Un ineluttabile brindisi

di
genere
pissing

E pensare che, uscendo dall’albergo verso le 11 e mezza, mi ero detto che erano stati soldi sprecati.
Che l’appuntamento spostato dalla mattina al pomeriggio mi avrebbe permesso di arrivare tranquillamente a Napoli in treno partendo da Milano la mattina stessa.
Tanto era già previsto rimanessi anche la notte successiva.

Sbrigato un po’ di lavoro dalla stanza d’albergo, avevo quindi deciso almeno di godermi la città senza troppi pensieri. Un’oretta in giro, la temperatura insolitamente calda che mi aveva stancato presto;
poi la decisione di una sosta al bar, un ultimo caffè e, con l’occasione, chiedere suggerimenti per un ristorante.

Fu lì che la vidi.

Indaffarata su alcune carte di lavoro, un incredibile vestito leggero, sfumature di azzurro, capelli mossi impreziositi da riflessi ramati.Venni sorpreso da lei a fissarla.
L’imbarazzato riflesso di distogliere lo sguardo facendo finta di nulla.
Ordino il caffè, la voce che mi esce nei miei toni profondi di quando sono sovrappensiero.
Ma nello specchio dietro al bancone posso vederla ancora: anche lei mi guarda.
Il completo scuro, camicia bianca, mi si addicevano come sempre. Le curve un po’ rilassate del mio corpo erano vestite di un’altra eleganza.
E questo mi diede il coraggio di rivolgermi alla donna che, non era una mia impressione, stava mordendosi un labbro.
“Mi perdoni, posso sedermi al suo tavolino?”
“ma certamente!”
Ecco.
La sua voce.
La cadenza di quella terra.
Volendo essere distinti, avrei detto che risuonava con quella parte di sangue che mi scorre nelle vene, con origini, inaspettatamente in terre vicine. In realtà mi fece tornare adolescente, a scuola, in presenza di quella mia insegnante che mai avevo dimenticato. Probabilmente carente nella capacità di mantenere la disciplina in classe.
Ma che aveva deliziato e torturato un anno intero della mia giovinezza, regalandomi la visione delle sue mutandine bianche sotto la cattedra.
Ispirazione per infinite seghe mattutine che miracolosamente non mi avevano lasciato prosciugato nella mia giovinezza.

“Ma certamente!” scostando un po' le carte dal tavolo per farmi spazio.
Guardai le sue labbra pronunciare quelle parole, ed ebbi la visione delle mutandine in mezzo alle sue gambe.
Volli sapere tutto di lei, parlavamo come sconosciuti che si conoscevano da sempre.
E una strana corda indicibile vibrava nella maniera in cui ci ponevamo le domande e ci rispondevamo.
Una nota che il mio cazzo sembrava riconoscere, diventato duro tanto da rendermi imbarazzanti i movimenti, obbligandomi a nascondere l’erezione.
Ma la sua mano che ogni tanto mi sfiorava una coscia non aiutava a mantenere il sangue freddo.

Come fosse stato già pianificato, scelse un ristorante per il pranzo, dove la seguii, dando per scontato che avremmo passato ancora il tempo assieme.
Fu lì che, per la prima volta, notai qualcosa, che forse altri non avrebbero notato.

Ci sedemmo a tavola, facemmo la nostra ordinazione, inclusa una bottiglia di vino che scelse lei.
Ci tennero a portarci del prosecco nell’attesa.
Brindammo, con un imbarazzato sorriso, e bevemmo.
La bottiglia lentamente si svuotò, i bicchieri si susseguivano, assieme alle chiacchiere che si facevano sempre più dolci, sempre più intime.
Tanto che ad un certo punto, reso disinibito dall’alcool, le posi quella domanda, che ormai mi ronzava nella mente da quando il mio cervello si era piantato nel mezzo delle sue cosce.
“Scusami, ma…da quando siamo entrati non sei mai andata al bagno. Conosco amiche che già ci sarebbero andate almeno due volte.
Non ti scappa la pipì?”

Di nuovo quello sguardo, ed il suo labbro stuzzicato.
Ed un gesto che non mi sarei aspettato e che non avrei sperato.
Si tira lievemente su, per staccare il sedere dalla sedia e poter raggiungere gli slip sotto la gonna.
Se li sfila, per un attimo restano intrecciati ad una caviglia: la vedo che si guarda attorno come avesse timore di essere vista, come desiderasse essere vista.
E finalmente me ne fa dono, appoggiando le mutandine nel mio grembo, dove sono le mie mani.
Sento la stoffa incredibilmente umida, una resina appiccicaticcia bacia la pelle delle mie dita.
“Certo che mi scappa, ma la trattengo per te. Mi verseresti un altro bicchiere di vino, per favore, tesoro mio? Anzi, già che ci siamo ordina un'altra bottiglia!"

La cena proseguì tra le nostre confidenze, rese scorrevoli dall'alcool, come due vecchi amici che non si vedevano da tempo.
Di tanto in tanto, approfittavo della sua regale fica a mia disposizione, costantemente umida di umori, per prelevarne qualche goccia ed inumidirci il bordo del bicchiere. Il vino si arricchiva di sfumature salmastre sulla labbra e aromi marini nel naso che parlavano direttamente al mio cazzo desideroso di lei.
E, quando indugiavo un po' troppo con le dita, lei sempre più sensibile per l'intimità tra noi e per la vescica che cominciava a protestare, la donna mi apostrofava con un tenero "Stronzo!".

Fummo presto costretti a chiamare un taxi, e per la mia eccitazione ormai difficile da contenere, e per le necessità del basso ventre di lei che, con una mutua e muta decisione, avevamo stabilito non sarebbero state degne del bagno del ristorante.
Passai il tragitto in taxi disteso sul sedile posteriore, la mia testa nel suo grembo, il mio naso a godere del profumo di quella donna stupenda.
"Non provare a leccarmela qui," mi intimava "che altrimenti ci tocca pure pagare l'extra per l'autolavaggio, che combinerei un macello!" E ridevamo come ragazzini in gita scolastica ad ogni sobbalzo o buca in cui il taxi incappava, le sue dita che mi accarezzavano la testa.
La puzza della sua dolce passera che pacifica la mia mente. Le mutandine vennero lasciate in pegno al tassista, come ricompensa per la corsa molesta.

E fummo finalmente nella camera d'albergo. Un antico parquet ed un grande specchio impreziosivano l'ambiente elegante del palazzo d'epoca.
"Puoi spogliarmi, sai?" Mi dice con quella stupenda inflessione ma, prima di farlo, le infilo la mano sotto la gonna e mi impossesso della sua passera fradicia, constatando - senza sorpresa - che è già capace di accogliere tre delle mie lunghe dita. Mi innamoro del suo mugolio mentre la violo. Musica per le mie orecchie.
E quando ritiro la mano, me la lecco con un tremore eccitato, per gustare un poco della mia donna che ha evidentemente intenzione di prendermi.
La spoglio lentamente del suo stupendo vestito, mi chiedo cosa abbia fatto per essere così fortunato ed in quel momento lei mi tira il cazzo fuori dei pantaloni per farmi una dolce e lenta sega.
"Senti" le sussurro "cosa mi dicevi a tavola, prima, in merito alla contrazione del mercato post-covid? Insomma, come ne siete usciti fuori?"
Mi faccio più vicino a lei spingendole il corpo contro lo specchio. Con una mano le sollevo un poco la gamba destra e lei si porta il mio cazzo alle porte della sua fica.
"Eh... Che domanda... Pare facile rispondere così su due piedi... Piuttosto, vuoi vedere come sono brava a controllare il mio sfintere?"
Non mi dà il tempo di rispondere e sento un breve fiotto della sua pipì bagnarmi il glande, calda.
All'unisono ci lasciamo scappare una esclamazione, lei per la pressione finalmente un poco diminuita, io per la gratitudine per tanto dono.
"Ho voglia di farmi scopare da te. Ti supplico, fammi entrare nella tua fica!"
"Ma certo, tesoro mio adorato"
E mi fa stendere a terra, mi tolgo nervosamente i vestiti mentre la venero svettare in piedi sopra di me, io in mezzo alle sue gambe.
Finalmente mi fa entrare dentro di sé. I capelli coprono leggermente il suo stupendo seno, lasciando però intravedere i capezzoli turgidi.
Cazzo, devo mangiarli, ora! E glieli succhio, come un bambino affamato.
Il membro è durissimo e scorre veloce dentro di lei, complici gli umori che lubrificano il nostro amore.
Ed è in quel momento che le sento declamare la sua poesia d'amore per questo uomo fortunato.
"Che voglia di pisciarti addosso che ho!"
Ho un tuffo al cuore, un sospiro che mi sgorga dal profondo dei testicoli.
"Lo so, amore. L'ho saputo dal momento in cui ti ho vista in quel bar"
Lei si sfila repentina, il mio cazzo rimane all'aria bagnato di lei.
Mi si siede in faccia e comincio a mangiarla furiosamente, versi animaleschi accompagnano la mia totale perdita di controllo.
Viene, urlando, l'orgasmo provoca la rottura della diga e comincia finalmente a pisciarmi copiosamente addosso, sul viso, nella bocca.
Un inestinguibile fiotto di urina color ocra, profumata e saporita.
Ed è proprio in questo momento che vengo, in un urlo liberatorio, sborrandomi sulla pancia...
scritto il
2024-03-19
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