Il mio Uomo
di
sabina19
genere
dominazione
Il rapporto con Manlio si trasformò subito in un abisso. Non so per colpa o merito di chi. Spesso ho l'impressione di essere io quella che vuole precipitare e che Manlio mi accompagni solamente. Certo è che noi due non ci saremmo mai dovuti incontrare.
Lo contattai su un sito incontri; il suo profilo m'inquietava, sembrava promettere quello che segretamente cercavo. Un paio di messaggi e mi aveva già inquadrata; insisteva con domande assurde, tipo se tiro sempre bene la tenda dei camerini nei negozi, se quando faccio jogging continuo anche quando le gambe sono diventate di legno, se lo farei con uomini grassi e pelosi, cosa pensavo quando l'ho fatto con uno che non mi piaceva, perché non l'ho mai data via per soldi... Era un trentenne con un fisico asciutto, mi mandò anche la foto del viso sorridente. Mi piaceva e lo chiamai al cellulare. Ridemmo come scemi per venti minuti buoni, eccitandoci, ma alla fine il suo tono divenne autoritario: non me ne frega un cazzo, io voglio stasera. Perché no?, era giovane col fisico che adoravo; diedi appuntamento in un bar vicino, alle dieci.
Avevo un paio d'ore: sistemai la camera, pulii in giro e poi mi dedicai a me stessa. Il barista ebbe un coccolone quando entrai per sedermi al tavolino vicino alla vetrata. Non mi curavo dei soliti simpaticoni bavosi che facevano di tutto per attirare l'attenzione: un sms mi aveva avvisata che sarebbe arrivato massimo cinque minuti. Dovevo ancora decidermi su che atteggiamento tenere: sdegnoso di chi se la tira, titubante da verginella, sicuro da navigata, eccitante da micettina vogliosa... o allegro! Ecco, dovevo essere allegra e ridere divertita; in fondo era un gioco.
Entrò sicuro, salutando il barista, era in jeans e camicia bianca, un vero figo, e si sedette al mio tavolino. “Okay, mi piaci – disse – possiamo andare.” Mi diede un bacetto sulle labbra: per un istante le nostre lingue si toccarono. Lasciò cinque euro per il mio caffè e mi spinse fuori, verso il suo fuoristrada. Ero inebetita, gli spiegai incasinandomi dove abitavo: “A destra, quella strada dopo il supermercato.” Infilò invece il parcheggio del supermercato, ormai deserto, e lo attraversò a tutta velocità per poi inchiodare vicino a degli alberelli, nel lato più nascosto. “Scendi.” Ubbidii col cuore impazzito, ero in apnea per la tensione: mi fu subito addosso, da dietro, serrandomi i polsi con una sola mano e spingendomi di peso contro l'auto. Stavo per urlare. “Guarda.” Disse. Voltai la testa di un poco: nella penombra intuii che mi stava mostrando un tubetto.
Lo lasciò sul cofano e si allontanò di qualche passo; mi rigirai, stava guardando verso il grande magazzino. Si accese una sigaretta.
“Okay, funziona così.” Disse rivolto all'altra parte. “O mi chiedi di incularti qui o me ne vado.”
“...! Ma sei pazzo, qui!?” Ero arrabbiatissima, avevo incontrato uno stronzo. Che cazzo mi era venuto in mente d'iscrivermi a quel sito: solo fregature. Sono pronta ad andarmene; lo borsetta è in auto. Nemmeno lo saluto. Non sembrava preoccupato di questo; fumava tranquillo. Merda se odio quelli sicuri di sé! Ma non era una fregatura: era senza dubbio il figo nelle foto ed era lo stronzo che cercavo. Smetto di ragionare. Il sangue precipita abbandonandomi il cervello, capezzoli e clitoride sono solleticati da brividi, le gambe molli, gli occhi appannati, le guance roventi. Anche i capelli sono elettrizzati. Inghiottii saliva e sussurrai: “Inculami... ...qui.”
Espirò il fumo verso l'alto. Non si era voltato. Merda se volevo che mi fosse saltato addosso all'istante! Invece finì tranquillo la sigaretta, la gettò lontano e rimase immobile per un'eternità. “Girati.” Mi voltai all'istante. Arrivò lento, sollevò il gonnellino ed abbassò gli slip; gli vidi la mano afferrare il tubetto sul cofano; mi unse.
Prima di uscire non mi ero solo truccata, mi ero anche preparata per una notte di sesso selvaggio. Avevo usato il vibra e mi fu subito contro lo stomaco, senza difficoltà. Solo una fitta che si sciolse in languore. Inarcavo indietro la schiena, nella speranza che mi afferrasse i seni, ma lui non mollava i fianchi nudi. È grosso, più di quello di Luca, ed il bruciore crescente m'infiamma l'anima. Ecco, le sue mani mi cercano sotto il top, carezzano il ventre tirato, le dita giocano attorno al brillantino all'ombelico. “Questo ti piace”, disse e mi pizzicò leggermente.
Il piercing mi punse come una vespa, gridai, non smise di pompare, mi piegai in avanti, mi raddrizzai, ansimavo. All'orecchio, dietro i capelli già sudati, mormorò di chiederlo, se volevo ancora. Sì, sì, mi agitai, pronta ad una nuova fitta. Le sue dita, invece, sono gentili; i polpastrelli scorrono lungo i muscoli contratti avvicinandosi ed allontanandosi, titillandomi un piacere mai provato; infine si stringono sull'ombelico, infossato, forzando in una piega la pelle tesa: è dolore. Mi ci raccolgo attorno. La morsa sempre più intensa, “Dimmi tu” mi ordinò. Strinsi i denti in un mugolio, mi pareva di essere trafitta da una lama: ero infilzata sul suo cazzo. Resistevo, volevo sorprendere il mio uomo, ma ben presto mugolai un basta, sfinita e subito preda di un orgasmo tellurico; invasata dal piacere di essere riempita.
In casa scopammo e limonammo come neanche ai tempi del liceo: mi pareva d'essere ormai adulta, non esisteva la Sabine di un paio d'anni fa, avevo trovato il mio uomo, ero sua, mi aveva catturata arpionandomi in un parcheggio, mi aveva domata come una bella cavalla, mi aveva marchiata. Ed era bellissimo come un guerriero nordico, era dolce come il compagno per una vita, era gentile e premuroso; stappammo lo champagne che aveva portato e lo lasciammo svuotarsi delle bollicine nei miei bicchieri da cucina; avevo portato anche un regalo per la sua femmina, ma non potevo ancora aprirlo. Avevo il mio animale da letto, instancabile e sfiancante, che sapeva sempre come fare, che mi risvegliava dal torpore insultandomi, che mi sbatteva blandendomi con baci. Inzuppammo le lenzuola di sudore in una notte di luglio.
Devo pisciare, mi disse. Sollevai stancamente la testa per indicare la direzione. Non si alzava dal letto. Due minuti di silenzio per capire: “Ma dai, qui come...?” Mi carezzò il collo: “Nella doccia.” Mi alzai. Ma che cazzo sto facendo? Sono pazza? Eppure è tutto così naturale, con Manlio che mi accompagna nella doccia; non posso distogliere gli occhi dal pene semimoscio, sotto i fantastici addominali. Lo spruzzo mi riscalda la coscia come una carezza; lo voglio anche sul ventre, sui seni, m'inginocchio con gli occhi chiusi. La punta della lingua per un attimo ne saggiò il sale.
Ridemmo, in cucina aprendo il frigo, sul divano di fronte alla tele spenta, alla finestra, ancora sul letto; le mie mani che ci giocavano, la lingua che lo baciava tutto, io sempre col desiderio di farlo sparire in me. In camera mi permise di aprire il regalo. Scartandolo mi spaventai: ripiegato nella plastica trasparente, un gatto a nove code, nero con le fruste rosso fuoco, dormiva cattivo fra le mie mani. Mi guardo attorno, non voglio vedere nulla, non voglio incrociare i suoi occhi; dove scappo?
“Era il più morbido.” Lo amo il mio uomo! È premuroso e mi vuole come nessun altro. Lo scarto del tutto, ne accarezzo la lunga frangia, glielo porgo; sono stanchissima mi stendo sul letto stirando i muscoli che mi sfiora delicatamente usandolo come una frangia: l'addome, le cosce, i piedi, gonfio il petto, allungo le braccia, gli occhi chiusi sul nulla.
La prima sferzata mi morse il fianco. Tornai a respirare, ascoltando il bruciore che si dissolveva. Poi nulla. “Devi chiedermelo tu.” Accennai un sì. Mi sfiorò tutta prima di sferzarmi la coscia interna. Urlai, questa volta fece veramente male... gli dissi ancora. Ancora... ancora... ancora.. ancoraaa! Mi ubbidisce sempre il mio uomo, ma dove, come e quando vuole lui: possono passare cinque minuti, o arrivare che non ho ancora finito di fiatare; può essere leggero o devastante, un singolo colpo o una grandinata; sul seno o sul ventre, sulle cosce o maledettamente preciso lì in mezzo. Mi volle anche prona; gambe, spalle, schiena e ovviamente sulle natiche con schiocchi che facevano abbaiare i cani del quartiere. Avevo la pelle a fuoco ed il ghiaccio nello stomaco.
Se ne andò che era ormai chiaro. Lo trattenni. “Sabato vieni a casa mia, ho un bel letto in ferro battuto. Ti lego.” Mi leccò la guancia. “Ma se non puoi aspettare tre giorni,puoi sempre...” Mi chiese di accendere il pc; era dietro me, seduta al tavolino, e mi carezzava la nuca mentre m'indirizzava in un sito d'incontri che non conoscevo. “Ecco, apri questo.” Era un professionista cinquantenne che offriva duecento euro per pomeriggio in motel con studentessa carina e disponibile. “Forse sei troppo vecchia per lui... ma sei senz'altro disponibile. Se ti decidi di rispondere metti subito cellulare. Ciao, bella... ah, mi piacerebbe che poi mi mandi le foto dell'incontro.”
Mi strinsi nella camicia, stordendomi con l'odore di sesso e sudore. Digitai veloce il mio numero e gli anni... qui m'interruppi.
Carina e molto disponibile, aggiunsi ed inviai.
Ero stanca morta.
Lo contattai su un sito incontri; il suo profilo m'inquietava, sembrava promettere quello che segretamente cercavo. Un paio di messaggi e mi aveva già inquadrata; insisteva con domande assurde, tipo se tiro sempre bene la tenda dei camerini nei negozi, se quando faccio jogging continuo anche quando le gambe sono diventate di legno, se lo farei con uomini grassi e pelosi, cosa pensavo quando l'ho fatto con uno che non mi piaceva, perché non l'ho mai data via per soldi... Era un trentenne con un fisico asciutto, mi mandò anche la foto del viso sorridente. Mi piaceva e lo chiamai al cellulare. Ridemmo come scemi per venti minuti buoni, eccitandoci, ma alla fine il suo tono divenne autoritario: non me ne frega un cazzo, io voglio stasera. Perché no?, era giovane col fisico che adoravo; diedi appuntamento in un bar vicino, alle dieci.
Avevo un paio d'ore: sistemai la camera, pulii in giro e poi mi dedicai a me stessa. Il barista ebbe un coccolone quando entrai per sedermi al tavolino vicino alla vetrata. Non mi curavo dei soliti simpaticoni bavosi che facevano di tutto per attirare l'attenzione: un sms mi aveva avvisata che sarebbe arrivato massimo cinque minuti. Dovevo ancora decidermi su che atteggiamento tenere: sdegnoso di chi se la tira, titubante da verginella, sicuro da navigata, eccitante da micettina vogliosa... o allegro! Ecco, dovevo essere allegra e ridere divertita; in fondo era un gioco.
Entrò sicuro, salutando il barista, era in jeans e camicia bianca, un vero figo, e si sedette al mio tavolino. “Okay, mi piaci – disse – possiamo andare.” Mi diede un bacetto sulle labbra: per un istante le nostre lingue si toccarono. Lasciò cinque euro per il mio caffè e mi spinse fuori, verso il suo fuoristrada. Ero inebetita, gli spiegai incasinandomi dove abitavo: “A destra, quella strada dopo il supermercato.” Infilò invece il parcheggio del supermercato, ormai deserto, e lo attraversò a tutta velocità per poi inchiodare vicino a degli alberelli, nel lato più nascosto. “Scendi.” Ubbidii col cuore impazzito, ero in apnea per la tensione: mi fu subito addosso, da dietro, serrandomi i polsi con una sola mano e spingendomi di peso contro l'auto. Stavo per urlare. “Guarda.” Disse. Voltai la testa di un poco: nella penombra intuii che mi stava mostrando un tubetto.
Lo lasciò sul cofano e si allontanò di qualche passo; mi rigirai, stava guardando verso il grande magazzino. Si accese una sigaretta.
“Okay, funziona così.” Disse rivolto all'altra parte. “O mi chiedi di incularti qui o me ne vado.”
“...! Ma sei pazzo, qui!?” Ero arrabbiatissima, avevo incontrato uno stronzo. Che cazzo mi era venuto in mente d'iscrivermi a quel sito: solo fregature. Sono pronta ad andarmene; lo borsetta è in auto. Nemmeno lo saluto. Non sembrava preoccupato di questo; fumava tranquillo. Merda se odio quelli sicuri di sé! Ma non era una fregatura: era senza dubbio il figo nelle foto ed era lo stronzo che cercavo. Smetto di ragionare. Il sangue precipita abbandonandomi il cervello, capezzoli e clitoride sono solleticati da brividi, le gambe molli, gli occhi appannati, le guance roventi. Anche i capelli sono elettrizzati. Inghiottii saliva e sussurrai: “Inculami... ...qui.”
Espirò il fumo verso l'alto. Non si era voltato. Merda se volevo che mi fosse saltato addosso all'istante! Invece finì tranquillo la sigaretta, la gettò lontano e rimase immobile per un'eternità. “Girati.” Mi voltai all'istante. Arrivò lento, sollevò il gonnellino ed abbassò gli slip; gli vidi la mano afferrare il tubetto sul cofano; mi unse.
Prima di uscire non mi ero solo truccata, mi ero anche preparata per una notte di sesso selvaggio. Avevo usato il vibra e mi fu subito contro lo stomaco, senza difficoltà. Solo una fitta che si sciolse in languore. Inarcavo indietro la schiena, nella speranza che mi afferrasse i seni, ma lui non mollava i fianchi nudi. È grosso, più di quello di Luca, ed il bruciore crescente m'infiamma l'anima. Ecco, le sue mani mi cercano sotto il top, carezzano il ventre tirato, le dita giocano attorno al brillantino all'ombelico. “Questo ti piace”, disse e mi pizzicò leggermente.
Il piercing mi punse come una vespa, gridai, non smise di pompare, mi piegai in avanti, mi raddrizzai, ansimavo. All'orecchio, dietro i capelli già sudati, mormorò di chiederlo, se volevo ancora. Sì, sì, mi agitai, pronta ad una nuova fitta. Le sue dita, invece, sono gentili; i polpastrelli scorrono lungo i muscoli contratti avvicinandosi ed allontanandosi, titillandomi un piacere mai provato; infine si stringono sull'ombelico, infossato, forzando in una piega la pelle tesa: è dolore. Mi ci raccolgo attorno. La morsa sempre più intensa, “Dimmi tu” mi ordinò. Strinsi i denti in un mugolio, mi pareva di essere trafitta da una lama: ero infilzata sul suo cazzo. Resistevo, volevo sorprendere il mio uomo, ma ben presto mugolai un basta, sfinita e subito preda di un orgasmo tellurico; invasata dal piacere di essere riempita.
In casa scopammo e limonammo come neanche ai tempi del liceo: mi pareva d'essere ormai adulta, non esisteva la Sabine di un paio d'anni fa, avevo trovato il mio uomo, ero sua, mi aveva catturata arpionandomi in un parcheggio, mi aveva domata come una bella cavalla, mi aveva marchiata. Ed era bellissimo come un guerriero nordico, era dolce come il compagno per una vita, era gentile e premuroso; stappammo lo champagne che aveva portato e lo lasciammo svuotarsi delle bollicine nei miei bicchieri da cucina; avevo portato anche un regalo per la sua femmina, ma non potevo ancora aprirlo. Avevo il mio animale da letto, instancabile e sfiancante, che sapeva sempre come fare, che mi risvegliava dal torpore insultandomi, che mi sbatteva blandendomi con baci. Inzuppammo le lenzuola di sudore in una notte di luglio.
Devo pisciare, mi disse. Sollevai stancamente la testa per indicare la direzione. Non si alzava dal letto. Due minuti di silenzio per capire: “Ma dai, qui come...?” Mi carezzò il collo: “Nella doccia.” Mi alzai. Ma che cazzo sto facendo? Sono pazza? Eppure è tutto così naturale, con Manlio che mi accompagna nella doccia; non posso distogliere gli occhi dal pene semimoscio, sotto i fantastici addominali. Lo spruzzo mi riscalda la coscia come una carezza; lo voglio anche sul ventre, sui seni, m'inginocchio con gli occhi chiusi. La punta della lingua per un attimo ne saggiò il sale.
Ridemmo, in cucina aprendo il frigo, sul divano di fronte alla tele spenta, alla finestra, ancora sul letto; le mie mani che ci giocavano, la lingua che lo baciava tutto, io sempre col desiderio di farlo sparire in me. In camera mi permise di aprire il regalo. Scartandolo mi spaventai: ripiegato nella plastica trasparente, un gatto a nove code, nero con le fruste rosso fuoco, dormiva cattivo fra le mie mani. Mi guardo attorno, non voglio vedere nulla, non voglio incrociare i suoi occhi; dove scappo?
“Era il più morbido.” Lo amo il mio uomo! È premuroso e mi vuole come nessun altro. Lo scarto del tutto, ne accarezzo la lunga frangia, glielo porgo; sono stanchissima mi stendo sul letto stirando i muscoli che mi sfiora delicatamente usandolo come una frangia: l'addome, le cosce, i piedi, gonfio il petto, allungo le braccia, gli occhi chiusi sul nulla.
La prima sferzata mi morse il fianco. Tornai a respirare, ascoltando il bruciore che si dissolveva. Poi nulla. “Devi chiedermelo tu.” Accennai un sì. Mi sfiorò tutta prima di sferzarmi la coscia interna. Urlai, questa volta fece veramente male... gli dissi ancora. Ancora... ancora... ancora.. ancoraaa! Mi ubbidisce sempre il mio uomo, ma dove, come e quando vuole lui: possono passare cinque minuti, o arrivare che non ho ancora finito di fiatare; può essere leggero o devastante, un singolo colpo o una grandinata; sul seno o sul ventre, sulle cosce o maledettamente preciso lì in mezzo. Mi volle anche prona; gambe, spalle, schiena e ovviamente sulle natiche con schiocchi che facevano abbaiare i cani del quartiere. Avevo la pelle a fuoco ed il ghiaccio nello stomaco.
Se ne andò che era ormai chiaro. Lo trattenni. “Sabato vieni a casa mia, ho un bel letto in ferro battuto. Ti lego.” Mi leccò la guancia. “Ma se non puoi aspettare tre giorni,puoi sempre...” Mi chiese di accendere il pc; era dietro me, seduta al tavolino, e mi carezzava la nuca mentre m'indirizzava in un sito d'incontri che non conoscevo. “Ecco, apri questo.” Era un professionista cinquantenne che offriva duecento euro per pomeriggio in motel con studentessa carina e disponibile. “Forse sei troppo vecchia per lui... ma sei senz'altro disponibile. Se ti decidi di rispondere metti subito cellulare. Ciao, bella... ah, mi piacerebbe che poi mi mandi le foto dell'incontro.”
Mi strinsi nella camicia, stordendomi con l'odore di sesso e sudore. Digitai veloce il mio numero e gli anni... qui m'interruppi.
Carina e molto disponibile, aggiunsi ed inviai.
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