CAP 7 - compiti per casa: Il portiere.
di
the bestof
genere
prime esperienze
CAP 7 - il compito dal Portiere
Cristina aveva soddisfatto tutte le richieste del suo preside.
Inizialmente, si era lasciata andare sotto le mani sapienti del professore ed aveva raggiunto l’orgasmo per i colpi di lingua impartiti dal preside, il suo terzo orgasmo provocato da un uomo sempre diverso.
Subito dopo, i due uomini le avevano presentato i loro piselli, già in piena erezione, e lei aveva masturbato prima l’uno e poi l’altro, in base alle istruzioni ricevute dai due.
I due avevano schizzato il loro godimento sul vetro della scrivania ed avevano ordinato alla ragazza di raccogliere il loro seme nelle sue mani, da lì portarle vicino al suo naso e restare così, inspirando a pieni polmoni per due minuti.
Infine, aveva spalmato un po’ di quel seme sulle mammelle e sul buchino posteriore.
Così conciata, aveva fatto ritorno in classe.
L’imbarazzo era sorto all’uscita dal collegio.
Come tutti i giorni, poco dopo le 16, Cristina stava camminando lungo la strada che l’avrebbe condotta a casa ed aveva superarto l’ingresso del cinema di pochi metri, e con una certa apprensione, quando si era sentita chiamare dal professore. Si era fermata, attendendo che lui la raggiungesse.
Con voce calma e lenta, e con le dovute pause ad effetto, il professore le aveva detto: “Cristina, ricordati i compiti per casa.” “Io ti seguirò in modo da potere valutare il tuo approccio e, dopo, il tuo compito di pratica.” “Cara, per oggi ci limiteremo al portiere. Tu, prima di entrare, attiva la video chiamata e posiziona il telefono perché vi riprenda bene.” “Non preoccuparti. Ti dico io come rompere il ghiaccio.”
Qualche minuto dopo, nell’atrio del palazzo.
“Signor Giuseppe, posso chiederle un po’ d’acqua? Non mi sento le forze e a casa non ci arrivo così. Poi, sopra non c’è nessuno perché i miei sono al lavoro.”
Il portiere aveva alzato gli occhi dal suo telefonino con cui trascorreva la metà del tempo in cui prestava servizio. Davanti a lui l’oggetto di tutti i suoi sogni erotici: Cristina!
Non che fosse particolarmente bella, ma una ragazza con indosso quella divisa l’avrebbe fatto rizzare anche ad un ottantenne e lui non li aveva ottant’anni.
Camicia bianca, la cravatta con i colori del collegio, un magliocino rosso, i calzettoni bianchi e la gonna a quadretti, corta a pieghe, con gli stessi colori della cravatta. Ai piedi, dei semplici mocassini neri. Il tutto si traduceva in un’immediata erezione, contenuta dalle sue mutande a malapena. Pensò che avrebbe pagato pur di sentire quelle mani sul suo pene e quelle labbra schiudersi per accoglierlo.
“Certo Cristina. Metto il cartello “torno subito” e andiamo a casa mia, così ti offro l’acqua.”
Dovettero fare pochi passi dalla guardiola per entrare nell’appartamento riservato al custode del palazzo.
Si ritrovarono subito in una cucina soggiorno, abbastanza ampia ed arredata con mobili di fattura modesta, ma con gusto.
Cristina si sedette e la gonna risalì quel giusto per portare a nudo buona parte delle sue cosce.
Intanto, Giuseppe aveva preso la bottiglia dell’acqua dal frigo e, poggiato un bicchiere vuoto sul tavolo, lo stava riempiendo.
Ne approfittò per poggiare il suo sguardo sulle gambe di Cristina.
La ragazza chiuse gli occhi per un attimo, contò sino a cinque come le aveva detto il professore e ripensò alle sue parole:
“Chiedi un po’ d’acqua, ti porterà a casa sua.” “Ti siedi e fai vedere le cosce, ma stai compita.” “Lui sbircerà, stanne certa” “tu ti calmi, conta mentalmente sino a cinque, lentamente.” “ poi guardi lui, ti guardi le cosce e gli domandi se gli piacciono, diventerà rosso.” “Digli di non preoccuparsi. Che ti hanno spiegato che è un effetto normale per un uomo che ti guarda le cosce. Poi muoviti tu, parla come credi. Lì inizia il compito di pratica.”
Cristina aveva alzato gli occhi, incrociando quelli del Signor Giuseppe, lo aveva abbassato sulle sue cosce ed era tornata a guardarlo, lui era arrossito.
Rossa per la timidezza aveva inziato a parlare: “Signor Giuseppe. Mi scusi, ma vedo che mi guarda. Tanta gente, per strada mi dice sconcezze, ma lei è una persona perbene. Ma perché mi dicono quelle. Cose? Le mie gambe sono brutte? “
Quello stava svenendo.
“Cristina, scusami, non volevo. Tu, però, non lo dire. Sai…”
“Signor Giuseppe. No! Cosa dovrei dire? A chi? Io….”
“A me piaceva che mi stava guardando. La mia mamma me l’ha spiegato che voi maschi ci guardate perché siamo belle. Ecco! Lei mi guardava… le piacciono?”
In quel momento pensava al professore che la stava guardando attraverso il video. Si alzò e fece una ruota su se stessa, la gonna si alzò per un attimo.
“Cristina sei bellissima. Lasciali perdere quelli per strada, sono maleducati.”
“Si! Ma mi dicono sconcezze”.
“Cosa ti dicono, Cristina?”
Ormai, Giuseppe non nascondeva più la sua eccitazione crescente. Cristina si era riseduta e, questa volta, la gonna era molto più su di prima.
“Mi dicono tante cose, Signor Giuseppe, mi chiedono che apra la bocca, o le gambe, che usi le mani e che scopra il mio culetto. Un po’ mi mettono paura. Quando la mamma mi mette una supposta, mi fa male. Immagino quel coso e mi mette paura.”
Giuseppe non ci stava più.
“Cristina, ma tu quel coso lo hai mai visto?”
Si signor Giuseppe. Sino a ieri mai, ma adesso ne conosco quattro. Cristina pensò che quella era la verità ma rispose, arrossendo:
“no, mai.”
“…e non sei curiosa di conoscerlo? Sei una ragazza bella. Com’è che non hai ancora un moroso?”
“Signor Giuseppe, nel mio collegio siamo tutte ragazze. Poi, i ragazzi vanno appresso a quelle del liceo vicino. Quelle hanno pantaloni aderenti, minigonne, top e vanno truccate. Io, con questa divisa chi mi deve guardare?”
“Ma no, Cristina. Anzi, la divisa ti rende eccitante.”
A Cristina erano brillati gli occhi. “Davvero, Signor Giuseppe? Ma, se sono eccitante, che succede?”
Giuseppe si sentiva le guance di fuoco, il cazzo che spingeva nelle mutande e ad un passo dall’infarto. Quella ragazzina lo stava facendo impazzire. La sua ingenuità era senza precedenti e lui aveva imboccato la strada senza ritorno.
Pensò che se doveva essere licenziato, almeno avrebbe avuto qualcosa da raccontare ai suoi amici. Si! Ma come convincerli?
Iniziò a parlarle, giochicchiando col proprio telefonino, lo faceva sempre. Avviò l’opzione video e poggio l’apparecchio sul marmo della cucina.
“Cristina, noi uomini quando vediamo una ragazza che ci eccita abbiamo un effetto in una parte del nostro corpo. Quello che tu hai chiamato il coso. Mamma te ne ha parlato?”
Cristina ripensò al professore e si sentì già sotto la sua valutazione.
“No, la mamma no ma una mia compagna si”.
“Una tua compagna? Li ha visti su internet?”
Cristina scosse la testa.
“No! Lei l’ha proprio visto.”
“Ah! La tua compagna ha il moroso, quindi?”
Cristina aveva scosso di nuovo la testa ed il Signor Giuseppe le aveva formulato la nuova domanda col solo sguardo.
“…con un signore che abita nel suo palazzo.”
Aveva inventato tutto di sana pianta ma, con un po’ di fantasia e tutto quello che aveva vissuto sino a poche ore prima nella presidenza, era stata prodiga di particolari spinti.
“Però a me la curiosità è rimasta.”
Giuseppe non poteva credere a quello che aveva sentito.
“Cristina, lo vorresti vedere?” Il cenno della ragazza era stato eloquente.
Dallo schermo il professore vide Giuseppe avvicinarsi alla ragazza, prenderle una mano e farla alzare dalla sedia.
Rimasero qualche istante così, l’uno di fronte all’altra, distanziati da pochi centimetri. Poi, Giuseppe appoggiò la mano della ragazza sul suo pacco.
“Cristina, ora strofina e stringi un po’”
“Così?”
“Si, ragazza. Continua un po’ così, ma se lo vuoi conoscere, devi togliermi i pantaloni.”
Cristina non perse tempo. Sfibbiò la cintura, abbassò la cerniera e infilò la mano dentro.
Al contatto, Giuseppe quasi venne. Diede fondo a tutte le sue capacità per non farlo e si sfilò i pantaloni e le mutande.
Disse a Cristina di sedersi e di iniziare a segarlo e Cristina lo segò.
Segava il cazzo di quell’uomo e pensava a come prendere un voto ottimo.
Iniziò ad utilizzare la mano libera per solleticare la sacca dei coglioni mentre con l’altra continuava a masturbare l’uomo.
Cristina aveva soddisfatto tutte le richieste del suo preside.
Inizialmente, si era lasciata andare sotto le mani sapienti del professore ed aveva raggiunto l’orgasmo per i colpi di lingua impartiti dal preside, il suo terzo orgasmo provocato da un uomo sempre diverso.
Subito dopo, i due uomini le avevano presentato i loro piselli, già in piena erezione, e lei aveva masturbato prima l’uno e poi l’altro, in base alle istruzioni ricevute dai due.
I due avevano schizzato il loro godimento sul vetro della scrivania ed avevano ordinato alla ragazza di raccogliere il loro seme nelle sue mani, da lì portarle vicino al suo naso e restare così, inspirando a pieni polmoni per due minuti.
Infine, aveva spalmato un po’ di quel seme sulle mammelle e sul buchino posteriore.
Così conciata, aveva fatto ritorno in classe.
L’imbarazzo era sorto all’uscita dal collegio.
Come tutti i giorni, poco dopo le 16, Cristina stava camminando lungo la strada che l’avrebbe condotta a casa ed aveva superarto l’ingresso del cinema di pochi metri, e con una certa apprensione, quando si era sentita chiamare dal professore. Si era fermata, attendendo che lui la raggiungesse.
Con voce calma e lenta, e con le dovute pause ad effetto, il professore le aveva detto: “Cristina, ricordati i compiti per casa.” “Io ti seguirò in modo da potere valutare il tuo approccio e, dopo, il tuo compito di pratica.” “Cara, per oggi ci limiteremo al portiere. Tu, prima di entrare, attiva la video chiamata e posiziona il telefono perché vi riprenda bene.” “Non preoccuparti. Ti dico io come rompere il ghiaccio.”
Qualche minuto dopo, nell’atrio del palazzo.
“Signor Giuseppe, posso chiederle un po’ d’acqua? Non mi sento le forze e a casa non ci arrivo così. Poi, sopra non c’è nessuno perché i miei sono al lavoro.”
Il portiere aveva alzato gli occhi dal suo telefonino con cui trascorreva la metà del tempo in cui prestava servizio. Davanti a lui l’oggetto di tutti i suoi sogni erotici: Cristina!
Non che fosse particolarmente bella, ma una ragazza con indosso quella divisa l’avrebbe fatto rizzare anche ad un ottantenne e lui non li aveva ottant’anni.
Camicia bianca, la cravatta con i colori del collegio, un magliocino rosso, i calzettoni bianchi e la gonna a quadretti, corta a pieghe, con gli stessi colori della cravatta. Ai piedi, dei semplici mocassini neri. Il tutto si traduceva in un’immediata erezione, contenuta dalle sue mutande a malapena. Pensò che avrebbe pagato pur di sentire quelle mani sul suo pene e quelle labbra schiudersi per accoglierlo.
“Certo Cristina. Metto il cartello “torno subito” e andiamo a casa mia, così ti offro l’acqua.”
Dovettero fare pochi passi dalla guardiola per entrare nell’appartamento riservato al custode del palazzo.
Si ritrovarono subito in una cucina soggiorno, abbastanza ampia ed arredata con mobili di fattura modesta, ma con gusto.
Cristina si sedette e la gonna risalì quel giusto per portare a nudo buona parte delle sue cosce.
Intanto, Giuseppe aveva preso la bottiglia dell’acqua dal frigo e, poggiato un bicchiere vuoto sul tavolo, lo stava riempiendo.
Ne approfittò per poggiare il suo sguardo sulle gambe di Cristina.
La ragazza chiuse gli occhi per un attimo, contò sino a cinque come le aveva detto il professore e ripensò alle sue parole:
“Chiedi un po’ d’acqua, ti porterà a casa sua.” “Ti siedi e fai vedere le cosce, ma stai compita.” “Lui sbircerà, stanne certa” “tu ti calmi, conta mentalmente sino a cinque, lentamente.” “ poi guardi lui, ti guardi le cosce e gli domandi se gli piacciono, diventerà rosso.” “Digli di non preoccuparsi. Che ti hanno spiegato che è un effetto normale per un uomo che ti guarda le cosce. Poi muoviti tu, parla come credi. Lì inizia il compito di pratica.”
Cristina aveva alzato gli occhi, incrociando quelli del Signor Giuseppe, lo aveva abbassato sulle sue cosce ed era tornata a guardarlo, lui era arrossito.
Rossa per la timidezza aveva inziato a parlare: “Signor Giuseppe. Mi scusi, ma vedo che mi guarda. Tanta gente, per strada mi dice sconcezze, ma lei è una persona perbene. Ma perché mi dicono quelle. Cose? Le mie gambe sono brutte? “
Quello stava svenendo.
“Cristina, scusami, non volevo. Tu, però, non lo dire. Sai…”
“Signor Giuseppe. No! Cosa dovrei dire? A chi? Io….”
“A me piaceva che mi stava guardando. La mia mamma me l’ha spiegato che voi maschi ci guardate perché siamo belle. Ecco! Lei mi guardava… le piacciono?”
In quel momento pensava al professore che la stava guardando attraverso il video. Si alzò e fece una ruota su se stessa, la gonna si alzò per un attimo.
“Cristina sei bellissima. Lasciali perdere quelli per strada, sono maleducati.”
“Si! Ma mi dicono sconcezze”.
“Cosa ti dicono, Cristina?”
Ormai, Giuseppe non nascondeva più la sua eccitazione crescente. Cristina si era riseduta e, questa volta, la gonna era molto più su di prima.
“Mi dicono tante cose, Signor Giuseppe, mi chiedono che apra la bocca, o le gambe, che usi le mani e che scopra il mio culetto. Un po’ mi mettono paura. Quando la mamma mi mette una supposta, mi fa male. Immagino quel coso e mi mette paura.”
Giuseppe non ci stava più.
“Cristina, ma tu quel coso lo hai mai visto?”
Si signor Giuseppe. Sino a ieri mai, ma adesso ne conosco quattro. Cristina pensò che quella era la verità ma rispose, arrossendo:
“no, mai.”
“…e non sei curiosa di conoscerlo? Sei una ragazza bella. Com’è che non hai ancora un moroso?”
“Signor Giuseppe, nel mio collegio siamo tutte ragazze. Poi, i ragazzi vanno appresso a quelle del liceo vicino. Quelle hanno pantaloni aderenti, minigonne, top e vanno truccate. Io, con questa divisa chi mi deve guardare?”
“Ma no, Cristina. Anzi, la divisa ti rende eccitante.”
A Cristina erano brillati gli occhi. “Davvero, Signor Giuseppe? Ma, se sono eccitante, che succede?”
Giuseppe si sentiva le guance di fuoco, il cazzo che spingeva nelle mutande e ad un passo dall’infarto. Quella ragazzina lo stava facendo impazzire. La sua ingenuità era senza precedenti e lui aveva imboccato la strada senza ritorno.
Pensò che se doveva essere licenziato, almeno avrebbe avuto qualcosa da raccontare ai suoi amici. Si! Ma come convincerli?
Iniziò a parlarle, giochicchiando col proprio telefonino, lo faceva sempre. Avviò l’opzione video e poggio l’apparecchio sul marmo della cucina.
“Cristina, noi uomini quando vediamo una ragazza che ci eccita abbiamo un effetto in una parte del nostro corpo. Quello che tu hai chiamato il coso. Mamma te ne ha parlato?”
Cristina ripensò al professore e si sentì già sotto la sua valutazione.
“No, la mamma no ma una mia compagna si”.
“Una tua compagna? Li ha visti su internet?”
Cristina scosse la testa.
“No! Lei l’ha proprio visto.”
“Ah! La tua compagna ha il moroso, quindi?”
Cristina aveva scosso di nuovo la testa ed il Signor Giuseppe le aveva formulato la nuova domanda col solo sguardo.
“…con un signore che abita nel suo palazzo.”
Aveva inventato tutto di sana pianta ma, con un po’ di fantasia e tutto quello che aveva vissuto sino a poche ore prima nella presidenza, era stata prodiga di particolari spinti.
“Però a me la curiosità è rimasta.”
Giuseppe non poteva credere a quello che aveva sentito.
“Cristina, lo vorresti vedere?” Il cenno della ragazza era stato eloquente.
Dallo schermo il professore vide Giuseppe avvicinarsi alla ragazza, prenderle una mano e farla alzare dalla sedia.
Rimasero qualche istante così, l’uno di fronte all’altra, distanziati da pochi centimetri. Poi, Giuseppe appoggiò la mano della ragazza sul suo pacco.
“Cristina, ora strofina e stringi un po’”
“Così?”
“Si, ragazza. Continua un po’ così, ma se lo vuoi conoscere, devi togliermi i pantaloni.”
Cristina non perse tempo. Sfibbiò la cintura, abbassò la cerniera e infilò la mano dentro.
Al contatto, Giuseppe quasi venne. Diede fondo a tutte le sue capacità per non farlo e si sfilò i pantaloni e le mutande.
Disse a Cristina di sedersi e di iniziare a segarlo e Cristina lo segò.
Segava il cazzo di quell’uomo e pensava a come prendere un voto ottimo.
Iniziò ad utilizzare la mano libera per solleticare la sacca dei coglioni mentre con l’altra continuava a masturbare l’uomo.
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