Un gioco pericoloso

di
genere
etero

Era nato tutto per scherzo. Anzi per gioco. Come iniziano tutte le cose pericolose, quelle che ti scivolano sotto la pelle e ti contagiano il sangue goccia dopo goccia. E adesso lei era lì, sulla strada, che camminava dritta verso il destino. E pensare che si era anche ripromessa che non sarebbe più accaduta una cosa del genere.

Era iniziato tutto in quella chat room di Digiland - "Chiacchiere piccanti", un nome che prometteva trasgressioni virtuali e nascondeva spesso solitudine e voglia di connessioni reali. Ma tra loro era stato diverso fin dal primo messaggio privato. La sua scrittura aveva qualcosa di magnetico, un'eleganza sensuale che andava oltre il solito scambio di battute maliziose. Settimana dopo settimana, i messaggi erano diventati altro evolvendo fino a diventare telefonate molto passionali, piene anche di promesse difficili da realizzare. Quando avevano scoperto che il gruppo della chat stava organizzando una cena sociale, era sembrato un segno del destino. Dopotutto, si era detta, sarebbe stata solo una cena in compagnia.

Lui era sposato, glielo aveva detto fin dall'inizio. Ma che male c'era a giocare con uno sposato se è simpatico e spiritoso e sapeva tenerle testa. La sfidava, la provocava, riusciva a leggerla come un libro aperto anche solo attraverso i messaggi. E quando scriveva per lei, oh Cristo, quando scriveva per lei...

Lui prendeva i frammenti delle sue fantasie - quelle che lei lasciava trapelare involontariamente, quelle che lui riusciva a strapparle con abili domande - e le trasformava in racconti che la facevano arrossire e fremere. Le aveva proposto di leggergliele al telefono e lei, come una deficiente, aveva accettato. Lette da lui, le sue fantasie diventavano praticamente realtà, passando attraverso il telefono, quella cazzo di voce calma e calda come melassa, si infilava nel suo orecchio, entrava nel suo cervello e da lì, si diffondeva nel suo corpo come un veleno dolcissimo, trovando casa tra le sue cosce.

Quante volte sentendolo leggere era arrivata sull’orlo dell'orgasmo, il sesso che le pulsava come una ferita affamata, le mutandine così bagnate che si vergognava di se stessa. Lui lo sapeva, lo sentiva dal suo respiro che si spezzava, dai piccoli gemiti che lei cercava di soffocare mordendosi le labbra fino a farsi male. E continuava a leggere, quel sadico figlio di puttana, la sua voce che scivolava più in basso, più lenta, più profonda, descrivendo esattamente come la voleva - aperta, bagnata, sua.

Eppure lui non si era accontentato delle sue storie. Era andato a comprare dei libri, libri di racconti erotici come quelli che scriveva lui. Adorava leggerle Anaïs Nin, quelle pagine intrise di lussuria poetica che facevano sembrare il sesso un rito sacro e blasfemo allo stesso tempo. Ma quanto erano i racconti a farle quell'effetto, e quanto era la sua voce a farglielo? Quella voce che sapeva esattamente quando rallentare, quando sussurrare, quando tacere lasciando che il silenzio la torturasse con promesse inespresse.

La serata era fresca, nonostante la giornata fosse stata torrida. Si era alzata una brezza piacevole, rinfrescante, che mentre le accarezzava il corpo le ricordava tutte le volte che lui le aveva descritto come l'avrebbe toccata - prima delicato, poi sempre più possessivo, fino a farla sua, corpo e mente.

Aveva deliberatamente ignorato la sua richiesta di indossare una gonna senza mutandine, quel suo desiderio di averla nuda e disponibile sotto il tessuto. Al suo posto aveva scelto un paio di pantaloni estivi così leggeri che erano quasi un'illusione ottica, una seconda pelle che non nascondeva nulla della sua femminilità. E sotto, un paio di microslip neri, visibili attraverso il tessuto del pantalone - un altro piccolo atto di ribellione, un'altra promessa di sottomissione non del tutto concessa.

Ma non aveva rinunciato ai tacchi. Dodici centimetri di potere puro che la facevano camminare come una regina, come una puttana di lusso, come una dea del sesso. Il ritmo dei suoi passi era una sinfonia di promesse. Ogni passo era una dichiarazione di guerra, ogni movimento un'onda di puro erotismo che le partiva dai fianchi e si propagava nell'aria come onde di calore.

Il vento che s'insinuava sotto la sua camicetta le stuzzicava i capezzoli già duri, facendola impazzire. Li sentiva sfregare contro la seta, ogni attrito un piccolo shock elettrico che le arrivava dritto tra le gambe, facendola bagnare ancora di più. Lui l'avrebbe voluta così - esposta, sensibile, pronta. Le aveva descritto così tante volte come le avrebbe morso quei capezzoli, come li avrebbe succhiati fino a farla supplicare, che ora le sembrava di sentire già i suoi denti sulla pelle.

Il profumo del mare la investì all'improvviso, salato e selvaggio come sesso appena fatto. L'odore le entrò nelle narici, nel cervello, risvegliando ricordi di tutte le volte che lui le aveva descritto come l'avrebbe presa sulla spiaggia, sulla sabbia ancora calda, sotto le stelle indifferenti. Il suo sesso si contrasse involontariamente, mandando una scarica di piacere attraverso tutto il suo corpo.

Fu in quel momento che il panico la colpì - era arrivata. Il luogo dell'appuntamento era lì, a pochi passi. Il suo corpo aveva seguito il richiamo del desiderio come un automa programmato per il piacere, mentre la sua mente era persa in fantasie sempre più oscure. Si guardò attorno. C'era un po' di gente, ma lei non ebbe nessun dubbio. Come una falena attratta dalla fiamma, puntò verso una panchina dove un uomo solo era seduto, racchiuso in un suo mondo, pericoloso come tutte le cose che sembrano innocue.

Lo vide. I capelli corti, gli occhiali scuri, la camicia fuori dai jeans chiari. Le gambe accavallate reggevano il block notes su cui la sua mano scivolava veloce, tracciando chissà quali perversioni. Forse stava già scrivendo di lei, di come sarebbe andata, di come l'avrebbe presa.

'Due baci sulle guance al volo... e poi esci dal suo abbraccio', si impose Paola, ripetendoselo come un mantra mentre lui alzava gli occhi e la vedeva. Quel sorriso - cazzo, lo stesso sorriso della foto, ma mille volte più pericoloso dal vivo. Lo vide appoggiare il blocco e alzarsi, e il suo corpo si mosse da solo verso di lui.

Il contatto delle sue mani sui fianchi la fece sussultare - erano così calde, così possessive, così reali. 'Paola cosa stai facendo?' ma era già troppo tardi. I suoi occhi la catturarono, la ipnotizzarono, e quando le loro labbra si toccarono, quando la sua lingua scivolò nella sua bocca, ogni resistenza crollò come un castello di carte. Gli ci volle qualche istante per riprendersi da quel bacio, un bacio che aveva tentato di evitare con tutte le sue forze, e che tanto aveva sognato.

"Non è valido, non è giusto," gli disse sorridendo, le labbra ancora calde e gonfie del suo bacio, il sapore di lui che le bruciava sulla lingua come un peccato delizioso.

"Il nostro è un gioco senza regole," la sua voce era ancora più profonda dal vivo, un rombo basso che le vibrava direttamente tra le cosce. "E lo sai che mi piace sorprenderti." Le sue mani erano ancora sui suoi fianchi, possessive, brucianti attraverso il tessuto sottile dei pantaloni.

Il suo corpo si adattava a quello di lui come se fosse stato progettato per questo. Dolcemente, con un pizzico di rammarico che le torse le viscere, si liberò dal suo abbraccio. Si girò verso il mare, cercando nella sua immensità la forza di resistere alla gravità di lui. Lo sentì sistemarsi al suo fianco, il suo calore che la raggiungeva come radiazioni pericolose.

Guardava il mare cercando in lui la forza. "Dago..." pronunciò il suo nome come l'aveva sussurrato tante volte toccandosi da sola, curiosa di vedere dal vivo l'effetto che aveva su di lui. Lo sentì trattenere il respiro. "Paola..." Rispose lui con un caldo sussurro, come una carezza sulla schiena.

"Mi avevi fatto una promessa..."

Con un gesto teatrale - quel bastardo sapeva sempre come tenerla sulle spine - sfilò dalla tasca dei fogli. La storia che le aveva promesso, scritta apposta per lei. Parole che l'avrebbero fatta bagnare, che l'avrebbero fatta supplicare, che l'avrebbero fatta sua.

Dago era appoggiato alla balaustra, dando le spalle al mare. Leggeva lentamente, ogni parola un'arma di seduzione scelta con cura, ogni pausa una promessa oscura.

Paola era rimasta a guardare il mare senza vederlo, le mani così strette alla ringhiera che le nocche erano bianche come ossa al sole. La sua mente era stata rapita da quelle parole, da quella voce del cazzo che sapeva esattamente come penetrarla, entrando nella sua testa come un ladro e da lì dilagando nel suo corpo come mercurio liquido. Le sue parole si trasformavano in mani che la violavano dolcemente, in una bocca che la marchiava, dandole la reale sensazione del suo corpo che la possedeva attraverso l'aria salata della sera.

I suoi seni si gonfiarono sotto la camicetta come frutti maturi, i capezzoli così duri che il tessuto li torturava ad ogni respiro. E più in basso, Cristo santo, il suo sesso si era trasformato in una bestia affamata, gli ormoni che le impazzivano nel sangue come demoni risvegliati. La sua figa pulsava di vita propria, gocciolando come una cagna in calore mentre lui continuava a leggerle quelle oscenità con quella voce così fottutamente controllata.

Si sentiva sull'orlo dell'orgasmo, guidata solo da quella voce che la scopava attraverso le parole, gli occhi chiusi mentre fingeva di guardare il mare, le cosce strette nel tentativo disperato di controllare il piacere che minacciava di farla crollare lì, in pubblico, come la puttana che lui la faceva sentire.

Ma lui era sposato. Il suo più grande, imperdonabile difetto.

La storia finì, lasciandola eccitata, insoddisfatta e tremante di desiderio, aggrappata alla ringhiera come una naufraga. Rimase immobile, il corpo ancora scosso da brividi di piacere insoddisfatto mentre lentamente i rumori del mondo reale tornavano a infiltrarsi nella bolla di lussuria in cui era stata intrappolata.



"Paola..." con quel sussurro un ultimo spasmo di piacere le attraversò il corpo. Dovette raccogliere ogni briciolo di volontà per tornare alla realtà che la reclamava. Lui le porgeva i fogli, il regalo promesso, le sue parole ora intrappolate nell'innocenza della carta.

Gli occhiali da sole erano la sua unica difesa - senza quelli, i suoi occhi l'avrebbero tradita, rivelando quanto fosse ancora persa nel piacere che lui le aveva dato con la sua voce e le sue parole. Sentiva lo sguardo di lui, rispettoso dei limiti che lei aveva imposto, ma allo stesso tempo in grado di spogliarla.

"Non credi sia il caso di raggiungere gli altri?"

"Se proprio dobbiamo," rispose lui, con quel tono falsamente arrendevole che la faceva vibrare.

"Dobbiamo, lo sai. Questo è tutto quello che posso concederti. Tu sei..."

"Sì, lo so," la interruppe lui, "non continuare a ripetermelo, lo so anche da solo che sono sposato."

Paola lo baciò dolcemente sulle labbra. Lui la strinse tra le braccia, una mano che scivolava dietro la sua nuca con una delicata possessività. Un momento di debolezza - le loro labbra si schiusero, le lingue si incontrarono come amanti proibiti. Un attimo rubato all'eternità prima che lei si divincolasse dalle sue braccia.

"Ci vediamo al punto di ritrovo. Dammi un po' di vantaggio" e fuggì, la testa un vortice di emozioni - l'incontro, la storia, il bacio. Forse non doveva rischiare tanto. In mezzo agli altri sarebbe stato diverso.

Dago si girò verso il mare. Guardarla fuggire sarebbe stato troppo, come guardare il sole scomparire all'orizzonte. Meglio lasciare che la mente vagasse, cercando di calmare il desiderio che gli pulsava nel sangue.

La serata fluì nella leggerezza della compagnia, nell'allegria caotica del gruppo. Paola aveva ottenuto quello che voleva - lui seduto di fronte a lei durante la cena, gli sguardi che si cercavano, si trovavano, raccontavano storie silenziose. La sua voce nelle orecchie, una carezza sonora che le faceva vibrare l'anima.

La discoteca sulla spiaggia li accolse con una promessa di sfrenato divertimento. Il gruppo invase la pista, portando il caos e le risate. Paola amava ballare. Dago nel ballo era diverso dagli altri, scatenato, libero da ogni freno. Quando la musica virò verso ritmi latini, sentì le sue mani afferrarla, girarla.

"Balli con me?"

Il suo sguardo la penetrò come una lama calda, la voce abbassata ad un tono che le vibrò direttamente tra le cosce. Paola non rispose - non poteva, non doveva. Ipnotizzata come un serpente dalla musica del suo incantatore, appoggiò le braccia sulle spalle di Dago, sentendo i muscoli tendersi sotto la camicia.

Iniziarono a ballare. I suoi occhi non la lasciavano un attimo. Le sue mani bollenti scivolavano sul suo corpo come se lo stessero già possedendo.

La pista si riempì di gente, un caos di corpi dove potersi nascondere. Lei non si accorse - o forse non volle accorgersi - che lui la stava guidando verso il bordo della pista, dove l'oscurità diventava più densa, più complice. Nascosti dalle ombre, lui ne approfittò, baciandola - un bacio forzato che dichiarava quanto lui la desiderava e fosse disposto a rischiare. Non che lei volesse resistere. Si sciolse tra le sue braccia come cera al fuoco, la bocca che si schiudeva sotto la sua come un frutto maturo che si spacca.

"Dago cosa fai?" sussurrò lei, ma lui le posò un dito sulle labbra - un comando silenzioso che non ammetteva repliche. Le prese la mano, intrecciando le dita con una delicata fermezza che non lasciava spazio a indecisioni. La guidò attraverso la folla, oltre la pista, verso un sentiero appena visibile che si snodava tra le dune.

La musica si affievoliva ad ogni passo, sostituita dal rumore delle onde e dal suono dei loro respiri. La spiaggia si apriva davanti a loro, vasta e deserta, la sabbia ancora tiepida della giornata. Lui la condusse dietro un gruppo di rocce che formavano una piccola baia naturale, nascosta alla vista del locale e protetta dal vento.

"Dago cosa vuoi fare?" La sua voce tremava leggermente, una domanda che era più una resa che una vera resistenza.

Lui continuava a non parlare. Si fermarono, in piedi uno di fronte all'altra, la luna come unico testimone che li avvolgeva nella sua luce complice. I loro occhi si fusero in uno sguardo che diceva tutto ciò che le parole non potevano esprimere. Non avevano bisogno di parlare. Le loro bocche, i loro corpi si cercarono con una lentezza straziante, le mani scivolavano a cercarsi, a reclamarsi. Il contatto tra le labbra, l'intrecciarsi delle lingue li catapultò improvvisamente in una dimensione dove esistevano solo loro, il mare, e tutte le promesse non dette.

Si lasciarono scivolare sulla sabbia ancora caldai. Le mani vagavano avide sulla stoffa, cercando la pelle che fino a quel momento avevano solo immaginato attraverso parole sussurrate al telefono. Il desiderio di sentire, di toccare, di possedere divenne improvvisamente insopportabile.

I vestiti scomparirono come per magia, lasciando spazio a tutte le promesse e le fantasie. Le mani e le bocce eploravano i loro corpi, trasformando in realtà tutte le parole scritte e sussurrate.
Dago scivolò sul corpo di Paola. Il suo viso affondò tra quei seni che aveva sognato così tante volte, che aveva posseduto con le parole e che ora erano lì, reali, pesanti, perfetti. Li accarezzò prima con reverenza, poi con crescente possessività, mentre la sua bocca tracciava percorsi di fuoco sulla pelle sensibile.

I gemiti di lei erano musica - piccoli suoni spezzati che gli dicevano esattamente quanto la stava facendo impazzire. La sua bocca trovò un capezzolo già duro, lo torturò con la lingua, lo morse delicatamente, strappandole un gemito più profondo. Le mani di lei si persero nei suoi capelli, spingendolo contro il suo seno, chiedendo di più.

"È meglio di come lo immaginavi?" sussurrò lui contro la sua pelle, prima di dedicarsi all'altro capezzolo, succhiandolo con forza questa volta, sentendo il corpo di lei inarcarsi sotto di lui.

"Cazzo... sì..." la voce di Paola era roca, spezzata dal piacere. Le sue mani si unirono a quelle di lui sui suoi seni, guidandolo, mostrandogli esattamente come li voleva toccati, quanto forte voleva essere presa. Il piacere cresceva tra loro come una marea, la frenesia tenuta a bada solo dalla voglia di far durare quel momento il più possibile.

Sentiva l'umidità di lei bagnargli la pancia, un invito inequivocabile che prometteva altri piaceri. La sua bocca iniziò a scendere, tracciando una scia di baci e morsi leggeri sulla pelle tesa del suo ventre, sentendo i muscoli tremare sotto le sue labbra. Le sue mani scivolarono lungo i fianchi morbidi, poi sulle cosce, aprendole con delicata fermezza mentre il suo respiro si faceva sempre più pesante, carico di aspettativa.

Dago alzò lo sguardo, cercando i suoi occhi nell'istante prima che la sua lingua assaggiasse la sua tanto desiderata figa. La vide accendersi di piacere, le palpebre che si chiudevano tremanti quando la sua lingua trovò il clitoride. La assaporò lentamente, metodicamente, come se volesse memorizzare ogni sensazione. Ogni piega, ogni rigonfiamento, ogni punto sensibile meritava la sua attenzione. La sua lingua si muoveva con precisione chirurgica, alternando carezze delicate a affondi profondi che la facevano gemere.

I loro sguardi si cercavano, si trovavano, si perdevano - ogni volta che i loro occhi si incontravano, il piacere sembrava amplificarsi, rimbalzando tra loro come elettricità statica. Con delicata fermezza, la fece girare sulla pancia. La sua lingua tracciò una linea di fuoco lungo la sua fessura, fino a trovare quell'apertura più intima. Si fermò lì, la lingua che giocava con quel cerchio sensibile, mentre le sue dita si univano all'esplorazione - sfiorando, premendo, promettendo ma mai concedendo del tutto.

Risalì lungo la sua schiena come una marea che sale, leccando ogni vertebra, mordicchiando la pelle sensibile mentre le sue mani le accarezzavano i fianchi. Il suo corpo la coprì completamente, il calore della sua pelle che la marchiava. Le sue mani scivolarono sotto di lei a reclamare i suoi seni, la bocca che tracciava costellazioni sul suo collo, sulle sue spalle. Il suo sesso, duro e caldo, che premeva tra le sue natiche, preannunciando nuove intense esperienze.

Paola si sentiva intrappolata - dal suo peso, dal suo calore, dal desiderio che le annebbiava la mente. Era esattamente dove aveva sognato di essere nelle sue fantasie più oscure, quelle che aveva osato confessargli solo nelle notti più profonde. Allargò le gambe in un invito inequivocabile, il suo corpo che implorava di essere posseduto. Lo sentì posizionarsi dietro di lei, il suo cazzo che scivolava tra le sue labbra bagnate, cercando l'ingresso della sua figa. Quando finalmente la penetrò, un gemito profondo le sfuggì dalle labbra - il suo corpo si apriva per accoglierlo, stringendolo, succhiandolo sempre più dentro.

I suoi affondi si fecero più intensi, più profondi, il suo cazzo che entrava e usciva da lei con un ritmo ipnotico, ogni spinta che la faceva gemere più forte. Ma non era tutto - non era quello che gli aveva confessato di volere nelle loro conversazioni più intime. Come se le avesse letto nel pensiero, lo sentì rallentare, estrarre il suo cazzo grondante dei suoi umori. Il suo respiro si fermò per un istante quando sentì la pressione contro il suo ano - quella violazione ultima che nelle loro conversazioni notturne aveva ammesso di desiderare disperatamente.

"È questo che volevi, vero?" il suo sussurro era roco, carico di desiderio trattenuto. "Volevi il mio cazzo nel tuo culo... me l'hai chiesto tante volte..."

Un gemito gutturale fu la sua unica risposta quando lui iniziò a penetrarla - il dolore acuto nel suo culo che si irradiava come fiamme mentre il suo cazzo si faceva strada dentro di lei, ma nella sua testa esplosioni di puro piacere cancellavano ogni altra sensazione. La stava prendendo esattamente come lei aveva fantasticato, come gli aveva supplicato di fare in quelle confessioni sussurrate al telefono. Ogni spinta era più profonda della precedente, il bruciore nel suo culo che si mescolava a ondate di piacere proibito che le annebbiavano la mente, il suo cazzo che la allargava, la possedeva, la riempiva completamente.

L'orgasmo esplose come una supernova, travolgendoli entrambi. I loro corpi si contrassero all'unisono in spasmi di puro piacere, mentre lui continuava a scoparle il culo con foga crescente fino a riempirla del suo sperma caldo.
Crollarono uno sull'altro, intrecciati come viti, le loro bocche che si cercavano ancora, ingoiando gemiti e ansimi, mentre le mani accarezzavano la pelle sudata, marchiata dal piacere condiviso.

Il tempo si era fermato in quella bolla di piacere condiviso, i loro corpi ancora vibranti di sensazioni. Paola scivolò sul corpo di Dago con deliberata lentezza. I suoi occhi cercarono quelli di lui nella luce argentata della luna - voleva che lui leggesse nei suoi occhi tutta la gratitudine per averle regalato quella prima volta così speciale.

Le sue labbra iniziarono un percorso di esplorazione sul suo petto, indugiando sui capezzoli, mordicchiandoli come aveva fantasticato di fare tante volte. Scivolò più in basso, la lingua che tracciava arabeschi sulla sua pancia, sentendo i muscoli contrarsi sotto il suo tocco. I suoi seni - quei seni che lui aveva appena venerato - ora strusciavano deliberatamente sul suo cazzo, sentendolo rispondere al contatto con un interesse rinnovato.

"Voglio mostrarti che non erano solo parole," sussurrò, la voce roca di desiderio mentre si posizionava tra le sue gambe. La sua lingua iniziò a esplorarlo con la stessa maestria che gli aveva descritto tante volte al telefono - lunghe leccate dalla base alla punta, piccoli cerchi intorno alla corona, attenzioni precise alle sue palle che lo facevano tremare.

Poi, mantenendo i suoi occhi fissi nei suoi, fece scivolare il suo cazzo tra le labbra con studiata lentezza. Lo prese completamente in bocca, proprio come gli aveva raccontato di saper fare, sentendolo toccare il fondo della sua gola senza il minimo disagio. Il sapore di lui - un mix del suo stesso piacere e del suo pre-sperma - la faceva impazzire. Lo succhiava con devozione e bravura, alternando il ritmo - ora lento e profondo, ora veloce e superficiale, usando la lingua per stimolare il frenulo ad ogni movimento.

Le sue mani rimasero deliberatamente sui suoi fianchi - voleva che lui vedesse, che sapesse che poteva prenderlo tutto in bocca senza aiuto, esattamente come gli aveva promesso in quelle notti di confessioni piccanti. I gemiti di lui erano la conferma che non aveva mentito sulle sue capacità, che ogni cosa che gli aveva raccontato al telefono era vera, anzi, forse anche meglio della sua immaginazione.

"Paola... cazzo, Paola..." il suo nome usciva dalle labbra di lui come una preghiera pagana, mentre si abbandonava completamente al piacere, lasciandole il controllo totale del suo godimento. I loro sguardi rimanevano incatenati, gli occhi di lei ardenti di lussuria e soddisfazione per il piacere che gli stava dando.

Fece scivolare il suo cazzo tra i suoi seni, stringendoli intorno a lui, creando un tunnel di carne morbida e calda. Lo sentì pulsare, vicino all'orgasmo, e in un istante lo riprese in bocca, succhiandolo con rinnovata intensità. Le mani di lui le afferrarono la testa, spingendola a prenderlo tutto mentre esplodeva nella sua gola. Lei ingoiò avidamente ogni goccia del suo piacere, il suo stesso corpo che tremava in un orgasmo inaspettato, nato dal puro piacere di averlo fatto godere così intensamente.

Si lasciò scivolare su di lui, il corpo ancora scosso da piccoli tremiti di piacere. Le sue braccia la accolsero, stringendola contro il suo petto, mentre scivolavano insieme in quel limbo beato che segue l'estasi condivisa, dove il tempo perde significato e esistono solo respiri, battiti e carezze silenziose.

Dago emerse dal torpore post-coitale scoprendo che il posto accanto a lui era vuoto. Doveva essersi mossa come un'ombra, scivolando via mentre lui era ancora perso nelle sensazioni residue del loro incontro.

Si rivestì meccanicamente, ogni capo di abbigliamento che rimetteva al suo posto sembrava ricostruire la sua facciata di uomo rispettabile, senza riuscire a cancellare le tracce di quella notte di trasgressione. La discoteca, quando la raggiunse, era come un teatro dopo lo spettacolo - luci spente, musica spenta, gli ultimi ritardatari che si trascinavano verso l'uscita. L'alba stava già tingendo il cielo di rosa pallido.

Camminò verso la sua auto, un peso nel petto che cresceva ad ogni passo. Fu allora che lo vide - un foglio bianco infilato sotto il tergicristallo, che ondeggiava nella brezza mattutina come una bandiera di resa.

"Non è successo nulla. È stato solo un sogno, un bellissimo sogno. Paola"

Un sorriso amaro gli increspò le labbra mentre rileggeva quelle parole. La rabbia - verso se stesso, verso di lei, verso quella situazione impossibile - esplose improvvisa. Accartocciò il biglietto con un gesto violento e lo scagliò lontano, seguendone la traiettoria con occhi carichi di frustrazione.

Fu allora che la vide. Una figura seduta sulla panchina, illuminata dai primi raggi del sole nascente. Paola. Il cuore gli saltò un battito. Si alzò quando lui la vide, e si mosse verso di lui con quella stessa grazia felina che l'aveva caratterizzata tutta la notte.

Si studiarono per un momento, ciascuno cercando di leggere nell'altro le risposte a domande che non osavano formulare. Fu lei a muoversi per prima, sfiorandogli le labbra con un bacio delicato come un'ala di farfalla.

"Non potevo lasciarti così," sussurrò contro le sue labbra.

Il sole che emergeva dal mare li trovò abbracciati, uniti in un bacio che racchiudeva tutte le parole non dette - le promesse che non potevano fare, i desideri che non potevano esprimere, i sogni che non potevano realizzare. Ma per quel momento, nell'alba di un nuovo giorno, era abbastanza.
scritto il
2025-03-03
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