Cronache di Anna III – Il risveglio della carne
di
Marcello Callisto
genere
etero
Fece finta di svegliarsi appena, le ciglia tremanti, la voce impastata. «Mi tiene ancora la mano…? Mi fa paura…» Lui strinse più forte, come a proteggerla. Ma il suo sguardo, ormai, non era più quello di un cavaliere. Era quello di un uomo che combatteva una guerra già persa. Guardava il suo corpo come un assetato guarda una sorgente proibita.
Le gambe, la curva dei fianchi, gli slip bagnati che disegnavano un sesso vivo, vibrante, che sembrava chiamarlo, invitarlo, sfidarlo. E Anna si stiracchiò ancora. Si allungò, innocente, e lasciò che una coscia sfiorasse il braccio di lui. Un contatto morbido, involontario solo per chi voleva credere alle favole. La sua pelle nuda contro il tessuto ruvido della camicia. Un soffio di calore, un fremito che bruciava.
Dentro, Anna pensava a quel cazzo normale. Immaginava come sarebbe stato averlo dentro. Normale, sì. Ma duro. Duro di bisogno, duro di disperazione. E quella durezza valeva più di qualunque perfezione. Non servivano addominali scolpiti, né occhi da attore. Bastava la fame. Bastava che la volesse come si vuole l’aria quando si annega.
Lui abbassò lo sguardo. Gli slip erano lì, tesi, imperlati da una macchia più scura nel centro. Una macchia che non lasciava spazio a dubbi. Lei era bagnata. E non dormiva. Non davvero. Anna si mosse, stiracchiandosi lentamente con lo sguardo impaurito. Poi si sollevò appena, stropicciandosi gli occhi, e sussurrò: «Mi scusi… non so cosa mi stia succedendo… mi sento così strana…» Le sue mani lo cercarono, piccole, esitanti, e senza dargli il tempo di reagire si strinse a lui, abbracciandolo piano, la testa appoggiata proprio lì, sulla pancia, vicina alla patta.
Lui rimase rigido, scioccato, sentiva il suo profumo: pelle calda, sapone, un sentore più dolce, più animale, che saliva su da sotto la gonna. Il cazzo pulsava sotto i jeans, poteva sentire il battito del suo stesso sangue martellare tra le gambe. «La prego…» mormorò Anna, stringendolo di più. «Solo un po’… solo un po’ così…» Come poteva dirle di no? Portò la mano destra a scendere lungo il suo corpo, a cercare un punto dove appoggiarsi. Le dita trovarono i glutei, la curva tesa sotto la stoffa leggera, e senza volerlo — o forse volendolo più di ogni altra cosa — scivolarono più giù, dove la carne si faceva più morbida, più viva. Con l’altra mano la cinse, goffo, impacciato, il braccio strusciò contro il fianco di lei, sfiorando il seno piccolo, sodo, vibrante.
Il cuore di Anna batteva lento e forte. Lui lo sentiva, vibrava contro il suo corpo come un tamburo nascosto sotto la pelle. E il suo cazzo premeva, duro, contro il viso nascosto di lei. Anna sorrise dentro di sé, si fece più piccola, più leggera, fingeva di respirare a fondo, come chi cerca conforto, ma ogni volta che prendeva fiato, lo faceva avvicinandosi un po’ di più alla sua patta, inspirava piano, assaporando l’odore acre della sua eccitazione che bucava il tessuto. “Senti com’è duro per me, pover’uomo”, pensava calda, soddisfatta.
Lui chiuse gli occhi. Non poteva credere a quello che stava succedendo. Non poteva credere che quella creatura fragile si stesse abbandonando a lui. La sua mano, quella sui glutei, scivolò ancora più giù. Ora toccava la stoffa degli slip, la curva calda tra le cosce. Anna tremò appena. Una finta esitazione. Ma il suo respiro gli arrivava addosso, caldo, bagnato. Poi, come se fosse naturale, si strinse ancora di più a lui. E la bocca, ormai, sfiorava il rigonfiamento sotto i jeans.
Lui sentiva tutto. Il calore, il battito, la disperazione del cazzo che vibrava sotto il tessuto, pronto a scoppiare. Pensava solo: Dio, non posso… Dio, la voglio… Anna, nascosta nel suo abbraccio, pensava: Voglio sentirti cedere. Voglio sentirti sparire. Inspirò ancora, più forte, più vicino. E il cazzo di lui sobbalzò, come se avesse sentito il richiamo. Anna si mosse ancora, lenta, come chi cerca sonno, ma tutt’altro cercava. Solo un soffio, solo un tessuto li separava.
Un altro piccolo respiro profondo, un altro strusciare della guancia contro il cazzo duro. Lui gemette piano, un suono sporco, rotto, che gli sfuggì dalla gola senza volerlo. Il cazzo sussultò più violento. Bastò quel fremito per strappare un sorriso segreto al cuore di Anna. La gamba piegata lasciava la figa in piena vista, tesa, bagnata, viva. La stoffa degli slip si era aggrappata alla carne, scavandone le pieghe, mostrando il sesso palpitante come una bocca affamata.
Lui la guardava. Vedeva la curva perfetta del culo, vedeva la piega gonfia sotto la stoffa, il riflesso umido che tradiva ogni finta innocenza. E la bocca di lei… La bocca sfiorava il suo cazzo come una preghiera sporca. Come se respirasse contro di lui. Come se volesse succhiargli via l’anima attraverso il tessuto. Il suo cuore martellava, il cazzo sembrava voler spaccare i jeans.
Anna inspirò ancora più forte, il naso affondò contro la patta. Lui tremò. Sudore colava lungo la schiena. Non poteva più resistere. Non voleva più resistere. La sua mano scivolò giù, lenta, sfiorò la vita di lei, il fianco, il culo, si posò sul bordo degli slip, un tremito, poi scivolò sotto. Trovò la carne viva, bagnata. Anna fremette appena. Un fremito piccolo, involontario, finto.
Continuava a respirare contro di lui, cullandosi sulla sua erezione. Ogni movimento faceva scorrere la figa sul dito, succhiandolo, bagnandolo. E ogni piccolo colpo faceva premere di più la bocca contro il cazzo. Lui pensava solo: La sto toccando. È bagnata. È mia. Anna, dietro gli occhi chiusi, sorrideva: Sentilo come trema. Sentilo come mi vuole. Ancora un po’, pover’uomo. Ancora un respiro.
La mano di lui affondava tra le cosce, spingeva sotto gli slip, trovava la carne viva che lo chiamava. Ma proprio mentre il polpastrello sfiorava il cuore bagnato di lei, Anna si mosse. Un sussulto. Un fremito. Come se si svegliasse di colpo. «No… ti prego…» sussurrò, sollevando il viso, gli occhi lucidi, pieni di finta paura. La voce spezzata, tremante. Si scostò appena, ma senza liberarsi davvero. Rimase lì, contro di lui, la figa ancora esposta.
Lui rimase immobile, paralizzato. «Non dovremmo… è sbagliato…» mormorò Anna, abbassando lo sguardo come una bambina sorpresa. Ma i suoi fianchi si mossero appena. Una carezza lenta contro la sua mano. Una strusciata sporca contro il cazzo. Lui trattenne il fiato. Il cazzo sobbalzava.
Anna tremò ancora. «Va bene… ma… non farmi male, ti prego…» Quel “ti prego” gli spezzò la testa. Non era una supplica. Era veleno. Era una catena. La mano scivolò sotto gli slip. Affondò nella figa bagnata. Il dito scivolò dentro. Caldo. Umido. Vivo.
Anna gemette, un suono spezzato contro la patta. Si mosse, si strusciò contro il dito. Ogni movimento bagnava di più. Ogni piccolo colpo strusciava la bocca contro il cazzo. Lui non pensava più. Sentiva solo il calore della carne. Sentiva il respiro caldo di lei. Il cazzo vibrava. Anna abbassò il viso, affondò il naso nella piega tra il cazzo e la coscia. Inspirò forte. Sporco. Disperato.
Era la fine. Lui gemette, spezzato. Il cazzo prese a pulsare. Un colpo. Due. Tre. E poi esplose. Un’ondata calda, violenta, irrefrenabile. Il seme inondò i jeans, colò lungo la gamba. Lui ansimava, tremando, con la mano ancora affondata tra le cosce di lei.
Le gambe, la curva dei fianchi, gli slip bagnati che disegnavano un sesso vivo, vibrante, che sembrava chiamarlo, invitarlo, sfidarlo. E Anna si stiracchiò ancora. Si allungò, innocente, e lasciò che una coscia sfiorasse il braccio di lui. Un contatto morbido, involontario solo per chi voleva credere alle favole. La sua pelle nuda contro il tessuto ruvido della camicia. Un soffio di calore, un fremito che bruciava.
Dentro, Anna pensava a quel cazzo normale. Immaginava come sarebbe stato averlo dentro. Normale, sì. Ma duro. Duro di bisogno, duro di disperazione. E quella durezza valeva più di qualunque perfezione. Non servivano addominali scolpiti, né occhi da attore. Bastava la fame. Bastava che la volesse come si vuole l’aria quando si annega.
Lui abbassò lo sguardo. Gli slip erano lì, tesi, imperlati da una macchia più scura nel centro. Una macchia che non lasciava spazio a dubbi. Lei era bagnata. E non dormiva. Non davvero. Anna si mosse, stiracchiandosi lentamente con lo sguardo impaurito. Poi si sollevò appena, stropicciandosi gli occhi, e sussurrò: «Mi scusi… non so cosa mi stia succedendo… mi sento così strana…» Le sue mani lo cercarono, piccole, esitanti, e senza dargli il tempo di reagire si strinse a lui, abbracciandolo piano, la testa appoggiata proprio lì, sulla pancia, vicina alla patta.
Lui rimase rigido, scioccato, sentiva il suo profumo: pelle calda, sapone, un sentore più dolce, più animale, che saliva su da sotto la gonna. Il cazzo pulsava sotto i jeans, poteva sentire il battito del suo stesso sangue martellare tra le gambe. «La prego…» mormorò Anna, stringendolo di più. «Solo un po’… solo un po’ così…» Come poteva dirle di no? Portò la mano destra a scendere lungo il suo corpo, a cercare un punto dove appoggiarsi. Le dita trovarono i glutei, la curva tesa sotto la stoffa leggera, e senza volerlo — o forse volendolo più di ogni altra cosa — scivolarono più giù, dove la carne si faceva più morbida, più viva. Con l’altra mano la cinse, goffo, impacciato, il braccio strusciò contro il fianco di lei, sfiorando il seno piccolo, sodo, vibrante.
Il cuore di Anna batteva lento e forte. Lui lo sentiva, vibrava contro il suo corpo come un tamburo nascosto sotto la pelle. E il suo cazzo premeva, duro, contro il viso nascosto di lei. Anna sorrise dentro di sé, si fece più piccola, più leggera, fingeva di respirare a fondo, come chi cerca conforto, ma ogni volta che prendeva fiato, lo faceva avvicinandosi un po’ di più alla sua patta, inspirava piano, assaporando l’odore acre della sua eccitazione che bucava il tessuto. “Senti com’è duro per me, pover’uomo”, pensava calda, soddisfatta.
Lui chiuse gli occhi. Non poteva credere a quello che stava succedendo. Non poteva credere che quella creatura fragile si stesse abbandonando a lui. La sua mano, quella sui glutei, scivolò ancora più giù. Ora toccava la stoffa degli slip, la curva calda tra le cosce. Anna tremò appena. Una finta esitazione. Ma il suo respiro gli arrivava addosso, caldo, bagnato. Poi, come se fosse naturale, si strinse ancora di più a lui. E la bocca, ormai, sfiorava il rigonfiamento sotto i jeans.
Lui sentiva tutto. Il calore, il battito, la disperazione del cazzo che vibrava sotto il tessuto, pronto a scoppiare. Pensava solo: Dio, non posso… Dio, la voglio… Anna, nascosta nel suo abbraccio, pensava: Voglio sentirti cedere. Voglio sentirti sparire. Inspirò ancora, più forte, più vicino. E il cazzo di lui sobbalzò, come se avesse sentito il richiamo. Anna si mosse ancora, lenta, come chi cerca sonno, ma tutt’altro cercava. Solo un soffio, solo un tessuto li separava.
Un altro piccolo respiro profondo, un altro strusciare della guancia contro il cazzo duro. Lui gemette piano, un suono sporco, rotto, che gli sfuggì dalla gola senza volerlo. Il cazzo sussultò più violento. Bastò quel fremito per strappare un sorriso segreto al cuore di Anna. La gamba piegata lasciava la figa in piena vista, tesa, bagnata, viva. La stoffa degli slip si era aggrappata alla carne, scavandone le pieghe, mostrando il sesso palpitante come una bocca affamata.
Lui la guardava. Vedeva la curva perfetta del culo, vedeva la piega gonfia sotto la stoffa, il riflesso umido che tradiva ogni finta innocenza. E la bocca di lei… La bocca sfiorava il suo cazzo come una preghiera sporca. Come se respirasse contro di lui. Come se volesse succhiargli via l’anima attraverso il tessuto. Il suo cuore martellava, il cazzo sembrava voler spaccare i jeans.
Anna inspirò ancora più forte, il naso affondò contro la patta. Lui tremò. Sudore colava lungo la schiena. Non poteva più resistere. Non voleva più resistere. La sua mano scivolò giù, lenta, sfiorò la vita di lei, il fianco, il culo, si posò sul bordo degli slip, un tremito, poi scivolò sotto. Trovò la carne viva, bagnata. Anna fremette appena. Un fremito piccolo, involontario, finto.
Continuava a respirare contro di lui, cullandosi sulla sua erezione. Ogni movimento faceva scorrere la figa sul dito, succhiandolo, bagnandolo. E ogni piccolo colpo faceva premere di più la bocca contro il cazzo. Lui pensava solo: La sto toccando. È bagnata. È mia. Anna, dietro gli occhi chiusi, sorrideva: Sentilo come trema. Sentilo come mi vuole. Ancora un po’, pover’uomo. Ancora un respiro.
La mano di lui affondava tra le cosce, spingeva sotto gli slip, trovava la carne viva che lo chiamava. Ma proprio mentre il polpastrello sfiorava il cuore bagnato di lei, Anna si mosse. Un sussulto. Un fremito. Come se si svegliasse di colpo. «No… ti prego…» sussurrò, sollevando il viso, gli occhi lucidi, pieni di finta paura. La voce spezzata, tremante. Si scostò appena, ma senza liberarsi davvero. Rimase lì, contro di lui, la figa ancora esposta.
Lui rimase immobile, paralizzato. «Non dovremmo… è sbagliato…» mormorò Anna, abbassando lo sguardo come una bambina sorpresa. Ma i suoi fianchi si mossero appena. Una carezza lenta contro la sua mano. Una strusciata sporca contro il cazzo. Lui trattenne il fiato. Il cazzo sobbalzava.
Anna tremò ancora. «Va bene… ma… non farmi male, ti prego…» Quel “ti prego” gli spezzò la testa. Non era una supplica. Era veleno. Era una catena. La mano scivolò sotto gli slip. Affondò nella figa bagnata. Il dito scivolò dentro. Caldo. Umido. Vivo.
Anna gemette, un suono spezzato contro la patta. Si mosse, si strusciò contro il dito. Ogni movimento bagnava di più. Ogni piccolo colpo strusciava la bocca contro il cazzo. Lui non pensava più. Sentiva solo il calore della carne. Sentiva il respiro caldo di lei. Il cazzo vibrava. Anna abbassò il viso, affondò il naso nella piega tra il cazzo e la coscia. Inspirò forte. Sporco. Disperato.
Era la fine. Lui gemette, spezzato. Il cazzo prese a pulsare. Un colpo. Due. Tre. E poi esplose. Un’ondata calda, violenta, irrefrenabile. Il seme inondò i jeans, colò lungo la gamba. Lui ansimava, tremando, con la mano ancora affondata tra le cosce di lei.
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