e sorge spontaneo un sorriso di tenerezza e complicità. Giuseppe prepara per entrambi gli spaghetti con pomodoro fresco, aglio, capperi, mandorle e basilico appena raccolto dal giardino.
Un sapore che Alberto non riuscirà mai più a dimenticare.
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