Un Giorno nel Buio: Le Confessioni di uno Schiavo Sadomaso - Parte V

di
genere
sadomaso

Il Ritorno alla Cava
Dopo una notte di umiliazioni e torture alla casa del padrone, le guardie mi riportarono alla cava. Il viaggio fu breve, ma ogni passo mi ricordava il dolore e la sottomissione della notte precedente. Arrivato alla cava, fui accolto con un'ulteriore misura di controllo e privazione della libertà. Oltre alle catene alle caviglie, mi misero i ceppi anche ai polsi, ma con una catena così corta da limitare drasticamente i miei movimenti. Ogni tentativo di allungare le braccia risultava inutile e doloroso.

La Limitazione dei Movimenti
Con le catene ai polsi e alle caviglie, il mio lavoro nella cava diventava ancora più arduo. Spaccare le pietre richiedeva uno sforzo immenso, e la limitata libertà di movimento rendeva ogni gesto una lotta contro i ceppi. Le catene ai polsi mi impedivano di sollevare gli attrezzi con la forza necessaria, e ogni colpo contro la pietra era meno efficace. Le guardie osservavano con occhi vigili, pronte a punirmi se rallentavo o mostravo segni di fatica.

Un Presagio di Ulteriori Punizioni
La restrizione dei miei movimenti non sembrava essere solo una misura preventiva. Era come se si stesse preparando qualcosa di peggiore per me, un'altra punizione per le presunte mancanze o semplicemente per il sadico piacere delle guardie e del padrone. Ogni sguardo delle guardie era carico di una minaccia silenziosa, ogni loro sorriso un segno di futuri tormenti.

La Fatica e la Paura
Ogni giorno che passava in quelle condizioni era un tormento fisico e psicologico. La fatica di spaccare pietre con movimenti limitati, il peso delle catene che mi tirava verso il basso, e la costante paura di ulteriori punizioni rendevano la mia esistenza insopportabile. Le notti erano brevi momenti di sollievo, ma anche lì la paura e il dolore non mi lasciavano mai.

Il Presagio di Ulteriori Tormenti
Forse le guardie e il padrone stavano davvero preparando un'altra punizione per me. Ogni piccolo errore, ogni pietra non spaccata a dovere, poteva essere usato come pretesto per infliggermi nuove sofferenze. La mia mente era costantemente in allerta, cercando di prevedere quale tortura mi aspettasse, quale nuova umiliazione avrei dovuto sopportare.

La Rassegnazione e la Resilienza
Nonostante tutto, una parte di me continuava a resistere. La rassegnazione non significava la completa resa. Ogni colpo di martello contro la pietra, ogni passo doloroso, ogni notte insonne erano un modo per sopravvivere, per mantenere viva quella scintilla di speranza che, un giorno, avrei potuto trovare una via di fuga o una fine a quell'incubo.

E così, continuavo a lavorare nella cava, le catene ai polsi e alle caviglie un costante promemoria della mia prigionia e della mia sottomissione. Ma anche un segno della mia resistenza, della mia capacità di sopportare e di continuare a lottare, in un modo o nell'altro, contro il destino che mi era stato imposto.
scritto il
2024-07-03
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