Un passo dopo l'altro

di
genere
gay

Erano due studenti al primo anno di università. Belli come il sole che splende di giorno, arcani come la luna padrona del cielo notturno. Frequentavano gli stessi corsi e studiavano quasi sempre insieme rispettandosi a vicenda. Non avevano alcuna esperienza e non cercavano le ragazze. Qualche volta si confidavano di come sentivano improvvisi risvegli ed erezioni dentro le mutande e di quanto erano portati nella solitudine della loro stanza a maneggiare quell'aggeggio che tenevano fra le gambe fino a stupirsi del fiotto che ne scaturiva e li faceva sentire in pace con se stessi. La domenica andavano in passeggiata nei boschi a raccogliere mirtilli e fragoline o funghi. Tornavano al college sempre di buon umore. Erano così riservati che non si erano mai visti e guardati nudi a vicenda. Passarono i mesi e la loro amicizia perdurava senza che accadesse niente di cui dovessero vergognarsi. Una notte che fuori imperversava un tempo da lupi e tirava vento e pioveva a secchiate tra lampi e tuoni da finimondo, uno dei due si sentiva paralizzato dalla paura e chiamò l'altro, suo vicino di stanza, a fargli compagnia. La camera era poco riscaldata e faceva freddo. Si rintanarono nudi, come sempre usavano, sotto le coperte riscaldandosi a vicenda e progettando di dormire uno addosso più che accanto all'altro nel tepore dei loro corpi. Non si sa bene chi allungò per primo le mani ad accarezzare l'altro ma lo fecero e provarono dei fremiti che li incoraggiarono ad andare avanti con lo scavo e ad impugnare e a tenersi ben strette a vicenda le canne e a massaggiarle di continuo fino al botto di una specie di sega condivisa. Finita la quale venne loro spontaneo di sbaciucchiarsi castamente per poi dormire. Il giorno dopo si resero conto che era accaduto qualcosa che li induceva a confrontarsi su quei punti del corpo dove da qualche anno a tutti e due era spuntata un po' di peluria, in particolare sul pube dove ciondolava quello strano coso che sembrava una biscia e che spesso diventava rigido come un baccalà o simile al tronco di un albero chissà perché circondato alla base da due vistose sacche grosse come palline da ping pong. Coi loro coetanei e coi maturi che avevano intorno non avevano mai condiviso tali pensieri, un po' per timidezza un po' per paura di essere presi in giro o considerati difettosi o sbagliati. Sera dopo sera dormirono di soppiatto nello stesso letto e si cimentarono in nuovi giochi come ad esempio guardarsi gli uccellini ridendo di come pulsavano e prendevano vita o toccarsi il culetto sfiorandone delicatamente l'ano. Presero spunto da come in tutti gli elettrodomestici c'era una spina, chiamata maschio, che andava sempre inserita nella presa, chiamata femmina, per attingere alla corrente elettrica per concepire che anche le loro spine potevano trovare la strada delle loro prese e ci provarono. Una sera in cui si sentivano tranquilli perché quasi tutti erano tornati in famiglia tranne loro, Max che era il meglio piazzato, puntò il suo cazzo fra le morbide natiche di Mino e glielo spinse dentro tenendolo ben fermo. Poi lo ritrasse quasi tutto e glielo risospinse e ancora e ancora. A Max piaceva e pure a Mino quella iniziazione. Ansimarono e gemettero insieme. Max non mollava più la presa sui fianchi del compagno e lo seppelliva di colpi sempre più serrati fino ad urlare un potentissimo “Huuuauuu!” accorgendosi che aveva sborrato. Si misero a ridere e poi a piangere di gioia. Avevano scoperto l'America. Non restava altro da fare che esplorare questo nuovo continente e lo fecero in coppia sperimentando pratiche e manovre sempre più spericolate fino a diventare, ormai vicini alla laurea, due inseparabili omosessuali ai quali nessuno avrebbe potuto insegnare qualcosa di nuovo.
scritto il
2025-02-01
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