Preso con la forza

di
genere
gay

Fino a quel giorno il servizio militare era stata un’esperienza quasi gradevole, o almeno non così drammatica come qualcuno aveva voluto farmi credere prima della mia partenza: ero lontano da casa 350 km, questo è vero, ma in fondo avevo conosciuto tante persone nuove, alcune delle quali molto simpatiche e ci avevo fatto amicizia.
Durante quei primi due mesi di leva avevo riscoperto in me la passione che sin da piccolo avevo coltivato, ovvero quella della scrittura: all’inizio avevo cominciato scrivendo lettere praticamente a tutti i miei amici che avevo lasciato partendo, poi decisi che avrei tenuto un a specie di diario, in cui avrei annotato pensieri e impressioni della giornata e riportato fatti che mi avessero particolarmente colpito.
Una delle pagine più significative del mio diario riguardava Pietro, il mio collega più anziano dell’ufficio auto, un affascinante ragazzo napoletano che aveva la capacità di risvegliare in me istinti che credevo sopiti da molti anni: era alto attorno al metro e 90, con una carnagione scura e dei capelli neri che ricordavano più un mediorientale che un italiano, e aveva degli occhi marroni così furbetti e una bocca così carnosa, che immagino avrà avuto un sacco di ragazze che gli giravano attorno.
Durante la giornata ero spesso in sua compagnia in ufficio, a dire la verità non così a lungo come il regolamento prevedeva, poiché Pietro, essendo l’elemento con più mesi di servizio militare alle spalle, spesso si assentava e i superiori lo riprendevano assai raramente, visto che si sarebbe congedato di lì a un mese circa.
La maggior parte del tempo che trascorrevamo insieme non lo passavamo da soli, poiché in ufficio eravamo in 4 e raramente si concedevano licenze a più di un elemento dell’ufficio per volta e questo era un bene, dato che ero costantemente preoccupato che lui potesse accorgersi dei dubbi che mi stavano attanagliando da quando lo avevo conosciuto.
L’origine di questo mio malessere risaliva a otto anni prima quando, appena tredicenne, ebbi una storia con il figlio dei vicini, Giovanni, che allora ne aveva 16: all’inizio ci masturbavamo insieme, guardando un giornale o un film porno, poi un giorno, spinto dalla curiosità, gli proposi di fare sesso con me e la cosa andò avanti per tutta l’estate, sperimentando cose nuove e provando sensazioni che mai avevo pensato si sentire.
Una volta tornati sui banchi di scuola cominciammo a frequentarci meno e la storia finì da sola, senza che nessuno dei due facesse nulla per continuarla; visto che ero già oggetto di scherno da parte dei miei compagni per il mio aspetto fisico non certo filiforme, non volevo dar loro altri motivi per prendermi in giro e decisi di dimenticare quella storia e dedicarmi completamente all’altro sesso.
Tutto filò liscio per otto anni, fino a che non mi assegnarono a quell’ufficio e conobbi Pietro: non riuscivo a restare indifferente nei suoi confronti e la cosa mi preoccupava alquanto; avevo incontrato ragazzi carini dopo la fine della mia storia con Giovanni, ma nessuno mi aveva mai particolarmente colpito, invece Pietro era così affascinante e io ne ero rimasto davvero affascinato.
Spesso mi ritrovavo a guardargli le labbra anziché gli occhi mentre mi parlava, altre volte ammiravo i bicipiti scolpiti o le sue gambe toniche, sempre con la speranza che lui non se ne accorgesse, ma ci fu un’occasione in cui forse ebbe il sentore di qualcosa: un giorno, mentre uscivo dalla doccia, incontrai lui che stava andando a farsela; era in mutande e credo che la mia espressione di sbigottimento tradisse un po’ della soddisfazione che avevo provato nel vederlo finalmente senza vestiti, tanto più che il mio sguardo era inevitabilmente sceso verso i suoi slip, che facevano quasi fatica a contenere quel pacco, a mio avviso davvero prominente.
La situazione rimase immutata per tutto il primo mese che passai in ufficio con lui, fino a quella fatidica sera.
Come ogni giorno, alle 17 il lavoro in ufficio terminava, poi eravamo liberi di fare qualsiasi cosa, anche di uscire: solitamente io cenavo in caserma, per poi fare un giro in città dopo cena oppure rimanere in cameretta a scrivere qualcosa e quella sera avevo deciso di buttare giù due righe, ovviamente l’argomento principale sarebbe stato Pietro.
Sdraiato a pancia sotto sul letto, ero talmente immerso nei miei pensieri che non mi accorsi che in camera era entrato qualcuno e si era fermato alle mie spalle, per sbirciare quello che stavo scrivendo: era Pietro e stava leggendo della mia attrazione nei suoi confronti!
I miei pensieri furono bruscamente interrotti dal gesto, totalmente inaspettato, di Pietro: con uno scatto felino era montato sulla branda e mi si era letteralmente sdraiato sopra, non potevo credere a ciò che i miei occhi vedevano e, soprattutto, a quello che il mio corpo sentiva, ovvero tutta la sua eccitazione.
Con mio grande stupore, e un pizzico di compiacimento per avere sopra di me un così bel ragazzo, esclamai: “Pietro, che fai? Dai, scendi!”, pensando che mi volesse fare qualche scherzo, come sono soliti fare i militari anziani alle reclute arrivate da poco, invece la situazione velocemente degenerò.
Pietro mi tappò la bocca con una mano e disse semplicemente, sussurrandomelo all’orecchio: “Se urli, giuro che ti faccio massacrare di botte. Tanto so che ti piacerà, l’ho appena letto”; ero pietrificato dalla paura, non sapevo che cosa volesse farmi e non riuscivo neanche a pensare, sentii Pietro slacciarsi la zip dei pantaloni della mimetica e poi abbassare i miei, lasciandomi a sedere scoperto e capii che cosa stava per succedere.
Volevo scappare, gridargli forte di non farlo o chiamare aiuto, ma il terrore che la minaccia di pochi secondi prima mi incuteva, mi impediva di fare qualsiasi cosa: decisi di lasciarlo fare, sperando che la cosa fosse il più breve e il meno dolorosa possibile.
Restando sempre sopra di me sputò nel mio buchetto, poi si sdraiò nuovamente facendomi sentire tutto il peso del suo corpo e infine, con il suo enorme fallo, cominciò a farsi strada tra le mie chiappe, cercando di entrare nelle mie viscere; quest’operazione richiese un po’ di tempo, poiché il suo glande era davvero grosso e il mio povero ano non veniva profanato da ben 8 anni.
Alla fine, dopo vari tentativi di centrare l’obiettivo, cominciò l’entrata e fu proprio come in quella famosa canzone che dice “la mia mente dice no, ma il mio corpo dice sì”: con la testa pensavo che mi stesse accadendo una cosa terribile, ma evidentemente il mio culo era di parere diverso, dato che il membro di Pietro entrò fino in fondo, tutto in un colpo, senza farmi neanche tanto male.
Ovviamente Pietro notò la facilità con cui era entrato e disse compiaciuto: ”Lo sapevo che non vedevi l’ora di essere inculato. Adesso ti farò godere alla grande!”; cominciò a stantuffarmi con energia e io, pur odiandolo per quello che mi stava facendo contro la mia volontà, stavo davvero provando piacere.
Era così strano quello che mi stava accadendo! Sopra di me avevo un ragazzo che per più di un mese avevo sbirciato di nascosto e di cui ero rimasto affascinato e ora che finalmente stavo ottenendo quello che in più di un’occasione avevo desiderato, non riuscivo altro che a pensare a quanto fosse stato crudele nel prendermi contro la mia volontà.
Forse avrei voluto che questa cosa accadesse in maniera diversa, forse i suoi modi erano stati troppo rudi o forse avevo semplicemente paura che fare sesso con lui mi piacesse così tanto che alla fine mi sarei dovuto arrendere e ammettere con me stesso di essere gay.
Ormai non opponevo più alcuna resistenza al mio invasore e cominciavo anzi ad abbandonarmi al piacere che i suoi colpi, piuttosto violenti, mi davano: Pietro era come un animale selvaggio che sfogava la sua furia su di me, tanta era l’energia con cui mi penetrava; non avrei mai immaginato che potesse essere capace di farmi godere così intensamente, ma era proprio quello che stava accadendo.
Ad un certo punto sentii Pietro ansimare più forte e alla fine riconobbi i segnali dell’orgasmo: mi strinse a sé ed emise un lungo sospiro di piacere, scaricando tutto il suo seme dentro di me e rilassando completamente i muscoli; la belva si era placata e dopo un lungo istante in cui rimase quasi inerme ancora sdraiato sul mio corpo, si sollevò e, andandosene, disse: “Sei stato bravo, mi è piaciuto scoparti. Spero che lo rifaremo”.
Quando mi tirai su dalla branda per correre in bagno mi accorsi, con mia grande sorpresa, di aver avuto un’eiaculazione spontanea: ancora una volta il mio corpo aveva capito e accettato quello che la mente faticava ancora a comprendere.
Il giorno in cui Pietro si congedò io piansi lacrime amare: tutti i miei compagni pensarono che fossi così sconsolato perché avevo perso un amico con cui avevo legato molto; la verità era ben diversa: io piangevo per aver perso un’amante che in quell’ultimo mese mi aveva fatto godere alla follia.
di
scritto il
2015-02-05
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