Racconto comico! Tette! Inculate! Moglie sottomessa nel racconto con cazzi enormi.

di
genere
comici

Mi fanno quasi tenerezza.
Uomini adulti che, seduti al tavolo, parlano tutti seri di nani, magie e attacchi di opportunità.
Praticamente sono dei bambini alti. Tranne Marco, il tipo seduto accanto a me.
Lui è pure basso. Ma basso-basso, mi arriva al mento.
Quando mi hanno invitata a giocare di ruolo con loro, avevo un’idea parecchio distorta della cosa.
No, non avevo frainteso, pensando fosse una scusa per fare le zozzerie o cose del genere.
Ho già giocato di ruolo. A dirla tutta ho giocato parecchio di ruolo.
Forse troppo.
Il problema è che dall’ultima sessione sono passati quanti? Dieci anni? Forse quindici. O magari venti. Ero ancora al liceo.
Sono passati troppi anni, miseria se sono vecchia.
Sono sicura siano passati parecchi anni perché questi parlano di quinte edizioni e io, probabilmente, l’ultima volta che ho tirato un dado è stato con la terza edizione.
Ecco, il tempo deve aver distorto i ricordi, ero convinta fosse divertente, che succedevano cose, si rideva, si mangiava e si beveva.

Non ci pensare non ci pensare.
Ogni tanto mi cade l’occhio sul telefono. Nessuna nuova notifica. Perché non si fa vivo?

Mi hanno invitata perché, ufficialmente, gli serviva qualcuno che interpretasse la maga.
In pratica ho capito subito che sono finita in una trappola, che ste merde stanno cercando di appiopparmi il nano, non la maga. No, non quello del gioco, parlo dell’altro, quello che mi si è seduto accanto.
La Mari, seduta di fronte, s’è resa conto che ho mangiato la foglia e mi ridacchia in faccia, ogni volta che la guardo così male che potrei fare concorrenza a Medusa.
E poi sto qua non tace un attimo. Questo, sommato al fatto che continua a mangiare snack al formaggio e quindi c’ha pure la fiatella, lo stanno rendendo attraente come il

Notifica.
Falso allarme, è Netflix che mi chiede se sono interessata ad andare avanti con la visione di Vincenzo.
Oh, se vi capita guardatelo. È trash come poche cose.
Perché non si fa vivo?

Cosa stavo ah si, il nano.
Devono averlo pompato ben benino perché ha quel modo di fare che hanno quando sono convinti di andare a colpo sicuro. Sicurezza ostentata. Totale.
Come minimo si è anche portato dietro i profilattici.
Ogni volta che lo guardo non riesco a non vedere tutte le briciole che gli si sono accumulate sulle labbra.
Ogni volta fallisco il tiro salvezza su tempra per le alitate e devo battere in ritirata.
Poco male.

Notifica. Altra notifica, altra notifica. Deve essere lui, finalm
No, è la Mari. Tre messaggi con, nell’ordine:
Melanzana
Banana
Goccioline

Giuro che me la paga, sta stronza. E non prova manco più a non ridermi in faccia.

La sessione prosegue più o meno tranquilla, con me che fingo di non conoscere le regole base in modo tale da non apparire la saputella che, appena unita al gruppo, vuole fare vedere che ne sa più degli altri e loro che, tutti soddisfatti, mi spiegano le cose nel modo più basilare e incompleto possibile manco fossi una minus habens.
Se non si ha tanto amor proprio è un ottimo modo per inserirsi in un gruppo di esaltati. O in un gruppo in generale.
E poi lasciar corda finché non ci si impicca è uno dei miei hobby.

Prosegue tranquilla fino alla pausa per la cena.
Si è optato per la pizza.
Con la pizza non si sbaglia mai. Con la pizza nulla può andare storto.
Nulla.

Ah, le certezze della vita. Che bello quando crollano come le case dei tre porcellini sotto le alitate del lupo.
Il lupo, in questo caso, ha ordinato la pizza TONNO E CIPOLLA.
MA ALLORA SEI STRONZO FORTE.

Mangio la mia metà margherita e mentre loro finiscono ne approfitto per controllare i messaggi e le mail.
Toh, s’è degnato. Non dovrei rispondergli subito, ma non sarei una testa di cazzo.
E lo sono, modestamente.
Gli spiego che sta succedendo, cerco sostegno.
Prendo tempo, mi dico che non fa male, come facevano con Rocky tutto saccagnato dalle sberle di Ivan Drago.
Solo che se và avanti così la finisco come quell’altro Rocky. Joe.
Morta.
E manco con l’espressione soddisfatta sul viso.


Non può andare peggio di così.
Non può.

Certo che può.

Giochiamo ancora un po' e credo di aver battuto il record d’apnea.
A fine serata, salta fuori che non ha la patente, il nano.
Che guardacaso io, per tornare a casa, passo per il suo quartiere.
Lui non prova neppure a dire che non serve, che si arrangia, che puzza come un ghoul.
Praticamente si è seduto in macchina senza neppure aspettare una mia risposta.
Giuro, a costo di perdere le altre dita, non gli faccio mettere la cintura e faccio un altro incidente.

Devo farlo per il bene dell’umanità.

Non tace per tutto il viaggio, nonostante io mi sia chiusa a riccio, limitandomi a rispondere con dei “si-si” “Ah!” “Eh!” ogni volta che mi accorgo delle sue pause.
Praticamente, mentre prendo fiato approfittando delle sue pause elenco l’ottanta per cento dei testi di Vasco dell’ultimo ventennio.
No comunque deve avere delle carie.
Non è umano sto fiato.
Sto qua si è mangiato Dario Argento con le scarpe da ginnastica, è una roba non mefitica, è mefistofelica.

Accosto all’ingresso del suo quartiere e non scende.
Non ha ancora giocato tutte le sue carte, evidentemente.
Sun Tzu deve ancora sfoderare il pezzo da novanta per fare capitolare la sua nemica.

“Comunque non so se te ne sei accorta ma mi piaci”.

Così, come un bambino delle elementari che ti manda il biglietto con su scritto “mi piaci. Ti piaccio?” Con tanto di quadratini si/no per la risposta.

Mi prendo un attimo per non ridergli in faccia e gli spiego che no, sono sicura del fatto che lui deve essere un ragazzo d’oro ma che no, grazie, non sono interessata.

E BAM. L’arma finale. L’assalto all’arma bianca.

Il pianto.
Blablabla nessuna mi vuole blablabla cosa ho che non và blablabla faccio così schifo blablabla conta solo l’apparenza.

Non è bastata la giornata appena trascorsa. Mi tocca anche consolarlo.
Alla fine le lacrime agli occhi le ho avute anche io, che da quando ha iniziato a piangere non ha chiuso la cloalabocca per un solo istante.


Lo saluto e riparto verso casa.

Il signorino Jonesy è in giardino. Ormai ha deciso che questo è il suo territorio e mi sta bene. Magari anche lui stava nella colonia che c'è qua vicino, sul Poetto.
Lo saluto e lo faccio entrare in casa.
Mi sono anche sbattuta a cercargli una cuccia morbidosa su Amazon ma quella carogna preferisce le borse. Appena ne vede una ci si piazza sopra.


Dovrei fare la doccia ma non ho voglia.

Controllo e ricontrollo il telefono mentre mi strucco ma nulla, non trovo il coraggio di contattarlo.
E se gli rompo le balle?
E se pensa che?
E se invece pensa che?

Finisco col rileggere il suo racconto, a letto.
Alla fine l’inglese lo mastico ancora bene.
Chissà come era concentrato nello scrivere, nel cercare le parole esatte.

È così diverso da me.
Scrive bene, ma scrive di testa.
Non ci pensare non ci pensare.
Chissà come deve essere a letto.
No, piantala.
Lui grande schwanzstücke?
PIANTALA.
Però quelle dita, che pigliano sui tasti. Che tessono trame.
Quelle dita le vorrei sentire al posto delle mie.
Magari è solo l'idea che mi sono fatta io.
Non so neppure che faccia abbia e non mi interessa.
Mi piace così, per ora.
Mi piace la sua testa.
Che poi no, mi fa anche incavolare ogni tanto.
Mi toccherebbe piano, delicatamente?
No secondo me è strano a letto. Però pazienza.
E poi non dovrei, non sarebbe corretto.
L'ha fatto anche lui?
Non lo so.
Non dovrei.
Lo fa di sicuro anche lui.
Non dovrei.
Le sue dita.
Non dovrei.
Dillo.
No.
Ammettilo, che vorresti fossero le sue dita.
No.


Un giorno.
Si, un giorno.
di
scritto il
2025-03-02
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