Marina, la regina delle sabbie cap I

di
genere
feticismo

Marina Matar era la gloriosa imperatrice del regno delle sabbie: un vastissimo impero esteso per chilometri e chilometri nel deserto del sukamar e tra le immense montagne circostanti. Era grande circa 10 milioni di chilometri quadrati, facendo di esse l’impero più grande delle terre di Fetishamlya. Marina era una donna bellissima, la sua pelle era color ebano e le sue dolci e sensuali gambe color caramello avevano il massmo spicco alla loro fine, mostrando dei meravigliosi piedi ebanici*. Marina era una delle donne estremamente potenti che controllavano l’andamento dell’intero universo, era anche senatrice galattica insieme a sua madre Indira., una signora dei piedi. L’obiettivo delle signore die piedi era uno e uno soltanto; controllare l’intero universo e sottometterlo sotto la loro mannaia feticista. Esse avevano questo nome non a caso, erano delle forti credenti delle pratiche feticiste e BDSM di qualsiasi genere e puntavano a controllare l’intero universo sotto questa regola. Il loro obiettivo era però messo in serio pericolo dall’ordine cattolico mondiale, possessore di gran parte dei territori dell’universo che considerava sporche e demoniache le pratiche di schiavismo, feticismo e sodomia applicate dai regni delle signore dei piedi. Le signore dei piedi erano 10.
Eva
Indira
Monica
Raffaella
Tiziana
Flavia, la cacciatrice
Shaka Mebarak
Alleria, la amazzone
Giulia Garden
La più forte e potente: la suprema signora dei piedi, Lexi Parker, comandante delle forze feticiste, imperatrice assoluta del regno dei piedi.
A seguito della riunione segreta delle forze fetish, si decise che Marina Matar, la regina delle sabbie, avrebbe annientato l’avamposto cattolico nelle terre di Fetishamlya.
Era un caldo giorno di Luglio e in tutta Worship City si toccavano i 45 gradi, Marina passava il tempo nella sua camera del fetish, a torturare gli schiavi fatti prigionieri nelle lnghe guerre civili combattute per formare il regno delle sabbie. Dentro l’enorme castello, sfarzoso oltre ogni limite, vi erano saloni adornati con calze, museruole per uomini e una grandissima collezione di preservativi pieni di sborra appartenenti a Marina. Andando avanti vi era un breve rettilineo e girando a sinistra ci si trovava davanti una immensa porta che si poteva aprire solo con la forza di oltre 15 uomini o semplicemente con le impronte dei piedi di Marina e Indira. Una volta aperta la porta si scorgeva un lunghissimo, quasi inifito corridoio, tutto completamente in oro e argento con le finestre ai lati e un tappeto rosso riscaldato (o raffreddato a seconda delle esigenze) sul quale avrebbero potuto camminare solo Marina o Indira. Ai lati oltre alle finestre vi erano solitamente schiavi neri (appartenenti come già accennato, agli altri popoli tuareg e beduini sconfitti nella guerra civile delle sabbie) che erano obbligati tutto il giorno e la notte a reggere delle pesanti coppe d’oro contenti vino rosso, simbolo della sconfitta dei loro popoli (coppa d’oro simbolo dei Matar, la dinastia di Marina, vino rappresentante il sangue versato). In fondo a questo lunghissimo corridoio con gli schiavi distanti tra loro a due metri massimo, si ergeva un trono fatto con le ossa dei capi dei popoli sconfitti, placcato in oro, sul quale si sedeva quotidianamente Marina. Al fianco destro del trono vi era un’altra porta in onice, che protava alle stanze segrete e private di Marina. Era proprio lì che in quella giornata calda e afosa l’imperatrice torturava salam-el-ek, ultimo capo dei beduini sconfitti, per sapere dove fosse la fenice d’oro, una preziosissima statua dal valore inestimabile, un trempo appartenente al popolo beduino e ora andata dispersa tra i deserti. Marina brandiva una frusta di pelle estremamente spessa con la quale colpiva ripetutamente il malcapitato. Le urla di salam-el-ek erano intense e forti
“uuaaargh, le giuro che non so niente, padrona” implorava in lacrime salam, ma Marina era intransigente, voleva ottenere quella ricchezza assoluta. Un altro colpo vibrò nell’aria.
“uuaargh, spuut” le grida e il sangue scendevano a fiotti dalla bocca del malcapitato, completamente nudo ai piedi dell’imperatrice. Uno straccio bianco e sporco era stato messo per non sporcare il lussuoso pavimento dorato col sangue indegno del torturato.
“giù” disse con voce suadente e tenebrosa Marina.
“si padrona” ansimò
CONTINUA...
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2016-01-04
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