Helga, umiliata alla visita ortopedica
di
trettern
genere
dominazione
Ero fidanzato con Helga, una ragazza di origine austriaca, da circa quattro mesi. Lei lavorava come barista di fronte alla mia università e devo dire che stavo decisamente bene con lei, sia caratterialmente sia sessualmente. Iniziai però a provare la mia solita e antica curiosità e mi chiesi come avrebbe reagito durante una visita medica. Non sapevo nemmeno se ne avesse mai svolte in Italia, non riuscivo ad immaginarla esposta da un dottore, se si fosse agitata, imbarazzata o se avesse mantenuto la calma. Ogni giorno quando la vedevo mi piaceva immaginarla davanti al medico, col sorriso che le formava due fossette sulle guance, i suoi capelli castano chiaro raccolti o con la treccia, oppure imbronciata come quando le dicevo qualcosa che non le piaceva. Purtroppo non sapevo come convincerla a sottoporsi ad una visita, che fosse anche piuttosto completa.
Un giorno uscì da lavoro lamentandosi per il mal di schiena e per le molte ore in piedi. Mi si illuminò lo sguardo. Inoltre mi venne subito in mente un episodio di parecchi anni prima, quando sentii una conversazione tra due compagne di scuola che parlavano di quanto fosse imbarazzante la visita ortopedica, aggiungendo che il medico da cui andavano entrambe era particolarmente scrupoloso se non eccessivo. Cercai disperatamente il numero di una di queste ex compagne e le telefonai, chiedendole il contatto di questo ortopedico. Ricordo che mi diede tutte le informazioni, ma ripeté che me lo sconsigliava; addirittura disse che le fece portare un busto per anni finché un altro dottore le disse che non era affatto necessario. Corsi da Helga e le proposi una visita per il mal di schiena. Lei accolse la cosa positivamente, mi disse anzi che era felice che mi preoccupassi per lei. Chiamai lo studio medico e una segretaria mi spiegò i costi della visita, premettendo che sarebbero aumentati se il medico avesse ritenuto necessario svolgere esami strumentali. Prenotai per il giorno successivo e avvisai Helga. Andando alla visita capii che lei non aveva mai fatto visite ortopediche, probabilmente davvero non faceva visite mediche da anni e si aspettava qualcosa stile fisioterapista, più per sentito dire che per reale consapevolezza. Era autunno e mi divertivo ad osservare come si fosse vestita per fantasticare cosa avrebbe dovuto togliere durante la visita; indossava dei pantaloni grigi, una felpa con le scritte, scarpe stile allstar, un giubbotto e un berretto invernale da cui uscivano i capelli lisci fin sotto le spalle. Che il medico non fosse molto gettonato, lo capii sin da subito, cioè da quando ci sedemmo in una sala d’attesa deserta. La segretaria avvisò il medico del nostro arrivo e immediatamente disse a Helga di accomodarsi. Quando mi alzai per entrare con lei, mi fermò dicendomi che il medico non voleva parenti o amici durante le visite. Protestai in ogni modo per questa orribile notizia, ma non ci fu nulla da fare. Helga mi diede un bacio e si diresse lungo il corridoio, sorridendomi. Tornai in sala d’attesa, deluso. Dovevo trovare il modo di entrare, di vedere cosa le avrebbe fatto; avevo organizzato tutto questo per starmene seduto in sala d’attesa? Almeno tre volte chiesi alla segretaria di farmi entrare. Passarono diversi minuti, poi notai che la borsa di Helga era rimasta su una sedia accanto a me. Con questa in mano, dissi che dovevo portargliela assolutamente, perché dentro c’erano vecchi esami e referti. La segretaria la prese e disse che l’avrebbe portata lei a Helga. La seguii sfacciatamente e quando aprì la porta dello studio, guardai dentro allungando il collo più che potessi. Vidi il dottore (attempato, basso, quasi senza capelli e col camice che gli arrivava sotto le ginocchia) appoggiato alla scrivania. Mi sporsi di più e notai i vestiti di Helga su una sedia, con le allstar sistemate sotto di essa. A questo punto me ne fregai e feci un passo in avanti, affacciandomi dentro lo studio con la testa. Helga stava in piedi accanto al lettino, in sole mutandine bianche e coprendosi il seno con un braccio. Quando mi vide, fece per andare dietro al lettino in punta di piedi, ma il dottore disse: - dove scappi! Qui davanti a me! – e la segretaria richiuse la porta, pregandomi di tornare in sala d’attesa. Non servirono a nulla i miei scongiuri per lasciarmi entrare. Tornai a sedere eccitato e frustrato. Pensavo a Helga là dentro, adesso sapevo che provava imbarazzo ma la cosa che mi accaldava di più era questo dottore così tanto dominante. Pensavo anche che Helga mi avrebbe incolpato per averla portata lì, ma che cosa ne potevo sapere io?
Intanto passavano i minuti, prima venti, poi mezzora. Che cosa le stava facendo?? Mi scoppiava la testa. Dopo circa quarantacinque minuti di visita, suonò il telefono della segretaria. Intuii che stava parlando col dottore. La segretaria venne da me e mi disse che il medico riteneva necessari altri esami strumentali; potevano svolgersi subito, ma costavano. Le dissi che avrei pagato in anticipo se però avessi potuto assistervi. Mi rispose che per questi esami non c’era alcun problema. Solo durante la prima visita il medico esige privacy. Pagai una cifra che per allora mi sembrava davvero eccessiva ed aspettai di vedere uscire Helga. Finalmente uscì e venne verso di me, era rivestita e viola in viso. Non mi guardava e disse solo qualcosa del tipo – ho finito -. Le spiegai che il dottore aveva chiesto esami posturali approfonditi e che avevo già pagato. Helga, circondata da me, dal dottore e dalla segretaria, venne fatta accomodare in una stanza di fronte al bancone di ingresso; ricordo che la prima impressione che ebbi fu a metà tra una palestra e una stanza delle torture. Vidi pedane, punteruoli metallici, e lettini dotati con cinghie. Il medico si attardò fuori da questo studio, disse a Helga di entrare e spogliarsi come prima. Una volta dentro, la mia ragazza iniziò a sfogarsi a bassa voce. Ripeteva che era stufa, che quel medico era un maiale e perché mai avessi pagato questi esami. Cercavo di tranquillizzarla e le chiesi cosa le avesse fatto. Lei rispose: - di tutto. Mi ha visitata tutta. Adesso come mi devo mettere? Nuda o con le mutande? - . Io diventai paonazzo quanto Helga. – Perché di là hai dovuto togliere le mutande??? – chiesi incredulo. Mi disse di sì, e mentre si spogliava notai sul suo corpo segni di pennarello nero indelebile. Ne aveva sulle scapole, sul bacino, sulla schiena, sulle ginocchia e sulle caviglie. Non feci a tempo a chiedere cosa fossero, perché il medico entrò e ribadì che Helga doveva spogliarsi nuda. Ammetto che questo medico aveva davvero un carattere dominante, malgrado la sua altezza. Riusciva a far sentire anche me in una condizione di sottomissione. Mentre Helga toglieva gli ultimi indumenti, il dottore ci spiegava che non dobbiamo aver timore della nudità, aggiungendo che l’ortopedico è più intimo del ginecologo perché deve conoscere i pazienti da testa a piedi, valutare come si muovono e perfino gli atteggiamenti e i comportamenti.
Quando Helga fu nuda, venne fatta salire su una pedana alla mia sinistra. Io stavo zitto e osservavo tutto impalato accanto alla porta. Squadrai la mia ragazza, aveva raccolto i capelli in una treccia (non so quando ne ha trovato il tempo, all’inizio erano lisci), il seno le sobbalzava ad ogni passo ed i capezzoli erano ritti davanti a lei. Notai i segni di pennarello, il pelo pubico, le mani smaltate di verde scuro e i piedi muoversi quasi sulle punte forse per il gelo del pavimento. Ricordai di quando Helga mi disse di non mostrare volentieri i piedi, perché li riteneva troppo grandi. Feci un sorriso e la osservai salire su questa pedana. Sembrava così esposta, così nuda. Dimostrava un’elevata soglia dell’imbarazzo (chissà come avrei reagito io al suo posto, mi chiedevo), tuttavia il suo volto era sempre un po’ arrossato. Delle fotocamere piazzate su vari sostegni della pedana iniziarono a scattare fotografie del corpo di Helga, dall’alto, lateralmente e da sotto la piattaforma trasparente. Mi disturbava il fatto che queste foto della mia ragazza nuda rimanessero nel database del dottore. Chissà quante ne aveva! Quante ragazze prima di Helga sono state fotografate lì su quel piedistallo! Magari umiliate da morire davanti a parenti, fidanzati, genitori. Il dottore salvava ogni immagine e le chiese di piegarsi a toccare i piedi. Altra serie di foto. Poi la fece scendere e salire su un’altra pedana, questa volta di metallo e con vari supporti. La pedana era pitturata di blu scrostato. “Quante ne ha fatte salire, qui sopra!”, pensavo tra me e me. Il dottore le fece mettere le mani dietro la nuca e le appoggiò una barra metallica sotto al mento, tendendola più possibile. Helga mi guardava preoccupata ma eseguiva tutto ciò che le veniva chiesto senza parlare. Il medico blaterando qualcosa sulla cattiva postura di Helga, iniziò a misurarle alcune distanze con una riga di ferro. Misurò distanza dei capezzoli tra loro e dalle mammelle all’ombelico. – Pendi più a destra – commentò il dottore, passando a misurare distanza delle ginocchia. Poi le fece appoggiare un piede alla volta su un poggiapiedi anch’esso metallico e misurò credo la lunghezza dell’arco plantare. Anche qui disse che appoggiava di più da una parte.
Quando le tolse il supporto su cui appoggiava il mento, Helga fissava il muro senza fiatare, ascoltò impassibile il dottore che riteneva necessaria un’ultima valutazione: il filo a piombo. Disse però che prima di sottoporla a questa indagine, occorreva tenerla in trazione per alcuni minuti poiché andava fatta quando tutti i muscoli principali erano allentati. La invitò a stendersi sul lettino di pelle beige. Era un grosso lettino pieno di cinghie su cui perfino Helga, alta circa 1.75, sembrava più piccola. Il dottore fissò le prime cinghie alle caviglie, stringendo. Helga non parlava. Iniziai a preoccuparmi, adesso sembrava quasi disinteressata a ciò che le stava accadendo. Fui io a chiedere se le avrebbe fatto male. Il medico rispose che si sarebbe solo sentita tirare tutta, poi la fissò i polsi sopra la testa, tirando anche qui le cinghie. Una terza cinghia passava sotto al mento, e tirava la testa verso il muro. Helga non riusciva a parlare, chiese come poteva di allentarla leggermente perché le faceva male. Il medico la allentò, poi si mise al computer ed aprì un gioco di carte. Io mi avvicinai a Helga, non potevo lasciarla lì sola in quelle condizioni. Lei mi fissava ad occhi sbarrati. Le sussurrai – è per il tuo bene – e le feci un sorriso. Il dottore mi disse di non toccarla, così rimasi li accanto e la guardavo tutta in tensione. Ogni tanto provava a muoversi ma era quasi impossibile. Era bellissima anche così e glielo dissi. Lei socchiuse gli occhi. Il dottore si avvicinò e, dicendo un debole – mi dispiace -, strinse le cinghie con un giro di manovella. Helga iniziò a lamentarsi. Deboli gemiti che divennero più forti quando il medico reclinò elettronicamente il lettino portandole la testa più in basso delle gambe. I lamenti smisero quando le tolsero le cinghie. Helga, in balia del dottore e del fastidio a muscoli e articolazioni, si alzò faticando a stare in piedi. La aiutai tenendole un braccio. Mi sussurrò – voglio andare a casa -. La rincuorai che stava per finire tutto. Il dottore le ordinò di mettersi al centro della stanza, gambe divaricate.
La prova del filo a piombo consisteva nel applicarle dei piombini legati ad un filo in alcuni punti del corpo. Se i fili non cadevano paralleli, significava postura scorretta. Mentre il dottore lo spiegava, io lasciai Helga al centro e mi spostai di nuovo a lato, pensando se dopo tutte queste visite fossero necessari i piombini per valutare la postura della mia ragazza. Il primo piombino venne fatto scendere dalla bocca, facendole stringere tra i denti una piccola ancia. Applicò il secondo e il terzo ai capezzoli, con morsetti dentellati che fecero urlare Helga, pur a denti stretti per trattenere l’ancia. Il quarto piombino venne fatto cadere dalla vagina. Le fece allargare le gambe ancora un po’ e infilò in vagina una specie di palloncino, legato al quale il piombino scendeva fino a sotto il ginocchio. Helga iniziò a respirare affannosamente, mi fissava con lo sguardo del “portami via di qui!”. Mi sentii parecchio male nel vederla così, perché ero eccitato e incapace di dire alcunché al dottore. Altri al posto mio l’avrebbero picchiato o denunciato. Invece stavo lì impalato, grato verso questo medico sadico. I fili sembravano dritti, anche se il dottore colpiva i piombini per poi osservarli fermare. Quando il dottore tolse i morsetti a Helga, le usci un po’ di pipì. Non riusciva più a controllarsi. Dovetti aiutarla a rivestirsi, mentre il dottore senza alcun tatto chiamò la segretaria e le disse di pulire a terra dove “la paziente ha urinato”.
Quando tornammo a casa, per i primi giorni dopo la visita, Helga rimase sempre silenziosa. Non si presentò a lavoro per tre giorni. I nostri rapporti si fecero tesi e notai che anche sessualmente qualcosa era cambiato in lei. Sembrava distaccata, assente, però la eccitavano cose che prima non aveva mai rivelato, come essere legata. Inoltre notai come a volte fosse bramosa di sesso, altre volte evitava per giorni di avere contatti fisici. Un giorno, arrivando al bar dove lavorava, la vidi uscire di corsa. Senza farmi vedere la seguii in fondo alla via, poi attraverso la piazza e poi ancora lungo il fiume. Si fermò davanti al portone del medico ortopedico tanto sadico. Si guardò attorno, poi entrò. Non le dissi mai niente, dopo alcuni mesi ci lasciammo.
Un giorno uscì da lavoro lamentandosi per il mal di schiena e per le molte ore in piedi. Mi si illuminò lo sguardo. Inoltre mi venne subito in mente un episodio di parecchi anni prima, quando sentii una conversazione tra due compagne di scuola che parlavano di quanto fosse imbarazzante la visita ortopedica, aggiungendo che il medico da cui andavano entrambe era particolarmente scrupoloso se non eccessivo. Cercai disperatamente il numero di una di queste ex compagne e le telefonai, chiedendole il contatto di questo ortopedico. Ricordo che mi diede tutte le informazioni, ma ripeté che me lo sconsigliava; addirittura disse che le fece portare un busto per anni finché un altro dottore le disse che non era affatto necessario. Corsi da Helga e le proposi una visita per il mal di schiena. Lei accolse la cosa positivamente, mi disse anzi che era felice che mi preoccupassi per lei. Chiamai lo studio medico e una segretaria mi spiegò i costi della visita, premettendo che sarebbero aumentati se il medico avesse ritenuto necessario svolgere esami strumentali. Prenotai per il giorno successivo e avvisai Helga. Andando alla visita capii che lei non aveva mai fatto visite ortopediche, probabilmente davvero non faceva visite mediche da anni e si aspettava qualcosa stile fisioterapista, più per sentito dire che per reale consapevolezza. Era autunno e mi divertivo ad osservare come si fosse vestita per fantasticare cosa avrebbe dovuto togliere durante la visita; indossava dei pantaloni grigi, una felpa con le scritte, scarpe stile allstar, un giubbotto e un berretto invernale da cui uscivano i capelli lisci fin sotto le spalle. Che il medico non fosse molto gettonato, lo capii sin da subito, cioè da quando ci sedemmo in una sala d’attesa deserta. La segretaria avvisò il medico del nostro arrivo e immediatamente disse a Helga di accomodarsi. Quando mi alzai per entrare con lei, mi fermò dicendomi che il medico non voleva parenti o amici durante le visite. Protestai in ogni modo per questa orribile notizia, ma non ci fu nulla da fare. Helga mi diede un bacio e si diresse lungo il corridoio, sorridendomi. Tornai in sala d’attesa, deluso. Dovevo trovare il modo di entrare, di vedere cosa le avrebbe fatto; avevo organizzato tutto questo per starmene seduto in sala d’attesa? Almeno tre volte chiesi alla segretaria di farmi entrare. Passarono diversi minuti, poi notai che la borsa di Helga era rimasta su una sedia accanto a me. Con questa in mano, dissi che dovevo portargliela assolutamente, perché dentro c’erano vecchi esami e referti. La segretaria la prese e disse che l’avrebbe portata lei a Helga. La seguii sfacciatamente e quando aprì la porta dello studio, guardai dentro allungando il collo più che potessi. Vidi il dottore (attempato, basso, quasi senza capelli e col camice che gli arrivava sotto le ginocchia) appoggiato alla scrivania. Mi sporsi di più e notai i vestiti di Helga su una sedia, con le allstar sistemate sotto di essa. A questo punto me ne fregai e feci un passo in avanti, affacciandomi dentro lo studio con la testa. Helga stava in piedi accanto al lettino, in sole mutandine bianche e coprendosi il seno con un braccio. Quando mi vide, fece per andare dietro al lettino in punta di piedi, ma il dottore disse: - dove scappi! Qui davanti a me! – e la segretaria richiuse la porta, pregandomi di tornare in sala d’attesa. Non servirono a nulla i miei scongiuri per lasciarmi entrare. Tornai a sedere eccitato e frustrato. Pensavo a Helga là dentro, adesso sapevo che provava imbarazzo ma la cosa che mi accaldava di più era questo dottore così tanto dominante. Pensavo anche che Helga mi avrebbe incolpato per averla portata lì, ma che cosa ne potevo sapere io?
Intanto passavano i minuti, prima venti, poi mezzora. Che cosa le stava facendo?? Mi scoppiava la testa. Dopo circa quarantacinque minuti di visita, suonò il telefono della segretaria. Intuii che stava parlando col dottore. La segretaria venne da me e mi disse che il medico riteneva necessari altri esami strumentali; potevano svolgersi subito, ma costavano. Le dissi che avrei pagato in anticipo se però avessi potuto assistervi. Mi rispose che per questi esami non c’era alcun problema. Solo durante la prima visita il medico esige privacy. Pagai una cifra che per allora mi sembrava davvero eccessiva ed aspettai di vedere uscire Helga. Finalmente uscì e venne verso di me, era rivestita e viola in viso. Non mi guardava e disse solo qualcosa del tipo – ho finito -. Le spiegai che il dottore aveva chiesto esami posturali approfonditi e che avevo già pagato. Helga, circondata da me, dal dottore e dalla segretaria, venne fatta accomodare in una stanza di fronte al bancone di ingresso; ricordo che la prima impressione che ebbi fu a metà tra una palestra e una stanza delle torture. Vidi pedane, punteruoli metallici, e lettini dotati con cinghie. Il medico si attardò fuori da questo studio, disse a Helga di entrare e spogliarsi come prima. Una volta dentro, la mia ragazza iniziò a sfogarsi a bassa voce. Ripeteva che era stufa, che quel medico era un maiale e perché mai avessi pagato questi esami. Cercavo di tranquillizzarla e le chiesi cosa le avesse fatto. Lei rispose: - di tutto. Mi ha visitata tutta. Adesso come mi devo mettere? Nuda o con le mutande? - . Io diventai paonazzo quanto Helga. – Perché di là hai dovuto togliere le mutande??? – chiesi incredulo. Mi disse di sì, e mentre si spogliava notai sul suo corpo segni di pennarello nero indelebile. Ne aveva sulle scapole, sul bacino, sulla schiena, sulle ginocchia e sulle caviglie. Non feci a tempo a chiedere cosa fossero, perché il medico entrò e ribadì che Helga doveva spogliarsi nuda. Ammetto che questo medico aveva davvero un carattere dominante, malgrado la sua altezza. Riusciva a far sentire anche me in una condizione di sottomissione. Mentre Helga toglieva gli ultimi indumenti, il dottore ci spiegava che non dobbiamo aver timore della nudità, aggiungendo che l’ortopedico è più intimo del ginecologo perché deve conoscere i pazienti da testa a piedi, valutare come si muovono e perfino gli atteggiamenti e i comportamenti.
Quando Helga fu nuda, venne fatta salire su una pedana alla mia sinistra. Io stavo zitto e osservavo tutto impalato accanto alla porta. Squadrai la mia ragazza, aveva raccolto i capelli in una treccia (non so quando ne ha trovato il tempo, all’inizio erano lisci), il seno le sobbalzava ad ogni passo ed i capezzoli erano ritti davanti a lei. Notai i segni di pennarello, il pelo pubico, le mani smaltate di verde scuro e i piedi muoversi quasi sulle punte forse per il gelo del pavimento. Ricordai di quando Helga mi disse di non mostrare volentieri i piedi, perché li riteneva troppo grandi. Feci un sorriso e la osservai salire su questa pedana. Sembrava così esposta, così nuda. Dimostrava un’elevata soglia dell’imbarazzo (chissà come avrei reagito io al suo posto, mi chiedevo), tuttavia il suo volto era sempre un po’ arrossato. Delle fotocamere piazzate su vari sostegni della pedana iniziarono a scattare fotografie del corpo di Helga, dall’alto, lateralmente e da sotto la piattaforma trasparente. Mi disturbava il fatto che queste foto della mia ragazza nuda rimanessero nel database del dottore. Chissà quante ne aveva! Quante ragazze prima di Helga sono state fotografate lì su quel piedistallo! Magari umiliate da morire davanti a parenti, fidanzati, genitori. Il dottore salvava ogni immagine e le chiese di piegarsi a toccare i piedi. Altra serie di foto. Poi la fece scendere e salire su un’altra pedana, questa volta di metallo e con vari supporti. La pedana era pitturata di blu scrostato. “Quante ne ha fatte salire, qui sopra!”, pensavo tra me e me. Il dottore le fece mettere le mani dietro la nuca e le appoggiò una barra metallica sotto al mento, tendendola più possibile. Helga mi guardava preoccupata ma eseguiva tutto ciò che le veniva chiesto senza parlare. Il medico blaterando qualcosa sulla cattiva postura di Helga, iniziò a misurarle alcune distanze con una riga di ferro. Misurò distanza dei capezzoli tra loro e dalle mammelle all’ombelico. – Pendi più a destra – commentò il dottore, passando a misurare distanza delle ginocchia. Poi le fece appoggiare un piede alla volta su un poggiapiedi anch’esso metallico e misurò credo la lunghezza dell’arco plantare. Anche qui disse che appoggiava di più da una parte.
Quando le tolse il supporto su cui appoggiava il mento, Helga fissava il muro senza fiatare, ascoltò impassibile il dottore che riteneva necessaria un’ultima valutazione: il filo a piombo. Disse però che prima di sottoporla a questa indagine, occorreva tenerla in trazione per alcuni minuti poiché andava fatta quando tutti i muscoli principali erano allentati. La invitò a stendersi sul lettino di pelle beige. Era un grosso lettino pieno di cinghie su cui perfino Helga, alta circa 1.75, sembrava più piccola. Il dottore fissò le prime cinghie alle caviglie, stringendo. Helga non parlava. Iniziai a preoccuparmi, adesso sembrava quasi disinteressata a ciò che le stava accadendo. Fui io a chiedere se le avrebbe fatto male. Il medico rispose che si sarebbe solo sentita tirare tutta, poi la fissò i polsi sopra la testa, tirando anche qui le cinghie. Una terza cinghia passava sotto al mento, e tirava la testa verso il muro. Helga non riusciva a parlare, chiese come poteva di allentarla leggermente perché le faceva male. Il medico la allentò, poi si mise al computer ed aprì un gioco di carte. Io mi avvicinai a Helga, non potevo lasciarla lì sola in quelle condizioni. Lei mi fissava ad occhi sbarrati. Le sussurrai – è per il tuo bene – e le feci un sorriso. Il dottore mi disse di non toccarla, così rimasi li accanto e la guardavo tutta in tensione. Ogni tanto provava a muoversi ma era quasi impossibile. Era bellissima anche così e glielo dissi. Lei socchiuse gli occhi. Il dottore si avvicinò e, dicendo un debole – mi dispiace -, strinse le cinghie con un giro di manovella. Helga iniziò a lamentarsi. Deboli gemiti che divennero più forti quando il medico reclinò elettronicamente il lettino portandole la testa più in basso delle gambe. I lamenti smisero quando le tolsero le cinghie. Helga, in balia del dottore e del fastidio a muscoli e articolazioni, si alzò faticando a stare in piedi. La aiutai tenendole un braccio. Mi sussurrò – voglio andare a casa -. La rincuorai che stava per finire tutto. Il dottore le ordinò di mettersi al centro della stanza, gambe divaricate.
La prova del filo a piombo consisteva nel applicarle dei piombini legati ad un filo in alcuni punti del corpo. Se i fili non cadevano paralleli, significava postura scorretta. Mentre il dottore lo spiegava, io lasciai Helga al centro e mi spostai di nuovo a lato, pensando se dopo tutte queste visite fossero necessari i piombini per valutare la postura della mia ragazza. Il primo piombino venne fatto scendere dalla bocca, facendole stringere tra i denti una piccola ancia. Applicò il secondo e il terzo ai capezzoli, con morsetti dentellati che fecero urlare Helga, pur a denti stretti per trattenere l’ancia. Il quarto piombino venne fatto cadere dalla vagina. Le fece allargare le gambe ancora un po’ e infilò in vagina una specie di palloncino, legato al quale il piombino scendeva fino a sotto il ginocchio. Helga iniziò a respirare affannosamente, mi fissava con lo sguardo del “portami via di qui!”. Mi sentii parecchio male nel vederla così, perché ero eccitato e incapace di dire alcunché al dottore. Altri al posto mio l’avrebbero picchiato o denunciato. Invece stavo lì impalato, grato verso questo medico sadico. I fili sembravano dritti, anche se il dottore colpiva i piombini per poi osservarli fermare. Quando il dottore tolse i morsetti a Helga, le usci un po’ di pipì. Non riusciva più a controllarsi. Dovetti aiutarla a rivestirsi, mentre il dottore senza alcun tatto chiamò la segretaria e le disse di pulire a terra dove “la paziente ha urinato”.
Quando tornammo a casa, per i primi giorni dopo la visita, Helga rimase sempre silenziosa. Non si presentò a lavoro per tre giorni. I nostri rapporti si fecero tesi e notai che anche sessualmente qualcosa era cambiato in lei. Sembrava distaccata, assente, però la eccitavano cose che prima non aveva mai rivelato, come essere legata. Inoltre notai come a volte fosse bramosa di sesso, altre volte evitava per giorni di avere contatti fisici. Un giorno, arrivando al bar dove lavorava, la vidi uscire di corsa. Senza farmi vedere la seguii in fondo alla via, poi attraverso la piazza e poi ancora lungo il fiume. Si fermò davanti al portone del medico ortopedico tanto sadico. Si guardò attorno, poi entrò. Non le dissi mai niente, dopo alcuni mesi ci lasciammo.
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