Viaggio a Venezia con la sadica moglie
di
Ludovicoschiavo77
genere
dominazione
Una breve fuga d’amore a Venezia.
Una decisione improvvisa per stare qualche giorno da soli, lontano da lavoro, impegni, stress.
Io mi sarei beato delle umiliazioni della mia Padrona e lei avrebbe goduto nell’essere trattata come una Dea, riempita di attenzioni e regali e condotta nei migliori ristoranti della laguna.
Appena giunti all’aeroporto di Venezia, prendemmo un taxi per raggiungere l’albergo, sistemammo i bagagli in camera e cominciammo a passeggiare fra i vicoli della città.
Il mio sguardo non era attirato dalle meraviglie della Serenissima bensì dai divini piedi perfetti di mia moglie, lunghi e affusolati, freschi di pedicure. Calzava delle infradito nere e aveva le unghia smaltate di rosso vermiglio. Adoravo venerare le divine estremità della mia Signora e fantasticavo sulle splendide umiliazioni che mi avrebbe inflitto.
D’un tratto, Valentina si fermò ad ammirare un paio di eleganti decolletè in velluto nero esposte nella vetrina di un affollato negozio.
“Quelle decolletè devono essere mie. Non è vero schiavo?” – disse ghignando verso di me.
“Certo Padrona”.
Entrammo nel negozio e ci venne incontro una gioviale commessa.
“Buongiorno, posso aiutarvi?”.
“Buongiorno, mia moglie desiderava provare le decolletè nere di velluto esposte in vetrina”.
“Che misura?”
“39”.
La ragazza scomparve nel retro del negozio e tornò dopo qualche minuto con la scatola di scarpe. Le porse a Valentina, ma la mia padrona pretese che fossi io a servirla. Così mi inginocchiai a terra fra lo stupore dei presenti, tolsi delicatamente le infradito dai piedi di Vale e le calzai le decolletè.
“Mi stanno divinamente. Che ne pensi?”
“Ti calzano a pennello mia Dea” – risposti sottovoce per non essere sentito.
“Bravo coglionazzo! Allora vai a pagare” – esclamò a voce alta Valentina per mettermi in imbarazzo.
La Padrona sapeva bene quanto odiassi essere umiliato in pubblico e si divertiva sadicamente a mettermi continuamente alla prova per spingermi oltre i miei limiti.
Mi recai alla cassa paonazzo per la vergogna, pagai con carta di credito (ben 300,00 euro) e ritirai il sacchetto con le preziose scarpe.
Valentina era divertita dal mio imbarazzo e visibilmente soddisfatta del suo nuovo acquisto. “Grazie coglione” – disse baciandomi sulla guancia.
“Di nulla mia Regina “ - risposi sempre sottovoce - “soddisfare i tuoi desideri è la mia unica ragione di vita”.
Lo shopping della Padrona continuò per tutta la mattina: entrava e usciva freneticamente dai negozi, mi sottoponeva a delle attese estenuanti e, ovviamente, pretendeva che pagassi i salati scontrini e trasportassi sacchetti, buste e pacchetti per tutta la città.
Verso le due del pomeriggio, finalmente, la stanchezza di Valentina prese il sopravvento sul suo spasmodico desiderio di shopping.
Così, ci concedemmo un pranzo frugale e ritornammo in albergo per riposarci un po'.
Lei si sdraiò sul letto e prese a conversare a telefono con la madre, mentre io, esausto, mi liberai dei sacchetti che avevo trasportato per tutta Venezia.
Valentina si tolse le infradito e notò che aveva i piedi sporchi. Dopo la lunga camminata della mattina si erano inevitabilmente imbrattati del sudicio delle strade, anche per via delle calzature aperte.
Così, mise in pausa la telefonata e mi ordinò di pulirle i piedi con la lingua.
All’udire quelle parole, il mio cuore prese a palpitare dall’emozione.
Mi inginocchiai per terra e cominciai a strofinarmi sulla cassapanca posta all’estremità del letto, mentre pulivo con la lingua lo sporco di quelle divine estremità, ne succhiavo avidamente le dita, ne leccavo bramosamente le piante e i talloni.
Valentina, frattanto, continuava a conversare con mia suocera, completamente incurante di me.
“Si … siamo arrivati verso le 9,30 .. abbiamo già fatto un bel giro .. ho comprato della scarpe favolose .. ora ti invio la foto .. Ludovico? È inginocchiato per terra e mi sta leccando i piedi!”.
Valentina scoppiò fragorosamente a ridere insieme alla madre mentre io, continuando a leccare quelle divine estremità sempre più eccitato e umiliato, esplosi in una sborrata colossale.
Continuai a pulire con la lingua ogni millimetro di sporco, finché la Padrona, dopo essersi accertata che i suoi piedi fossero completamente puliti, mi permise di fare una doccia.
Nel pomeriggio, raggiungemmo Piazza San Marco e visitammo la Basilica e il Palazzo Ducale.
La sera, dopo un rapido cambio d’abito in hotel, andammo a cenare in un elegante ristorante dall'atmosfera Liberty, defilato dalla confusione, dal menù ricco di piatti della tradizione rivisitati in chiave moderna.
Valentina era bellissima. Indossava un delizioso vestito lungo monospalla con schiena scoperta e calzava le decolletè che le avevo regalato quella mattina. I lunghi capelli biondi erano fissati alla nuca con un fermaglio a formare la classica coda di cavallo, il contorno dei vividi occhi castani era risaltato da una linea di eyeliner sottilissima e le labbra erano colorate di rosso scarlatto.
Mangiammo a sazietà, bevemmo buon vino e ci divertimmo a sparlare di tutti i nostri conoscenti e amici.
Concludemmo la cena con un golosissimo dessert: una crema soffice al cioccolato bianco e nero, sormontato da un croccante di caramello e mandorle.
Mentre attendavamo che ci servissero caffè e grappa, Valentina mi scrutò con un sadico ghigno.
"Devo fare pipì" - esclamò sottovoce con fare beffardo.
La padrona odiava urinare nei bagni aperti al pubblico e, quando le scappava di farla in queste occasioni, pretendeva di usare la mia cavità orale come orinatoio. Era anche un modo per esercitare potere su di me, per mettere alla prova la mia devozione.
"Mia divina, non puoi aspettare che torniamo in hotel? Si tratta di pochi minuti" - chiesi supplicante per non rischiare figuracce.
"No che non posso aspettare. E tu, da bravo schiavo coglione, devi ubbidire".
"Va bene padrona, andiamo".
Ci recammo nella toilette del ristorante, ci accertammo che non ci fosse nessuno ed entrammo, furtivi e repentini, nel bagno delle signore.
Mi inginocchiai sul pavimento e mi ritrovai la fica di mia moglie ad un centimetro dal viso.
"Apri, coglione" - mi ordinò - "e ricorda, se ne cade solo una goccia ti frusterò a dovere".
"Si padrona".
La mia cavità orale cominciò a colmarsi della meravigliosa pioggia dorata di Valentina. Mentre inghiottivo quel prezioso nettare, temevo che qualcuno ci potesse sorprendere nel bagno delle signore, ma al tempo stesso ero eccitatissimo e concentrato ad eseguire il mio incombente senza errori.
"Bravo verme schifoso" - esclamò Valentina dopo aver svuotato la vescica - "hai bevuto tutto senza farne cadere una sola goccia. Stasera meriti un premio".
"Grazie padrona" - risposi in preda ad una forte libido.
Uscimmo dalla toilette e ci sedemmo al nostro tavolo dove, frattanto, avevano servito la mia grappa e il caffè di Valentina , accompagnato da un delizioso vassoio di pasticcini.
"Posso assaggiarne uno?" - chiesi speranzoso.
"No coglione, questi sono solo per me" - rispose la mia sadica padrona mentre gustava un pasticcino alle mandorle.
Poi, si tolse una scarpa e premette il piede sul mio cazzo che, subito, divenne duro come il marmo.
"Stasera ti voglio, mio bel cazzone! Sarà il tuo premio per avermi servito con devozione durante questo primo giorno di viaggio".
"Non aspetto altro mia divina" - risposi sempre più eccitato.
Così pagai il conto e ci fiondammo in albergo .
Valentina si liberò delle scarpe, del vestito e della biancheria intima, si sdraiò nuda sul letto e mi ordinò di massaggiarle i piedi
Manipolai con delicatezza e devozione quelle sublimi profumate estremità per diversi minuti , fin quando la voluttuosa padrona, mi ordinò di darle piacere con la bocca.
Presi, quindi, ad accarezzare con la punta della lingua le grandi e le piccole labbra, dal basso verso l'alto, fino a raggiungere il clitoride . Cominciai a tracciare piccoli cerchi con la lingua, a succhiare il clitoride con le labbra, ad eseguire un movimento più intenso dal basso verso l'alto.
Valentina mugolava di piacere.
"Bravo schiavo, continua. Si così, ancora! Ancora ! Adesso entra col tuo cazzone".
Mi sistemai sopra di lei e cominciai a penetrarla nella pozione del missionario, ma, ben presto, fu Valentina ad assumere il controllo.
Si sdraiò sopra di me, mi ammanettò al letto e prese a cavalcarmi nella posizione dell'amazzone.
"Bravo il mio coglionazzo. Alla tua età non hai ancora perso il tuo vigore".
"Si padrona , il merito è della tua straordinaria bellezza".
"Zitto, verme schifoso, non devi parlare se non ti do il permesso".
La padrona mi assestò qualche schiaffo sul viso, prese a mordicchiarmi il collo e poi il lobo dell'orecchio, quindi a graffiarmi i fianchi. Dopo qualche istante, raggiungemmo , quasi all'unisono, un orgasmo colossale .
Il giorno seguente , Valentina si alzò di buon mattino, mi svegliò bruscamente e mi convocò in bagno.
Svuotò la vescica dentro la mia bocca e mi ordinò di sistemarmi inginocchio accanto al lavabo, mentre si lavava i denti.
La mia faccia cominciò così a riempirsi dei suoi sputi, di saliva e dentifricio, dritti sul naso e, poi, a colare fino al mento.
Quando Vale ebbe finito, si andò a vestire e mi concesse di lavarmi.
Tornai in camera e la trovai con indosso
una comoda maglietta sportiva, dei pantaloncini elasticizzati e delle scarpe da ginnastica .
"Il piede sinistro mi duole, toglimi la scarpa e massaggia!".
"Subito padrona".
"La scarpa destra, invece, ha qualcosa di appiccicaticcio sulla suola. Puliscila con la lingua".
Valentina adorava assegnarmi Il degradante compito di pulirle le scarpe con la lingua, era un altro modo di esercitare potere su di me e asservire totalmente la mia mente e il mio corpo ai suoi voleri.
Mi ritrovai , così, seduto sul pavimento, col cazzo duro come il marmo, a massaggiare il piede sinistro della Dea e, contemporaneamente, a leccare la suola della sua scarpa destra.
"Sbrigati coglione, ci aspetta una bella passeggiata fino al ponte di Rialto, un giro in gondola e un pomeriggio di shopping con la tua bella carta di credito. Non voglio perdere tempo".
"Si padrona".
Massaggiai e leccai rapidamente ma con cura, finché Vale si ritenne soddisfatta.
La giornata si svolse esattamente come mia moglie aveva stabilito, fra le meraviglie dell'affollata Serenissima, il giro in gondola e il suo shopping compulsivo.
La sera, al ristornate, Valentina pianificava la terza e ultima giornata di vacanza.
"Domani voglio andare a Verona. Prenderemo il treno, la stazione Santa Lucia è a pochi passi dall'hotel".
"Si Padrona".
"Non vedo l'ora di visitare la città scaligera, non mi ci hai mai portato".
"È vero Padrona, ma domani rimedieremo!".
La mattina seguente, dopo una lauta colazione, eravamo seduti uno di fronte all'altra a bordo del treno Venezia - Verona. Valentina indossava nuovamente le scarpe da ginnastica del giorno prima e continuava a sostenere che avessero qualcosa di appiccicaticcio sulle suole.
"Ieri non mi hai pulito perbene le scarpe, coglione che non sei altro! Rimedia immediatamente!".
"Qui? Adesso? Davanti a tutti? Ti prego, risparmiami questa umiliazione. Sai che odio sentirmi in imbarazzo davanti agli estranei".
"Lo so perfettamente, ma non me ne frega un cazzo".
Valentina avvicinò le suole delle scarpe da ginnastica al mio viso e io cominciai a leccarle minuziosamente.
Mentre eseguivo il mio umiliante incombente sperando che nessuno ci notasse, Lei, concentrata sul telefonino, mi ignorava del tutto.
D'un tratto mi fermai, le suole sembravano come nuove ed ero stanco di leccare.
"Perché ti sei fermato" - disse contrariata la Dea- "Continua fino a quando ti dirò di smettere".
"Si Padrona" - risposi a malincuore mentre osservavo imbarazzato due stupite turiste straniere che ridevano di me.
Ripresi a leccare le suole di Valentina per qualche altro minuto, finche' la Padrona pose termine al mio supplizio.
Ispezionò attentamente le scarpe e si ritenne soddisfatta.
Poi mi scrutò con il suo sguardo sadico e beffardo e pronunciò la temuta frase: "Devo fare la pipì".
Mi ritrovai, così, inginocchiato sul lurido pavimento del cesso del treno, con la lingua annerita dal sudiciume delle scarpe di Vale e la bocca ricolma del suo nettare e mi sentii fortunato ad essere lo schiavo di una creatura così sadica e sublime.
Una decisione improvvisa per stare qualche giorno da soli, lontano da lavoro, impegni, stress.
Io mi sarei beato delle umiliazioni della mia Padrona e lei avrebbe goduto nell’essere trattata come una Dea, riempita di attenzioni e regali e condotta nei migliori ristoranti della laguna.
Appena giunti all’aeroporto di Venezia, prendemmo un taxi per raggiungere l’albergo, sistemammo i bagagli in camera e cominciammo a passeggiare fra i vicoli della città.
Il mio sguardo non era attirato dalle meraviglie della Serenissima bensì dai divini piedi perfetti di mia moglie, lunghi e affusolati, freschi di pedicure. Calzava delle infradito nere e aveva le unghia smaltate di rosso vermiglio. Adoravo venerare le divine estremità della mia Signora e fantasticavo sulle splendide umiliazioni che mi avrebbe inflitto.
D’un tratto, Valentina si fermò ad ammirare un paio di eleganti decolletè in velluto nero esposte nella vetrina di un affollato negozio.
“Quelle decolletè devono essere mie. Non è vero schiavo?” – disse ghignando verso di me.
“Certo Padrona”.
Entrammo nel negozio e ci venne incontro una gioviale commessa.
“Buongiorno, posso aiutarvi?”.
“Buongiorno, mia moglie desiderava provare le decolletè nere di velluto esposte in vetrina”.
“Che misura?”
“39”.
La ragazza scomparve nel retro del negozio e tornò dopo qualche minuto con la scatola di scarpe. Le porse a Valentina, ma la mia padrona pretese che fossi io a servirla. Così mi inginocchiai a terra fra lo stupore dei presenti, tolsi delicatamente le infradito dai piedi di Vale e le calzai le decolletè.
“Mi stanno divinamente. Che ne pensi?”
“Ti calzano a pennello mia Dea” – risposti sottovoce per non essere sentito.
“Bravo coglionazzo! Allora vai a pagare” – esclamò a voce alta Valentina per mettermi in imbarazzo.
La Padrona sapeva bene quanto odiassi essere umiliato in pubblico e si divertiva sadicamente a mettermi continuamente alla prova per spingermi oltre i miei limiti.
Mi recai alla cassa paonazzo per la vergogna, pagai con carta di credito (ben 300,00 euro) e ritirai il sacchetto con le preziose scarpe.
Valentina era divertita dal mio imbarazzo e visibilmente soddisfatta del suo nuovo acquisto. “Grazie coglione” – disse baciandomi sulla guancia.
“Di nulla mia Regina “ - risposi sempre sottovoce - “soddisfare i tuoi desideri è la mia unica ragione di vita”.
Lo shopping della Padrona continuò per tutta la mattina: entrava e usciva freneticamente dai negozi, mi sottoponeva a delle attese estenuanti e, ovviamente, pretendeva che pagassi i salati scontrini e trasportassi sacchetti, buste e pacchetti per tutta la città.
Verso le due del pomeriggio, finalmente, la stanchezza di Valentina prese il sopravvento sul suo spasmodico desiderio di shopping.
Così, ci concedemmo un pranzo frugale e ritornammo in albergo per riposarci un po'.
Lei si sdraiò sul letto e prese a conversare a telefono con la madre, mentre io, esausto, mi liberai dei sacchetti che avevo trasportato per tutta Venezia.
Valentina si tolse le infradito e notò che aveva i piedi sporchi. Dopo la lunga camminata della mattina si erano inevitabilmente imbrattati del sudicio delle strade, anche per via delle calzature aperte.
Così, mise in pausa la telefonata e mi ordinò di pulirle i piedi con la lingua.
All’udire quelle parole, il mio cuore prese a palpitare dall’emozione.
Mi inginocchiai per terra e cominciai a strofinarmi sulla cassapanca posta all’estremità del letto, mentre pulivo con la lingua lo sporco di quelle divine estremità, ne succhiavo avidamente le dita, ne leccavo bramosamente le piante e i talloni.
Valentina, frattanto, continuava a conversare con mia suocera, completamente incurante di me.
“Si … siamo arrivati verso le 9,30 .. abbiamo già fatto un bel giro .. ho comprato della scarpe favolose .. ora ti invio la foto .. Ludovico? È inginocchiato per terra e mi sta leccando i piedi!”.
Valentina scoppiò fragorosamente a ridere insieme alla madre mentre io, continuando a leccare quelle divine estremità sempre più eccitato e umiliato, esplosi in una sborrata colossale.
Continuai a pulire con la lingua ogni millimetro di sporco, finché la Padrona, dopo essersi accertata che i suoi piedi fossero completamente puliti, mi permise di fare una doccia.
Nel pomeriggio, raggiungemmo Piazza San Marco e visitammo la Basilica e il Palazzo Ducale.
La sera, dopo un rapido cambio d’abito in hotel, andammo a cenare in un elegante ristorante dall'atmosfera Liberty, defilato dalla confusione, dal menù ricco di piatti della tradizione rivisitati in chiave moderna.
Valentina era bellissima. Indossava un delizioso vestito lungo monospalla con schiena scoperta e calzava le decolletè che le avevo regalato quella mattina. I lunghi capelli biondi erano fissati alla nuca con un fermaglio a formare la classica coda di cavallo, il contorno dei vividi occhi castani era risaltato da una linea di eyeliner sottilissima e le labbra erano colorate di rosso scarlatto.
Mangiammo a sazietà, bevemmo buon vino e ci divertimmo a sparlare di tutti i nostri conoscenti e amici.
Concludemmo la cena con un golosissimo dessert: una crema soffice al cioccolato bianco e nero, sormontato da un croccante di caramello e mandorle.
Mentre attendavamo che ci servissero caffè e grappa, Valentina mi scrutò con un sadico ghigno.
"Devo fare pipì" - esclamò sottovoce con fare beffardo.
La padrona odiava urinare nei bagni aperti al pubblico e, quando le scappava di farla in queste occasioni, pretendeva di usare la mia cavità orale come orinatoio. Era anche un modo per esercitare potere su di me, per mettere alla prova la mia devozione.
"Mia divina, non puoi aspettare che torniamo in hotel? Si tratta di pochi minuti" - chiesi supplicante per non rischiare figuracce.
"No che non posso aspettare. E tu, da bravo schiavo coglione, devi ubbidire".
"Va bene padrona, andiamo".
Ci recammo nella toilette del ristorante, ci accertammo che non ci fosse nessuno ed entrammo, furtivi e repentini, nel bagno delle signore.
Mi inginocchiai sul pavimento e mi ritrovai la fica di mia moglie ad un centimetro dal viso.
"Apri, coglione" - mi ordinò - "e ricorda, se ne cade solo una goccia ti frusterò a dovere".
"Si padrona".
La mia cavità orale cominciò a colmarsi della meravigliosa pioggia dorata di Valentina. Mentre inghiottivo quel prezioso nettare, temevo che qualcuno ci potesse sorprendere nel bagno delle signore, ma al tempo stesso ero eccitatissimo e concentrato ad eseguire il mio incombente senza errori.
"Bravo verme schifoso" - esclamò Valentina dopo aver svuotato la vescica - "hai bevuto tutto senza farne cadere una sola goccia. Stasera meriti un premio".
"Grazie padrona" - risposi in preda ad una forte libido.
Uscimmo dalla toilette e ci sedemmo al nostro tavolo dove, frattanto, avevano servito la mia grappa e il caffè di Valentina , accompagnato da un delizioso vassoio di pasticcini.
"Posso assaggiarne uno?" - chiesi speranzoso.
"No coglione, questi sono solo per me" - rispose la mia sadica padrona mentre gustava un pasticcino alle mandorle.
Poi, si tolse una scarpa e premette il piede sul mio cazzo che, subito, divenne duro come il marmo.
"Stasera ti voglio, mio bel cazzone! Sarà il tuo premio per avermi servito con devozione durante questo primo giorno di viaggio".
"Non aspetto altro mia divina" - risposi sempre più eccitato.
Così pagai il conto e ci fiondammo in albergo .
Valentina si liberò delle scarpe, del vestito e della biancheria intima, si sdraiò nuda sul letto e mi ordinò di massaggiarle i piedi
Manipolai con delicatezza e devozione quelle sublimi profumate estremità per diversi minuti , fin quando la voluttuosa padrona, mi ordinò di darle piacere con la bocca.
Presi, quindi, ad accarezzare con la punta della lingua le grandi e le piccole labbra, dal basso verso l'alto, fino a raggiungere il clitoride . Cominciai a tracciare piccoli cerchi con la lingua, a succhiare il clitoride con le labbra, ad eseguire un movimento più intenso dal basso verso l'alto.
Valentina mugolava di piacere.
"Bravo schiavo, continua. Si così, ancora! Ancora ! Adesso entra col tuo cazzone".
Mi sistemai sopra di lei e cominciai a penetrarla nella pozione del missionario, ma, ben presto, fu Valentina ad assumere il controllo.
Si sdraiò sopra di me, mi ammanettò al letto e prese a cavalcarmi nella posizione dell'amazzone.
"Bravo il mio coglionazzo. Alla tua età non hai ancora perso il tuo vigore".
"Si padrona , il merito è della tua straordinaria bellezza".
"Zitto, verme schifoso, non devi parlare se non ti do il permesso".
La padrona mi assestò qualche schiaffo sul viso, prese a mordicchiarmi il collo e poi il lobo dell'orecchio, quindi a graffiarmi i fianchi. Dopo qualche istante, raggiungemmo , quasi all'unisono, un orgasmo colossale .
Il giorno seguente , Valentina si alzò di buon mattino, mi svegliò bruscamente e mi convocò in bagno.
Svuotò la vescica dentro la mia bocca e mi ordinò di sistemarmi inginocchio accanto al lavabo, mentre si lavava i denti.
La mia faccia cominciò così a riempirsi dei suoi sputi, di saliva e dentifricio, dritti sul naso e, poi, a colare fino al mento.
Quando Vale ebbe finito, si andò a vestire e mi concesse di lavarmi.
Tornai in camera e la trovai con indosso
una comoda maglietta sportiva, dei pantaloncini elasticizzati e delle scarpe da ginnastica .
"Il piede sinistro mi duole, toglimi la scarpa e massaggia!".
"Subito padrona".
"La scarpa destra, invece, ha qualcosa di appiccicaticcio sulla suola. Puliscila con la lingua".
Valentina adorava assegnarmi Il degradante compito di pulirle le scarpe con la lingua, era un altro modo di esercitare potere su di me e asservire totalmente la mia mente e il mio corpo ai suoi voleri.
Mi ritrovai , così, seduto sul pavimento, col cazzo duro come il marmo, a massaggiare il piede sinistro della Dea e, contemporaneamente, a leccare la suola della sua scarpa destra.
"Sbrigati coglione, ci aspetta una bella passeggiata fino al ponte di Rialto, un giro in gondola e un pomeriggio di shopping con la tua bella carta di credito. Non voglio perdere tempo".
"Si padrona".
Massaggiai e leccai rapidamente ma con cura, finché Vale si ritenne soddisfatta.
La giornata si svolse esattamente come mia moglie aveva stabilito, fra le meraviglie dell'affollata Serenissima, il giro in gondola e il suo shopping compulsivo.
La sera, al ristornate, Valentina pianificava la terza e ultima giornata di vacanza.
"Domani voglio andare a Verona. Prenderemo il treno, la stazione Santa Lucia è a pochi passi dall'hotel".
"Si Padrona".
"Non vedo l'ora di visitare la città scaligera, non mi ci hai mai portato".
"È vero Padrona, ma domani rimedieremo!".
La mattina seguente, dopo una lauta colazione, eravamo seduti uno di fronte all'altra a bordo del treno Venezia - Verona. Valentina indossava nuovamente le scarpe da ginnastica del giorno prima e continuava a sostenere che avessero qualcosa di appiccicaticcio sulle suole.
"Ieri non mi hai pulito perbene le scarpe, coglione che non sei altro! Rimedia immediatamente!".
"Qui? Adesso? Davanti a tutti? Ti prego, risparmiami questa umiliazione. Sai che odio sentirmi in imbarazzo davanti agli estranei".
"Lo so perfettamente, ma non me ne frega un cazzo".
Valentina avvicinò le suole delle scarpe da ginnastica al mio viso e io cominciai a leccarle minuziosamente.
Mentre eseguivo il mio umiliante incombente sperando che nessuno ci notasse, Lei, concentrata sul telefonino, mi ignorava del tutto.
D'un tratto mi fermai, le suole sembravano come nuove ed ero stanco di leccare.
"Perché ti sei fermato" - disse contrariata la Dea- "Continua fino a quando ti dirò di smettere".
"Si Padrona" - risposi a malincuore mentre osservavo imbarazzato due stupite turiste straniere che ridevano di me.
Ripresi a leccare le suole di Valentina per qualche altro minuto, finche' la Padrona pose termine al mio supplizio.
Ispezionò attentamente le scarpe e si ritenne soddisfatta.
Poi mi scrutò con il suo sguardo sadico e beffardo e pronunciò la temuta frase: "Devo fare la pipì".
Mi ritrovai, così, inginocchiato sul lurido pavimento del cesso del treno, con la lingua annerita dal sudiciume delle scarpe di Vale e la bocca ricolma del suo nettare e mi sentii fortunato ad essere lo schiavo di una creatura così sadica e sublime.
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