Dipendenza 1

di
genere
gay

Ero totalmente dipendente da lui: una droga, un’ossessione, che mi aveva trasformato nei più servili degli esseri.
Lui era mio cugino ed era il mio aguzzino.
Faceva di me quello che voleva, di giorno, di notte, nei luoghi più impensabili e con ogni attrezzo. Eravamo adolescenti e i miei, appena finite le scuole, mi spedivano da lui e dai miei zii, convinti che quello fosse un posto sicuro.
Io, inizialmente, non ci volevo andare, avevo paura, poi anche quella divenne una vera e propria dipendenza.
Lui, mio cugino, aveva abbandonato gli studi e faceva l’agricoltore. Era tozzo, con mani grosse, dure, piene di tagli e con unghie nere.
Eravamo a sud, faceva un caldo torrido e in paese l’acqua arrivava ogni tre giorni.
Per questo, lui, era spesso sporco, sudato dalla testa ai piedi ed io, dormendo con lui, ne pagavo le conseguenze.
Avevamo una stanza tutta per noi nel seminterrato di casa sua.
Annesso c’era un bagno con due lavatrici, da cui lui recuperava tutto il materiale per i suoi giochi sporchi.
C’era anche un frigo, che, oltre alle birre, conteneva semi, spezie e, soprattutto…liquidi.
Di giorno era cordiale, simpatico, di notte invece, appena spenta la luce, si trasformava senza mistero.
Io ero biondino, senza peli, labbra carnose e culo sporgente. Ho sempre pensato fosse proprio il mio aspetto ad eccitarlo.
Inoltre, ero mite, docile e sempre disponibile alla socialità, caratteristiche, queste, che, a poco a poco, mi trasformarono invece nella sua cagna.
Ricordo come tutto era cominciato. Nel cuore della notte subivo i suoi assalti, prima delicatamente, poi sempre più audaci.
Con la scusa di giocare alla Play, avvicinava il suo letto al mio e ci addormentavamo così.
Poi lui, durante la notte, senza nemmeno un minimo di vergogna, iniziava a toccarmi.
Mi ritrovavo le sue mani dappertutto, specie sul culo, la parte del corpo che preferiva. Me lo afferrava, lo apriva, ci passava le sue dita nodose in mezzo, dopo averle bagnate di saliva.
Era un tormento. Le prime notti lo respingevo, poi, per avere un attimo di riposo, avevo iniziato a cedere.
E così ogni notte le sue mani diventavano sempre più audaci, fino a quando decise anche di avvicinare il suo corpo al mio.
Si strusciava col suo cazzo sul mio culo. Fu in quel momento che, per la prima volta, percepii le dimensioni di quello che sarebbe diventato il mio trapano per tre mesi.
Mi spaventai perché sapevo quello che aveva intenzione di fare. Più volte, infatti, provò ad infilarmelo, dopo avermi abbondantemente sputato sul buco, ma mi ribellai.
Ritentò, ma su quello non ero disposto a cedere.
Fu così che, per diverse notti, si dovette accontentare: prendeva le mie chiappe, le avvolgeva attorno al suo cazzo e si sparava una mega sega col mio culo, fino a riempirmi il buco di sperma. Dopodiché, senza nemmeno degnarsi di pulirmi, mi risollevava le mutande e si girava dall’altra parte del letto, per dormire.
Quell’abitudine durò per una settimana, poi cercò in tutti i modi di allargarmi il buco, per raggiungere il suo scopo.
Iniziò con le dita, prima con uno, poi con due, poi con tre e mentre lo faceva si segava. Sentivo chiaramente il rumore del suo cazzo bagnato che andava su e giù.
Dopo essere venuto, puntualmente inseriva la sua sborra nel mio buco, che ormai aveva iniziato ad abituarsi.
Fu poi la volta del manico del cacciavite, della candela e di tutti quegli attrezzi che rinveniva per penetrarmi.
Io mi sentivo umiliato, arrabbiato, ma, per quanto schifato, ero totalmente soggiogato da quello che mi faceva.
Una notte, stanco di avere costantemente il culo inondato di sperma, prima che venisse, mi voltai di scatto e gli presi per la prima volta in mano il cazzo. Volevo farlo venire a tutti i costi, per dormire un po'.
Per tutta risposta, lui mi afferrò per i capelli e, simulando di picchiarmi, mi obbligò a prenderglielo in bocca.
Per un po' resistetti e mentre cercavo di divincolarmi me lo strusciava in faccia.
Per la prima volta sentii il suo sporco, il suo sudore, l’odore della sua cappella, che sapeva di pesce andato a male.
Fino a quando mi tappò le narici ed aprendo di scatto la bocca per respirare, mi mise tutto il suo cazzo in bocca.
Era grosso, duro, sporco. Avevo i conati di vomito, ma lui mi teneva stretto per i capelli e mi obbligava ad ingoiare.
Poi, ad un tratto, si fermo, iniziò a tremare e, grugnendo come un maiale, mi scaricò una quantità di sborra, che mi riempì tutta la bocca.
Appena tolse il cazzo, mi disse di ingoiarla e che, se avessi sporcato il letto o per terra, mi avrebbe picchiato.
Rassegnato e disgustato, lo feci.
Da quella volta in poi ero diventato il suo schiavetto “pompinaro”.
Non importa dove eravamo, appena aveva la possibilità e non ci vedeva nessuno, mi faceva inginocchiare, succhiare e…bere.
Mentalmente stavo iniziando ad accettare quella situazione, era come se mi fossi sdoppiato: di giorno andavo al mare, stavo con gli amici, importunavo le ragazze, poi, di sera, mi trasformavo nella cagna di mio cugino.
Il suo odore, poi, aveva iniziato a farmi eccitare: più il suo cazzo era sporco, più salivavo e mi veniva l’acquolina in bocca, tant’è che, durante quelle interminabili pompe, avevo anche preso spontaneamente a leccargli il culo…non vi dico che sapore!
Lui si accorse di tutto questo e, da buon padrone, si faceva succhiare in posti malsani, pieni di immondizia e puzzolenti, dove, inginocchiato tra i detriti, mi veniva in bocca come una fontana.
Fu proprio in uno di quelli, in una vecchia stalla abbandonata, che un giorno tirò fuori dal suo zaino un barattolo con la chiusura ermetica.
Lì per lì non capii, fino a quando, mentre lo stavo spompinando, tirò fuori il cazzo dalla mia bocca e ci venne copiosamente dentro.
Lo guardai interdetto. Mi disse: “ci servirà poi. Ora vieni anche tu nel barattolo”. Era la prima volta che mi chiedeva di farmi una sega.
Pensavo volesse guardarmi, invece, si abbassò i pantaloni, si tirò giù le mutande, si girò e mi mise il culo in faccia. “Leccamelo – mi disse – e mentre lo fai, segati!”.
Non vi dico lo schifo, eppure il mio cazzo, duro come il marmo, venne copiosamente nel vetro.
Arrivati a casa, mise il barattolo nel frigo, ma solo dopo avermi fatto annusare ed assaggiare il suo contenuto: un liquido giallastro, maleodorante, più denso sotto e trasparente sopra.
Da quel momento in poi, quel barattolo venne sempre con noi. Puntualmente veniva riempito da entrambi e, naturalmente, svuotato e bevuto esclusivamente dal sottoscritto.
Era diventata la mia bevanda quotidiana e mio cugino era attento che non ne avanzasse nemmeno una goccia.
--To be continued—Scrivetemi a: ginluckr@gmail.com
scritto il
2024-07-31
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