Neanche come donna
di
Andrè
genere
gay
Maledetta aria condizionata, proprio adesso doveva mollarmi!. Sta finendo settembre, ma fa un caldo da giugno e sto sudando come un porco. Sono quasi arrivato , il navigatore dice fra pochi minuti, ma ho sbagliato rampa. Meglio, magari arrivo in ritardo e non lo trovo. O lascio perdere e torno indietro. Sono sul punto di farlo, credo che lo avrei fatto senza problemi se solo l’altro ieri non lo avessi chiamato a quel modo. Se fosse stata solo una voce, magari chiamata per strada quando la senti appena o quando comunque sei troppo indaffarato per farti colpire. E invece lo avevo chamato sdraiato sul mio letto. Completamente nudo. La sua voce era gentile, si mostrava interessata, anche se in qualche modo severa. “Descriviti un po’… che tipo di esperienze hai avuto …” Sul sito avevo detto che ero alle prime armi (anzi: alla prima… arma), ma mi ero inventato una piccola esperienza di sesso orale che speravo mi avrebbe fatto guadagnare dei punti, o comunque non mi avrebbe catalogato fra gli infoiati fantasiosi e improvvisati che poi si tirano indietro. Mentre parlavamo accarezzavo col piede la gamba, lentamente, su e giù, e sentivo che mi eccitavo. Sì, mi eccitavo al telefono con un uomo vero, in carne ed ossa e non con il solito oggetto di fantasia. Ci diamo un appuntamento. Ed eccomi quasi arrivato.
Quella mattina mi ero fatto un clistere che mi aveva eccitato ancora di più, è come se mi fossi ripulito da freni inibitori, pregiudizi, paure. Non ho mangiato nulla per arrivare il più pulito possibile. Finalmente, arrivo all’angolo che ci eravamo detti; vedo l’edicola di cui aveva parlato, il parcheggio. Sono fuori orario di due minuti, mi appoggio alla ringhiera dietro all’edicola. Penso che mi sembra di essere una puttana e ne sorrido; guardo un’ auto parcheggiata poco lontano con un tale al telefono: cerco di mettermi nella posizione più visibile (e indifferente) possibile: mi deve aver visto, ma non fa caso a me. Passa un’ auto di grossa cilindrata con un tale tarchiato con la barbetta (lui aveva scritto sul sito di avere un pizzetto lievemente brizzolato), mi guarda, ma prosegue.
Sono passati dieci minuti: sono sollevato, sto per andarmene: sono salvo! In realtà rimango per vedere fino a che punto scendo in basso, fino a che punto sono disposto a stare in strada aspettando di farmi caricare come l’ultima delle baldracche.
Stupidamente sorridente, muovo un passo per andare via quando dall’angolo arriva: mi guarda, gentile e un po’ guardingo, chiedo inutilmente “Mauro?”, ci stringiamo la mano e mi invita a seguirlo. Apre un cancello, scendiamo una piccola rampa ed entriamo (evidentemente non è l’entrata principale) in un bel palazzo. Nell’atrio un paio di grandi piante che mi ricordano quelle del mio dentista: un po’ è così che mi sento, con quella lieve tensione mista ad imbarazzo da sala d’aspetto di ambulatorio. L’ascensore è piccolo, mi fa salire, parliamo con frasi brevi di sciocchezze, non mi guarda ed io non ho il coraggio di guardarlo.
Mi fa entrare, vuole offrirmi un caffè, ma io, preoccupato per l’alito e lo stomaco, chiedo solo dell’acqua fresca. Lui prende un chinotto, poi mi fa vedere la sala: è un open space con pochissima mobilia e molta luce. Lui fa il grafico pubblicitario, mi mostra qualcosa al computer che fingo di guardare; io mi invento un mestiere. Mi fa accomodare sul divano chiedendomi di me, che ci faccio lì: ho l’impressione di dare risposte stupide; sento che più il tempo passa più è difficile che succeda qualcosa. “Fallisco anche da donna” penso ad un certo punto. C’è silenzio, imbarazzo, credo di averlo deluso, credo che stia pensando che io sia un povero sfigato che voleva soddisfare un prurito, una curiosità, ma poi non ha le palle per farlo. Credo che stia pensando a come liberarsi di me. Sono sul punto di prendere il coraggio a quattro mani, scusarmi per il disturbo e andarmene.
“Vieni più vicino”, mi sorride. Mi sfiora i capelli, mi accarezza leggermente il viso, scende sul fianco e mi passa leggera una mano sui jeans. Il cuore mi batte all’impazzata, con lo sguardo seguo la sua mano. “Andiamo di là? Non darmi il tempo di scappare!”: era la mia voce! Non so da quale recesso della mia anima, della mia mente sono uscite quelle parole. “Va bene”, sorride.
Ci spostiamo in camera da letto: si toglie i vestiti, rimane in mutande, io facco atrettanto. Dalla biancheria si distingue chiaramente la forma del pene, l’ampiezza dello scroto; faccio fatica a togliere gli occhi da lì: capisco già che è proprio quello che avevo visto su internet, non bluffava! Mi vengono in mente i commenti lusinghieri di coloro con cui era stato e non so se sono più preoccupato o felice. Sono sorpreso e un po’ intimorito dalla mia reazione, da quello stato di eccitazione che cominciava a prendermi. Si sdraia e da quel momento mi muovo assolutamente inconsapevole di me, come se mi guardassi da fuori, come se non fossi io.Mi chino su di lui, gli bacio un capezzolo attendo la sua reazione: per quello che ne sapevo, avrebbe potuto respingermi: non so come si fa, cosa è giusto fare. Su internet e al telefono era stato chiaro: lui è solo attivo, la “donna” (lui non si era espesso così, anzi, mi aveva detto di detestare gli effeminati) ero io ed era proprio quello che desideravo.. Gli accarezzo il ventre, gli bacio l’ombelico e scendo sull’orlo delle mutande, seguendolo e spostandolo impercettibilmente con un dito. Sento che gli piace, cambia il respiro, emette un piccolissimo gemito quasi impercettibile, quasi pregustasse un piacere promesso. Con la bocca mi appoggio alle mutande all’altezza del suo cazzo, la apro e simulo di morderlo. Sento che gli piace. Che mi piace. Quello sconosciuto che è in me gli cala dolcemente le mutande, lui mi aiuta sollevando leggermente il sedere per farsele sfilare: sento che l’ho in pugno in questo momento. Sento che gli sto procurando un piacere quale mai sono stato in grado di procurare ad una donna: mi eccito e mi sento in qualche modo al mio posto, sento che lo devo a me stesso.
Il pene non è ancora eretto, ma è gia tosto; lo scappello e comincio a leccarlo con la punta della lingua inumidita, in tutta la sia lunghezza, dal basso all’alto. Lui freme, appoggio le labbra socchiuse sulla cappella e le chiudo come gustassi un gelato o una fragola. Vi appoggio i denti e simulo di morderla, prendendola dalla base a uscire. Finalmente un cazzo vero dopo tutti quelli immaginati! Ed era buono il suo sapore acidulo, pulito ma non profumato, sapeva di un cazzo che aveva eiculato da poco (anche se di che cosa potesse sapere un cazzo non ne sapevo nulla, in realtà); potevo sentire con la punta della lingua un lontano umore di piacere. Mi chiedo se anche questo gli piaccia, che cosa debba fare adesso: ma lui mi poggia la mano sulla testa e spinge dolcemente ma con decisione che non ammette repliche: ben presto ce l’ho tutto in bocca e faccio su e giù giudato dal ritmo della sua mano esperta. Vedo le dita dei suoi piedi divaricate e mi capisco che sta provando piacere, che IO gli sto dando piacere. Mi chiede di andare sopra di lui; non capendo cosa intendesse, mi prende per i fianchi con una stretta decisa (da cui capisco che sono io ad essere in sua balia in realtà) e mi fa ruotare sopra di lui e comincia al leccarmi il culo, cioè il buco del culo! Mi sembra un porno! MA MI PIACE SENTIRE IL CULO INUMIDIRSI , LO SENTO COME SE SI DILATASSE A DISMISURA : SONO ECCITATISSIMO. MAI PROVATO NIENTE DI SIMILE! RIMARREI COSÌ A LASCIARGLIELO FARE, MA MI RITORNA ALLA VISTA IL SUO BEL CAZZO CHE SI STA AMMOSCIANDO (SI FA PER DIRE…) E RICOMINCIO A PRENDERLO IN BOCCA AVIDAMENTE, CON GUSTO: NON HO PIÙ BISOGNO DELLA SUA MANO CHE MI GUIDI. I SUOI PIEDI MI DICONO CHE ANCHE IO SONO BRAVO OLTRE LUI.
Il piacere per me sia fa incontenibile, non riesco più a succhiare, godo solo nel sentire questa umidità nel mio culo e appoggio il viso sul suo cazzo caldo. Se mi vedessero parenti a amici: il rispettabile, anonimo, gentile, timido Marco a farsi leccare il culo da questo pezzo d’uomo.
Quando smette, scivola a lato del mio corpo, mentre rimango sdraiato sull’onda di quel piacere umido. Sento il rumore come di un elastico: scorgo che ha indossato il preservativo alla velocità della luce. Non abbiamo bisogno di dirci nulla: mi sdraia sulla schiena, mi alza le gambe che poggiano sulle sue spalle solide e mi penetra. Inizialmente sono anestetizzato, ma poi sento il suo sesso fra le mie glutei e mi piace. Mi stanno inculando… e mi piace. Mi mette di fianco alzandomi una gamba e mi penetra ancora per diversi minuti (credo fossero minuti…): è bello, è dolce, mi bacia sul collo e sulle spalle: ho i brividi, e più ne ho e più sento piacere dentro di me. Poi si alza: mi fa mettere a pecorina e mi penetra, stavolta forte, con scatti decisi e potenti: io tendo a piegarmi in avanti ma lui mi tiene su afferrando con la sua presa d’acciaio i miei fianchi. Mi fa male, provo dolore e piacere fortissimi nello stesso momento. Ansimo ad alta voce come una troia in calore, sono sutto teso, la sue mani mi tengono stretto e continua a stantuffarmi. Sento che sto facendo movimenti come per divincolarmi, le gambe a tratti non toccano neanche più il materasso, ma lui non mi molla e colpisce, forte. Alla fine dico sottovoce basta; alla terza smette: avrei sopportato quel piacere - dolore, ma la schiena non mi reggeva più, mi faceva troppo male. Mi lascia e io mi lascio cadere sdraiato, spossato: non sentivo quasi più le gambe; nel culo, ora che aveva smesso, una piacevolissima sensazione di intorpidimento. Credo che avrei potuto rimanere così per ore: invece mi prende per le spalle e mi fa sedere sul letto:si toglie il preservativo e si masturba davanti a me, fortissimo e velocissimo. Avvicino la faccia, con la bocca serrata.: speravo mi appoggiasse la cappella sulle labbra, che spingesse: lo avrei fatto entrare.
Ma non lo fa: eiacula sulla mia faccia a piccoli getti annacquati, quasi gocce, il che dimostrava che quel giorno aveva già scopato o si era masturbato per durare di più. Non ebbi il coraggio di assaggiare lo sperma dalla mia faccia. Mi fece fare la doccia e mi accompagnò fuori dicendo che aveva commissioni da fare: quando gli ho chiesto se gli avrebbe fatto piacere un altro incontro si dimostrò possibilista, il che mi rese stupidamente felice. Quella sera andai a mangiare una pizza tra i soliti amici e amiche rigorosamente etero, come me, del resto: non potevano sapere quanto del mio buonumore di quella sera venisse da quell’ano che sentivo spalancato e ancora fremente di quella scopata.
Quando in seguito provai a ricontattarlo, mi rispose una sola volta dicendo che era molto impegnato, di risentirci più avanti. Un po’ per orgoglio e un po’ per non apparire invadente non ci provai più, ma lui non sa quanto ancora mi ecciti pensare a quel pomeriggio, al male che il suo cazzo mi ha fatto, e come il suo pensiero sia la più efficace delle medicine contro i miei periodici abbassamenti di testosterone.
Quella mattina mi ero fatto un clistere che mi aveva eccitato ancora di più, è come se mi fossi ripulito da freni inibitori, pregiudizi, paure. Non ho mangiato nulla per arrivare il più pulito possibile. Finalmente, arrivo all’angolo che ci eravamo detti; vedo l’edicola di cui aveva parlato, il parcheggio. Sono fuori orario di due minuti, mi appoggio alla ringhiera dietro all’edicola. Penso che mi sembra di essere una puttana e ne sorrido; guardo un’ auto parcheggiata poco lontano con un tale al telefono: cerco di mettermi nella posizione più visibile (e indifferente) possibile: mi deve aver visto, ma non fa caso a me. Passa un’ auto di grossa cilindrata con un tale tarchiato con la barbetta (lui aveva scritto sul sito di avere un pizzetto lievemente brizzolato), mi guarda, ma prosegue.
Sono passati dieci minuti: sono sollevato, sto per andarmene: sono salvo! In realtà rimango per vedere fino a che punto scendo in basso, fino a che punto sono disposto a stare in strada aspettando di farmi caricare come l’ultima delle baldracche.
Stupidamente sorridente, muovo un passo per andare via quando dall’angolo arriva: mi guarda, gentile e un po’ guardingo, chiedo inutilmente “Mauro?”, ci stringiamo la mano e mi invita a seguirlo. Apre un cancello, scendiamo una piccola rampa ed entriamo (evidentemente non è l’entrata principale) in un bel palazzo. Nell’atrio un paio di grandi piante che mi ricordano quelle del mio dentista: un po’ è così che mi sento, con quella lieve tensione mista ad imbarazzo da sala d’aspetto di ambulatorio. L’ascensore è piccolo, mi fa salire, parliamo con frasi brevi di sciocchezze, non mi guarda ed io non ho il coraggio di guardarlo.
Mi fa entrare, vuole offrirmi un caffè, ma io, preoccupato per l’alito e lo stomaco, chiedo solo dell’acqua fresca. Lui prende un chinotto, poi mi fa vedere la sala: è un open space con pochissima mobilia e molta luce. Lui fa il grafico pubblicitario, mi mostra qualcosa al computer che fingo di guardare; io mi invento un mestiere. Mi fa accomodare sul divano chiedendomi di me, che ci faccio lì: ho l’impressione di dare risposte stupide; sento che più il tempo passa più è difficile che succeda qualcosa. “Fallisco anche da donna” penso ad un certo punto. C’è silenzio, imbarazzo, credo di averlo deluso, credo che stia pensando che io sia un povero sfigato che voleva soddisfare un prurito, una curiosità, ma poi non ha le palle per farlo. Credo che stia pensando a come liberarsi di me. Sono sul punto di prendere il coraggio a quattro mani, scusarmi per il disturbo e andarmene.
“Vieni più vicino”, mi sorride. Mi sfiora i capelli, mi accarezza leggermente il viso, scende sul fianco e mi passa leggera una mano sui jeans. Il cuore mi batte all’impazzata, con lo sguardo seguo la sua mano. “Andiamo di là? Non darmi il tempo di scappare!”: era la mia voce! Non so da quale recesso della mia anima, della mia mente sono uscite quelle parole. “Va bene”, sorride.
Ci spostiamo in camera da letto: si toglie i vestiti, rimane in mutande, io facco atrettanto. Dalla biancheria si distingue chiaramente la forma del pene, l’ampiezza dello scroto; faccio fatica a togliere gli occhi da lì: capisco già che è proprio quello che avevo visto su internet, non bluffava! Mi vengono in mente i commenti lusinghieri di coloro con cui era stato e non so se sono più preoccupato o felice. Sono sorpreso e un po’ intimorito dalla mia reazione, da quello stato di eccitazione che cominciava a prendermi. Si sdraia e da quel momento mi muovo assolutamente inconsapevole di me, come se mi guardassi da fuori, come se non fossi io.Mi chino su di lui, gli bacio un capezzolo attendo la sua reazione: per quello che ne sapevo, avrebbe potuto respingermi: non so come si fa, cosa è giusto fare. Su internet e al telefono era stato chiaro: lui è solo attivo, la “donna” (lui non si era espesso così, anzi, mi aveva detto di detestare gli effeminati) ero io ed era proprio quello che desideravo.. Gli accarezzo il ventre, gli bacio l’ombelico e scendo sull’orlo delle mutande, seguendolo e spostandolo impercettibilmente con un dito. Sento che gli piace, cambia il respiro, emette un piccolissimo gemito quasi impercettibile, quasi pregustasse un piacere promesso. Con la bocca mi appoggio alle mutande all’altezza del suo cazzo, la apro e simulo di morderlo. Sento che gli piace. Che mi piace. Quello sconosciuto che è in me gli cala dolcemente le mutande, lui mi aiuta sollevando leggermente il sedere per farsele sfilare: sento che l’ho in pugno in questo momento. Sento che gli sto procurando un piacere quale mai sono stato in grado di procurare ad una donna: mi eccito e mi sento in qualche modo al mio posto, sento che lo devo a me stesso.
Il pene non è ancora eretto, ma è gia tosto; lo scappello e comincio a leccarlo con la punta della lingua inumidita, in tutta la sia lunghezza, dal basso all’alto. Lui freme, appoggio le labbra socchiuse sulla cappella e le chiudo come gustassi un gelato o una fragola. Vi appoggio i denti e simulo di morderla, prendendola dalla base a uscire. Finalmente un cazzo vero dopo tutti quelli immaginati! Ed era buono il suo sapore acidulo, pulito ma non profumato, sapeva di un cazzo che aveva eiculato da poco (anche se di che cosa potesse sapere un cazzo non ne sapevo nulla, in realtà); potevo sentire con la punta della lingua un lontano umore di piacere. Mi chiedo se anche questo gli piaccia, che cosa debba fare adesso: ma lui mi poggia la mano sulla testa e spinge dolcemente ma con decisione che non ammette repliche: ben presto ce l’ho tutto in bocca e faccio su e giù giudato dal ritmo della sua mano esperta. Vedo le dita dei suoi piedi divaricate e mi capisco che sta provando piacere, che IO gli sto dando piacere. Mi chiede di andare sopra di lui; non capendo cosa intendesse, mi prende per i fianchi con una stretta decisa (da cui capisco che sono io ad essere in sua balia in realtà) e mi fa ruotare sopra di lui e comincia al leccarmi il culo, cioè il buco del culo! Mi sembra un porno! MA MI PIACE SENTIRE IL CULO INUMIDIRSI , LO SENTO COME SE SI DILATASSE A DISMISURA : SONO ECCITATISSIMO. MAI PROVATO NIENTE DI SIMILE! RIMARREI COSÌ A LASCIARGLIELO FARE, MA MI RITORNA ALLA VISTA IL SUO BEL CAZZO CHE SI STA AMMOSCIANDO (SI FA PER DIRE…) E RICOMINCIO A PRENDERLO IN BOCCA AVIDAMENTE, CON GUSTO: NON HO PIÙ BISOGNO DELLA SUA MANO CHE MI GUIDI. I SUOI PIEDI MI DICONO CHE ANCHE IO SONO BRAVO OLTRE LUI.
Il piacere per me sia fa incontenibile, non riesco più a succhiare, godo solo nel sentire questa umidità nel mio culo e appoggio il viso sul suo cazzo caldo. Se mi vedessero parenti a amici: il rispettabile, anonimo, gentile, timido Marco a farsi leccare il culo da questo pezzo d’uomo.
Quando smette, scivola a lato del mio corpo, mentre rimango sdraiato sull’onda di quel piacere umido. Sento il rumore come di un elastico: scorgo che ha indossato il preservativo alla velocità della luce. Non abbiamo bisogno di dirci nulla: mi sdraia sulla schiena, mi alza le gambe che poggiano sulle sue spalle solide e mi penetra. Inizialmente sono anestetizzato, ma poi sento il suo sesso fra le mie glutei e mi piace. Mi stanno inculando… e mi piace. Mi mette di fianco alzandomi una gamba e mi penetra ancora per diversi minuti (credo fossero minuti…): è bello, è dolce, mi bacia sul collo e sulle spalle: ho i brividi, e più ne ho e più sento piacere dentro di me. Poi si alza: mi fa mettere a pecorina e mi penetra, stavolta forte, con scatti decisi e potenti: io tendo a piegarmi in avanti ma lui mi tiene su afferrando con la sua presa d’acciaio i miei fianchi. Mi fa male, provo dolore e piacere fortissimi nello stesso momento. Ansimo ad alta voce come una troia in calore, sono sutto teso, la sue mani mi tengono stretto e continua a stantuffarmi. Sento che sto facendo movimenti come per divincolarmi, le gambe a tratti non toccano neanche più il materasso, ma lui non mi molla e colpisce, forte. Alla fine dico sottovoce basta; alla terza smette: avrei sopportato quel piacere - dolore, ma la schiena non mi reggeva più, mi faceva troppo male. Mi lascia e io mi lascio cadere sdraiato, spossato: non sentivo quasi più le gambe; nel culo, ora che aveva smesso, una piacevolissima sensazione di intorpidimento. Credo che avrei potuto rimanere così per ore: invece mi prende per le spalle e mi fa sedere sul letto:si toglie il preservativo e si masturba davanti a me, fortissimo e velocissimo. Avvicino la faccia, con la bocca serrata.: speravo mi appoggiasse la cappella sulle labbra, che spingesse: lo avrei fatto entrare.
Ma non lo fa: eiacula sulla mia faccia a piccoli getti annacquati, quasi gocce, il che dimostrava che quel giorno aveva già scopato o si era masturbato per durare di più. Non ebbi il coraggio di assaggiare lo sperma dalla mia faccia. Mi fece fare la doccia e mi accompagnò fuori dicendo che aveva commissioni da fare: quando gli ho chiesto se gli avrebbe fatto piacere un altro incontro si dimostrò possibilista, il che mi rese stupidamente felice. Quella sera andai a mangiare una pizza tra i soliti amici e amiche rigorosamente etero, come me, del resto: non potevano sapere quanto del mio buonumore di quella sera venisse da quell’ano che sentivo spalancato e ancora fremente di quella scopata.
Quando in seguito provai a ricontattarlo, mi rispose una sola volta dicendo che era molto impegnato, di risentirci più avanti. Un po’ per orgoglio e un po’ per non apparire invadente non ci provai più, ma lui non sa quanto ancora mi ecciti pensare a quel pomeriggio, al male che il suo cazzo mi ha fatto, e come il suo pensiero sia la più efficace delle medicine contro i miei periodici abbassamenti di testosterone.
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