L'incontro con la Musa-Parte I
di
Contessa
genere
feticismo
Non mi era mai successo prima d’ora, le mie labbra sono ancora bagnate della mia stessa bava ed ora che mi guardo allo specchio, mi sento peggio. Ho sete, una sete implacabile ma l’acqua sarebbe inutile per appagare questo bisogno, non so nemmeno io cosa mi sta succedendo eppure quella visione non riesce a quietare la mia mente. Faccio quattro passi dirigendomi in salotto per sprofondare nella vecchia poltrona di velluto verde, inclino la testa da un lato per massaggiarmi la fronte e poi in un attimo mi trovo con gli occhi chiusi per rivivere la scena che mi aveva fatto tremare il cuore.
Dopo una settimana di vacanza in Sicilia, sceso dal treno, mi ero diretto quasi di corsa a casa, un monolocale situato nel pittoresco condominio in Via dei Gigli. Il mio sogno inizia proprio in quella stradina. I miei occhi, non so per quale motivo, si erano impuntati a fissare a terra, miravano il cemento grigio fino a che una punta laccata di rosso, aveva schiacciato via quella monocromatica monotonia regalando un guizzo di vitalità al panorama che mi si prospettava davanti. A pochi metri da quella figura tentatrice, riuscivo a distinguere perfettamente le linee delle falangi che prepotentemente si distanziavano dalla lucida e stretta tomaia, nascondendo così le unghie. Le pupille curiose si erano arrampicate a quella pelle diafana e per ogni centimetro percorso, l’aria veniva a mancare facendomi boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. Durante quel percorso di piacere, cadevo in ogni giuntura, scoprendo particolari che prima di allora mai avevano attratto la mia sessualità. Il collo alto del piede mi parlava di lei, più dei suoi occhi, stuzzicavano la mia fantasia e la voglia di conoscere quella ninfa venuta apposta per dannare i miei giorni. La posizione delle sue gambe fasciate da dei fuseaux neri, mostravano la tensione dei nervi accumulata nel malleolo laterale che sporgeva dalla stoffa elasticizzata, esse erano drittissime esaltate dal tacco a spillo leggermente usurato. I polpacci accennati erano una montagna russa che conducevano al viale del suo culo perfetto che di sicuro aveva un’entrata accogliente. All’improvviso lei si gira e finalmente riuscivo a guardarla in viso, per la prima volta mi accorsi di non essere degno di vivere in questo mondo e condividere l’ossigeno con quest’essere femmineo di tale bellezza. Tornai a fissare a terra ma in quel breve istante ero riuscito a memorizzare i suoi divini tratti, i suoi occhi azzurri soprattutto. I capelli lunghi le accarezzavano i seni stretti in una canotta in pizzo bianco e le sopracciglia ad ali di gabbiano, scurissime, donavano al suo faccino ovale un’aurea di fascino tenebroso, le labbra invece erano irregolari, più grandi sopra e sottili sotto, carnose e dipinte di vermiglio. A quel punto mi feci coraggio, dopotutto non potevo restare lì impalato a contemplarla, quindi strinsi i pugni e mi allungai a passo svelto nel grande ingresso con le pavimentazioni di marmo, per prendere l’ascensore, lì, finalmente ripresi il controllo. Quell’eccitante colpo di fulmine, però, non si era accontentato di una toccata e fuga e continuava a martoriare il mio cervello con un nuovo rendez -vous combinato dal destino, perché dopo qualche ora, rinvigorito da una doccia tonificante, trovatomi ad aprire la serranda della finestra, i miei occhi furono di nuovo rapiti da una forza incontrollata. Realizzai dentro di me d’esser stato graziato, quella donna era una moderna Afrodite ed io avevo avuto la fortuna di averla come vicina di casa. Le sue gambe erano incrociate mentre fissava l’orizzonte alla sua destra, il suo sguardo si perdeva tra le nuvole ed io approfittando delle sue palpebre socchiuse allargai le mie per guardarla meglio. Stava fumando, succhiava quella sigaretta con veemenza, incenerendola con ingordigia tra uno sputo di fumo e l’altro, la mia mano all’improvviso era scesa verso il basso, attratta dalla forza di gravità, non potevo far a meno di strusciare il palmo contro la patta dei pantaloni che stava scoppiando, in ogni caso tenevo a bada i miei bollori, cercando di immaginare il suo profumo sino a che la jeune femme cambia mira e punta dritto verso di me con uno strano sorriso in volto. Ebbi un sussulto e mi scostai dal vetro appannato dal mio respiro con una strana sensazione che mi scosse persino le ossa.
Tremai di nuovo a distanza di ore, la lingua stava solleticando il palato per risvegliare l’intero organismo, il quale, si era abbandonato a visioni oniriche. Riprendo coscienza, capendo che mi ero negato da troppo il piacere di una liberatoria pugnetta. Sbottono velocemente i jeans tirando fuori dai boxer il cazzo ormai in piena erezione e con gli occhi chiusi tornai alla mia amata Musa immaginando i particolari che mi aveva negato con crudeltà e accarezzandomi la cappella mi accorsi che già lacrimavo di sperma. Dio, volevo tanto scoprire l’origine di quei piedi fatati, magari erano alla greca, col dito medio più lungo dell’alluce o forse le dita erano di pari lunghezza, schiacciate, con le unghie smaltate del colore che predominava la sua immagine. Ulteriori flash venivano in soccorso per inebriare i miei sensi, pensavo all’utilizzo di quella struttura anatomica come strumento di misura, si volevo farmi ‘’misurare’’ la faccia, annegare nel suo sudore femminile appena scalza. La mia mano era incontrollabile, smanettavo veloce strozzando quel manganello tanto da farlo diventare violaceo, cercavo di far durare quanto più il piacere ma anche lui, ormai, si era ribellato schizzando copiosamente sul tappeto damascato di fronte a me.
Con il volto soddisfatto, le mani sporche di fluido bianco e appiccicaticcio, feci una scoperta che mi cambiò la vita, io non ero padrone di nulla, nemmeno del mio corpo.
Dopo una settimana di vacanza in Sicilia, sceso dal treno, mi ero diretto quasi di corsa a casa, un monolocale situato nel pittoresco condominio in Via dei Gigli. Il mio sogno inizia proprio in quella stradina. I miei occhi, non so per quale motivo, si erano impuntati a fissare a terra, miravano il cemento grigio fino a che una punta laccata di rosso, aveva schiacciato via quella monocromatica monotonia regalando un guizzo di vitalità al panorama che mi si prospettava davanti. A pochi metri da quella figura tentatrice, riuscivo a distinguere perfettamente le linee delle falangi che prepotentemente si distanziavano dalla lucida e stretta tomaia, nascondendo così le unghie. Le pupille curiose si erano arrampicate a quella pelle diafana e per ogni centimetro percorso, l’aria veniva a mancare facendomi boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. Durante quel percorso di piacere, cadevo in ogni giuntura, scoprendo particolari che prima di allora mai avevano attratto la mia sessualità. Il collo alto del piede mi parlava di lei, più dei suoi occhi, stuzzicavano la mia fantasia e la voglia di conoscere quella ninfa venuta apposta per dannare i miei giorni. La posizione delle sue gambe fasciate da dei fuseaux neri, mostravano la tensione dei nervi accumulata nel malleolo laterale che sporgeva dalla stoffa elasticizzata, esse erano drittissime esaltate dal tacco a spillo leggermente usurato. I polpacci accennati erano una montagna russa che conducevano al viale del suo culo perfetto che di sicuro aveva un’entrata accogliente. All’improvviso lei si gira e finalmente riuscivo a guardarla in viso, per la prima volta mi accorsi di non essere degno di vivere in questo mondo e condividere l’ossigeno con quest’essere femmineo di tale bellezza. Tornai a fissare a terra ma in quel breve istante ero riuscito a memorizzare i suoi divini tratti, i suoi occhi azzurri soprattutto. I capelli lunghi le accarezzavano i seni stretti in una canotta in pizzo bianco e le sopracciglia ad ali di gabbiano, scurissime, donavano al suo faccino ovale un’aurea di fascino tenebroso, le labbra invece erano irregolari, più grandi sopra e sottili sotto, carnose e dipinte di vermiglio. A quel punto mi feci coraggio, dopotutto non potevo restare lì impalato a contemplarla, quindi strinsi i pugni e mi allungai a passo svelto nel grande ingresso con le pavimentazioni di marmo, per prendere l’ascensore, lì, finalmente ripresi il controllo. Quell’eccitante colpo di fulmine, però, non si era accontentato di una toccata e fuga e continuava a martoriare il mio cervello con un nuovo rendez -vous combinato dal destino, perché dopo qualche ora, rinvigorito da una doccia tonificante, trovatomi ad aprire la serranda della finestra, i miei occhi furono di nuovo rapiti da una forza incontrollata. Realizzai dentro di me d’esser stato graziato, quella donna era una moderna Afrodite ed io avevo avuto la fortuna di averla come vicina di casa. Le sue gambe erano incrociate mentre fissava l’orizzonte alla sua destra, il suo sguardo si perdeva tra le nuvole ed io approfittando delle sue palpebre socchiuse allargai le mie per guardarla meglio. Stava fumando, succhiava quella sigaretta con veemenza, incenerendola con ingordigia tra uno sputo di fumo e l’altro, la mia mano all’improvviso era scesa verso il basso, attratta dalla forza di gravità, non potevo far a meno di strusciare il palmo contro la patta dei pantaloni che stava scoppiando, in ogni caso tenevo a bada i miei bollori, cercando di immaginare il suo profumo sino a che la jeune femme cambia mira e punta dritto verso di me con uno strano sorriso in volto. Ebbi un sussulto e mi scostai dal vetro appannato dal mio respiro con una strana sensazione che mi scosse persino le ossa.
Tremai di nuovo a distanza di ore, la lingua stava solleticando il palato per risvegliare l’intero organismo, il quale, si era abbandonato a visioni oniriche. Riprendo coscienza, capendo che mi ero negato da troppo il piacere di una liberatoria pugnetta. Sbottono velocemente i jeans tirando fuori dai boxer il cazzo ormai in piena erezione e con gli occhi chiusi tornai alla mia amata Musa immaginando i particolari che mi aveva negato con crudeltà e accarezzandomi la cappella mi accorsi che già lacrimavo di sperma. Dio, volevo tanto scoprire l’origine di quei piedi fatati, magari erano alla greca, col dito medio più lungo dell’alluce o forse le dita erano di pari lunghezza, schiacciate, con le unghie smaltate del colore che predominava la sua immagine. Ulteriori flash venivano in soccorso per inebriare i miei sensi, pensavo all’utilizzo di quella struttura anatomica come strumento di misura, si volevo farmi ‘’misurare’’ la faccia, annegare nel suo sudore femminile appena scalza. La mia mano era incontrollabile, smanettavo veloce strozzando quel manganello tanto da farlo diventare violaceo, cercavo di far durare quanto più il piacere ma anche lui, ormai, si era ribellato schizzando copiosamente sul tappeto damascato di fronte a me.
Con il volto soddisfatto, le mani sporche di fluido bianco e appiccicaticcio, feci una scoperta che mi cambiò la vita, io non ero padrone di nulla, nemmeno del mio corpo.
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