Iced Tea

di
genere
etero

Nella notte, nel suo silenzio assopito, potevo persino udire il pigro colare del sudore, che mi disegnava sulla pelle liquide striature di sale.
Il respiro profondo – fin troppo profondo! – del mio compagno di letto, m’impediva di abbandonarmi al sonno, al pari del breve ronzio delle zanzare e del tormento interiore che mi portavo dietro da giorni.
Avevo scalciato il lenzuolo di lino bianco fino ai piedi del letto e con le dita allargate come pettini di legno, continuavo a tirar su la massa umida dei capelli, che mi s’incollavano al collo e alle guance come alghe brune.
Nei giorni più freschi dell’anno, li avevo lasciati pendere sul viso del mio amante, scotendoli lentamente per solleticargli la pelle non rasata.
Egli m’aveva infilato le dita tra le ciocche, scostandole per cercare il mio viso ridente in quella chioma che lui stesso aveva reso selvaggia con mille carezze, domandoli a volte con piglio deciso quando la mia bocca sul suo sesso si faceva troppo ingorda.
Fingendo uno spasmo nel calore della notte, aprii le labbra in un anello morbido, allargandole quanto basta per accogliere la visione di quel membro solido, che m’avrebbe colmato la bocca da padrone.
A volte, quando sono assorta in un simile sogno lascivo, non mi rendo conto di schiudere le labbra e sporgere la lingua, con una tale espressione da peccatrice che quando mi sveglio da quel sogno ad occhi aperti, mi guardo intorno per scorgere nello sguardo della gente se sono stata scoperta ed intesa.
E quando nel turbamento delle espressioni maschili, nel sudore che imperla la loro fronte, capisco d’esser stata notata, distolgo lo sguardo come mi è stato insegnato di fare, volgendolo verso il pavimento.
Ma in quell’istante, nella fioca luce lunare che filtrava tra le tapparelle, nessuno mi stava guardando, e sarebbe stato difficile distinguere l’invito della mia bocca da un sorso d’aria calda.
Non l’aria soffocante della camera da letto, bensì il calore che mi pulsava dentro con prepotente passione e mi rendeva umida di sudore in ogni piega del mio corpo, inzuppando la sottoveste nera che utilizzavo nelle sere più calde al posto della camicia da notte.
Nei miei repentini spostamenti, insofferente verso ogni posizione presa tra le lenzuola, la sottoveste mi si era arrotolata sui fianchi, e la fragranza della mia eccitazione, sprigionandosi dal cotone ormai fradicio delle mutandine, mi raggiunse le narici.
Mi abbandonai supina sul letto, divaricando lentamente le ginocchia, e altrettanto lentamente scivolai con il palmo sulla coscia sudata fino a raggiungere l’elastico dell’indumento tentatore, infilando al suo interno un dito, in ricognizione.
I riccioli del pube erano soffici per l’umidità e il polpastrello scivolava morbido immergendosi nella sua destinazione finale.
Intinsi nella polla dei miei umori, una...due volte. Poi, golosamente, portai il dito alle narici, per respirare il mio stesso desiderio. Dopo di che infilai l’indice tra le labbra e lo ciucciai come una bimba, voluttuosamente, immaginando di succhiare il dito del mio amante, più grande e sfacciato.
L’avrei succhiato guardandolo negli occhi, in attesa della scintilla che, lo sapevo, si sarebbe accesa a breve, avvertendomi che era giunto il momento di aprire il ventre alle sue spinte.
Succhiai fino a farmi male e delusa dal risveglio di un sogno, mi scostai la sottoveste dal seno ormai gonfio e dolente, per giocare con il capezzolo indurito.
Il sogno riprese, irresistibile, e mi dilettai nell’immaginare come la sua lingua avrebbe titillato il capezzolo, cospargendolo di saliva fino a farmi impazzire.
Divamparono violente le fiammate tra le cosce, ad invocare gelosamente la pressione delle mie dita, abili interpreti del suo tocco virile.
Con una mano, mi aggrappai al bordo del cuscino; l’altra scese ad infilarsi tra le mie labbra, abbassando appena le mutandine sui fianchi. Pigiai e stuzzicai la piccola escrescenza che mi pulsava tra le dita, sognando, immaginando e ricordando.
Eccolo su di me, ecco il suo dolce peso a schiacciarmi sul materasso, ecco che mi penetra con vigore, ecco che si spinge ancora dentro di me ed ecco che mi alza le gambe, se le poggia sulle spalle...e mi guarda, mi guarda, con quelle gemme che mi parlano di profondità marine, mi guarda e lo sento ansimare...
Tutto il mio corpo divenne bollente, man mano che le fantasie arrivavano al culmine e ricominciavano mai sazie, la pelle si sciolse in una miriade di goccioline arroventate mentre mi mordevo il labbro per trattenere i gemiti e stringevo con forza il cuscino, per tenermi incollata al letto e non volar via insieme alle mie visioni.
Nel contempo, cercavo di frenare i movimenti per non svegliare mio marito, lui non centrava nulla nel mio sogno, non era lui la fonte dei miei desideri.
In un crescendo di sensazioni divine, raggiunsi l’apice trattenendo a fatica il suo nome tra le labbra, che mi sfuggì in un impercettibile sibilo.
Affannata, nel clima torrido di quella stanza, mi girai pancia sotto sulle lenzuola fradice e tentai di recuperare ciò che restava della mia razionalità e sedarla, per scivolare nel sonno e continuare a stargli vicino con il pensiero.
La mano di mio marito mi carezzò la spalla, attirandomi verso il suo petto.
Il mio continuo rigirarmi nel letto l’aveva infine svegliato.
”Antò, fa caldo...” borbottai scrollandomi di dosso il suo palmo bollente.
Lo sentii alzarsi dal letto e ciabattare fino alla cucina.
Poi udii lo schiocco attutito del frigo, il gorgoglìo di un liquido e il tintinnare di un bicchiere di vetro.
Tornò con un bicchiere colmo di tè freddo e me lo porse, con un sorriso assonnato.
Sempre dannatamente troppo gentile.
Bevvi con ingordigia, lasciandomi colare il liquido ghiacciato sulla gola, rinfrescandomi la sottoveste con le gocce sfuggite alle mie labbra.
Mentre si coricava al mio fianco, pensai a tutto quell’amore che non sapevo ricambiare... amore che accettavo con indifferenza, come se mi fosse dovuto.
E pensai a tutto quell’amore sprecato, nei confronti di una persona che occupava i miei pensieri ed i miei sogni senza curarsene... una persona che non potevo avere.
Rabbrividii e mi coprii con il lenzuolo, tirandolo su fino al collo. Poi chiamai mio marito nel buio, sapendo bene che non si era ancora riaddormentato.
”Antò, fa freddo...”
scritto il
2010-04-03
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