Un insolito venditore

di
genere
etero

Dago lo odiava quel lavoro. Ma in certi momenti qualunque lavoro era meglio di niente. Fare praticamente il piazzista era una cosa che non sopportava. Lo passavano a prendere da casa alle 5 e lo portavano ogni giorno in una città diversa. Gli appioppavano la sua valigetta carica di cataloghi e campionari di cancelleria e con il suo bel tabulato di nominativi da visitare. Porta dopo porta passava la sua giornata. Sì, è vero che vendeva spesso, ma quanto freddo, e quanto tempo che perdeva cercando vie che non conosceva.

Il suo sogno era diventare uno scrittore. Ci provava da tempo e da poco aveva scoperto di avere un’abilità particolare nello scrivere storie erotiche. Ci aveva provato sempre più gusto nello scriverle e anche nel farle leggere. Le donne a cui le aveva fatte leggere le avevano trovate molto eccitanti. E lui ne aveva raccolto i frutti. Certo, un’altra cosa era trovare un editore disposto a pubblicarle.

Almeno oggi era dalle parti di Venezia. La cittadina era carina, non troppo grande e la gente cordiale. Aveva fatto due nuovi clienti, e due ordini rilevanti. Diciamo che la giornata era stata portata a casa. Si era quasi fatto mezzogiorno, ancora una visita e poi per oggi si era guadagnato un pranzo decente. Sarebbe andato in qualche trattoria, un bel primo, un secondo, magari di pesce e un po’ di buon vino. Magari seduto vicino a una vetrata da cui poter vedere passare qualche bella ragazza. Magari servito da qualche bella cameriera. Magari con cui passarci anche il pomeriggio.

“Dago, piantala di sognare!” si disse. La cosa più urgente era trovare ‘sta cavolo di via Mameli, poi avrebbe pensato al pranzo e a quello che avrebbe fatto nel pomeriggio, visto che volendo oggi poteva prendersela anche comoda.

Odiava chiedere le informazioni, ma oggi non aveva voglia di perdere tempo. Si guardò intorno per vedere a chi poteva chiedere, e fu così che la vide uscire di corsa dal negozio di frutta e verdura ed attraversare la strada.

Il cappotto scuro aperto le svolazzava dietro, lasciando vedere come era vestita sotto. Portava una gonna leggera a pieghette, dalla quale spuntavano due bellissime gambe. La mezza corsa che stava facendo per raggiungere la macchina fece sollevare leggermente la gonna, mostrando il bordo delle calze, un bordo che hanno solo le calze autoreggenti o da reggicalze. Il maglioncino aderente con la zip metteva in risalto il suo florido seno.

Dago rimase pietrificato alla visione di quella splendida creatura. Fermo sul marciapiede con la sua valigetta in mano, la bocca leggermente aperta, la seguiva con lo sguardo. Sembrava uno dei personaggi delle sue storie.

La donna sembrò puntare verso di lui sulla pavimentazione grigia del marciapiede, i tacchi che scandivano un ritmo sicuro sull’asfalto. All’ultimo momento virò verso la portiera del guidatore, dove un’auto era parcheggiata proprio accanto a lui. Nel passaggio stretto tra le due vetture, la gonna s’impigliò nel paraurti. Si fermò di colpo e, con naturale spontaneità, come se la strada fosse vuota, sollevò l’orlo per liberarsi. Il gesto rivelò, senza lasciare spazio a dubbi, il reggicalze.

I loro sguardi s’incontrarono mentre lei aveva ancora la gonna tra le dita. Lei non mostrò il minimo imbarazzo, solo un lieve rossore le colorava le guance, mentre i suoi occhi verdi brillavano di una luce che sembrava sfidarlo.

“Beh, non hai di meglio da fare che guardarmi?” La sua voce aveva una nota di divertimento che contraddiceva la durezza apparente delle parole.

Dago si ritrovò a sorridere, un sorriso spontaneo che scioglieva la tensione del momento. “Io volevo solo chiedere un’informazione…” fece una pausa studiata, assaporando l’istante, “ma credo di non aver meglio da fare in questo momento che guardare una bella donna.”

Non si aspettava una risposta così sincera. Quel sorriso malizioso, leggermente storto sul suo viso, le ispirava una fiducia inattesa. Si accorse improvvisamente di essere ancora con la gonna alzata, si ricompose chiudendosi anche il cappotto con un ritorno alla sua naturale timidezza, e portandosi di fronte a lui gli chiese: “Bene, quale era l’informazione di cui avevi bisogno?”

Rimasero per qualche istante a guardarsi dritto negli occhi. Il suo lavoro lo aveva abituato a reagire tempestivamente agli imprevisti, e lei era uno splendido imprevisto. “Devo andare in via Mameli, volevo solo sapere come arrivarci da qui.”

Lei continuava a fissarlo. C’era qualcosa nel suo viso, nei suoi occhi che le dava una strana sensazione. Una sensazione piacevole. “Dove hai la macchina?”

“A Milano!” fu la sua risposta immediata.

Scoppiarono a ridere. “È un po’ scomodo arrivare da qui in via Mameli a piedi!”

Dago rimase zitto, aspettando le indicazioni. Lei velocemente pesava cosa fare. La curiosità ebbe il sopravvento. “Visto che dovrei farmi perdonare per come ti ho trattato, se vuoi ti accompagno io in macchina.”

“Non so se mi dovrei fidare di una bella donna come lei…”

“Senti, non fare lo scemo, lo vuoi un passaggio o no?”

“Ok ok, volevo solo scherzare, accetto volentieri il passaggio, così mi scaldo un po’.”

Sfilò dalla tasca le chiavi della macchina e aprì la portiera vicino a lui. “Sali,” disse semplicemente. Dago si accomodò in macchina, girandosi istintivamente verso il lato guidatore per vederla salire.

Lei sfilò il cappotto buttandolo sul sedile posteriore e nel gesto per salire in macchina la gonna risalì ancora lungo la sua gamba, scoprendo nuovamente il reggicalze.

“Guarda che rischi di essere catapultato fuori dalla macchina se insisti a sbirciare sotto la mia gonna!” gli disse con un sorriso malizioso. Dago arrossì guardando di scatto davanti a sé. Solo lei sapeva di averlo fatto di proposito questa volta.

“Posso almeno presentarmi,” le disse tenendo lo sguardo fisso in avanti, “mi chiamo Dago,” e si girò nuovamente verso di lei, offrendole la mano.

“Paola… piacere,” rispose stringendogli la mano. La stretta era sicura, né molle né stritolante. E la sua mano era calda. Una scossa le risalì lungo il braccio. Si scoprì a pensare che effetto avrebbero fatto quelle mani a contatto con la sua pelle. Stava forse diventando pazza? Si guardò di sfuggita nello specchietto retrovisore e accese la macchina.

Con la coda dell’occhio percepiva il suo sguardo persistente, una presenza che oscillava tra fastidio e piacere nella sua coscienza. No, più piacere che fastidio, si corresse, mentre i brividi le percorrevano la pelle come onde silenziose. Erano passati tre mesi dall’ultima volta, da quando aveva lasciato Lorenzo, e non aveva mai pensato che il desiderio potesse manifestarsi con tale urgenza. Il sesso le era sempre piaciuto, certo, ma non aveva mai occupato così prepotentemente i suoi pensieri.

Lorenzo era stato un amante capace, l’aveva fatta sentire felice – o almeno questo aveva creduto. Lei gli era rimasta fedele, lui no. L’aveva scoperto più volte con altre donne, e questo aveva segnato la fine. Ma nelle lunghe notti solitarie che erano seguite, un pensiero insidioso aveva iniziato a tormentarla: e se l’avesse tradita perché lei non era stata capace di dargli ciò che cercava? Da lì era nata l’idea, quasi una sfida con se stessa: provare con qualcun altro. Ma doveva essere uno sconosciuto, qualcuno destinato a svanire subito dopo. Un piano più facile a dirsi che a farsi in una città piccola dove tutti si conoscevano. E ora il destino, con il suo peculiare senso dell’umorismo, le portava quest’uomo – attraente, spiritoso, sui trentacinque anni.

“Cosa devi andare a fare in via Mameli?” si sorprese a chiedere, cercando di dirigere i pensieri su un terreno più sicuro.

“Sono un venditore,” rispose lui, la voce che scivolava calma nell’abitacolo. “La mia azienda mi ha segnalato una ditta da contattare. Vendo materiale di cancelleria…” Si interruppe, chinandosi sulla valigetta che teneva tra le gambe. “A proposito, visto il disturbo che ti sto dando, vorrei farti un omaggio, se permetti.” Ne estrasse un oggetto dalla forma singolare.

Paola lo osservò perplessa. “Ma non hai detto che vendevi cancelleria?”

“Sì, lo so,” rise lui, il suono caldo e genuino. “Ha una forma particolare, ma è una penna. Non chiedermi chi l’ha scelta come materiale promozionale… effettivamente sembra un vibratore.”

La risata di lei si unì alla sua, mentre prendeva l’oggetto tra le mani. “Effettivamente è la prima cosa che ho pensato.” Il contatto con quella forma ambigua risvegliò sensazioni sopite, accendendo scintille di desiderio che credeva dimenticate. Erano giorni che si sentiva così, carica di un’energia che chiedeva di essere liberata, ma masturbarsi le sembrava un ripiego da adolescente, un surrogato di ciò che veramente bramava.

Non era l’inesperienza a frenarla – il suo passato era costellato di incontri, relazioni, il lungo capitolo con Lorenzo. Era piuttosto la ruggine dell’abitudine, come un muscolo che ha dimenticato la sua antica grazia. Il desiderio, però, quello era nitido come cristallo: Dago emanava un magnetismo che andava oltre il suo aspetto gradevole. Era nel modo in cui le sue mani danzavano nell’aria mentre parlava, nella cadenza misurata dei suoi passi, in quella sicurezza tranquilla che sembrava avvolgerlo come un’aura.

La sua mente vagava tra questi pensieri mentre si avvicinavano a via Mameli. Perfetto per i suoi scopi: uno sconosciuto affascinante, destinato a sparire come una cometa – nessun legame, nessuna storia da giustificare, solo la possibilità di riscoprirsi, di misurare la propria capacità di seduzione contro uno sguardo nuovo e non prevenuto.

Ma erano già arrivati all’indirizzo e lui la stava salutando, ringraziando, scendendo dalla macchina. Le parole le morivano in gola mentre lo guardava allontanarsi, quella sua camminata che aveva qualcosa di magnetico. Rimase ferma con la macchina accesa, maledicendosi per la sua esitazione, mentre lo osservava raggiungere il portone. Il suo dito premette il citofono una prima volta, poi una seconda. Si girò verso di lei con un gesto della mano che diceva “nessuno”. Dopo un altro tentativo infruttuoso, lo vide tornare verso la macchina. Paola abbassò il finestrino, il cuore che accelerava impercettibilmente.

“Sembra che oggi la fortuna non mi assista,” disse lui, appoggiandosi leggermente allo sportello. “Ma forse è un segno – ti andrebbe di pranzare insieme? Non sopporto l’idea di un pasto solitario in una città sconosciuta.”

La proposta galleggiò nell’aria come una promessa inattesa. “Considerando che ti devo ancora delle scuse… e che il mio pomeriggio è sorprendentemente libero…” Una pausa calcolata, un sorriso appena accennato. “Conosco il posto giusto, se ti fidi del mio gusto.”

Mentre guidava verso quel ristorante appartato fuori città – un luogo discreto dove era certa non avrebbe incontrato volti familiari – si sorprese ad assaporare il modo in cui Dago riempiva lo spazio accanto a lei con la sua presenza, la sua voce profonda che tesseva storie nell’aria. Si ritrovò ad ascoltare, davvero ascoltare, lasciandosi avvolgere dal suono delle sue parole come da una coperta di seta.

Il ristorante era uno di quei luoghi dove la discrezione era un’arte sottile. Paola aveva dispiegato il suo sorriso più seducente – quello che faceva brillare gli occhi e prometteva segreti inconfessabili – ottenendo un tavolo nell’angolo più remoto della sala. Una nicchia avvolta in penombre complici, dove il resto del mondo sembrava dissolversi oltre il confine di una tenda di velluto bordeaux.

Il vino aveva sciolto le lingue, creato quella particolare intimità che solo i pranzi improvvisati sanno regalare. Dago si sporse leggermente sul tavolo, la voce abbassata in una confidenza studiata: “Devo confessarti una cosa,” iniziò, un sorriso che giocava agli angoli della bocca. “Sono uno scrittore. O meglio, ci provo – scrivo storie erotiche.” Fece una pausa calcolata, i suoi occhi che cercavano quelli di lei. “Sto lavorando a una novella dove la protagonista fa esattamente quello che hai fatto tu oggi. Con una differenza: lei lo fa deliberatamente, per sedurre un uomo che desidera.”

Paola sentì il calore salirle al viso, una sensazione che si propagò lungo il collo fino al petto. “Non penserai che io…” La replica le morì sulle labbra, tradita dal proprio corpo che conosceva una verità più profonda, più elementare.

Lo incoraggiò a parlare del suo lavoro, affascinata non tanto dalle storie quanto dal modo in cui le raccontava, dalla sua voce che sembrava accarezzare ogni parola. Le sue mani gesticolavano nell’aria, creando forme che sembravano danzare con i suoi pensieri, e Paola si sorprese a immaginare quelle stesse mani sulla sua pelle.

“Ho il mio taccuino in valigetta,” disse lui, interrompendo il filo dei suoi pensieri. “Potrei leggerti qualcosa, se ti interessa.”

“Sono… curiosa,” rispose lei, alzandosi con grazia misurata. “Vado un attimo in bagno mentre lo prendi.”

Nel bagno dalle luci crude, Paola si ritrovò a contemplare il proprio riflesso mentre parlava sottovoce al proprio corpo, come in una preghiera pagana. “Non deludermi,” sussurrò, sfilandosi il tanga con un gesto deliberato. Le sue dita scivolarono lente tra le pieghe già umide del suo sesso, un tocco esplorativo che le strappò un sospiro tremante. Sapeva, con quella saggezza antica che appartiene solo al corpo femminile, che il suo profumo – quell’aroma intimo e selvaggio di desiderio – avrebbe parlato a Dago in un linguaggio più antico delle parole. I suoi feromoni sarebbero stati un richiamo silenzioso ma irresistibile, un invito che nessun uomo poteva ignorare.

Le sue dita continuarono la loro danza lenta e metodica, risvegliando sensazioni sopite, preparando il suo corpo per ciò che sarebbe seguito. Ripose il tanga nella borsetta – un segreto che la faceva sentire audace e vulnerabile allo stesso tempo, una promessa silenziosa di ciò che sarebbe potuto accadere. L’acqua fresca sul viso non bastò a spegnere il fuoco che le serpeggiava sotto la pelle, né a cancellare il sorriso di anticipazione che le incurvava le labbra.

La voce di Dago, quando iniziò a leggere, era come miele scuro che colava nell’aria. Paola aveva sempre considerato la letteratura erotica un dominio maschile, qualcosa di meccanico e prevedibile. Ma c’era qualcosa nel modo in cui lui intrecciava le parole che andava oltre la mera fisicità. I suoi seni si fecero pesanti, i capezzoli tesi contro la seta del reggiseno, mentre il suo sesso pulsava con un desiderio che sembrava avere una propria volontà. Chiuse gli occhi per un istante, e le parole si trasformarono in sensazioni tattili, fantasmi di carezze che le percorrevano la pelle.

La sua mano scivolò sotto il tavolo come guidata da una volontà propria, cercando il calore tra le sue cosce. Il contatto con la pelle nuda le strappò un respiro tremante. Solo quando intercettò lo sguardo di lui, un lampo di consapevolezza nei suoi occhi scuri, si costrinse a fermarsi. Era stato solo un frammento di storia, si disse, ma il suo corpo vibrava come una corda di violino appena pizzicata.

Gli fece i complimenti con voce che sperava ferma, parlando di stile narrativo e potenziale letterario, mentre nella sua mente si formavano scenari ben più carnali. Davanti alle tazze di caffè che si raffreddavano, pesava le sue opzioni. L’appartamento era fuori discussione – troppo intimo, troppo complicato da spiegare. No, ci voleva qualcosa di più immediato, più istintivo.

Il coraggio, si disse, non era nel prendere la decisione, ma nell’accettare di averla già presa.

Il ritorno in auto era carico di elettricità trattenuta. Paola lasciò che il flusso della voce di Dago riempisse l’abitacolo, mentre i suoi occhi scrutavano il paesaggio con un’intensità quasi febbrile. Il suo corpo vibrava di un’anticipazione che le rendeva difficile concentrarsi sulla guida, la mente già proiettata verso ciò che stava cercando – quel boschetto intravisto all’andata, una promessa di solitudine.

Eccolo. Il volante girò quasi da solo, gli pneumatici che scivolavano silenziosi sul sentiero che si insinuava tra gli alberi. La vegetazione si chiuse dietro di loro come un sipario verde, creando un mondo a parte, un universo privato dove le regole ordinarie perdevano significato.

Si fermò in una radura nascosta, il motore che si spegneva in un sussurro. Il silenzio improvviso amplificò il suono dei loro respiri. Si voltò verso di lui, il cuore che le martellava nel petto. “Leggimi ancora qualcosa…” chiese, la voce che modulava quella peculiare frequenza che le donne scoprono nell’adolescenza, un tono che nasce innocente nelle richieste al padre ma matura in uno strumento di seduzione consapevole. I suoi occhi si spalancarono in una preghiera silenziosa, le ciglia che sfarfallavano come ali di farfalla notturna, mentre le sue parole erano solo un velo sottile steso su desideri più profondi, più primordiali.

Dago colse quella nota nella sua voce – vulnerabilità e audacia sapientemente mescolate in un cocktail inebriante che gli annebbiava i sensi. Aprì il taccuino con dita che tradivano una leggera impazienza, scegliendo con cura un racconto già collaudato, saltando i preliminari per immergersi direttamente nel cuore pulsante della narrazione. La sua voce profonda iniziò a riempire l’abitacolo con un racconto di passione cruda. “‘Sentiva la sua lingua tracciare cerchi lenti sulla pelle sensibile, ogni tocco che la faceva tremare…’ Il corpo di Emma sussultava sotto quei tocchi esperti, la schiena che si inarcava cercando un contatto più profondo…” Dago alzò gli occhi dal foglio, studiando il modo in cui il respiro di Paola si faceva più corto. “‘…le sue cosce si aprirono di più, invitandolo a esplorare più a fondo… il suo sapore era come miele selvatico sulla lingua…'” Le parole sembravano materializzarsi nell’aria rarefatta dell’auto, ogni frase un invito carnale. “‘La sua lingua affondò più dentro, assaporando ogni goccia del suo piacere, mentre lei si contorceva, le dita affondate nei suoi capelli, implorando di non fermarsi…'” Gli occhi di Dago si alzavano continuamente dal foglio, catturando ogni fremito di Paola, la sua voce che si addensava deliberatamente sui passaggi più espliciti, trasformando ogni parola in una promessa di piacere.

Paola non riusciva a contenere l’irrequietezza che le serpeggiava sotto la pelle, ogni nervo del suo corpo teso in un’attesa elettrica. Prese la penna-regalo, trasformandola in una bacchetta magica di piacere tra le sue dita. Il suo corpo si mosse con languida deliberazione mentre sollevava lentamente la gonna, un centimetro alla volta, come una danzatrice che svela i suoi segreti al ritmo di una musica udibile solo a lei. Il suo sesso si rivelò come un fiore notturno, i petali già lucidi di rugiada proibita.

La voce di Dago vacillò, le parole che si addensavano sulla lingua come miele cristallizzato. I suoi occhi ora erano magneticamente attratti dalla vista ipnotica davanti a lui, le parole sul foglio che sfumavano in secondo piano. Tentò comunque di proseguire, ma il suo racconto si fondeva inestricabilmente con la scena che si dispiegava – le dita di lei che aprivano delicatamente i petali del suo fiore segreto, il germoglio del piacere che emergeva turgido sotto tocchi esperti, mentre l’altra mano liberava un seno dalla sua prigione di seta.

“Non fermarti,” sussurrò lei, la voce ora completamente trasformata in un soffio caldo di desiderio puro, notando che lui aveva praticamente smesso di leggere. Le sue parole erano un comando sussurrato che non ammetteva disobbedienza.

Le parole di Dago si frammentarono come cristalli di ghiaccio in un bicchiere di whisky, la sua voce che oscillava tra sussurri rochi e pause eloquenti mentre osservava la penna tracciare il suo percorso di piacere. Non stava più leggendo – stava componendo un nuovo racconto erotico in tempo reale, intrecciando frasi di passione con i gemiti di lei, la sua voce che si muoveva in perfetta sincronia con i movimenti del suo corpo, accelerando nei momenti di frenesia, rallentando nelle pause di dolce tortura.

Paola si abbandonò contro lo schienale, spingendo il bacino in avanti, la figa completamente esposta che brillava di umori. La penna scivolava dentro e fuori dalla sua apertura con un ritmo sempre più intenso, mentre la sua mano libera torturava il capezzolo turgido, tirandolo e pizzicandolo senza pietà. Dago non riusciva a staccare gli occhi da quella vista, il cazzo che pulsava dolorosamente nei pantaloni mentre guardava le labbra della figa di lei aprirsi e chiudersi attorno alla penna lucida dei suoi umori.

Le parole persero improvvisamente ogni significato. Dago si mosse verso di lei come attirato da una forza primordiale, la sua bocca che trovava il capezzolo turgido con precisione istintiva. “Finalmente,” il pensiero di Paola si materializzò in un gemito, mentre la sua mano si intrecciava nei capelli di lui, attirandolo più vicino, premendolo contro il seno come per fonderlo con la sua carne.

Le dita di lui scivolarono tra le sue cosce con studiata lentezza. Trovarono il clitoride gonfio e iniziarono una danza esperta, alternando pressioni e carezze mentre lei continuava a far scivolare la penna dentro di sé, i due ritmi che si fondevano in una sinfonia di piacere.

Paola lo spinse indietro, guidata da un’urgenza ancestrale. Nei racconti che lui scriveva, le donne sapevano come dare piacere con la bocca – e lei voleva essere all’altezza di quelle fantasie. Con dita febbrili, Paola gli aprì i pantaloni. Il cazzo di Dago emerse turgido, lo afferrò guardandolo. Quella carne gli dava delle sensazioni sconosciute, c’era qualcosa di magnetico nella sua forma, nel modo in cui pulsava davanti al suo viso, il suo odore. Lo accarezzò prima timidamente, poi con crescente sicurezza, sentendo il proprio desiderio amplificarsi ad ogni tocco. I video porno che aveva guardato nelle sue notti solitarie le avevano mostrato tecniche, movimenti, ma questo era diverso – primordiale, viscerale. Il sapore del suo membro sulla lingua, il precum, risvegliò qualcosa di selvaggio dentro di lei, un’urgenza che non aveva mai provato prima. Voleva divorarlo, piacere che nessun’altra gli aveva mai dato, ma si accorse che in realtà più lo succhiava, più lo spingeva a fondo nella sua bocca, più era lei a provare piacere. Il tutto accentuato dalla mano dell’uomo tra i suoi capelli, sulla sua testa, accompagnandola, ogni tanto forzandola.

“Questi spazi ristretti mi stanno soffocando,” la voce di Dago era roca di desiderio represso. Con un movimento fluido, scivolò fuori dall’auto e le aprì la portiera. La prese per mano, tirandola fuori con un’urgenza che non ammetteva esitazioni. Paola si lasciò guidare, il corpo vibrante di aspettativa mentre lui la conduceva davanti all’auto. La piegò delicatamente sul cofano ancora tiepido del motore, le sue mani che scivolavano lungo i fianchi, fermandosi sulle natiche che iniziò ad accarezzare con reverenza quasi religiosa.

Si inginocchiò dietro di lei, le mani che le separavano dolcemente le natiche. Il primo tocco della sua lingua tra le sue labbra la fece sussultare – un contatto elettrico che le strappò un gemito profondo dal petto. La sua lingua la esplorava con dedizione metodica, tracciando percorsi umidi dalla clitoride fino all’ano, dove si fermava a stuzzicare con tocchi delicati quella zona proibita che nessuno aveva mai osato esplorare.

Paola sentì un fiume di piacere colarle lungo le cosce mentre lui continuava la sua esplorazione senza pudore, le mani che le tenevano ferme le natiche mentre la sua lingua si spingeva sempre più in profondità dentro di lei. “Dio… non fermarti,” le parole le uscirono in un soffio spezzato, le dita che cercavano invano un appiglio sulla superficie liscia del cofano. L’aria fredda del bosco le accarezzava la pelle nuda, creando un contrasto eccitante con il calore della lingua di lui che continuava quella dolce tortura.

Quando il cazzo di Dago iniziò a penetrarla, Paola sentì ogni centimetro scivolare dentro con precisione devastante. Lo stesso membro che aveva esplorato con le mani, assaporato con la bocca, ora la riempiva completamente, risvegliando terminazioni nervose che non sapeva di possedere. “Lasciati andare,” sussurrò lui, la voce roca di desiderio contenuto.

Paola chiuse gli occhi, abbandonandosi a sensazioni che trascendevano la coscienza ordinaria. Il suo corpo registrava tutto con acuta precisione – il metallo tiepido contro la guancia, le mani di lui che le allargavano la scollatura liberando i seni che ora premevano contro il cofano, seguendo il ritmo delle spinte sempre più profonde. Si mosse contro di lui, i loro corpi che trovavano una sincronia primordiale. Quando lui aumentò il ritmo, lo sentì spingersi fino in fondo, il glande che le sfiorava la cervice provocandole sensazioni sconosciute, un piacere al limite del dolore che la fece gemere. “Non smettere, ti prego…” le parole le sfuggirono mentre l’orgasmo la attraversava come una scarica elettrica, facendole mordere le labbra per non gridare.

Dago rallentò, scivolando fuori da lei con una delicatezza che contrastava con l’urgenza di prima. La fece voltare sul cofano e, tenendola per le cosce, la tirò verso di sé. I loro sessi si trovarono come guidati da una memoria antica – il suo cazzo che scivolava dentro di lei in un unico movimento fluido, come se quel posto gli fosse sempre appartenuto. “Tu sei lei,” mormorò, “la donna che vive nelle mie storie. Sapevo che questo giorno sarebbe stato speciale.”

Riprese a muoversi, e in questa posizione Paola lo sentiva ancora più profondo, poteva vedere il suo viso contratto dal piacere, il suo corpo teso nello sforzo – una vista che la eccitava oltre ogni limite, facendola sentire potente e vulnerabile allo stesso tempo. I suoi seni oscillavano al ritmo delle spinte, ipnotici, mentre lui affondava in lei con precisione implacabile.

Paola gli avvolse le gambe attorno alla vita, le caviglie che si incrociavano dietro la sua schiena, come per ancorarlo a sé. Le sue braccia lo attirarono più vicino, i corpi che cercavano di fondersi oltre i limiti della fisica. Le loro bocche si trovarono in un bacio vorace, disordinato, mentre un secondo orgasmo la sorprendeva, più intenso del primo, facendola tremare mentre sentiva lui riempirla del suo piacere caldo.

Non riusciva a smettere di baciarlo – la bocca, il viso, ogni centimetro di pelle a sua disposizione. Non aveva mai osato tanto, non si era mai spinta così oltre i confini della propria zona di comfort, e lui l’aveva ricompensata con un piacere che andava oltre il puramente fisico – era una forma di liberazione, di rivelazione di sé stessa.

L’aria fredda del bosco si insinuò sotto i vestiti scomposti, provocandole brividi sulla pelle ancora calda di passione. “Torniamo in macchina?” mormorò lui, e Paola annuì, scivolando nel sedile posteriore. Lo osservò mentre aggiustava i pantaloni e raggiungeva l’altro lato dell’auto, i suoi movimenti che mantenevano quella grazia felina che l’aveva tanto colpita fin dal primo istante. Anche così, con i vestiti in disordine e i capelli arruffati, emanava un magnetismo che le faceva formicolare la pelle.

Nel piccolo spazio dell’abitacolo, l’intimità divenne improvvisamente più densa, quasi tangibile. Si guardarono, un velo sottile di imbarazzo che velava gli occhi di entrambi, come se la realtà di ciò che era appena successo li avesse colti di sorpresa.

“Devo confessarti una cosa.” La voce di Paola era poco più di un sussurro. Abbassò lo sguardo, le dita che giocavano nervosamente con l’orlo della gonna. “Quando ci siamo incontrati, quella scena con la gonna… non è stato un caso.” Fece una pausa, raccogliendo il coraggio. “Dal primo momento in cui ti ho visto, c’è stato qualcosa… qualcosa che non mi era mai successo prima. Ho voluto provocarti, attirarti.” Le parole uscirono in un flusso continuo, insieme alla storia di Lorenzo, dei suoi tradimenti, del tarlo che le aveva rosicchiato l’anima – il dubbio che fosse stata la sua inadeguatezza a spingerlo tra altre braccia.

Dago rimase in silenzio, uno di quei silenzi che accolgono senza giudicare. C’era qualcosa nel suo modo di ascoltare che scioglieva i nodi della vergogna, che rendeva sicuro confessare anche i pensieri più nascosti.

“Anch’io ho una confessione da fare,” disse infine, un sorriso che gli danzava negli occhi. “Il citofono di via Mameli… non ho davvero provato a suonare. Volevo solo un pretesto per invitarti a pranzo. C’era qualcosa in te…” Si interruppe, cercando le parole. “Qualcosa che andava oltre l’attrazione fisica. Ora so cosa fosse.”

La risata scoppiò spontanea tra loro, dissolvendo gli ultimi residui di imbarazzo. Era una risata di complicità, di riconoscimento reciproco – la risata di due persone che scoprono di aver orchestrato separatamente la stessa danza di seduzione.

Paola scivolò tra le sue braccia cercando la sua bocca, trovando un bacio che era allo stesso tempo dolce e carico di promesse non ancora mantenute. Ma prima che lui potesse svanire come un miraggio nel deserto della sua solitudine, aveva bisogno di sapere, di avere risposta a quei dubbi che ancora le mordevano l’anima.

Le sue dita tremanti cercarono i bottoni della camicia di Dago, ognuno un piccolo ostacolo tra lei e la verità che cercava. Quando finalmente sentì sotto le dita la sua pelle calda, vi premette il viso contro, respirando il suo odore – un misto di sesso e qualcosa di unicamente suo che le faceva girare la testa. Era più facile così, nascosta contro il suo petto, al riparo dal suo sguardo, mentre la domanda che le bruciava dentro scivolava fuori dalle sue labbra.

“Ho bisogno di saperlo,” sussurrò, le parole che vibravano contro la sua pelle. “Come è stato? Sono stata…” La voce le si spezzò. “Sono stata brava?”

La risata gentile di lui fu come una lama. “Questa di solito è una domanda che fanno i maschietti, no?”

Il dolore esplose improvviso, inaspettato. Le lacrime le riempirono gli occhi prima che potesse fermarle. “Forse nemmeno tu puoi capirmi… sei come Daria…” Un singhiozzo silenzioso le scosse il corpo, le lacrime che bagnavano la pelle di lui.

Dago la strinse più forte, le sue mani che tessevano percorsi di conforto tra i suoi capelli, lungo la schiena. Le sue labbra trovarono la sua fronte, le tempie, ogni bacio una promessa silenziosa di comprensione. C’era qualcosa di così perfetto in quell’abbraccio che Paola si sentì sciogliere, il dolore che si trasformava in gratitudine.

Le sue labbra cercarono la pelle di lui come in una preghiera silenziosa, tracciando un sentiero di piccoli baci sul suo petto. Si asciugò le lacrime con una mano che poi scivolò, con apparente casualità, sopra il suo cazzo ancora nascosto sotto i vestiti. Lo sentì reagire al suo tocco, e in quell’istante qualcosa dentro di lei si spezzò – l’ultimo frammento di controllo, l’ultima barriera di pudore che la separava dai suoi desideri più profondi. Con un gesto quasi febbrile, infilò la mano dentro i pantaloni, rivendicando nuovamente quel possesso che aveva appena scoperto di bramare.

Le sue dita lo accarezzarono con urgenza crescente, sentendolo indurirsi sotto il suo tocco come una conferma delle sue intenzioni più oscure. Si sporse verso il suo orecchio, la voce roca di un desiderio che non era più disposta a censurare: “Voglio che mi prendi come hai sempre sognato di fare,” sussurrò, le parole che emergevano direttamente dal suo nucleo più primitivo. “Voglio sentire cosa significa essere la donna delle tue storie, delle tue fantasie – quelle che non hai il coraggio di far leggere a nessuno. Fai di me quello che vuoi. Voglio essere la tua puttana, la tua regina, la schiava del tuo cazzo. Voglio che mi possieda in modi che non ho mai osato immaginare.”

La sua mano strinse appena più forte quella carne pulsante che ora desiderava ovunque, mentre si allungava di nuovo verso il suo orecchio. “Ti prego…” sussurrò, con lo stesso tono di supplica disperata che aveva usato quando aveva fermato la macchina nella radura – una preghiera che conteneva in sé tutte le sue paure trasformate in desiderio puro.

Nei sedili posteriori dell’auto, i loro corpi si cercarono con urgenza primordiale, adattandosi allo spazio angusto con una grazia nata dal desiderio. Si trovarono naturalmente in quella posizione antica che permetteva a entrambi di dare e ricevere piacere simultaneamente, le loro bocche che esploravano, assaggiavano, divoravano, in una danza sincronizzata di brama reciproca.

Lei aveva di nuovo il piacere di sperimentare le sensazioni che le dava giocare con le mani, la bocca e la lingua con il suo cazzo. La lingua di Dago tracciava percorsi sempre più audaci, spingendosi verso territori inesplorati. Ogni volta che si avvicinava al suo ano, Paola sentiva un fremito di paura mescolarsi all’eccitazione. “Non oserà…” pensava, ma ad ogni nuovo contatto il piacere cresceva, trasformando il proibito in desiderabile, l’impensabile in inevitabile.

“Vieni sopra di me,” la voce di lui era roca di desiderio mentre le sue mani la guidavano. Paola si mosse con grazia, puntando i piedi sui sedili per sollevarsi sopra di lui. Lo impugnò pronta a guidarlo dentro di lei. Le dita di lui le aprirono le labbra della figa, e la vista dei loro sessi così vicini le strappò un gemito di pura lussuria. Gocce di piacere scivolarono sulla cappella mentre lo puntava, lasciandosi poi cadere su di lui con abbandono totale.

Si mossero insieme, trovando un ritmo che sembrava scritto nel loro DNA. Paola si dove poteva per alzarsi e abbassarsi sul suo cazzo, persa in un piacere che era tutto suo. Il confronto con Lorenzo era inevitabile – con lui il sesso era stato sempre controllato, misurato, quasi coreografato. Questo era diverso: selvaggio, primordiale, liberatorio.

Le mani di Dago vagavano sul suo corpo, a volte guidandola, più spesso semplicemente adorando ogni centimetro della sua pelle. Poi, quando il piacere stava per travolgerla, quelle stesse mani la fermarono. Lo sentì scivolare fuori, e prima che potesse protestare, il suo cazzo premeva contro il suo ano con delicata insistenza.

“No…” sussurrò, ma il suo corpo già si apriva a questa nuova invasione. Il dolore iniziale fu acuto ma breve, trasformandosi in una sensazione di pienezza che non aveva mai provato.

Respira,” mormorò lui, “Rilassati,” sussurrò lui mentre spingeva più a fondo, il suo cazzo che si faceva strada dentro il suo culo centimetro dopo centimetro. Il dolore iniziale si trasformò in una sensazione di pienezza quasi insopportabile quando lui fu completamente dentro di lei. Le sue mani la guidavano su e giù, ogni movimento più fluido del precedente, mentre i suoi gemiti riempivano l’abitacolo.

“Toccati,” ordinò con voce roca, “fammi vedere come ti fai godere mentre ti scopo il culo.” Le sue dita trovarono il clitoride quasi per istinto, e il piacere esplose dentro di lei come un’onda devastante. Il suo corpo tremava incontrollato mentre l’orgasmo la attraversava, più intenso di qualsiasi cosa avesse mai provato.

La fece scivolare via dal suo cazzo ancora duro e la prese per i capelli con gentile fermezza. “Devi imparare a gustarti tutti i piaceri del sesso,” mormorò, guidando il suo viso verso il suo membro ancora lucido dei loro umori mescolati.

Paola si sentì improvvisamente sdoppiata, come se osservasse la scena da fuori. Una parte di lei – quella che era stata la fidanzata perfetta di Lorenzo – la giudicava spietatamente: una troia, una puttana che si lasciava scopare il culo e succhiava un cazzo appena uscito da lì. Ma il suo corpo vibrava di un piacere che annullava ogni giudizio, ogni limite. Con Lorenzo non aveva mai osato tanto, non si era mai permessa di essere così sporca, così libera. Non aveva mai provato questo bisogno viscerale di sentire un cazzo in bocca, di assaggiare il sapore proibito del suo stesso piacere mescolato a quello di lui.

La sua mente razionale continuava a urlare “No!”, ma le sue labbra si aprirono con avidità, accogliendo quel cazzo che l’aveva appena posseduta in modi che non aveva mai osato immaginare. E mentre lo succhiava con devozione quasi religiosa, sentiva crescere dentro di sé una nuova consapevolezza: questa era lei, questa era la sua vera natura che emergeva finalmente da sotto anni di repressione e giudizi.

Inginocchiata sul sedile posteriore, Paola si abbandonava a una danza antica come il desiderio stesso. La mano di Dago tra i suoi capelli non era più una guida ma un comando, un controllo totale che le impediva di sfuggire al proprio piacere. Il suo cazzo le riempiva la bocca con un ritmo implacabile, costringendola ad adattarsi alla sua volontà, a prendere tutto ciò che lui voleva darle.

L’altra mano di lui aveva trovato la strada sotto di lei, le dita che alternavano carezze esperte sul clitoride a penetrazioni improvvise che la facevano gemere con la bocca piena. Era intrappolata tra due fonti di piacere – la sua bocca usata come un giocattolo di carne, e quelle dita che la portavano sempre più vicino all’orlo del baratro.

Sentì la cappella pulsare contro la lingua, il segno inconfondibile dell’orgasmo imminente. Per un istante, l’istinto appreso con Lorenzo cercò di farle allontanare il viso, ma la presa di Dago si fece più salda, tenendola ferma mentre il primo getto caldo le inondava la bocca. La sensazione di essere usata, posseduta, di non avere scelta se non accettare il suo piacere, unita alle dita che continuavano la loro tortura deliziosa sul suo sesso, fu troppo. L’orgasmo la travolse con una violenza inaspettata – un piacere nuovo, più profondo, che nasceva tanto dalla sottomissione quanto dalla stimolazione fisica.

Con la bocca ancora piena del sapore di lui, il corpo scosso da brividi di piacere che sembravano non voler finire, Paola realizzò che aveva appena varcato una soglia da cui non sarebbe più tornata indietro. realizzò con un sorriso, voleva farlo.

Dago era abbandonato contro il sedile, il respiro ancora irregolare, il corpo attraversato dagli ultimi fremiti di piacere. La sua mano vagava pigramente sul culo di Paola, tracciando cerchi ipnotici sulla pelle sensibile, come se non potesse smettere di toccarla nemmeno nell’esaurimento post-orgasmico. I suoi occhi erano chiusi, ma un sorriso gli incurvava le labbra mentre assaporava il ricordo di ciò che era appena accaduto. Mai, in tutti i suoi racconti più audaci, aveva immaginato un’esperienza simile – la realtà aveva superato ogni sua fantasia. Sollevò la testa, cercando lo sguardo di lei.

Paola lo osservava dalla sua posizione privilegiata, la testa appoggiata sulle sue cosce, il viso vicino al suo cazzo che continuava a contrarsi debolmente. L’odore del loro sesso permeava l’abitacolo – un profumo intenso, primordiale, che le faceva girare la testa. Respirò profondamente, inebriandosi di quell’aroma che parlava di piaceri appena scoperti, di barriere infrante, di possibilità ancora inesplorate. Ogni volta che la mano di lui rallentava le carezze sul suo sedere, lei ondeggiava i fianchi come una gattina in cerca di attenzioni, un movimento istintivo che la sorprendeva e la eccitava allo stesso tempo. Con Lorenzo, dopo due orgasmi era sempre stata sazia, appagata, pronta al sonno post-coitale. Ma ora… ora ogni cellula del suo corpo gridava per avere di più, molto di più. I loro sguardi si incontrarono, riconoscendo reciprocamente quella fame non ancora placata.

L’aria nell’abitacolo si era fatta fredda, ma lei sentiva solo il calore che le bruciava dentro – un fuoco nuovo, liberatorio. Si accorse di star sorridendo mentre realizzava che non le importava più dei giudizi, delle etichette. Se essere una puttana significava questa libertà di esplorare ogni sfumatura del piacere, allora voleva essere la più puttana delle donne.

“Vieni a casa mia,” sussurrò con quella voce da bambina che sa come ottenere ciò che vuole, ma ora carica di una sensualità esplicita che non lasciava spazio a fraintendimenti. “Voglio che mi scopi tutta la notte. Voglio che mi usi in ogni modo che hai sempre sognato. Tutte quelle cose che scrivi nei tuoi racconti più oscuri… voglio viverle. Voglio essere la tua puttana personale, la tua musa, la tua schiava. E non accetto un no come risposta.”

Le sue labbra trovarono di nuovo il suo cazzo, non più per dargli piacere ma in una serie di baci leggeri, quasi devozionali. La sua lingua lo sfiorò delicatamente, come assaggiando un frutto proibito, e fu ricompensata da un sussulto di vita rinnovata. “Ho appena iniziato a capire chi sono veramente,” mormorò contro la sua carne pulsante, “e ho bisogno di te per esplorare fino in fondo questa nuova me stessa.”

La frase rimase sospesa mentre il cazzo di Dago rispondeva con un’inequivocabile e sincera erezione alla sua richiesta. Con un sorriso di trionfo, Paola lo fece scivolare nella sua bocca calda, avvolgendolo con le labbra carnose, mantenendo gli occhi fissi nei suoi mentre imparava il ritmo esatto, la pressione perfetta, la profondità ideale che lo facevano gemere di piacere. Come una professionista dell’arte del sesso orale, registrava ogni reazione, ogni sussulto, ogni gemito, perfezionando la sua tecnica con ogni movimento. La puttana che aveva sempre represso stava emergendo, e dio, quanto le piaceva questa nuova versione di sé.

Nel silenzio dell’abitacolo, mentre il buio avvolgeva l’auto come un mantello complice, divenne chiaro a entrambi che forse non sarebbero mai arrivati a casa sua – e a nessuno dei due importava.
scritto il
2025-03-03
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