Ele
di
esperia
genere
tradimenti
Stavo mangiando un panino al bar in via Gallarate insieme ai miei colleghi quando, chi ti vedo? Ernesto!
- Ele, vecchia puttana! Sei proprio tu!
- Marco? Cosa ci fai qui?
- Orpo, quanti anni sono passati? Quindici, sedici?
- M’è venuto un colpo quando ho sentito quel vecchio soprannome. Nessuno mi chiama più Ele da anni!
- Come si può dimenticare un vecchio compagno di liceo come te… Credevo vivessi a Trento ormai.
- Infatti, ma sono qui per visitare un possibile cliente, una ditta qui di fronte, l’ABC, un produttore di materiale medico, non so se la conosci…
- Ma sicuro! Guarda che combinazione, io lavoro proprio lì! Nelle vendite!
- Incredibile... magari mi dai una mano: devo parlare con un certo Franco Silvani, l’incaricato agli acquisti.
- Franco è un ingegnere di primissimo livello, un grande professionista, molto competente. Se lo vedo, metto una buona parola per te. Quanto rimani a Milano?
- Mi fermo qui stanotte. Oggi dovrei vedere Silvani e domattina sul tardi ho in programma di fare una presentazione alla direzione generale e spero di chiudere.
- Che cosa stai offrendo?
- Ho messo in piedi una piccola azienda che rappresenta un colosso svedese che produce macchinari per la produzione di oggetti in plastica. Per quest’azienda mi sono indebitato fino al collo. Spero di chiudere con l’ABC, è un affare da cinque milioni. Se mi va male, le banche mi strangolano…
- Ele, devi assolutamente venire a cena da me questa sera, non accetto scuse. Ora chiamo Silvia e organizziamo. Non ti sarai già trovato qualche gnocca, no?
- Sei molto gentile, mi farebbe davvero piacere grazie. Non sapevo che fossi sposato.
- Non ancora per la verità. Abbiamo in progetto di sposarci in primavera, ma viviamo già insieme da sei mesi.
- È carina?
- Vedrai tu stesso. – Sì, la mia ragazza è davvero carina e provavo un certo orgoglio a farmi vedere con lei.
Silvia al telefono brontolò per l’improvviso invito, quando due giorni prima le avevo promesso che saremmo andati a teatro, quella sera. L’avevo scordato, diavolo!
Alla fine acconsentì, ma mi avvertì che non avrebbe preparato niente di speciale. Sospettai che mi avrebbe tenuto il muso per tutta la sera.
Quando tornai in ufficio, chiesi alla segretaria di investigare su Ernesto e sulla sua azienda.
Nel tardo pomeriggio fece capolino nel mio ufficio e mi ragguagliò su quanto aveva potuto verificare. Risultava che: 1) i macchinari svedesi che proponevano erano di prima qualità. 2) l’azienda era al cento per cento di proprietà di Ernesto.
L’anno prima il bilancio aveva chiuso abbastanza male e la possibilità di sopravvivere, in questi tempi di crisi, dipendeva dalla chiusura di un paio di contratti, uno dei quali il nostro, e sulla continuità del rapporto di rappresentanza con gli svedesi.
S’era ormai fatto tardi e uscendo passai dall'ufficio di Franco per chiedere cosa ne era stato della riunione con Ernesto.
- Mi sembra un’ottima proposta. Le macchine che ci offre sono davvero di un’altra categoria e ci permetterebbero di ridurre i costi, migliorare la produttività, la qualità e la varietà dei prodotti. I miei dubbi sono invece sulle capacità finanziarie della sua società. Sono indebitati e troppo piccoli, con un portafoglio clienti esiguo. Se dovessero chiudere, ci lascerebbero nei pasticci con la manutenzione e i pezzi di ricambio. Avrebbero bisogno di un partner con soldi e strutture commerciali adeguate.
Mi avviai verso casa rimuginando sulle considerazioni di Franco.
A casa, Silvia mi chiese di Ernesto.
- Vedrai, ti piacerà. È davvero simpatico.
- Carino?
- Non chiederlo a me. So che piace alle donne, comunque.
- Allora magari me lo faccio!
- Non pensarci neanche! – risposi ridendo.
Alle otto suonò il citofono ed Ernesto si presentò alla mia porta con due bottiglie di gewurtztraminer e un mazzo di fiori.
- Entra Ele, grazie del vino, non dovevi… Ti presento Silvia, la mia futura moglie.
- Piacere! Marco, come ha fatto una vecchia ciabatta come te a intrappolare una bellezza così, non te la meriti di sicuro!
- Giù le mani da Silvia, eh, fa il bravo…
Silvia era davvero impressionante, la prima volta che la vedevi. Aveva studiato recitazione, poi aveva avuto qualche contratto come modella senza sfondare. Ora lavorava poco, passava le giornate in palestra e negli istituti di bellezza e l’unico lavoro per cui ancora la chiamavano era quello di modella per biancheria intima, ma non più di quattro o cinque giorni al mese.
- E che bell'appartamento che hai, guarda che terrazza! Hai fatto i soldi, eh?
- Ma no, è in affitto…
Decisi che non era il caso di specificare che la casa era della mia società, proprio la ABC, che me l’affittava per una cifra simbolica. Dell’ABC ero il maggior azionista, l’amministratore delegato e ad interim tenevo anche la direzione delle vendite. M’era andata bene, dopo l’università.
Durante la cena Ernesto non perse occasione per complimentarsi con Silvia per la sua bellezza, per la sua cucina, per il suo gusto nell'arredamento.
Silvia era ovviamente lusingata dalla discreta corte di Ernesto e sorrideva con simpatico interesse.
Stupidamente io ero quasi contento che Silvia avesse perso il suo cattivo umore e si divertisse.
Durante la cena e più ancora nel dopo cena, quando ci servimmo un ottimo Armagnac, l’atmosfera si scaldò ancora di più. Ernesto ed io cominciammo a ridere come stupidi ricordano questo o quel professore, le nottate, le bevute e soprattutto le ragazze che c’eravamo fatti. Mi ricordai che Ernesto era un donnaiolo, come me del resto, ma che lui aveva un innegabile vantaggio su di me e su tutti gli altri. Silvia rideva come una ragazzina alle nostre battute, anche lei su di giri per il vino e l’Armagnac.
- Mi fa ridere essere chiamato “Ele”, dopo tutti questi anni… - A un certo punto disse Ernesto, dopo che mi ero rivolto a lui con quel nomignolo.
- Perché, come ti chiami veramente? – Chiese Silvia.
- Ernesto, ma a quel tempo in tanti mi chiamavano Ele.
- Perché?
- Solo un soprannome come un altro, Silvia. – Dissi io prima che Ele potesse rispondere.
- Che cosa vuol dire?
- È la contrazione di “elefante”. - A questo punto Ernesto mi batté sul tempo.
- Elefante? Cosa c’entra?
- Dài, Silvia, non insistere! Lascia perdere, sono cose di tanti anni fa… - dissi, cercando di cambiare discorso.
- Da “Ernesto” a “Elefante” non si capisce come ci si arrivi.
- È per via della proboscide. – disse Ele sorridendo.
- Qualcuno vuole ancora qualcosa da bere? – dissi alzandomi nervosamente. Ma Silvia non mollava l’osso:
- Proboscide? Quale proboscide?
- Glielo posso dire, Marco? Non ti secca? – mi guardò con un sorriso malizioso, Quasi sfidandomi a dire di no.
Mi strinsi nelle spalle. A quel punto avrei fatto una peggior figura a oppormi che a lasciarlo dire.
- I ragazzi della squadra di pallavolo della scuola cominciarono a chiamarmi così dopo avermi visto nudo nelle docce.
- Ancora non vedo il nesso… Oh! …Vuoi dire che… Cioè è per via del tuo… Quello che voglio dire è che… No? – Silvia aveva spalancato gli occhi per la sorpresa. Finalmente c’era arrivata.
- Del mio cosa, Silvia? – Ele aveva cominciato a divertirsi e a provocarla.
- Il tuo… quell'affare che è grosso.
- Quale affare, precisamente, Silvia? – Insistette Ele. Ormai ero irritatissimo, malgrado l’alcol e la bella serata passata fino a quel momento.
- Il tuo grosso pene! – Disse Silvia ridendo apertamente, ormai.
- Non burlarti di me, Silvia, quale pene! C’è un nome più adatto alla cosa che ho in mezzo alle gambe! Dillo, Silvia, un pizzico di coraggio!
- Il tuo grosso cazzo! – Silvia era accalorata e si vedeva.
- Esatto! Brava. Ed è davvero grosso.
- Grosso quanto? – Chiese Silvia. Sentii che dovevo intervenire.
- Possiamo cambiare argomento, per favore?
- Non essere ridicolo, Marco. Non c’è argomento più interessante di questo. Quanto grosso, Ele?
- Molto, molto grosso.
- Quanto, Ele, in centimetri?
- Non l’ho mai misurato, Silvia. – Si accomodò meglio sul divano, in modo che il suo pacco fosse più evidente. – Più grosso di quello di Marco, comunque.
- Non ci vuole molto, per quello. – disse Silvia ridacchiando.
- Ragazzi, porca puttana, la vogliamo smettere? È imbarazzante per me! – Non sono certo piccolo, io. Lo so benissimo. Quindi Silvia voleva solo prendermi in giro. Certo, se mi ricordavo bene certi flash di lui nella doccia, non potevo di sicuro competere con Ele.
- Allora? quanto lungo?
- Non te lo dico.
- Su, non farti pregare. Quanto?
- Un gentiluomo non rivela queste informazioni. - Ele si divertiva un mondo e Silvia s’incaponiva sempre si più.
- Prima di Marco ho avuto un ragazzo che ce l’aveva di venti centimetri. Dentro si sentiva bello grosso!
- E chi sarebbe questo bastardo? – sbottai – Non mi hai mai detto niente!
- Il mio è più grosso. - Disse serafico Ele.
- Quanto più grosso?
- La mia naturale modestia m’impedisce di approfondire questo tema, Silvia… - Sogghignava divertito, il bastardo.
- E allora fammelo vedere!
- Chissà. – I due si comportavano come se io non esistessi. Chiaramente avevo perso il controllo della situazione. Ero già incazzato perché il Milan aveva perso ancora nel pomeriggio, ma questa intimità tra Ele e Silvia mi scatenava una gelosia mai provata.
- Forza, Ele, non essere modesto. Tiralo fuori e fammi dare una bella occhiata.
- Ragazzi, questa cosa ormai sta trascendendo. Piantiamola qui e andiamo tutti a farci una bella doccia fredda prima di andare a dormire, Ele, ti accompagno in albergo.
- Hai visto, Ele? Hai fatto incazzare il moralista qui. Tiralo fuori subito e non ne parliamo più.
- Se insisti…
- Insisto.
- Basta, perdio! Piantatela! – Come se non ci fossi.
- Tu mi fai vedere il tuo e io ti faccio vedere le mie! – E cosi dicendo cercò di togliersi la t-shirt sfilandosela dalla testa. Io mi alzai cercando di impedirle di farlo, ma Ele mi fermò con un braccio. Io persi l’equilibrio e finii per cadere vergognosamente sul sedere. Nessuno fece caso a me e Silvia si slacciò senza ostacoli il reggiseno rimanendo nella gloria della sua perfetta nudità.
- Allora, giovanotto? Che ne dici delle mie tette? Non male, no? e adesso fammi vedere il tuo, maledizione!
Ele si avvicinò a lei con un sorriso. Nessuno si accorgeva di me e quando cercai di alzarmi, con un piede, Ele mi ributtò a terra. Poi le prese i perfetti seni con le mani abbracciandola da dietro.
Avrei potuto fare di tutto.
Avrei potuto prendere un martello nello sgabuzzino e ammazzarli tutt'e due a martellate.
Avrei potuto andarmene sbattendo la porta.
Avrei potuto urlare, minacciare, rompere tutto…
Invece rimasi lì, seduto sul pavimento, a bocca aperta, incredulo per quanto stava succedendo. Quella era la donna che avrei dovuto sposare nel giro di tre mesi!
Ele si slacciò la cintura e si abbassò i pantaloni.
- Vieni, piccola, vieni a vedere la proboscide di Ele l’Elefante!
- Mamma mia! Non stavi scherzando! Non ho mai visto niente del genere! È una mostruosità! Non riesco neanche a chiudere le mie dita intorno a lui! È Bellissimo! Osceno e bellissimo! Il doppio di quello di Marco!
Non è vero, figurati! Ma volevi spaccare il capello in quattro, a quel punto?
Rimasi seduto, paralizzato dall'orrore, sperando che le cose non peggiorassero più di così.
Invece peggiorarono.
Vidi come al rallentatore la ragazza che avrebbe dovuto diventare mia moglie di lì a poco inginocchiarsi davanti a Ele, prendergli il cazzo con le due mani e portarselo alla bocca, cercando invano di infilarselo tutto e manifestando una straordinaria adorazione verso l’anatomia del mio ex amico.
Io pensai che non avrei più potuto baciarla sulla bocca. Mai più.
Ele venne, a un certo punto. Spruzzando il suo sperma nella bocca di Silvia, sul suo viso, sul suo petto… Pareva che non finisse mai di eiaculare.
Io invece dovetti andare in bagno a vomitare. Vomitai anche il panettone di Natale. Mi sembrò di non riuscire a smettere. Poi finalmente mi ripresi e a fatica uscii dal bagno.
In tempo per vedere la mia fidanzata sollevare la testa dalle occupazioni che l’avevano tenuta intenta a leccare via ogni traccia dello sperma di Ele, alzarsi e prenderlo per mano.
- Forza, mio stallone, fammi vedere che cosa sai fare in camera. – Poi mi vide e le prese un colpo.
- Marco, oddio, mi ero dimenticata. Stai bene? – era nuda dalla cintola in su e le sue tette ballavano in piena vista.
- Ti sembra che stia bene? Ho appena vomitato! Come puoi farmi questo a meno di tre mesi dal matrimonio!
- Scusa, amore! Non volevo proprio ferirti, non l’ho fatto apposta! – intanto però non lasciava la mano di Ernesto, che, nudo, sogghignava, con la sua mostruosità che gli penzolava tra le gambe.
- Dacci una mezz'ora, Marco. Poi sarò tutta per te. Facciamo un’ora. Dài. Giuro che poi ti farò felice per tutta la vita. È che questa cosa la devo proprio fare, Marco. Non posso non farla, è più forte di me.
Mi rivolsi a Ernesto.
- Ele, non farmi questo. Non farlo. Ti prego.
- Marco, non sono io che voglio scoparla. È lei. È una cosa tra voi due, io non c’entro niente.
- Silvia! Che cosa stai facendo! Scoparti questo pezzo di merda è più importante del nostro matrimonio?
- Non metterla in questo modo. Marco, scendi un momento al bar, bevi qualcosa, fai passare il tempo. Quando tornerai sarò la moglie migliore del mondo per te, farò tutto quello che vorrai.
E così dicendo si affrettò verso la camera tirandosi dietro Ele per la mano. Lui ebbe il tempo di girarsi verso di me.
- Non prendertela! Fai come ti dice! – mi disse rivolgendomi uno sguardo sardonico mentre io restavo allibito a guardarli senza parole. – Meglio che te ne vada. Potrebbe gridare durante gli orgasmi e non ti piacerebbe. Stai tranquillo, cercherò di non allargartela troppo. Ciao.
Me ne andai davvero. Ma non al bar. Tirai fuori dal garage la mia Jaguar E type cabriolet serie 2 del 1969 e malgrado il freddo clima di febbraio abbassai la capote e presi la Milano Meda cullato dal rombo del motore 4.800 aspirato del mostro inglese, l’auto che mi dava emozioni incomparabili rispetto a qualsiasi altra macchina.
Non posso certo dire di essere stato felice, ma ricordo quella notte in macchina ancora oggi come uno dei momenti più intensi della mia vita.
Tornai verso le tre, pensando che Ele se ne fosse andato, ma vidi la sua macchina ancora nel parcheggio.
A casa incontrai Silvia, nuda, in cucina.
- Stai bene? – mi chiese.
- Cosa te ne importa?
- Beh, non farla tanto lunga. Non è che siamo già sposati o niente del genere. Mi è capitata l’opportunità di sperimentarne uno davvero grosso e non me la sono lasciata scappare. Certo che lui è grosso. Davvero, davvero grosso. Incredibile. Che cosa avrei dovuto fare?
- E posso chiederti com'è stato?
- Mah… finora non una meraviglia. Mi aspettavo di più. Mi ha fatto un po’ male. Credo che nel corso della nottata le cose potranno migliorare.
- Nel corso della nottata? Vuoi dire che non avete ancora finito?
- Proprio così, Marco. Sto preparando uno spuntino e gli ho chiesto di fermarsi per la notte, ti spiace?
- Figurati. Io allora secondo te dove dovrei dormire?
- Oddio, non ci ho pensato… Che stupida! Non puoi arrangiarti da qualche parte, Marco? Solo per stanotte, poi da domani tutto tornerà come prima, stai tranquillo.
La guardai con commiserazione. Girai i tacchi e me ne andai senza una parola.
- Non fare così, Marco, niente è cambiato tra noi!
Silvia però non fece neanche il gesto di accompagnarmi alla porta. D’altra parte, nuda com'era, probabilmente non sarebbe stato il caso. Finì che passai le poche ore che restavano della notte nell'albergo di Ele, nella sua camera, al suo posto. Tanto lui non l’avrebbe usata.
Lasciai il mio cellulare acceso, ma nessuno mi chiamò.
La mattina successiva mi svegliai tardi, ma in tempo per andare al lavoro.
Alle undici era prevista la presentazione di Ernesto al consiglio di amministrazione.
Ci arrivai in ritardo, quando ormai un Ernesto con le borse sotto gli occhi stava illustrando i punti salienti della sua offerta, con l’aiuto di un power point.
Quando entrai, Franco Silvani mi presentò a lui come l’amministratore delegato dell’azienda. Ernesto sbiancò.
- Amministratore delegato? Io non avevo capito…
- Perché dici così, mio vecchio amico? Cosa non avevi capito? Che fossi il padrone dell’azienda? Non ti saresti scopato Silvia, allora? Cosa si prova a fottere le ragazze degli amici, eh? Ti sei divertito almeno?
- Ma scusa la tua casa è in affitto, mangiavi un panino con gli impiegati, hai detto che lavori nelle vendite…
- Sì, la casa è della compagnia e me l’affitta per un tozzo di pane. Per le tasse, capisci? Ho un buon rapporto con i miei collaboratori e sono il direttore delle vendite ad interim, oltre a essere il proprietario e l’amministratore delegato.
- Quindi sono fottuto…
- Mai quanto la mia EX fidanzata…! Ah Ah! Comunque sì, sei fottuto. Non comprerò mai le tue macchine e mi preoccuperò di fare in modo che nessun altro te le compri. Sono piuttosto conosciuto nel mercato. Sei fritto, amico. Quella di ieri sera è stata la scopata più costosa della tua vita… A meno che tu non voglia fare un baratto.
- Non capisco, cosa vuoi dire?
- Stavo pensando che potresti prenderti Silvia in cambio della tua azienda.
- Cosa stai dicendo?
- La tua azienda ha del potenziale, ma tu sei troppo stupido per saperla far fruttare, Ti propongo di vendermi il 75% e in cambio ti prendi Silvia…
- Sei impazzito?
- No. Tu hai bisogno di soldi. Io metterò nella tua azienda 750.000 euro, ma in cambio voglio il 75% della compagnia, Inoltre ti garantirò il contratto, anzi, lo duplicherò (e non dimenticare Silvia, per buon peso). Ma tu diventerai un mio dipendente.
- Mi metti alle strette…
- Guarda, io devo partire per la Germania tra due giorni e starò assente fino a sabato. Quando tornerò non vorrò più vedere Silvia in casa mia. Prenditela, cacciala, fai ciò che vuoi, ma levamela di torno. In cambio io farò una iniezione di denaro e mi prenderò la tua azienda. Ci stai? Ti lascio qualche giorno di tempo per pensarci.
Ernesto non ci dovette pensare troppo. Era con l’acqua alla gola e non aveva alternative se voleva avere ancora uno stipendio, per cui finì con l’accettare di cedermi il 70% della compagnia, dopo lunga e accesa trattativa.
Di Silvia non seppi più nulla, solo vaghi pettegolezzi.
Che l’avevano vista in televisione in una pubblicità degli assorbenti, che si era messa a fare del porno-soft e qualcuno dell’ufficio aveva visto i suoi dvd.
Ovviamente il matrimonio è saltato e i suoi genitori non ne sono stati affatto contenti. L'avevano comunque ripresa in casa, soprattutto dopo aver saputo che tutto era andato a monte per un problema di dimensioni anatomiche e che Ernesto non aveva la minima intenzione di avere una relazione stabile con lei.
Quella piccola curiosità le era costata tutto.
Peggio per lei.
Vorrei però che qualcuno mi procurasse i suoi dvd…
- Ele, vecchia puttana! Sei proprio tu!
- Marco? Cosa ci fai qui?
- Orpo, quanti anni sono passati? Quindici, sedici?
- M’è venuto un colpo quando ho sentito quel vecchio soprannome. Nessuno mi chiama più Ele da anni!
- Come si può dimenticare un vecchio compagno di liceo come te… Credevo vivessi a Trento ormai.
- Infatti, ma sono qui per visitare un possibile cliente, una ditta qui di fronte, l’ABC, un produttore di materiale medico, non so se la conosci…
- Ma sicuro! Guarda che combinazione, io lavoro proprio lì! Nelle vendite!
- Incredibile... magari mi dai una mano: devo parlare con un certo Franco Silvani, l’incaricato agli acquisti.
- Franco è un ingegnere di primissimo livello, un grande professionista, molto competente. Se lo vedo, metto una buona parola per te. Quanto rimani a Milano?
- Mi fermo qui stanotte. Oggi dovrei vedere Silvani e domattina sul tardi ho in programma di fare una presentazione alla direzione generale e spero di chiudere.
- Che cosa stai offrendo?
- Ho messo in piedi una piccola azienda che rappresenta un colosso svedese che produce macchinari per la produzione di oggetti in plastica. Per quest’azienda mi sono indebitato fino al collo. Spero di chiudere con l’ABC, è un affare da cinque milioni. Se mi va male, le banche mi strangolano…
- Ele, devi assolutamente venire a cena da me questa sera, non accetto scuse. Ora chiamo Silvia e organizziamo. Non ti sarai già trovato qualche gnocca, no?
- Sei molto gentile, mi farebbe davvero piacere grazie. Non sapevo che fossi sposato.
- Non ancora per la verità. Abbiamo in progetto di sposarci in primavera, ma viviamo già insieme da sei mesi.
- È carina?
- Vedrai tu stesso. – Sì, la mia ragazza è davvero carina e provavo un certo orgoglio a farmi vedere con lei.
Silvia al telefono brontolò per l’improvviso invito, quando due giorni prima le avevo promesso che saremmo andati a teatro, quella sera. L’avevo scordato, diavolo!
Alla fine acconsentì, ma mi avvertì che non avrebbe preparato niente di speciale. Sospettai che mi avrebbe tenuto il muso per tutta la sera.
Quando tornai in ufficio, chiesi alla segretaria di investigare su Ernesto e sulla sua azienda.
Nel tardo pomeriggio fece capolino nel mio ufficio e mi ragguagliò su quanto aveva potuto verificare. Risultava che: 1) i macchinari svedesi che proponevano erano di prima qualità. 2) l’azienda era al cento per cento di proprietà di Ernesto.
L’anno prima il bilancio aveva chiuso abbastanza male e la possibilità di sopravvivere, in questi tempi di crisi, dipendeva dalla chiusura di un paio di contratti, uno dei quali il nostro, e sulla continuità del rapporto di rappresentanza con gli svedesi.
S’era ormai fatto tardi e uscendo passai dall'ufficio di Franco per chiedere cosa ne era stato della riunione con Ernesto.
- Mi sembra un’ottima proposta. Le macchine che ci offre sono davvero di un’altra categoria e ci permetterebbero di ridurre i costi, migliorare la produttività, la qualità e la varietà dei prodotti. I miei dubbi sono invece sulle capacità finanziarie della sua società. Sono indebitati e troppo piccoli, con un portafoglio clienti esiguo. Se dovessero chiudere, ci lascerebbero nei pasticci con la manutenzione e i pezzi di ricambio. Avrebbero bisogno di un partner con soldi e strutture commerciali adeguate.
Mi avviai verso casa rimuginando sulle considerazioni di Franco.
A casa, Silvia mi chiese di Ernesto.
- Vedrai, ti piacerà. È davvero simpatico.
- Carino?
- Non chiederlo a me. So che piace alle donne, comunque.
- Allora magari me lo faccio!
- Non pensarci neanche! – risposi ridendo.
Alle otto suonò il citofono ed Ernesto si presentò alla mia porta con due bottiglie di gewurtztraminer e un mazzo di fiori.
- Entra Ele, grazie del vino, non dovevi… Ti presento Silvia, la mia futura moglie.
- Piacere! Marco, come ha fatto una vecchia ciabatta come te a intrappolare una bellezza così, non te la meriti di sicuro!
- Giù le mani da Silvia, eh, fa il bravo…
Silvia era davvero impressionante, la prima volta che la vedevi. Aveva studiato recitazione, poi aveva avuto qualche contratto come modella senza sfondare. Ora lavorava poco, passava le giornate in palestra e negli istituti di bellezza e l’unico lavoro per cui ancora la chiamavano era quello di modella per biancheria intima, ma non più di quattro o cinque giorni al mese.
- E che bell'appartamento che hai, guarda che terrazza! Hai fatto i soldi, eh?
- Ma no, è in affitto…
Decisi che non era il caso di specificare che la casa era della mia società, proprio la ABC, che me l’affittava per una cifra simbolica. Dell’ABC ero il maggior azionista, l’amministratore delegato e ad interim tenevo anche la direzione delle vendite. M’era andata bene, dopo l’università.
Durante la cena Ernesto non perse occasione per complimentarsi con Silvia per la sua bellezza, per la sua cucina, per il suo gusto nell'arredamento.
Silvia era ovviamente lusingata dalla discreta corte di Ernesto e sorrideva con simpatico interesse.
Stupidamente io ero quasi contento che Silvia avesse perso il suo cattivo umore e si divertisse.
Durante la cena e più ancora nel dopo cena, quando ci servimmo un ottimo Armagnac, l’atmosfera si scaldò ancora di più. Ernesto ed io cominciammo a ridere come stupidi ricordano questo o quel professore, le nottate, le bevute e soprattutto le ragazze che c’eravamo fatti. Mi ricordai che Ernesto era un donnaiolo, come me del resto, ma che lui aveva un innegabile vantaggio su di me e su tutti gli altri. Silvia rideva come una ragazzina alle nostre battute, anche lei su di giri per il vino e l’Armagnac.
- Mi fa ridere essere chiamato “Ele”, dopo tutti questi anni… - A un certo punto disse Ernesto, dopo che mi ero rivolto a lui con quel nomignolo.
- Perché, come ti chiami veramente? – Chiese Silvia.
- Ernesto, ma a quel tempo in tanti mi chiamavano Ele.
- Perché?
- Solo un soprannome come un altro, Silvia. – Dissi io prima che Ele potesse rispondere.
- Che cosa vuol dire?
- È la contrazione di “elefante”. - A questo punto Ernesto mi batté sul tempo.
- Elefante? Cosa c’entra?
- Dài, Silvia, non insistere! Lascia perdere, sono cose di tanti anni fa… - dissi, cercando di cambiare discorso.
- Da “Ernesto” a “Elefante” non si capisce come ci si arrivi.
- È per via della proboscide. – disse Ele sorridendo.
- Qualcuno vuole ancora qualcosa da bere? – dissi alzandomi nervosamente. Ma Silvia non mollava l’osso:
- Proboscide? Quale proboscide?
- Glielo posso dire, Marco? Non ti secca? – mi guardò con un sorriso malizioso, Quasi sfidandomi a dire di no.
Mi strinsi nelle spalle. A quel punto avrei fatto una peggior figura a oppormi che a lasciarlo dire.
- I ragazzi della squadra di pallavolo della scuola cominciarono a chiamarmi così dopo avermi visto nudo nelle docce.
- Ancora non vedo il nesso… Oh! …Vuoi dire che… Cioè è per via del tuo… Quello che voglio dire è che… No? – Silvia aveva spalancato gli occhi per la sorpresa. Finalmente c’era arrivata.
- Del mio cosa, Silvia? – Ele aveva cominciato a divertirsi e a provocarla.
- Il tuo… quell'affare che è grosso.
- Quale affare, precisamente, Silvia? – Insistette Ele. Ormai ero irritatissimo, malgrado l’alcol e la bella serata passata fino a quel momento.
- Il tuo grosso pene! – Disse Silvia ridendo apertamente, ormai.
- Non burlarti di me, Silvia, quale pene! C’è un nome più adatto alla cosa che ho in mezzo alle gambe! Dillo, Silvia, un pizzico di coraggio!
- Il tuo grosso cazzo! – Silvia era accalorata e si vedeva.
- Esatto! Brava. Ed è davvero grosso.
- Grosso quanto? – Chiese Silvia. Sentii che dovevo intervenire.
- Possiamo cambiare argomento, per favore?
- Non essere ridicolo, Marco. Non c’è argomento più interessante di questo. Quanto grosso, Ele?
- Molto, molto grosso.
- Quanto, Ele, in centimetri?
- Non l’ho mai misurato, Silvia. – Si accomodò meglio sul divano, in modo che il suo pacco fosse più evidente. – Più grosso di quello di Marco, comunque.
- Non ci vuole molto, per quello. – disse Silvia ridacchiando.
- Ragazzi, porca puttana, la vogliamo smettere? È imbarazzante per me! – Non sono certo piccolo, io. Lo so benissimo. Quindi Silvia voleva solo prendermi in giro. Certo, se mi ricordavo bene certi flash di lui nella doccia, non potevo di sicuro competere con Ele.
- Allora? quanto lungo?
- Non te lo dico.
- Su, non farti pregare. Quanto?
- Un gentiluomo non rivela queste informazioni. - Ele si divertiva un mondo e Silvia s’incaponiva sempre si più.
- Prima di Marco ho avuto un ragazzo che ce l’aveva di venti centimetri. Dentro si sentiva bello grosso!
- E chi sarebbe questo bastardo? – sbottai – Non mi hai mai detto niente!
- Il mio è più grosso. - Disse serafico Ele.
- Quanto più grosso?
- La mia naturale modestia m’impedisce di approfondire questo tema, Silvia… - Sogghignava divertito, il bastardo.
- E allora fammelo vedere!
- Chissà. – I due si comportavano come se io non esistessi. Chiaramente avevo perso il controllo della situazione. Ero già incazzato perché il Milan aveva perso ancora nel pomeriggio, ma questa intimità tra Ele e Silvia mi scatenava una gelosia mai provata.
- Forza, Ele, non essere modesto. Tiralo fuori e fammi dare una bella occhiata.
- Ragazzi, questa cosa ormai sta trascendendo. Piantiamola qui e andiamo tutti a farci una bella doccia fredda prima di andare a dormire, Ele, ti accompagno in albergo.
- Hai visto, Ele? Hai fatto incazzare il moralista qui. Tiralo fuori subito e non ne parliamo più.
- Se insisti…
- Insisto.
- Basta, perdio! Piantatela! – Come se non ci fossi.
- Tu mi fai vedere il tuo e io ti faccio vedere le mie! – E cosi dicendo cercò di togliersi la t-shirt sfilandosela dalla testa. Io mi alzai cercando di impedirle di farlo, ma Ele mi fermò con un braccio. Io persi l’equilibrio e finii per cadere vergognosamente sul sedere. Nessuno fece caso a me e Silvia si slacciò senza ostacoli il reggiseno rimanendo nella gloria della sua perfetta nudità.
- Allora, giovanotto? Che ne dici delle mie tette? Non male, no? e adesso fammi vedere il tuo, maledizione!
Ele si avvicinò a lei con un sorriso. Nessuno si accorgeva di me e quando cercai di alzarmi, con un piede, Ele mi ributtò a terra. Poi le prese i perfetti seni con le mani abbracciandola da dietro.
Avrei potuto fare di tutto.
Avrei potuto prendere un martello nello sgabuzzino e ammazzarli tutt'e due a martellate.
Avrei potuto andarmene sbattendo la porta.
Avrei potuto urlare, minacciare, rompere tutto…
Invece rimasi lì, seduto sul pavimento, a bocca aperta, incredulo per quanto stava succedendo. Quella era la donna che avrei dovuto sposare nel giro di tre mesi!
Ele si slacciò la cintura e si abbassò i pantaloni.
- Vieni, piccola, vieni a vedere la proboscide di Ele l’Elefante!
- Mamma mia! Non stavi scherzando! Non ho mai visto niente del genere! È una mostruosità! Non riesco neanche a chiudere le mie dita intorno a lui! È Bellissimo! Osceno e bellissimo! Il doppio di quello di Marco!
Non è vero, figurati! Ma volevi spaccare il capello in quattro, a quel punto?
Rimasi seduto, paralizzato dall'orrore, sperando che le cose non peggiorassero più di così.
Invece peggiorarono.
Vidi come al rallentatore la ragazza che avrebbe dovuto diventare mia moglie di lì a poco inginocchiarsi davanti a Ele, prendergli il cazzo con le due mani e portarselo alla bocca, cercando invano di infilarselo tutto e manifestando una straordinaria adorazione verso l’anatomia del mio ex amico.
Io pensai che non avrei più potuto baciarla sulla bocca. Mai più.
Ele venne, a un certo punto. Spruzzando il suo sperma nella bocca di Silvia, sul suo viso, sul suo petto… Pareva che non finisse mai di eiaculare.
Io invece dovetti andare in bagno a vomitare. Vomitai anche il panettone di Natale. Mi sembrò di non riuscire a smettere. Poi finalmente mi ripresi e a fatica uscii dal bagno.
In tempo per vedere la mia fidanzata sollevare la testa dalle occupazioni che l’avevano tenuta intenta a leccare via ogni traccia dello sperma di Ele, alzarsi e prenderlo per mano.
- Forza, mio stallone, fammi vedere che cosa sai fare in camera. – Poi mi vide e le prese un colpo.
- Marco, oddio, mi ero dimenticata. Stai bene? – era nuda dalla cintola in su e le sue tette ballavano in piena vista.
- Ti sembra che stia bene? Ho appena vomitato! Come puoi farmi questo a meno di tre mesi dal matrimonio!
- Scusa, amore! Non volevo proprio ferirti, non l’ho fatto apposta! – intanto però non lasciava la mano di Ernesto, che, nudo, sogghignava, con la sua mostruosità che gli penzolava tra le gambe.
- Dacci una mezz'ora, Marco. Poi sarò tutta per te. Facciamo un’ora. Dài. Giuro che poi ti farò felice per tutta la vita. È che questa cosa la devo proprio fare, Marco. Non posso non farla, è più forte di me.
Mi rivolsi a Ernesto.
- Ele, non farmi questo. Non farlo. Ti prego.
- Marco, non sono io che voglio scoparla. È lei. È una cosa tra voi due, io non c’entro niente.
- Silvia! Che cosa stai facendo! Scoparti questo pezzo di merda è più importante del nostro matrimonio?
- Non metterla in questo modo. Marco, scendi un momento al bar, bevi qualcosa, fai passare il tempo. Quando tornerai sarò la moglie migliore del mondo per te, farò tutto quello che vorrai.
E così dicendo si affrettò verso la camera tirandosi dietro Ele per la mano. Lui ebbe il tempo di girarsi verso di me.
- Non prendertela! Fai come ti dice! – mi disse rivolgendomi uno sguardo sardonico mentre io restavo allibito a guardarli senza parole. – Meglio che te ne vada. Potrebbe gridare durante gli orgasmi e non ti piacerebbe. Stai tranquillo, cercherò di non allargartela troppo. Ciao.
Me ne andai davvero. Ma non al bar. Tirai fuori dal garage la mia Jaguar E type cabriolet serie 2 del 1969 e malgrado il freddo clima di febbraio abbassai la capote e presi la Milano Meda cullato dal rombo del motore 4.800 aspirato del mostro inglese, l’auto che mi dava emozioni incomparabili rispetto a qualsiasi altra macchina.
Non posso certo dire di essere stato felice, ma ricordo quella notte in macchina ancora oggi come uno dei momenti più intensi della mia vita.
Tornai verso le tre, pensando che Ele se ne fosse andato, ma vidi la sua macchina ancora nel parcheggio.
A casa incontrai Silvia, nuda, in cucina.
- Stai bene? – mi chiese.
- Cosa te ne importa?
- Beh, non farla tanto lunga. Non è che siamo già sposati o niente del genere. Mi è capitata l’opportunità di sperimentarne uno davvero grosso e non me la sono lasciata scappare. Certo che lui è grosso. Davvero, davvero grosso. Incredibile. Che cosa avrei dovuto fare?
- E posso chiederti com'è stato?
- Mah… finora non una meraviglia. Mi aspettavo di più. Mi ha fatto un po’ male. Credo che nel corso della nottata le cose potranno migliorare.
- Nel corso della nottata? Vuoi dire che non avete ancora finito?
- Proprio così, Marco. Sto preparando uno spuntino e gli ho chiesto di fermarsi per la notte, ti spiace?
- Figurati. Io allora secondo te dove dovrei dormire?
- Oddio, non ci ho pensato… Che stupida! Non puoi arrangiarti da qualche parte, Marco? Solo per stanotte, poi da domani tutto tornerà come prima, stai tranquillo.
La guardai con commiserazione. Girai i tacchi e me ne andai senza una parola.
- Non fare così, Marco, niente è cambiato tra noi!
Silvia però non fece neanche il gesto di accompagnarmi alla porta. D’altra parte, nuda com'era, probabilmente non sarebbe stato il caso. Finì che passai le poche ore che restavano della notte nell'albergo di Ele, nella sua camera, al suo posto. Tanto lui non l’avrebbe usata.
Lasciai il mio cellulare acceso, ma nessuno mi chiamò.
La mattina successiva mi svegliai tardi, ma in tempo per andare al lavoro.
Alle undici era prevista la presentazione di Ernesto al consiglio di amministrazione.
Ci arrivai in ritardo, quando ormai un Ernesto con le borse sotto gli occhi stava illustrando i punti salienti della sua offerta, con l’aiuto di un power point.
Quando entrai, Franco Silvani mi presentò a lui come l’amministratore delegato dell’azienda. Ernesto sbiancò.
- Amministratore delegato? Io non avevo capito…
- Perché dici così, mio vecchio amico? Cosa non avevi capito? Che fossi il padrone dell’azienda? Non ti saresti scopato Silvia, allora? Cosa si prova a fottere le ragazze degli amici, eh? Ti sei divertito almeno?
- Ma scusa la tua casa è in affitto, mangiavi un panino con gli impiegati, hai detto che lavori nelle vendite…
- Sì, la casa è della compagnia e me l’affitta per un tozzo di pane. Per le tasse, capisci? Ho un buon rapporto con i miei collaboratori e sono il direttore delle vendite ad interim, oltre a essere il proprietario e l’amministratore delegato.
- Quindi sono fottuto…
- Mai quanto la mia EX fidanzata…! Ah Ah! Comunque sì, sei fottuto. Non comprerò mai le tue macchine e mi preoccuperò di fare in modo che nessun altro te le compri. Sono piuttosto conosciuto nel mercato. Sei fritto, amico. Quella di ieri sera è stata la scopata più costosa della tua vita… A meno che tu non voglia fare un baratto.
- Non capisco, cosa vuoi dire?
- Stavo pensando che potresti prenderti Silvia in cambio della tua azienda.
- Cosa stai dicendo?
- La tua azienda ha del potenziale, ma tu sei troppo stupido per saperla far fruttare, Ti propongo di vendermi il 75% e in cambio ti prendi Silvia…
- Sei impazzito?
- No. Tu hai bisogno di soldi. Io metterò nella tua azienda 750.000 euro, ma in cambio voglio il 75% della compagnia, Inoltre ti garantirò il contratto, anzi, lo duplicherò (e non dimenticare Silvia, per buon peso). Ma tu diventerai un mio dipendente.
- Mi metti alle strette…
- Guarda, io devo partire per la Germania tra due giorni e starò assente fino a sabato. Quando tornerò non vorrò più vedere Silvia in casa mia. Prenditela, cacciala, fai ciò che vuoi, ma levamela di torno. In cambio io farò una iniezione di denaro e mi prenderò la tua azienda. Ci stai? Ti lascio qualche giorno di tempo per pensarci.
Ernesto non ci dovette pensare troppo. Era con l’acqua alla gola e non aveva alternative se voleva avere ancora uno stipendio, per cui finì con l’accettare di cedermi il 70% della compagnia, dopo lunga e accesa trattativa.
Di Silvia non seppi più nulla, solo vaghi pettegolezzi.
Che l’avevano vista in televisione in una pubblicità degli assorbenti, che si era messa a fare del porno-soft e qualcuno dell’ufficio aveva visto i suoi dvd.
Ovviamente il matrimonio è saltato e i suoi genitori non ne sono stati affatto contenti. L'avevano comunque ripresa in casa, soprattutto dopo aver saputo che tutto era andato a monte per un problema di dimensioni anatomiche e che Ernesto non aveva la minima intenzione di avere una relazione stabile con lei.
Quella piccola curiosità le era costata tutto.
Peggio per lei.
Vorrei però che qualcuno mi procurasse i suoi dvd…
5
voti
voti
valutazione
7.2
7.2
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Anna e il suo cornutoracconto sucessivo
La moglie del carabiniere
Commenti dei lettori al racconto erotico