Confessioni di un feticista

di
genere
feticismo

Che io mi ricordi sono sempre stato attratto dai collant. C’è qualcosa nel nylon che rende le gambe più attraenti, prive di difetti: perfette. Crescendo, come spesso succede, questo pensiero iniziò a prendere consistenza nella mente, producendo fantasie. Cercavo da tempo la possibilità di realizzarle, ed un giorno l’occasione si presentò. Per puro caso, uscito da un bar vedo di sfuggita C.
Mi aveva sempre fatto arrapare, con le sue gambe lunghe, la vita stretta ed il culo molto grosso, con quell’arietta da brava ragazza in società e vacca senza dignità in privato. Mi trattava con sufficienza, con mio enorme fastidio, ovviamente. Succede quindi che la intravedo, ma mi rendo conto che il suo accompagnatore non è il suo compagno ma qualcun’altro che non riconosco. Inizialmente l’imbarazzo ha la meglio e cerco di guadagnare strada per evitare di essere visto. Poi, un’idea strana inizia a farsi strada sempre più insistente. Il cuore batteva forte. Dopo un braccio di ferro con la mia coscienza, l’idea ha la meglio. Faccio per avvicinarmi, non troppo ma il giusto per farmi notare a distanza. Aspetto un po’: C. mi nota. La sua espressione, un attimo prima serena, cambia radicalmente. Accendo una sigaretta, mi appoggio al muro antistante ed aspetto. Come previsto la fedifraga si libera rapidamente dell’accompagnatore e si dirige verso di me. “Che fai qua?” mi chiede con tono falsamente tranquillo. Inizia uno sproloquio nervoso, senza capo né coda e io mi limito ad annuire, con un mezzo sorriso. La guardo e basta mentre lei diventa sempre più nervosa. Ad un tratto interrompo il fiume di parole:”Senti, per me è abbastanza chiaro che sta succedendo. P. come sta?”. Lei inizia a diventare pallida, la diarrea verbale si placa.
”Che vogliamo fare C.? Non penso che la cosa gli farebbe piacere”.
“No di certo”, interviene lei, ritrovando un po’ di controllo.
“E allora che si fa?” dissi io incalzante.
“Che facciamo?” mi dice lei, con lo sguardo di chi inizia a capire dove si va a parare.
“Facciamo un do tu des? Sai cos’è un do tu des?”, dico io con un tono che risultava inedito anche a me.
“Lo so cos’è” rispose lei rassegnata. Le dico che mi ricordavo che abitava la vicino. “Mi fai vedere casa tua?” le dico divertito. E andiamo. Saliamo a casa sua in silenzio. Una volta dentro lei si toglie il suo parka verde e voltandosi di scatto mi implora di non raccontare niente e che mi avrebbe fatto un pompino.
“No”, le dico io ”da te voglio altro. Devi soddisfare la mia fantasia”.
“Che hai in mente?!” mi chiede lei prreoccupata “Il culo non te lo do!”
“No niente culo. Hai un paio di collant da indossare?”
“Si”
“Neri?”
“Si, Neri”
“Bene, mettiteli senza le mutandine”, ordino con la voce alterata dall’eccitazione, il cazzo contemporaneamente mi diventa durissimo ed inizia a premere. C. Esegue. Si spoglia nuda davanti a me e dandomi le spalle apre un cassetto del comodino, e dopo una rapida ricerca le tira fuori.
“Queste vanno bene?, mi chiede collaborativa ed incerta.Annuisco e le intimo di metterli, praticamente ansimante dall’eccitazione. Stava succedendo.
Inzia ad armeggiare con quell’oggetto nel mio desiderio. Il lavorio produce un fruscio che mi da alla testa. Ho il cazzo di marmo. Alla fine le calze entrano, contengono quel culone e modellano quelle lunghe gambe. Ma non sono ancora soddisfatto.
“Fammi vedere le tue scarpe”, dico col respiro pesante.
Lei ha l’aria di capire sempre più chiaramente che non cerco un’esperienza normale.
Senza replicare mi porta all’armadio delle scarpe e lo apre. Ne ha una quantità spaventosa. Per fortuna l’occhio mi cade velocemente su dei mocassini rossi. Sono loro. Li prendo e glieli porgo senza dire niente. Lei li indossa replicando il mio silenzio. I suoi piedini in quelle scarpe rosse, che con quel culo fasciato dalle calze nere danno un effetto incredibile. A quel punto non capisco più molto, le azioni si susseguono automatiche, veloci. La prendo gentilmente dal braccio e la posiziono davanti allo specchio della camera da letto. Lei prova a farmi desistere ma io voglio che guardi ogni mia espressione di godimento perverso. Mi tolgo il giubbotto e lo lancio. Inizia ad accarezzarle culo e cosce, la sensazione del nylon mi fa impazzire. Prima di tirarmi giù i pantaloni le ordino di legare i suoi lunghi capelli castani a coda di cavallo, per poterla afferrare. Lei obbedisce. A quel punto le sto dietro, tiro giù i pantaloni e le dico con la voce completamente alterata dal godimento:”Adesso ti strofinerò il cazzo sul culo coperto dalle calze. Sussurrami “sfogati sulle calze porco” e dopo che mi sono scaricato me ne vado e P. non saprà mai con che razza di troia sta”. A quel punto inizio a strofinare il mio cazzone ormai enorme su quel culone. Non riesco a credere che la mia fantasia si sta avverando, un martedì mattina qualsiasi. Spingo col cazzo e le accarezzo culo e gambe. La sensazione delle calze ruvide sulla punta del cazzo mi fa tremare. Le calze sono fredde ed il suo culo caldo. La tengo per la coda, appiccicato al suo corpo, e le lecco tutta la bocca, completamente fuori di me, mentre continuo ad assestare colpi di nerchia sulle calze. Le prendo quelle belle tettone contenute dal reggiseno di pizzo. Cerco toccare tutto quello che posso. Ad un tratto lo sguardo va sullo specchio. Noto che l’iniziale espressione di disagio è cambiato: la Troia si sta eccitando.
Ed è così che C. avvicina la sua mano affusolata, con le unghia ben curate ed inizia a strofinarmi il cazzo sul suo culone ricoperto dal nylon. Nessuno me lo aveva mai menato così bene!
Contemporaneamente inizia a sussurrarmi, con una voce da autentica puttana “Sfogati sulle calze, scarica il cazzone sulle calze, porco”.
Da quel momento in poi non capisco più nulla: io spingo mentre lei se lo strofina sulle calze, ormai a suo agio con l’idea di prestarsi a questo gioco fetish. Quando le palle mi iniziano a bollire e sento che sto per venire…drin drin…suona il suo telefono, posato sul mobile vicino allo specchio. Lei, un po’ seccata, si ferma un attimo e mi guarda dallo specchio. È quel povero cornuto di P. Con la mano destra tutta bagnata dalle secrezioni del mio cazzo va per silenziare la chiamata, quando mi viene l’idea:”Rispondi” ordino perentorio. “Mah” accenna lei spaesata.
“Rispondi”, ripeto eccitato ed autoritario. La vacca risponde. “Eh amore, che fai?” e riprende a masturbarmi con l’altra mano, tenendo il mignolo teso, come le gran signore che sotto sotto sono delle troie. E lei lo è una grande troia ,perché lo tiene a parlare, il gioco le piace. Io ho rispreso a spingere mentre lei mi mena, al telefono con P.
Ormai non sto capendo più nulla, non sento neanche bene quello che gli dice,sento solo un tono da bagascia doppiogiochista che sa che deve farlo eccitare al telefono e fare sborrare me sui suoi collant. Do un ultimo sguardo ai piccoli mocassini rossi, che creano questo contrasto assurdo con quel culone fasciato dai collant neri e…inizio a sborrare, fortissimo. Le ha il riflesso di mettere i muto la chiamata e, girata verso di me, con lo sguardo da mignotta infedele, inizia a dirmi di nuovo “sfogati questo bel cazzone sulle calze”. Io la afferrò ancora per la coda, le stampo una chiazza bianca enorme sulle calze nere, il contrasto è forte. Ansimo, mi tremano le gambe. Mi rendo conto che ho sborrato ovunque e cerco di riavermi. La Troia mi guarda dallo specchio con un sorriso da puttana. Come se nulla fosse lascia il mio cazzone ormai scarico, passa un dito sulla chiazza di sborra bollente e mentre riprende la chiamata con P., la assaggia. Sono sconvolto ed eccitato dalla sua mancanza di dignità. Mentre si gusta la sborra riprende come se nulla fosse “ Amorino, scusa, non ti sentivo più” E con quel culone tutto macchiato di bianco e quei piedini con le scarpe rosse inizia ad ancheggiare per la stanza, sollevata perché in fondo avrei potuto chiederle di peggio. Capisco che potrebbe non essere stata la prima volta per quella troia di C. Mi siedo sul letto ansimante. Mi pulisco come posso e mi tiro su i pantaloni. A quel punto mi viene l’idea. C. chiude il telefono e tutta sorridente si sporge dietro per guardare le calze sul suo culone da vacca, tutte sborrate. “Ha fatto un bel macello!”. E Click. Lei si gira di scatto e mi guarda furiosa.
“Sei tolto fotogenica, C.”.
Le avevo scattato tre foto, l’occasione era troppo ghiotta. Lei è incredula.
Continuo:“Facciamo che da adesso in poi tutto dipende da te: se mi fai scaricare il cazzo esattamente su questo paio di calze ogni volta che mi va, la tua storia con P. la salvi. Se no, boh potrebbero arrivargli i le foto via mail. Sei d’accordo?”. C. annuisce esterrefatta, io mi alzo e me ne vado. Una volta fuori dal portone mi accendo una sigaretta e sorridendo ripenso a quello che era appena successo. Devo sbrigarmi: P., il mio dipendente, è appena tornato dalla pausa pranzo, mi aspetta al mio negozio…
scritto il
2024-11-18
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