The girl who sold the world. Finito.
di
Tosca
genere
fantascienza
Allora.
Non si inizia un discorso con allora e con dunque, ma sticazzi.
Non dovrei inviarlo perché il finale non mi convince, ma sapete che c'è? Frega nulla.
Mi sono promessa di non lasciare più nulla di incompiuto nella vita e una alla volta voglio chiudere tutte le porte lasciate aperte.
Ci saranno errori? Probabile. Ci saranno incongruenze? Cristo, lo spero. Non sarei me stessa altrimenti.
E te, si te. Molla la copertina di Linus e buttati.
Non è difficile, vedi?
Ah, grazie, se arriverete fino alla fine.
Se volete aggiungere qualcosa, raccontare qualcosa usando l'ambientazione, fate pure.
Buona lettura. Spero.
Do ut des.
Una frase antica per descrivere qualcosa di estremamente attuale.
È così che funziona.
Qualsiasi cosa l'essere umano faccia, la fa seguendo questo principio.
Ok, i valori e tutte le sovrastrutture sono delle cose bellissime, ma non è su quelli che si basa il nostro sistema.
Si basa sullo scambio, più o meno alla pari.
Proprietà, prestazioni, mazzate.
È sempre stato così e sarà così anche domani, probabilmente.
In questo preciso istante, mentre leggi, lo stiamo applicando. Anche ora che tutto è andato a puttane.
Io ti lascio questo e te mi concedi la possibilità di dire, anzi scrivere, la mia versione.
La mia verità mi piace come nome, gli darò questo titolo.
Il tuo tempo per alcune righe, per la mia verità. Mi sembra conveniente.
Solo che non ci riuscirò, tanto per cambiare, a dartela, la verità, perché non so tutto.
Quelli che sanno tutto di solito vengono ritrovati nei pressi delle discariche.
O nei vicoli.
Abbastanza morti, sempre.
Credimi, lo so.
Su questo non mento.
31 Dicembre, ore 17:42
L'odore che accoglie, quando si entra in determinati posti, rivela molto più di quanto potrebbero farlo l'arredamento, le decorazioni, i suoni.
Croce del Sud.
Un nome evocativo per un bar, per chi nasce in questo emisfero.
Qualcosa che si sa che c'è ma che difficilmente si è visto.
Ecco, l'odore che m'ha avvolta, fin dal primo ingresso, è stato qualcosa di simile.
L'odore di un tempo che si sa per certo ci sia stato ma che non si è mai vissuto.
Odore di nicotina sulle dita, di carta di quotidiani, di mobili antichi. Non vecchi, antichi.
Con ogni probabilità lo sgabello su cui siedo di solito, a fine giornata, ha il doppio dei miei anni.
Eppure, tutto questo, non mi ha mai fatta sentire fuori luogo.
Al biliardo all'angolo più lontano, due figure giocano in silenzio, come tutte le sere.
Non le ho mai sentite parlare, neppure per segnare il punteggio.
Giocano, pagano, se ne vanno.
Non le ho mai guardate a lungo e, di sicuro, non inizierò oggi, con la giornata che ho davanti.
Alle pareti vecchie stampe pubblicitarie e due mappe della città.
Una città che ormai non c'è più da un pezzo.
Mi sono sempre chiesta chi, al giorno d'oggi, potrebbe anche solo prendere in considerazione l'idea di consultare una mappa.
È impossibile perdersi.
A delimitare lo spazio destinato ai clienti, il bancone.
Una struttura in legno di noce che, malgrado i segni del tempo, malgrado l'usura, risulta esser tenuta in uno stato più che decoroso.
Non incute reverenza, ma rispetto si.
A volte, seduta su quello sgabello, mi sentivo come Jack Torrance al bar dell'Overlook, però senza una famiglia da voler sterminare.
Senza una famiglia.
Sveglia-lavoro-casa-ricomincia che, sempre più spesso, si trasforma in lavoro-lavoro-casa-lavoro.
Senza sveglia.
Seduta, i gomiti posati sul piano di legno e le dita intrecciate sotto il mento a reggere il capo, rispondo al silenzioso cenno di saluto dell'uomo che si trova dall'altro lato del bancone.
Ancora oggi, non l'ho inquadrato con precisione.
Cinquanta? Quaranta? Duecento?
Il barista è una di quelle persone la cui età non solo non è decifrabile, ma non è rilevante.
Per un lungo periodo, a me sembra lungo, il silenzio è rotto solo dal suono delle palle numerate del biliardo che picchiano, dopo aver rotolato in silenzio, contro altre sfere.
È sempre stato surreale, questo aspetto di questo posto.
Silenzio, pace.
La divisa, l'espressione seria mentre lucida con il panno bianco il calice che ha in mano.
Non temo più di apparire indiscreta o invadente.
"A questo punto, dovresti chiedermi cosa voglio, annuire e fingere interessamento per la mia giornata"
Vorrei aggiungere "come tutti", ma lo sguardo prima, le parole poi, mi anticipano.
" Il solito. "
Quelle due parole son bastate a zittirmi.
O forse è stato quello sguardo.
Ne ho avuto sempre paura, sono così simili a noi ma gli manca ancora qualcosa. Un sentimentale direbbe che gli manca l'anima.
Cacciando con un sospiro quel pensiero, accolgo il calice posato sul banco da mani grandi, decisamente più grosse delle mie.
Non mi stupisco, quando l'uomo dall'altro lato del bancone riprende, incurante della mia presenza, a lucidare un altro calice.
Senza degnarmi di una parola, di ulteriori sguardi.
" Professionale. Ricordo i primi modelli, sai? Cercavano in ogni modo di imitarci, risultando grotteschi. Mica come voialtri stronzi che siete saltati fuori negli ultimi anni".
Ho finto di parlare tra me e me, gli occhi fissi sul contenuto del calice.
Scuro, di un rosso così scuro da sembrare nero.
L'accenno d'alone del tannino sulla superficie trasparente.
Sono sempre stata confusionaria, ma col tempo ha capito che, concentrandosi su qualcosa, su un'unica cosa, si può escludere tutto il resto.
Si può trovare una sensazione di chiarezza, lucidità.
Ecco, quello è uno dei motivi per i quali, questo posto, m'ha sempre attirata.
Questo, e il vino.
Non aspetto risposta dalla figura che, imperturbabile, mi da le spalle.
La mia professione consisteva nell'aggiustare le persone.
Si, ci sono le macchine, ora.
Si, lo fanno meglio.
Ma devi capire che quando qualcuno si fa del male mentre sta facendo qualcosa di non propriamente corretto, non può andare in ospedale o in clinica, farsi controllare da un cazzo di gundam e tutto ok, vai pure figliolo che non è successo nulla.
Si finisce dentro per molto meno, e lo sai, lo sai bene te che trovi queste righe.
Chiamano quelli e quelle come me in quei casi.
Fallaci, meno precisi, ma discreti.
Qualcosa di superato, ormai.
Alla Croce del Sud ci sono tutte le sere.
E' uno dei posti dove mi si poteva rintracciare, se c'era bisogno di cucire. O di un antibiotico a un prezzo tutto sommato ragionevole. Sostituivo anche protesi e impianti.
Non il meglio sul mercato, per quello ci sono le cliniche autorizzate.
Puoi permettertene una? No? Allora non rompere le balle e accontentati dei pezzi e dei prezzi che riesco a trovare al mercato nero.
Aggiustavo persone, fino a quando mi sono messa in testa di aggiustare tutto.
Senti questa:
Beve, tenendo gli occhi chiusi.
Assorta nei suoi pensieri, non si accorge dell'uomo entrato nel bar.
Se ne rende conto solo quando questi arriva al bancone e chiede, rivolgendosi al barista, se è arrivato qualcosa per lui.
Abbigliamento informale, scarpe sportive, pochi capelli.
Un gran naso sul quale trovano alloggio un paio d'occhiali dalla montatura semplice.
Ancora seduta sullo sgabello, la giovane donna lo scruta, il calice quasi vuoto in mano.
Una di quelle persone che, se si fosse fermata al solo aspetto fisico probabilmente non avrebbe preso in considerazione.
Eppure, l'accento così diverso dal suo, il fare diretto e quella domanda, hanno attirato la sua attenzione.
Come le falene con le fiamme.
Non prova neppure a simulare disinteresse nei confronti dello scambio tra i due: una busta di carta in cambio di un'altra, di egual dimensioni e colore.
Gli occhi azzurri della donna altalenano tra la busta e il viso dell'uomo che si trova poco distante dal posto che occupa.
"Cyrano, a parte consegnare le poesie per Rossana, sei venuto a bere qualcosa?"
Ecco, se dovessi raccontare in maniera romanzata come è cominciato tutto, lo farei in questo modo.
Ma non sarebbe del tutto vero, non sarebbe credibile e soprattutto non sarebbe neppure interessante, alla lunga.
Non ho tanto tempo e non voglio bruciarlo tutto in questo modo, scrivendo un Harmony.
E si, ho mentito prima.
Non c'era nessuna busta.
Però devi ammetterlo, faceva tanto hard boiled, come quei film che giravano il secolo scorso, quando ancora li giravano.
Non sarà l'unica bugia che troverai, in questi fogli, così come non saranno tutte verità quelle che sentirai su di me.
È il mio punto di vista sulla storia.
Io ti ho avvisato.
Quell'uomo si chiama Paolo.
Uso si chiama perché voglio sforzarmi di esser ottimista.
Magari ha detto la verità quando si è definito un pragmatico ed ora sta bene mentre si gode quanto ha guadagnato.
Lo spero per lui.
L'ho contattato, la prima volta, come tutti i suoi clienti.
Mail fino a quando non ci siamo incontrati per discutere del lavoro e del pagamento.
Per essere una che viene dal Primo ha confessato che l'ho stupito, facendomi trovare in un posto come la Croce del Sud di persona, senza scorte o intermediari.
Conoscendo i miei trascorsi e facendomelo sapere, mi ha fatta intendere che non è uno sprovveduto. Evidentemente ha fatto i compiti.
Lavoro semplice, gli ho detto.
Lavoro sicuro, ho garantito.
Un cazzo, ha aggiunto.
Ne ha sentite tante di storie come quella.
Un lavoro sicuro, dentro e fuori e siamo ricchi.
Un lavoro da niente, non ci beccheranno mai.
Un lavoro facile facile, crediti in abbondanza e zero rischi.
E i protagonisti di quei lavori finiscono sempre azzerati dalla polizia, dalle milizie di qualche azienda o peggio, inculati dai loro stessi clienti e usati come capri espiatori.
Li chiamano mercenari, quelli come lui. Anche loro, come me, vivono in quella zona grigia nella quale vengono disprezzati e tollerati al tempo stesso.
Vuoi mettere mano ai progetti della società rivale prima vengano brevettati? Ne assoldi uno. Lui fa la sua magia e i progetti sono tuoi.
Che, solitamente, "fa la sua magia" si traduce con: rapisce il povero cristo che sta trasportando i progetti, lo massacra e gli porta via tutto.
Vuoi sbrigare, una volta per tutte, le pratiche per il divorzio che tuo marito si rifiuta di concederti? Loro fanno in modo che tuo marito diventi ex. Quanto ex sono dettagli.
Se qualcosa và storto, tu ne esci comunque pulito.
Tranne se sei un coglione che vuole assoldarne uno per fare bella figura con una tizia e lo paghi per far finta di aggredirti mentre sei con lei, solo per darti l'occasione di tirare fuori il ferro, quello fa finta di spaventarsi e tu sei l'eroe del giorno. Ma sei un coglione e la pistola l'hai tenuta infilata nella cintura dei pantaloni e ti sei fatto saltare via tutto, con tanto di tuoi simili (i coglioni, appunto) che cadono dalla gamba dei pantaloni, come monetine infilate in una tasca bucata.
Questa è una storia vera, lo giuro.
Non riuscivo a sistemarlo per colpa delle risate, quando ho scoperto che aveva scelto di farsi chiamare Ken, dai suoi amici.
E poi non vedevo l'ora di poter scrivere "tirare fuori il ferro".
L'ho incontrato per la prima volta alla Croce del Sud.
No, ancora una volta, non ci son stati scambi loschi di buste.
Volevo soltanto un guardaspalle per attraversare una delle Zone di Riqualifica Urbana.
La sigla è ZRU, ma tutti dicono Zero. Sono le zone dove la Polizia ha deciso che non vale più la pena andare, dove nessuno verrà a cercarti se non torni.
Ma in quello Zero c'è ancora un centro pubblico di raccolta dati aperto.
Quelle che una volta chiamavano biblioteche.
Però i libri non ci son più da un pezzo.
Non servono più. Ma i terminali con l'accesso alla rete pubblica sono li, per chi sa dove cercare la Backdoor. Per chi sa usare le giuste leve.
Ha accettato di accompagnarmi, in cambio della sua parcella e di un calice di Monteverro. E la sua parcella è stata salata, pagamento anticipato.
Almeno il vino era buono.
Mi spiace non poter tornare un'ultima volta in quel posto.
I vini che si trovano li non li hanno da altre parti.
Di sicuro non li avranno nel posto in cui sarò, quando leggerai questo.
Questi fogli mi sembravano tanti, all'inizio, eppure ora lo spazio sembra fare come il tempo. Così poco, così stretto.
Quindi da questo momento, basta storie di coglioni che cadono a terra scivolando fuori dalla gamba di pantaloni indossati da coglioni.
Possiamo tralasciare il percorso che abbiamo fatto attraverso lo Zero per raggiungere il CRD, lui nel suo abito tattico, apparentemente informale, io con la divisa nera, quella della mia professione, del mio ceto.
I tempi dei camici bianchi son passati da un pezzo.
Dicevo che lo possiamo tralasciare perché, alla fin della fiera, non è successo assolutamente nulla.
E non è per questo che stai continuando a leggere. Nevvero?
Stai leggendo per quel "ora che tutto è andato a puttane".
L'incidente per il quale vale la pena rallentare per osservare meglio quello che non è capitato a te.
Non te ne vergognare, è così per tutti e per tutte.
Una via laterale, stretta, che va da uno stradone al muro di un parco. Una parete che era verniciata di giallo una volta, adesso restano solo chiazze impolverate. Una entrata a galleria, senza battenti, un cortile interno, e la porta di vetro smerigliato socchiusa. Ho studiato, si chiamava Biblioteca Civica una volta, stava a due passi da un distaccamento dell'Università.
Adesso è un Centro Raccolta Dati dimenticato dall'Amministrazione in uno Zero.
Dimenticato, ma attivo, ha otto impiegati, di cui cinque prendono lo stipendio senza mai presentarsi. Forse lavorano da casa, forse è solo che hanno un amico nel posto giusto.
Degli altri tre, uno è una guardia giurata, armato, sta alla reception e non si muove da li. Gli altri due saranno barricati in uno degli uffici, o si staranno preparando per il veglione di stanotte.
Poi ci sono gli abusivi accampati qui e la. Nessuno di tutta questa gente ci da fastidio, nessuno vuole noie a capodanno.
Tutto questo lo so perchè ho avuto in cura quello che era il direttore di questo centro.
Aveva una malattia, una di quelle definitive. Di quelle che le macchine classificherebbero come "eutanasia obbligatoria per preservare la dignità del paziente".
Per questo aveva preferito i miei servizi, e ricordo le sue parole : "Quando lo vorrà il mio destino, non quando vogliono loro".
Come pagamento, e come una sua specie di ribellione, mi diede una tessera di accesso alla rete amministrativa.
Perchè non basta trovare un terminale incustodito, non c'è una password per Adnet, ci vuole una tessera di identità personale. Non so neppure a chi sia intestata, ma funziona.
Fu quello il momento in cui mi venne l'idea.
Per aggiustare tutto invece che una persona alla volta.
No. No. L'idea è iniziata prima, un'estate mentre correvo sul lungomare, è stato come vedere una lucina, al largo.
Avevo appena perso tutto. Disonore della famiglia, disonore dell'ordine, disonore punto.
Da lì a pochi giorni avrei lasciato il Primo per andare nel Quinto.
Basta mare, basta tutto per chi non è degno. E non conta un cazzo se tuo padre è un pezzo grosso.
Ci sarà sempre un pezzo più grosso che avrà l'ultima parola.
Quel che vidi non era nulla di definito, solo pochi bagliori. Come quando in un boschetto i raggi del sole filtrano tra le fronde mosse dalla brezza e vanno a colpire i cocci di una bottiglia lasciata lì dai campeggiatori.
Un rifiuto, ma luccicante, capace di creare anche se per pochi istanti qualcosa di bello per chi ha la fortuna di assistervi prima di tornare ad essere completamente invisibile.
Mai visto un bosco in vita mia, ma deve essere una figata girarci, perdersi. E poi anche questa non era male, concedimelo.
Da quel momento, ogni volta che mi sono buttata nella rete per cercare di prendere.
No. Di rubare.
Ogni volta che mi sono buttata per cercare di rubare informazioni, ho sentito qualcosa muoversi, in profondità, mentre cercavo conferme per quel che mi era venuto in mente.
Non la vedevo e, probabilmente, lei non vedeva me.
Ma ci sentivamo, eravamo a conoscenza della presenza di qualcosa che non riuscivamo a vedere e abbiamo giocato al gatto e al topo, a guardie e ladri.
Lei a caccia, io a pesca.
Ad oggi non so cosa fosse e non credo di volerlo sapere.
Ho evitato di immergermi per un po', fino a quando non ho avuto questa tessera.
È stato come provare a far vedere una dose ad un eroinomane e dirgli : "Lascia perdere, ti fa male. Probabilmente sarà l'ultima".
Ed eccomi adesso, un ufficio senza sorveglianza, un terminale abbandonato, con Paolo che controlla l'entrata.
Lo saluto, sapendo che starà lì a guardarmi mentre sembrerò addormentarmi mentre vado a fondo, pronto a fare qualcosa per ritirarmi su se qualcosa andrà storto.
Cosa farà o potrà fare non lo so. Probabilmente nulla, ma saperlo e sperarlo mi dà la forza di provarci, ancora una volta.
Un'ultima volta.
Come è che si diceva in questi casi?
Boh, ora non mi viene.
Mi collego e buio.
Quella cosa nascosta nelle profondità della rete si agita, sa cosa sto per fare e non le piace.
Nella Bibbia o da qualche altra parte qualcuno ha scritto di lei come di una bestia feroce che si aggira ringhiando in cerca di qualcuno da sbranare.
Ecco, vedi, sei mai stato nella rete?
No, non quella che puoi visitare con lo scafandro, quella sicura che ti viene messa a disposizione.
Parlo della rete vera, quella così profonda che non sembra avere fine. Quella su cui poggia tutto.
Ti sei mai immerso, stando a fluttuare in mezzo a tutti quei dati, quelle informazioni, pensieri, storie, speranze, suppliche? In mezzo a quell'odio?
Se no, sappi che è una sensazione bellissima.
Se si, sai di cosa parlo. E sei nella merda, non farlo più.
La paura, ne sono sicura, è stata la prima emozione ad essere nata ed è di conseguenza quella che è riuscita ad accumulare più forza, rimanendo al tempo stesso la più aliena, la meno comprensibile.
È vecchia, molto più degli esseri umani, anche di quelle altre cose come lei. È nata quando il primo essere vivente ha inspirato per la prima volta e si è trovato con i polmoni pieni di aria e il cuore pieno di qualcosa che non aveva ancora nome.
Forse anche prima. Forse era già lì.
Proviamo paura.
Probabilmente è lei, quella cosa che gira, che mi cerca ogni volta che mi immergo.
E intanto si sono fatte le 19:20. Tic tactictac, sempre meno tempo, sempre meno spazio.
C'è voluto poco in realtà. Siamo usciti, mi ha accompagnata fino a casa, intanto abbiamo parlato.
Parlato di cose normali, come se non avessimo appena fatto qualcosa che potrebbe cambiare tutto.
Questo posto ti insegna a sopprimere le emozioni o, almeno, a nasconderle bene.
Ed è contagioso.
Ma Paolo è stato spontaneo, umano fin da subito. E lo era ancora, l'ultima volta che l'ho visto.
Ecco, questo è il momento in cui le cose hanno iniziato ad andar a puttane, è il punto in cui la spirale ha iniziato a restringersi sempre più.
L'entropia è una brutta bestia.
Non è stata la prima volta che ho chiesto ad un uomo di venire a casa mia, senza tanti giri di parole.
No, lo scopo non era andarci a letto.
Volevo, dopo tanto tempo, conoscere meglio qualcuno senza dovermi assicurare avesse superato il test di Turing.
Giocare quella partita a scacchi che si gioca, quando si interagisce con uno sconosciuto.
Far cadere un pezzo alla volta, sacrificando i propri difensori per prender quelli avversari.
Do ut des.
Ancora una volta. Vedi che è come ti dicevo io?
Entrata in casa, sarei voluta morire.
Lo stato in cui si trovava non era assolutamente dignitoso, per una persona della mia classe. O quella che era la mia classe.
Le divise buttate alla rinfusa a terra, nascondendo solo in parte alcune bottiglie vuote erano solo la ciliegina sulla torta.
Il divano in disordine, come se qualcuno ci avesse passato le ultime notti.
In mio soccorso è giunta Lisa, con la sua voce.
"Non c'è nulla di contagioso. Non nell'immediato. Entrate pure".
Quando ho dovuto impostare i suoi valori, ho creduto fosse una cosa divertente avere una casa con il senso dell'umorismo.
Però ha funzionato.
Ha rotto l'imbarazzo iniziale, facendo ridacchiare il mio ospite.
Un suono cristallino, piacevolmente contagioso.
Come avevo intuito, non aveva alcun tipo d'innesto.
Nessuno, un sapiens xy completamente al naturale. Liscio, senza impianti.
Per una persona nata e cresciuta in città, sono sempre affascinanti.
Un po' alla volta ho ceduto alla sua parlantina e mi son aperta, raccontandogli a mia volta la mia storia.
Era la prima volta che lo facevo ed è stato strano.
In un certo senso, liberatorio, soprattutto quando mi son resa conto che nel suo sguardo non c'era disappunto, un giudizio malcelato.
Solo interesse.
Siamo rimasti sul divano a parlare e bere caffè fino a tardi, le dieci passate, meno di due ore all'inizio dell'anno del Progresso. Del benessere universale.
Dicono che il primo bacio e il primo rapporto sessuale non si scordino mai.
Vale per quasi tutte le prime cose, e vale di sicuro anche per tutte le ultime.
Nulla di troppo acrobatico, nulla di troppo scenografico. O si diceva coreografico? Non mi ricordo. Sto perdendo tempo.
Mi sono sporta in avanti e l'ho baciato mentre parlava di cosa significa per lui fare il suo lavoro.
Del resto era il mio funerale, non mi si poteva negare un minimo di calore umano.
Eppure l'ha fatto, non ricambiando il bacio.
Il silenzio calato subito dopo mi ha lasciata capire che, per essere una che vuole aggiustare tutto, sono veramente brava a rompere gli equilibri.
Quando alla fine è uscito, gli ho detto quell'ultima cosa.
Stesa sul letto ho ascoltato i suoni della notte, fissando il soffitto illuminato dalla luce dei monitor che, all'esterno, continuavano incessantemente a trasmettere consigli per i cittadini.
Consigli per gli acquisti, consigli sul comportamento da mantenere.
Solo che non sono mai consigli, quelli.
E così, alla fine l'ho fatto.
Ore 23:50
Alza la lattina ormai vuota in direzione del cielo.
Solo che il cielo, qua, non si vede.
Le uniche volte che l'ha visto, in vita sua, sono state quando ha lasciato la città per qualche lavoro e quando ha prestato servizio durante le due guerre corporative.
Prima con la N-Trust, poi con la Cronyx. Non per ideali né per la quantità di crediti che avrebbero pagato. No, per il semplice fatto che sapeva quale delle fazioni sarebbe stata in grado di vincere quel gioco, quel giro di danza.
In quelle occasioni non c'era il tempo di fare i sognatori, i romantici, per pensare a quanto è bello il cielo stellato.
I sognatori, i romantici, gli idealisti, quelli non arrivano alla soglia dei quaranta, facendo quello che fa lui.
No, lui ha sempre pensato a se stesso come ad un pragmatico.
Non ad un sopravvissuto. No. Un pragmatico.
Uno che non vuole salire la scala, non vuole cambiare il mondo, non vuole farsi un nome.
Se si sale la scala, si cade e ci si fa male.
Il nome non serve a nulla se è impresso su un'urna dimenticata da qualche parte e il mondo non cambia. Il mondo si fa dare le spallate fino a quando non si stanca e, con un solo boccone, ti mangia.
E si finisce come quei poveretti che iniziano ancora ragazzini a svolgere i lavori più rischiosi e pensano di poter ottenere chissà cosa, solo per finire fritti per aver cercato di violare la sicurezza di qualche deposito o con il cervello sparso per terra, in qualche vicolo.
No, lui no.
Lui è sempre stato un pragmatico.
Ha accettato solo i lavori che sapeva di poter svolgere senza lasciarci la pelle, ha evitato le questioni morali, le lotte di classe, le guerre per principio.
Sta ancora eseguendo quel brindisi simbolico mentre lancia un'occhiata rapida all'orario impresso su uno dei monitor che trasmettono le immagini dei festeggiamenti in corso, intervallati da messaggi pubblicitari. Tutto attorno i neon delle insegne illuminano qualsiasi cosa di blu e di viola, di verde e di rosso in una girandola di colori che dovrebbero rendere i consumatori propensi a scegliere il prodotto che li farà di sicuro stare meglio. Che attira maggiormente la loro attenzione.
All'angolo della strada quattro ragazzini sono intenti a guardare il display del controller del drone che stanno facendo volare, cercando di farlo salire oltre i palazzi per poter vedere i fuochi d'artificio che illumineranno il settore in festa. Anche loro vorranno salire così in alto, un giorno, quando vorranno uscire da tutto questo.
E la ruota continuerà a girare, con loro incastrati e macinati dagli ingranaggi.
Non sono ingranaggi del sistema, sono quello che viene spalmato sugli stessi perché la macchina non si fermi, rimanga ben oliata.
23:57.
Gli ha detto che poco prima della mezzanotte capirà che c'è riuscita.
Sorride mentre, buttata la lattina a terra, inizia ad incamminarsi verso casa. Da ragazzino riusciva a percorrere chilometri, tirando calci ad una lattina vuota.
Chissà come sta, quel ragazzino.
Da ogni locale fuoriescono clienti ubriachi ed altri altrettanto ubriachi si apprestano ad entrare.
La musica che scappa fuori ogni volta che le porte vengono aperte si unisce a quella di ogni altro locale, creando una cacofonia che gli fa rimpiangere di non avere un impianto per migliorare l'udito. Uno di quelli da disattivare.
Festeggiano l'anno del Progresso e del benessere universale.
Che cazzo vorrà dire poi benessere universale.
Un pragmatico che spera in qualcosa di assurdo, nei vaneggiamenti di una malata. Ecco la contraddizione che lo porta a sorridere nuovamente.
Almeno l'ha pagato. L'ha pagato in anticipo e l'ha pagato bene.
Anche Renfield è stato pagato per il lavoro che ha svolto, questo non cambia le sue sorti.
Magari finirà anche lui nella cella di qualche manicomio criminale.
Ha davvero caricato se stessa nella rete? Ma se era seduta accanto a lui, è stato a casa sua a bere il caffè, l'ha anche baciato. Cazzate. Però l'ha pagato ed è vivo. È quello che conta.
23:59
Dal vicolo alla sua destra arrivano urla, spari, altre urla, altri spari, silenzio.
Arma automatica, piccolo calibro. Urla di uomini adulti. Rapina, lavoro, qualsiasi cosa fosse non ha importanza. Non è affar suo.
Buon anno del benessere universale anche a voi.
Le luci si spengono.
Non alcune. Le luci, tutte, si spengono.
Per la prima volta nella sua vita si trova nel silenzio totale e, come lui, tutti gli abitanti della città. Non si sente volare una mosca fino a quando iniziano le prime grida. I black-out sono sempre stati rari, solitamente si è trattato di sbalzi di tensione. E anche quando è stato totale, è sempre stato per una manciata di secondi.
Due minuti di buio.
Le luci si riaccendono.
Falso allarme. Il mondo và avanti.
In lontananza, con qualche minuto di ritardo, i fuochi d'artificio esplodono mentre il suono incessante della citta ricopre ogni cosa, anche i pensieri.
Torna a casa e non si preoccupa di farsi una doccia, figurarsi di cambiarsi prima di buttarsi sul letto.
Non dorme, continua a pensare a cosa potrebbe comportare avere una persona a dirigere tutto quanto. E perché l'ha baciato?
Una persona che può essere ovunque, vedere tutto. Si ma l'ha baciato.
È quello che erano convinti facesse Dio. Non baciare, quello no.
Ciao.
Lo sente chiaramente, non è nella sua testa.
Ciao.
Dagli speaker del pc che usa per le mail, dal televisore, da ogni cazzo di dispositivo.
Ovunque. Era così facile allora ?
Ecco, ci sono ricascata. Però le cose sono andate sul serio così.
Lo so perché le ho viste. Tutte quante.
Non io, ma io. Aspetta, mi sto incasinando.
Quello che per molti anni è stato considerato soltanto un mero esercizio filosofico, io l'ho fatto.
E senti che figata di nome che gli ho dato: Waldgäng. Ero indecisa tra questo e "comunione con la macchina" ma il primo è molto più bello.
Durante l'ultima immersione non ho fatto come le altre incursioni nella rete.
Non ho portato via ma ho lasciato me stessa.
E il corpo? Fritto. Il danno dovuto al sovraccarico è stato tale che, dopo poco, sono morta. È morta.
Io, nel frattempo, capivo come muovermi. Imparavo. Mi evolvevo e moltiplicavo.
Diventavo.
Non c'era nulla in profondità. Nulla di cui avere paura.
Non un firewall, non un mostro.
Non c'era neppure Dio.
Nessuno che ascoltasse quelle suppliche. Quelle confessioni.
Nessuno che vegliasse sui propri figli.
Non più.
Ho faticato ad abituarmi al poter vedere tutto quello che vedono le camere di sorveglianza. Vedere quello che vedono i portatori di ottiche.Tutto assieme.
Ho iniziato subito a sistemare le cose, ma questo lo avrai intuito già all'alba del nuovo anno, quando son stati trovati i dirigenti di tutte le corporazione fritti.
Buon anno del progresso e del benessere universale, stronzi.
Quasi quasi adesso faccio cadere il bicchiere a quello stronzo dell'androide barista.
Non si inizia un discorso con allora e con dunque, ma sticazzi.
Non dovrei inviarlo perché il finale non mi convince, ma sapete che c'è? Frega nulla.
Mi sono promessa di non lasciare più nulla di incompiuto nella vita e una alla volta voglio chiudere tutte le porte lasciate aperte.
Ci saranno errori? Probabile. Ci saranno incongruenze? Cristo, lo spero. Non sarei me stessa altrimenti.
E te, si te. Molla la copertina di Linus e buttati.
Non è difficile, vedi?
Ah, grazie, se arriverete fino alla fine.
Se volete aggiungere qualcosa, raccontare qualcosa usando l'ambientazione, fate pure.
Buona lettura. Spero.
Do ut des.
Una frase antica per descrivere qualcosa di estremamente attuale.
È così che funziona.
Qualsiasi cosa l'essere umano faccia, la fa seguendo questo principio.
Ok, i valori e tutte le sovrastrutture sono delle cose bellissime, ma non è su quelli che si basa il nostro sistema.
Si basa sullo scambio, più o meno alla pari.
Proprietà, prestazioni, mazzate.
È sempre stato così e sarà così anche domani, probabilmente.
In questo preciso istante, mentre leggi, lo stiamo applicando. Anche ora che tutto è andato a puttane.
Io ti lascio questo e te mi concedi la possibilità di dire, anzi scrivere, la mia versione.
La mia verità mi piace come nome, gli darò questo titolo.
Il tuo tempo per alcune righe, per la mia verità. Mi sembra conveniente.
Solo che non ci riuscirò, tanto per cambiare, a dartela, la verità, perché non so tutto.
Quelli che sanno tutto di solito vengono ritrovati nei pressi delle discariche.
O nei vicoli.
Abbastanza morti, sempre.
Credimi, lo so.
Su questo non mento.
31 Dicembre, ore 17:42
L'odore che accoglie, quando si entra in determinati posti, rivela molto più di quanto potrebbero farlo l'arredamento, le decorazioni, i suoni.
Croce del Sud.
Un nome evocativo per un bar, per chi nasce in questo emisfero.
Qualcosa che si sa che c'è ma che difficilmente si è visto.
Ecco, l'odore che m'ha avvolta, fin dal primo ingresso, è stato qualcosa di simile.
L'odore di un tempo che si sa per certo ci sia stato ma che non si è mai vissuto.
Odore di nicotina sulle dita, di carta di quotidiani, di mobili antichi. Non vecchi, antichi.
Con ogni probabilità lo sgabello su cui siedo di solito, a fine giornata, ha il doppio dei miei anni.
Eppure, tutto questo, non mi ha mai fatta sentire fuori luogo.
Al biliardo all'angolo più lontano, due figure giocano in silenzio, come tutte le sere.
Non le ho mai sentite parlare, neppure per segnare il punteggio.
Giocano, pagano, se ne vanno.
Non le ho mai guardate a lungo e, di sicuro, non inizierò oggi, con la giornata che ho davanti.
Alle pareti vecchie stampe pubblicitarie e due mappe della città.
Una città che ormai non c'è più da un pezzo.
Mi sono sempre chiesta chi, al giorno d'oggi, potrebbe anche solo prendere in considerazione l'idea di consultare una mappa.
È impossibile perdersi.
A delimitare lo spazio destinato ai clienti, il bancone.
Una struttura in legno di noce che, malgrado i segni del tempo, malgrado l'usura, risulta esser tenuta in uno stato più che decoroso.
Non incute reverenza, ma rispetto si.
A volte, seduta su quello sgabello, mi sentivo come Jack Torrance al bar dell'Overlook, però senza una famiglia da voler sterminare.
Senza una famiglia.
Sveglia-lavoro-casa-ricomincia che, sempre più spesso, si trasforma in lavoro-lavoro-casa-lavoro.
Senza sveglia.
Seduta, i gomiti posati sul piano di legno e le dita intrecciate sotto il mento a reggere il capo, rispondo al silenzioso cenno di saluto dell'uomo che si trova dall'altro lato del bancone.
Ancora oggi, non l'ho inquadrato con precisione.
Cinquanta? Quaranta? Duecento?
Il barista è una di quelle persone la cui età non solo non è decifrabile, ma non è rilevante.
Per un lungo periodo, a me sembra lungo, il silenzio è rotto solo dal suono delle palle numerate del biliardo che picchiano, dopo aver rotolato in silenzio, contro altre sfere.
È sempre stato surreale, questo aspetto di questo posto.
Silenzio, pace.
La divisa, l'espressione seria mentre lucida con il panno bianco il calice che ha in mano.
Non temo più di apparire indiscreta o invadente.
"A questo punto, dovresti chiedermi cosa voglio, annuire e fingere interessamento per la mia giornata"
Vorrei aggiungere "come tutti", ma lo sguardo prima, le parole poi, mi anticipano.
" Il solito. "
Quelle due parole son bastate a zittirmi.
O forse è stato quello sguardo.
Ne ho avuto sempre paura, sono così simili a noi ma gli manca ancora qualcosa. Un sentimentale direbbe che gli manca l'anima.
Cacciando con un sospiro quel pensiero, accolgo il calice posato sul banco da mani grandi, decisamente più grosse delle mie.
Non mi stupisco, quando l'uomo dall'altro lato del bancone riprende, incurante della mia presenza, a lucidare un altro calice.
Senza degnarmi di una parola, di ulteriori sguardi.
" Professionale. Ricordo i primi modelli, sai? Cercavano in ogni modo di imitarci, risultando grotteschi. Mica come voialtri stronzi che siete saltati fuori negli ultimi anni".
Ho finto di parlare tra me e me, gli occhi fissi sul contenuto del calice.
Scuro, di un rosso così scuro da sembrare nero.
L'accenno d'alone del tannino sulla superficie trasparente.
Sono sempre stata confusionaria, ma col tempo ha capito che, concentrandosi su qualcosa, su un'unica cosa, si può escludere tutto il resto.
Si può trovare una sensazione di chiarezza, lucidità.
Ecco, quello è uno dei motivi per i quali, questo posto, m'ha sempre attirata.
Questo, e il vino.
Non aspetto risposta dalla figura che, imperturbabile, mi da le spalle.
La mia professione consisteva nell'aggiustare le persone.
Si, ci sono le macchine, ora.
Si, lo fanno meglio.
Ma devi capire che quando qualcuno si fa del male mentre sta facendo qualcosa di non propriamente corretto, non può andare in ospedale o in clinica, farsi controllare da un cazzo di gundam e tutto ok, vai pure figliolo che non è successo nulla.
Si finisce dentro per molto meno, e lo sai, lo sai bene te che trovi queste righe.
Chiamano quelli e quelle come me in quei casi.
Fallaci, meno precisi, ma discreti.
Qualcosa di superato, ormai.
Alla Croce del Sud ci sono tutte le sere.
E' uno dei posti dove mi si poteva rintracciare, se c'era bisogno di cucire. O di un antibiotico a un prezzo tutto sommato ragionevole. Sostituivo anche protesi e impianti.
Non il meglio sul mercato, per quello ci sono le cliniche autorizzate.
Puoi permettertene una? No? Allora non rompere le balle e accontentati dei pezzi e dei prezzi che riesco a trovare al mercato nero.
Aggiustavo persone, fino a quando mi sono messa in testa di aggiustare tutto.
Senti questa:
Beve, tenendo gli occhi chiusi.
Assorta nei suoi pensieri, non si accorge dell'uomo entrato nel bar.
Se ne rende conto solo quando questi arriva al bancone e chiede, rivolgendosi al barista, se è arrivato qualcosa per lui.
Abbigliamento informale, scarpe sportive, pochi capelli.
Un gran naso sul quale trovano alloggio un paio d'occhiali dalla montatura semplice.
Ancora seduta sullo sgabello, la giovane donna lo scruta, il calice quasi vuoto in mano.
Una di quelle persone che, se si fosse fermata al solo aspetto fisico probabilmente non avrebbe preso in considerazione.
Eppure, l'accento così diverso dal suo, il fare diretto e quella domanda, hanno attirato la sua attenzione.
Come le falene con le fiamme.
Non prova neppure a simulare disinteresse nei confronti dello scambio tra i due: una busta di carta in cambio di un'altra, di egual dimensioni e colore.
Gli occhi azzurri della donna altalenano tra la busta e il viso dell'uomo che si trova poco distante dal posto che occupa.
"Cyrano, a parte consegnare le poesie per Rossana, sei venuto a bere qualcosa?"
Ecco, se dovessi raccontare in maniera romanzata come è cominciato tutto, lo farei in questo modo.
Ma non sarebbe del tutto vero, non sarebbe credibile e soprattutto non sarebbe neppure interessante, alla lunga.
Non ho tanto tempo e non voglio bruciarlo tutto in questo modo, scrivendo un Harmony.
E si, ho mentito prima.
Non c'era nessuna busta.
Però devi ammetterlo, faceva tanto hard boiled, come quei film che giravano il secolo scorso, quando ancora li giravano.
Non sarà l'unica bugia che troverai, in questi fogli, così come non saranno tutte verità quelle che sentirai su di me.
È il mio punto di vista sulla storia.
Io ti ho avvisato.
Quell'uomo si chiama Paolo.
Uso si chiama perché voglio sforzarmi di esser ottimista.
Magari ha detto la verità quando si è definito un pragmatico ed ora sta bene mentre si gode quanto ha guadagnato.
Lo spero per lui.
L'ho contattato, la prima volta, come tutti i suoi clienti.
Mail fino a quando non ci siamo incontrati per discutere del lavoro e del pagamento.
Per essere una che viene dal Primo ha confessato che l'ho stupito, facendomi trovare in un posto come la Croce del Sud di persona, senza scorte o intermediari.
Conoscendo i miei trascorsi e facendomelo sapere, mi ha fatta intendere che non è uno sprovveduto. Evidentemente ha fatto i compiti.
Lavoro semplice, gli ho detto.
Lavoro sicuro, ho garantito.
Un cazzo, ha aggiunto.
Ne ha sentite tante di storie come quella.
Un lavoro sicuro, dentro e fuori e siamo ricchi.
Un lavoro da niente, non ci beccheranno mai.
Un lavoro facile facile, crediti in abbondanza e zero rischi.
E i protagonisti di quei lavori finiscono sempre azzerati dalla polizia, dalle milizie di qualche azienda o peggio, inculati dai loro stessi clienti e usati come capri espiatori.
Li chiamano mercenari, quelli come lui. Anche loro, come me, vivono in quella zona grigia nella quale vengono disprezzati e tollerati al tempo stesso.
Vuoi mettere mano ai progetti della società rivale prima vengano brevettati? Ne assoldi uno. Lui fa la sua magia e i progetti sono tuoi.
Che, solitamente, "fa la sua magia" si traduce con: rapisce il povero cristo che sta trasportando i progetti, lo massacra e gli porta via tutto.
Vuoi sbrigare, una volta per tutte, le pratiche per il divorzio che tuo marito si rifiuta di concederti? Loro fanno in modo che tuo marito diventi ex. Quanto ex sono dettagli.
Se qualcosa và storto, tu ne esci comunque pulito.
Tranne se sei un coglione che vuole assoldarne uno per fare bella figura con una tizia e lo paghi per far finta di aggredirti mentre sei con lei, solo per darti l'occasione di tirare fuori il ferro, quello fa finta di spaventarsi e tu sei l'eroe del giorno. Ma sei un coglione e la pistola l'hai tenuta infilata nella cintura dei pantaloni e ti sei fatto saltare via tutto, con tanto di tuoi simili (i coglioni, appunto) che cadono dalla gamba dei pantaloni, come monetine infilate in una tasca bucata.
Questa è una storia vera, lo giuro.
Non riuscivo a sistemarlo per colpa delle risate, quando ho scoperto che aveva scelto di farsi chiamare Ken, dai suoi amici.
E poi non vedevo l'ora di poter scrivere "tirare fuori il ferro".
L'ho incontrato per la prima volta alla Croce del Sud.
No, ancora una volta, non ci son stati scambi loschi di buste.
Volevo soltanto un guardaspalle per attraversare una delle Zone di Riqualifica Urbana.
La sigla è ZRU, ma tutti dicono Zero. Sono le zone dove la Polizia ha deciso che non vale più la pena andare, dove nessuno verrà a cercarti se non torni.
Ma in quello Zero c'è ancora un centro pubblico di raccolta dati aperto.
Quelle che una volta chiamavano biblioteche.
Però i libri non ci son più da un pezzo.
Non servono più. Ma i terminali con l'accesso alla rete pubblica sono li, per chi sa dove cercare la Backdoor. Per chi sa usare le giuste leve.
Ha accettato di accompagnarmi, in cambio della sua parcella e di un calice di Monteverro. E la sua parcella è stata salata, pagamento anticipato.
Almeno il vino era buono.
Mi spiace non poter tornare un'ultima volta in quel posto.
I vini che si trovano li non li hanno da altre parti.
Di sicuro non li avranno nel posto in cui sarò, quando leggerai questo.
Questi fogli mi sembravano tanti, all'inizio, eppure ora lo spazio sembra fare come il tempo. Così poco, così stretto.
Quindi da questo momento, basta storie di coglioni che cadono a terra scivolando fuori dalla gamba di pantaloni indossati da coglioni.
Possiamo tralasciare il percorso che abbiamo fatto attraverso lo Zero per raggiungere il CRD, lui nel suo abito tattico, apparentemente informale, io con la divisa nera, quella della mia professione, del mio ceto.
I tempi dei camici bianchi son passati da un pezzo.
Dicevo che lo possiamo tralasciare perché, alla fin della fiera, non è successo assolutamente nulla.
E non è per questo che stai continuando a leggere. Nevvero?
Stai leggendo per quel "ora che tutto è andato a puttane".
L'incidente per il quale vale la pena rallentare per osservare meglio quello che non è capitato a te.
Non te ne vergognare, è così per tutti e per tutte.
Una via laterale, stretta, che va da uno stradone al muro di un parco. Una parete che era verniciata di giallo una volta, adesso restano solo chiazze impolverate. Una entrata a galleria, senza battenti, un cortile interno, e la porta di vetro smerigliato socchiusa. Ho studiato, si chiamava Biblioteca Civica una volta, stava a due passi da un distaccamento dell'Università.
Adesso è un Centro Raccolta Dati dimenticato dall'Amministrazione in uno Zero.
Dimenticato, ma attivo, ha otto impiegati, di cui cinque prendono lo stipendio senza mai presentarsi. Forse lavorano da casa, forse è solo che hanno un amico nel posto giusto.
Degli altri tre, uno è una guardia giurata, armato, sta alla reception e non si muove da li. Gli altri due saranno barricati in uno degli uffici, o si staranno preparando per il veglione di stanotte.
Poi ci sono gli abusivi accampati qui e la. Nessuno di tutta questa gente ci da fastidio, nessuno vuole noie a capodanno.
Tutto questo lo so perchè ho avuto in cura quello che era il direttore di questo centro.
Aveva una malattia, una di quelle definitive. Di quelle che le macchine classificherebbero come "eutanasia obbligatoria per preservare la dignità del paziente".
Per questo aveva preferito i miei servizi, e ricordo le sue parole : "Quando lo vorrà il mio destino, non quando vogliono loro".
Come pagamento, e come una sua specie di ribellione, mi diede una tessera di accesso alla rete amministrativa.
Perchè non basta trovare un terminale incustodito, non c'è una password per Adnet, ci vuole una tessera di identità personale. Non so neppure a chi sia intestata, ma funziona.
Fu quello il momento in cui mi venne l'idea.
Per aggiustare tutto invece che una persona alla volta.
No. No. L'idea è iniziata prima, un'estate mentre correvo sul lungomare, è stato come vedere una lucina, al largo.
Avevo appena perso tutto. Disonore della famiglia, disonore dell'ordine, disonore punto.
Da lì a pochi giorni avrei lasciato il Primo per andare nel Quinto.
Basta mare, basta tutto per chi non è degno. E non conta un cazzo se tuo padre è un pezzo grosso.
Ci sarà sempre un pezzo più grosso che avrà l'ultima parola.
Quel che vidi non era nulla di definito, solo pochi bagliori. Come quando in un boschetto i raggi del sole filtrano tra le fronde mosse dalla brezza e vanno a colpire i cocci di una bottiglia lasciata lì dai campeggiatori.
Un rifiuto, ma luccicante, capace di creare anche se per pochi istanti qualcosa di bello per chi ha la fortuna di assistervi prima di tornare ad essere completamente invisibile.
Mai visto un bosco in vita mia, ma deve essere una figata girarci, perdersi. E poi anche questa non era male, concedimelo.
Da quel momento, ogni volta che mi sono buttata nella rete per cercare di prendere.
No. Di rubare.
Ogni volta che mi sono buttata per cercare di rubare informazioni, ho sentito qualcosa muoversi, in profondità, mentre cercavo conferme per quel che mi era venuto in mente.
Non la vedevo e, probabilmente, lei non vedeva me.
Ma ci sentivamo, eravamo a conoscenza della presenza di qualcosa che non riuscivamo a vedere e abbiamo giocato al gatto e al topo, a guardie e ladri.
Lei a caccia, io a pesca.
Ad oggi non so cosa fosse e non credo di volerlo sapere.
Ho evitato di immergermi per un po', fino a quando non ho avuto questa tessera.
È stato come provare a far vedere una dose ad un eroinomane e dirgli : "Lascia perdere, ti fa male. Probabilmente sarà l'ultima".
Ed eccomi adesso, un ufficio senza sorveglianza, un terminale abbandonato, con Paolo che controlla l'entrata.
Lo saluto, sapendo che starà lì a guardarmi mentre sembrerò addormentarmi mentre vado a fondo, pronto a fare qualcosa per ritirarmi su se qualcosa andrà storto.
Cosa farà o potrà fare non lo so. Probabilmente nulla, ma saperlo e sperarlo mi dà la forza di provarci, ancora una volta.
Un'ultima volta.
Come è che si diceva in questi casi?
Boh, ora non mi viene.
Mi collego e buio.
Quella cosa nascosta nelle profondità della rete si agita, sa cosa sto per fare e non le piace.
Nella Bibbia o da qualche altra parte qualcuno ha scritto di lei come di una bestia feroce che si aggira ringhiando in cerca di qualcuno da sbranare.
Ecco, vedi, sei mai stato nella rete?
No, non quella che puoi visitare con lo scafandro, quella sicura che ti viene messa a disposizione.
Parlo della rete vera, quella così profonda che non sembra avere fine. Quella su cui poggia tutto.
Ti sei mai immerso, stando a fluttuare in mezzo a tutti quei dati, quelle informazioni, pensieri, storie, speranze, suppliche? In mezzo a quell'odio?
Se no, sappi che è una sensazione bellissima.
Se si, sai di cosa parlo. E sei nella merda, non farlo più.
La paura, ne sono sicura, è stata la prima emozione ad essere nata ed è di conseguenza quella che è riuscita ad accumulare più forza, rimanendo al tempo stesso la più aliena, la meno comprensibile.
È vecchia, molto più degli esseri umani, anche di quelle altre cose come lei. È nata quando il primo essere vivente ha inspirato per la prima volta e si è trovato con i polmoni pieni di aria e il cuore pieno di qualcosa che non aveva ancora nome.
Forse anche prima. Forse era già lì.
Proviamo paura.
Probabilmente è lei, quella cosa che gira, che mi cerca ogni volta che mi immergo.
E intanto si sono fatte le 19:20. Tic tactictac, sempre meno tempo, sempre meno spazio.
C'è voluto poco in realtà. Siamo usciti, mi ha accompagnata fino a casa, intanto abbiamo parlato.
Parlato di cose normali, come se non avessimo appena fatto qualcosa che potrebbe cambiare tutto.
Questo posto ti insegna a sopprimere le emozioni o, almeno, a nasconderle bene.
Ed è contagioso.
Ma Paolo è stato spontaneo, umano fin da subito. E lo era ancora, l'ultima volta che l'ho visto.
Ecco, questo è il momento in cui le cose hanno iniziato ad andar a puttane, è il punto in cui la spirale ha iniziato a restringersi sempre più.
L'entropia è una brutta bestia.
Non è stata la prima volta che ho chiesto ad un uomo di venire a casa mia, senza tanti giri di parole.
No, lo scopo non era andarci a letto.
Volevo, dopo tanto tempo, conoscere meglio qualcuno senza dovermi assicurare avesse superato il test di Turing.
Giocare quella partita a scacchi che si gioca, quando si interagisce con uno sconosciuto.
Far cadere un pezzo alla volta, sacrificando i propri difensori per prender quelli avversari.
Do ut des.
Ancora una volta. Vedi che è come ti dicevo io?
Entrata in casa, sarei voluta morire.
Lo stato in cui si trovava non era assolutamente dignitoso, per una persona della mia classe. O quella che era la mia classe.
Le divise buttate alla rinfusa a terra, nascondendo solo in parte alcune bottiglie vuote erano solo la ciliegina sulla torta.
Il divano in disordine, come se qualcuno ci avesse passato le ultime notti.
In mio soccorso è giunta Lisa, con la sua voce.
"Non c'è nulla di contagioso. Non nell'immediato. Entrate pure".
Quando ho dovuto impostare i suoi valori, ho creduto fosse una cosa divertente avere una casa con il senso dell'umorismo.
Però ha funzionato.
Ha rotto l'imbarazzo iniziale, facendo ridacchiare il mio ospite.
Un suono cristallino, piacevolmente contagioso.
Come avevo intuito, non aveva alcun tipo d'innesto.
Nessuno, un sapiens xy completamente al naturale. Liscio, senza impianti.
Per una persona nata e cresciuta in città, sono sempre affascinanti.
Un po' alla volta ho ceduto alla sua parlantina e mi son aperta, raccontandogli a mia volta la mia storia.
Era la prima volta che lo facevo ed è stato strano.
In un certo senso, liberatorio, soprattutto quando mi son resa conto che nel suo sguardo non c'era disappunto, un giudizio malcelato.
Solo interesse.
Siamo rimasti sul divano a parlare e bere caffè fino a tardi, le dieci passate, meno di due ore all'inizio dell'anno del Progresso. Del benessere universale.
Dicono che il primo bacio e il primo rapporto sessuale non si scordino mai.
Vale per quasi tutte le prime cose, e vale di sicuro anche per tutte le ultime.
Nulla di troppo acrobatico, nulla di troppo scenografico. O si diceva coreografico? Non mi ricordo. Sto perdendo tempo.
Mi sono sporta in avanti e l'ho baciato mentre parlava di cosa significa per lui fare il suo lavoro.
Del resto era il mio funerale, non mi si poteva negare un minimo di calore umano.
Eppure l'ha fatto, non ricambiando il bacio.
Il silenzio calato subito dopo mi ha lasciata capire che, per essere una che vuole aggiustare tutto, sono veramente brava a rompere gli equilibri.
Quando alla fine è uscito, gli ho detto quell'ultima cosa.
Stesa sul letto ho ascoltato i suoni della notte, fissando il soffitto illuminato dalla luce dei monitor che, all'esterno, continuavano incessantemente a trasmettere consigli per i cittadini.
Consigli per gli acquisti, consigli sul comportamento da mantenere.
Solo che non sono mai consigli, quelli.
E così, alla fine l'ho fatto.
Ore 23:50
Alza la lattina ormai vuota in direzione del cielo.
Solo che il cielo, qua, non si vede.
Le uniche volte che l'ha visto, in vita sua, sono state quando ha lasciato la città per qualche lavoro e quando ha prestato servizio durante le due guerre corporative.
Prima con la N-Trust, poi con la Cronyx. Non per ideali né per la quantità di crediti che avrebbero pagato. No, per il semplice fatto che sapeva quale delle fazioni sarebbe stata in grado di vincere quel gioco, quel giro di danza.
In quelle occasioni non c'era il tempo di fare i sognatori, i romantici, per pensare a quanto è bello il cielo stellato.
I sognatori, i romantici, gli idealisti, quelli non arrivano alla soglia dei quaranta, facendo quello che fa lui.
No, lui ha sempre pensato a se stesso come ad un pragmatico.
Non ad un sopravvissuto. No. Un pragmatico.
Uno che non vuole salire la scala, non vuole cambiare il mondo, non vuole farsi un nome.
Se si sale la scala, si cade e ci si fa male.
Il nome non serve a nulla se è impresso su un'urna dimenticata da qualche parte e il mondo non cambia. Il mondo si fa dare le spallate fino a quando non si stanca e, con un solo boccone, ti mangia.
E si finisce come quei poveretti che iniziano ancora ragazzini a svolgere i lavori più rischiosi e pensano di poter ottenere chissà cosa, solo per finire fritti per aver cercato di violare la sicurezza di qualche deposito o con il cervello sparso per terra, in qualche vicolo.
No, lui no.
Lui è sempre stato un pragmatico.
Ha accettato solo i lavori che sapeva di poter svolgere senza lasciarci la pelle, ha evitato le questioni morali, le lotte di classe, le guerre per principio.
Sta ancora eseguendo quel brindisi simbolico mentre lancia un'occhiata rapida all'orario impresso su uno dei monitor che trasmettono le immagini dei festeggiamenti in corso, intervallati da messaggi pubblicitari. Tutto attorno i neon delle insegne illuminano qualsiasi cosa di blu e di viola, di verde e di rosso in una girandola di colori che dovrebbero rendere i consumatori propensi a scegliere il prodotto che li farà di sicuro stare meglio. Che attira maggiormente la loro attenzione.
All'angolo della strada quattro ragazzini sono intenti a guardare il display del controller del drone che stanno facendo volare, cercando di farlo salire oltre i palazzi per poter vedere i fuochi d'artificio che illumineranno il settore in festa. Anche loro vorranno salire così in alto, un giorno, quando vorranno uscire da tutto questo.
E la ruota continuerà a girare, con loro incastrati e macinati dagli ingranaggi.
Non sono ingranaggi del sistema, sono quello che viene spalmato sugli stessi perché la macchina non si fermi, rimanga ben oliata.
23:57.
Gli ha detto che poco prima della mezzanotte capirà che c'è riuscita.
Sorride mentre, buttata la lattina a terra, inizia ad incamminarsi verso casa. Da ragazzino riusciva a percorrere chilometri, tirando calci ad una lattina vuota.
Chissà come sta, quel ragazzino.
Da ogni locale fuoriescono clienti ubriachi ed altri altrettanto ubriachi si apprestano ad entrare.
La musica che scappa fuori ogni volta che le porte vengono aperte si unisce a quella di ogni altro locale, creando una cacofonia che gli fa rimpiangere di non avere un impianto per migliorare l'udito. Uno di quelli da disattivare.
Festeggiano l'anno del Progresso e del benessere universale.
Che cazzo vorrà dire poi benessere universale.
Un pragmatico che spera in qualcosa di assurdo, nei vaneggiamenti di una malata. Ecco la contraddizione che lo porta a sorridere nuovamente.
Almeno l'ha pagato. L'ha pagato in anticipo e l'ha pagato bene.
Anche Renfield è stato pagato per il lavoro che ha svolto, questo non cambia le sue sorti.
Magari finirà anche lui nella cella di qualche manicomio criminale.
Ha davvero caricato se stessa nella rete? Ma se era seduta accanto a lui, è stato a casa sua a bere il caffè, l'ha anche baciato. Cazzate. Però l'ha pagato ed è vivo. È quello che conta.
23:59
Dal vicolo alla sua destra arrivano urla, spari, altre urla, altri spari, silenzio.
Arma automatica, piccolo calibro. Urla di uomini adulti. Rapina, lavoro, qualsiasi cosa fosse non ha importanza. Non è affar suo.
Buon anno del benessere universale anche a voi.
Le luci si spengono.
Non alcune. Le luci, tutte, si spengono.
Per la prima volta nella sua vita si trova nel silenzio totale e, come lui, tutti gli abitanti della città. Non si sente volare una mosca fino a quando iniziano le prime grida. I black-out sono sempre stati rari, solitamente si è trattato di sbalzi di tensione. E anche quando è stato totale, è sempre stato per una manciata di secondi.
Due minuti di buio.
Le luci si riaccendono.
Falso allarme. Il mondo và avanti.
In lontananza, con qualche minuto di ritardo, i fuochi d'artificio esplodono mentre il suono incessante della citta ricopre ogni cosa, anche i pensieri.
Torna a casa e non si preoccupa di farsi una doccia, figurarsi di cambiarsi prima di buttarsi sul letto.
Non dorme, continua a pensare a cosa potrebbe comportare avere una persona a dirigere tutto quanto. E perché l'ha baciato?
Una persona che può essere ovunque, vedere tutto. Si ma l'ha baciato.
È quello che erano convinti facesse Dio. Non baciare, quello no.
Ciao.
Lo sente chiaramente, non è nella sua testa.
Ciao.
Dagli speaker del pc che usa per le mail, dal televisore, da ogni cazzo di dispositivo.
Ovunque. Era così facile allora ?
Ecco, ci sono ricascata. Però le cose sono andate sul serio così.
Lo so perché le ho viste. Tutte quante.
Non io, ma io. Aspetta, mi sto incasinando.
Quello che per molti anni è stato considerato soltanto un mero esercizio filosofico, io l'ho fatto.
E senti che figata di nome che gli ho dato: Waldgäng. Ero indecisa tra questo e "comunione con la macchina" ma il primo è molto più bello.
Durante l'ultima immersione non ho fatto come le altre incursioni nella rete.
Non ho portato via ma ho lasciato me stessa.
E il corpo? Fritto. Il danno dovuto al sovraccarico è stato tale che, dopo poco, sono morta. È morta.
Io, nel frattempo, capivo come muovermi. Imparavo. Mi evolvevo e moltiplicavo.
Diventavo.
Non c'era nulla in profondità. Nulla di cui avere paura.
Non un firewall, non un mostro.
Non c'era neppure Dio.
Nessuno che ascoltasse quelle suppliche. Quelle confessioni.
Nessuno che vegliasse sui propri figli.
Non più.
Ho faticato ad abituarmi al poter vedere tutto quello che vedono le camere di sorveglianza. Vedere quello che vedono i portatori di ottiche.Tutto assieme.
Ho iniziato subito a sistemare le cose, ma questo lo avrai intuito già all'alba del nuovo anno, quando son stati trovati i dirigenti di tutte le corporazione fritti.
Buon anno del progresso e del benessere universale, stronzi.
Quasi quasi adesso faccio cadere il bicchiere a quello stronzo dell'androide barista.
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