Il viaggio di nozze (seguito di "Sottomessa per amore")
di
Gioia
genere
dominazione
Roberto ed Elena decisero di trascorrere i primi tre giorni del loro viaggio di nozze in un agriturismo molto raffinato in toscana. E portarono anche me. Non sapevo più neppure se fossi triste, tanto era immensa la mia tristezza: Roberto aveva sposato un’altra; Roberto amava un’altra e non me; Roberto non mi aveva scelta ed anzi mi usava come gioco sessuale con sua moglie. La cosa assurda era che ne ero ancora innamorata. Pazzamente. Cosa che acuiva il mio dolore, unendosi alle umiliazioni fisiche che entrambi mi facevano subire.
La loro stanza era bellissima: una suite piena di champagne, petali di rosa, arredata con marmo antico e mobili d’epoca. La vidi solo per un istante, il tempo di posare le valige di Elena che, ovviamente, Roberto aveva ordinato a me di portare su. Poi mi portarono nella mia “stanza”, ossia nella stalla; in alcuni gabbiotti riempiti di fieno che erano stati appositamente creati per le accompagnatrici e gli accompagnatori delle coppie importanti. Mi resi, quindi, conto che si trattava di un hotel molto particolare in cui Roberto era cliente abituale; un hotel che accoglieva coppie libidinose e porche, accompagnate da qualche schiavo consenziente.
Nella stalla conobbi Aldo, un ragazzo gay che accompagnava gli zii nei loro viaggi in cambio dei soldi che gli servivano per andare all’università.
Mi raccontò d’essere stato deflorato dallo zio quando aveva poco più di diciotto anni e che, dunque, da tre anni era diventato il gingillo della coppia, all’oscuro, ovviamente, dei genitori che sembravano molto felici del suo affiatamento con gli zii e della possibilità che questi gli davano di viaggiare e studiare.
Io gli raccontai la mia storia.
Eravamo tutti e due vestiti con una sorta di ruvida tunica di cotone grezzo, aperta davanti, e senza biancheria intima.
Ci venne da piangere e ci abbracciammo per darci coraggio.
Da cosa nasce cosa, si sa. Dall’abbraccio passammo alle carezze; dalle carezze a qualche bacio; dai baci ai toccamenti intimi e da questi ad una bella scopata. Scoprii, così, che Aldo non era affatto gay, bensì credeva d’esserlo per il solo fatto che lo zio, ancor prima che lui potesse andare con una donna, gliel’aveva schiaffato nel culo.
Fu una scopata meravigliosa. Molto dolce. Da tempo non provavo qualcosa di simile. Mi sentii in colpa, ovviamente: avevo tradito Roberto, che era comunque il mio amore; ma la solitudine di quei momenti era così profonda da non lasciare spazio neppure al pentimento.
Purtroppo, però, fummo scoperti dal guardiano delle stalle, che veniva ogni due o tre ore a vedere se avessimo bisogno di acqua o di cibo. Una tragedia! Furono chiamati sia i suoi zii che Roberto ed Elena. Vennero tutti e quattro nella stalla e ci separarono a forza. Quindi ci tolsero la tunica e ci costrinsero a ciucciare il cazzo di un cavallo che stava lì. Poco dopo ci costrinsero a prenderlo, quel cazzo. Non riuscimmo a prenderlo tutto, ovviamente; ma anche quel pezzetto che entrò ci fece urlare di dolore come non avevamo mai urlato in vita nostra. Sanguinammo copiosamente, ma la punizione non si fermò. Chiamarono i cani e ci fecero leccare le parti intime, quindi ci fecero scopare anche da loro. Infine, a turno, fummo costretti a leccare i cazzi e le fiche dei nostri quattro padroni, mentre gli altri due ci schiaffeggiavano ovunque. Passammo la notte legati con le pinze io sui capezzoli e sul clitoride e, lui, sulle palle. La mattina dopo eravamo stremati.
Gli zii di Aldo furono perfidi: mandarono lo stalliere a prelevarlo per portarlo su nella loro camera e lì, così mi raccontò la notte, quando venne nuovamente scaricato nella stalla, lo picchiarono a sangue e lo scoparono con qualsiasi oggetto trovassero nella stanza. Gli infilarono dentro persino il pomello del letto. Aveva il culo distrutto e mi fece una gran pena, tanto che, sfidando il fatto d’essere nuovamente scoperti, glielo leccai con dolcezza fino a che ebbe un’erezione e mi schiaffò l’uccello in bocca per darmi da assaporare la sua sbora calda.
A me andò meglio, invece. La mattina dopo la punizione, a pochi muniti da quando Aldo fu portato via, Elena venne a trovarmi nella stalla, dove rimasi tutto la breve vacanza, e mi portò la colazione; o, meglio, venne con il suo cappuccino ed il suo cornetto, ma me ne fece mangiare e bere un po’ dalla sua bocca; poi si tirò su la gonna, si allargò la fica e mi disse di leccarla per bene. La feci godere tanto e leccai tutto il suo umore. Mi disse che ero stata brava e mi accarezzò la testa finché lo stato di eccitazione non le passò. Quindi, si tirò nuovamente su la gonna e mi disse di bere il suo piscio senza far cadere nemmeno una goccia. Naturalmente obbedii, nonostante un senso di schifo mi pervadesse. In quel momento entrò Roberto e disse:;
“Bellissima patatina mia, avevi bisogno di scaricare la vescica, eh? Brava amore mio. Che fa la nostra puttanella, ciuccia bene?”
“Sì, è fantastica”
“Possiamo smettere di tenerla in punizione, allora?”
“Non lo so. Forse … direi che ci penserò su”
Entrambi risero di cuore e si allontanarono. Passò un altro interminabile giorno. La sera tornarono per portarmi da mangiare. Sempre dalla loro bocca, però. Il mio vero pasto, in realtà, l’avevo già consumato: una ciotola di acqua ed una ciotola di avena e latte, lasciate entrambe all’angolo della stalla, accanto alle bacinelle dove io ed Aldo potevamo urinare e defecare e che non venivano pulite se non una volta al giorno. Roberto, quindi, chiamò lo stalliere e gli disse che, siccome la mattina seguente saremmo tutti partiti, era il momento di ricevere la sua mancia. Mi diede a lui, dunque, fermandosi a guardare mentre mi scopava. Lo stalliere fu violento: mi schiaffeggiò tutto il tempo e non si preoccupò di bagnarmi il culo prima di sdrumarmi. Intanto Roberto ed Elena amoreggiavano con raffinata sensualità, fino a che non mi lasciarono allo stalliere per tornare nella loro stanza a fare l’amore.
La mattina dopo tornammo a Roma. Io per restarvi e loro per partire nuovamente; una crociera, questa volta. Da soli. Un vero viaggio di nozze. Piansi di gelosia.
La loro stanza era bellissima: una suite piena di champagne, petali di rosa, arredata con marmo antico e mobili d’epoca. La vidi solo per un istante, il tempo di posare le valige di Elena che, ovviamente, Roberto aveva ordinato a me di portare su. Poi mi portarono nella mia “stanza”, ossia nella stalla; in alcuni gabbiotti riempiti di fieno che erano stati appositamente creati per le accompagnatrici e gli accompagnatori delle coppie importanti. Mi resi, quindi, conto che si trattava di un hotel molto particolare in cui Roberto era cliente abituale; un hotel che accoglieva coppie libidinose e porche, accompagnate da qualche schiavo consenziente.
Nella stalla conobbi Aldo, un ragazzo gay che accompagnava gli zii nei loro viaggi in cambio dei soldi che gli servivano per andare all’università.
Mi raccontò d’essere stato deflorato dallo zio quando aveva poco più di diciotto anni e che, dunque, da tre anni era diventato il gingillo della coppia, all’oscuro, ovviamente, dei genitori che sembravano molto felici del suo affiatamento con gli zii e della possibilità che questi gli davano di viaggiare e studiare.
Io gli raccontai la mia storia.
Eravamo tutti e due vestiti con una sorta di ruvida tunica di cotone grezzo, aperta davanti, e senza biancheria intima.
Ci venne da piangere e ci abbracciammo per darci coraggio.
Da cosa nasce cosa, si sa. Dall’abbraccio passammo alle carezze; dalle carezze a qualche bacio; dai baci ai toccamenti intimi e da questi ad una bella scopata. Scoprii, così, che Aldo non era affatto gay, bensì credeva d’esserlo per il solo fatto che lo zio, ancor prima che lui potesse andare con una donna, gliel’aveva schiaffato nel culo.
Fu una scopata meravigliosa. Molto dolce. Da tempo non provavo qualcosa di simile. Mi sentii in colpa, ovviamente: avevo tradito Roberto, che era comunque il mio amore; ma la solitudine di quei momenti era così profonda da non lasciare spazio neppure al pentimento.
Purtroppo, però, fummo scoperti dal guardiano delle stalle, che veniva ogni due o tre ore a vedere se avessimo bisogno di acqua o di cibo. Una tragedia! Furono chiamati sia i suoi zii che Roberto ed Elena. Vennero tutti e quattro nella stalla e ci separarono a forza. Quindi ci tolsero la tunica e ci costrinsero a ciucciare il cazzo di un cavallo che stava lì. Poco dopo ci costrinsero a prenderlo, quel cazzo. Non riuscimmo a prenderlo tutto, ovviamente; ma anche quel pezzetto che entrò ci fece urlare di dolore come non avevamo mai urlato in vita nostra. Sanguinammo copiosamente, ma la punizione non si fermò. Chiamarono i cani e ci fecero leccare le parti intime, quindi ci fecero scopare anche da loro. Infine, a turno, fummo costretti a leccare i cazzi e le fiche dei nostri quattro padroni, mentre gli altri due ci schiaffeggiavano ovunque. Passammo la notte legati con le pinze io sui capezzoli e sul clitoride e, lui, sulle palle. La mattina dopo eravamo stremati.
Gli zii di Aldo furono perfidi: mandarono lo stalliere a prelevarlo per portarlo su nella loro camera e lì, così mi raccontò la notte, quando venne nuovamente scaricato nella stalla, lo picchiarono a sangue e lo scoparono con qualsiasi oggetto trovassero nella stanza. Gli infilarono dentro persino il pomello del letto. Aveva il culo distrutto e mi fece una gran pena, tanto che, sfidando il fatto d’essere nuovamente scoperti, glielo leccai con dolcezza fino a che ebbe un’erezione e mi schiaffò l’uccello in bocca per darmi da assaporare la sua sbora calda.
A me andò meglio, invece. La mattina dopo la punizione, a pochi muniti da quando Aldo fu portato via, Elena venne a trovarmi nella stalla, dove rimasi tutto la breve vacanza, e mi portò la colazione; o, meglio, venne con il suo cappuccino ed il suo cornetto, ma me ne fece mangiare e bere un po’ dalla sua bocca; poi si tirò su la gonna, si allargò la fica e mi disse di leccarla per bene. La feci godere tanto e leccai tutto il suo umore. Mi disse che ero stata brava e mi accarezzò la testa finché lo stato di eccitazione non le passò. Quindi, si tirò nuovamente su la gonna e mi disse di bere il suo piscio senza far cadere nemmeno una goccia. Naturalmente obbedii, nonostante un senso di schifo mi pervadesse. In quel momento entrò Roberto e disse:;
“Bellissima patatina mia, avevi bisogno di scaricare la vescica, eh? Brava amore mio. Che fa la nostra puttanella, ciuccia bene?”
“Sì, è fantastica”
“Possiamo smettere di tenerla in punizione, allora?”
“Non lo so. Forse … direi che ci penserò su”
Entrambi risero di cuore e si allontanarono. Passò un altro interminabile giorno. La sera tornarono per portarmi da mangiare. Sempre dalla loro bocca, però. Il mio vero pasto, in realtà, l’avevo già consumato: una ciotola di acqua ed una ciotola di avena e latte, lasciate entrambe all’angolo della stalla, accanto alle bacinelle dove io ed Aldo potevamo urinare e defecare e che non venivano pulite se non una volta al giorno. Roberto, quindi, chiamò lo stalliere e gli disse che, siccome la mattina seguente saremmo tutti partiti, era il momento di ricevere la sua mancia. Mi diede a lui, dunque, fermandosi a guardare mentre mi scopava. Lo stalliere fu violento: mi schiaffeggiò tutto il tempo e non si preoccupò di bagnarmi il culo prima di sdrumarmi. Intanto Roberto ed Elena amoreggiavano con raffinata sensualità, fino a che non mi lasciarono allo stalliere per tornare nella loro stanza a fare l’amore.
La mattina dopo tornammo a Roma. Io per restarvi e loro per partire nuovamente; una crociera, questa volta. Da soli. Un vero viaggio di nozze. Piansi di gelosia.
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