Una sorpresa per Justin

di
genere
gay

Ciò che sto per rivelarvi dimostra quanto sia sconvolgente scoprire contegni inaspettati da parte di un coniuge, ma le sorprese sono sempre dietro l’angolo e le variabili della natura umana, a volte, si scoprono casualmente. Vi confido un fatto che avvenne nell’estate del 2014 quando, dopo sei anni di matrimonio, io e mio marito Devin decidemmo di fare le vacanze separate per staccare la spina dalla monotonia di coppia e ridare un tocco vitale alla nostra vita in comune. Il tocco effettivamente ci fu e che tocco!
Lui preferì una nota località balneare dell’adriatico, io scelsi un’altrettanta famosa località del tirreno, entrambi per due settimane e con ampia libertà di condotta, compreso qualche breve flirt balneare. Sta di fatto che le mie vacanze durarono ben poco perché il primo giorno che mi recai in spiaggia, sebbene avessi messo una crema a protezione 30, mi buscai un eritema solare. La guardia medica mi suggerì di stare lontano dalla spiaggia per almeno due giorni, di recarmi in farmacia ad acquistare degli antistaminici e una crema solare a maggiore protezione, poi rimanere sotto l’ombrellone per un altro paio di giorni. Telefonai a mio marito per avvisarlo di ciò che mi era accaduto.
«Dovrò tornare prima del previsto se l’eritema si aggravasse», gli dissi.
«Jiustin», rispose lui «sarebbe sciocco rinunciassi alle vacanze per un banale eritema. Segui i consigli del dottore e tutto si risolverà. Non vorrai rinunciare a far notare le tue belle forme ai giovanotti che gremiranno la spiaggia! Ti ho concesso persino di toglierti il reggiseno, di farti corteggiare da qualche bel maschione e accettare che ti accompagni in discoteca. Puoi concedergli anche il petting e praticargli la fellatio ma che tutto finisca lì, senza penetrazioni negli orifizi inferiori e complicazioni sentimentali. Queste piccole evasioni sessuali gioveranno al nostro rapporto che ne trarrà nuova linfa. Poi al ritorno ci racconteremo tutto, compresi i dettagli, perciò non fare la sciocchezza di rovinarti la vacanza.»
A questo punto, se la frase esplicita di mio marito vi fosse parsa una mia invenzione narrativa, per rendere intrigante l’inizio di questa vicenda, vi devo informare che già da un paio d’anni, durante i nostri amplessi, ci sussurravamo spesso frasi lussuriose, audaci, come quando lui mi mormorava che gli sarebbe piaciuto masturbarsi mentre mi osservava fare l’amore con un altro uomo ed io gli bisbigliavo che desideravo fare altrettanto mentre lui montava un’altra donna. Certo, erano tutte fantasie che stimolavano i nostri rapporti sessuali ma, lentamente, diventavano desideri che le nostre menti concretizzavano fino a quando non divennero vere proposte di trasgressione, sfociate in quelle vacanze separate che sarebbero servite per vivere esperienze sessuali con incontri occasionali, poi raccontarci i dettagli di ciò che avevamo vissuto.
«Justin, approfitta delle libertà che ci siamo concessi», si raccomandò lui «perché la vita passa in un lampo e ogni occasione lasciate è perduta per sempre.»
«Tu farai altrettanto Devin?» gli risposi.
«Solo se trovo una bionda bella almeno quanto la mia mogliettina mora», soggiunse «ma sotto gli ombrelloni del mio bagno non ho scorto, per il momento, nessuna femmina che possa uguagliarti. In compenso ho fatto amicizia con vacanzieri che hanno organizzato un torneo di beach-Volley. Credo che mi troverai dimagrito quando torneremo. Ah non farti venire sensi di colpa se…insomma hai capito. Domani ti chiamerò io Ciao amore. Sei sempre nel mio cuore.»
Spensi il cellulare. Quegli sproni mi fecero pensare all’uomo che aveva seguitato a lanciarmi furtive occhiate per tutta la prima mattinata passata in spiaggia. Era un bell’uomo, sui quarant’anni, snello, moro e con uno di quei menti squadrati che denotavano forte indole e virilità. Sebbene avesse la fede matrimoniale, non avevo visto nessuna signora accanto a lui. Ebbene quando sarei tornata in spiaggia, avrei accettato che attaccasse bottone e atteso le sue avance. Avrei pure capito se sua moglie era con lui o no. Due giorni dopo l’eritema si era molto attenuato, perciò decisi di provare a tornare in spiaggia. Rammento che mancava un quarto alle nove quando imboccai il vialetto del bagno nel quale avevo prenotato ombrellone e lettino. Lo vidi seduto sul suo lettino, i piedi sulla sabbia, intento a leggere un quotidiano. Per raggiungere il mio posto potevo tagliare per la spiaggia ma allungai il tragitto per passargli davanti.
«Buongiorno, signora», mi disse facendomi un sorriso discreto.
«Buongiorno», risposi.
«Pure oggi sarà una giornata serena, di quelle al calor bianco», mi disse.
Mi soffermai presso di lui con il pareo ancora addosso e la borsa da spiaggia sottobraccio. «Purtroppo», le risposi «non potrò approfittarne perché dovrò stare sotto l’ombrellone almeno un paio di giorni.» Capii dall’espressione interrogativa dei suoi begli occhi bruni, che ne avrebbe voluto sapere il motivo. «Mi è comparso un eritema solare, perciò dovrò stare attenta a non prendere direttamente il sole.»
«Mi spiace», rispose lui «ma questi disturbi spesso si risolvono in pochi giorni, perciò dipende da quanto durerà la sua vacanza, se vorrà tornare a casa bella abbronzata.»
«Mi trattengo due settimane. Sottraendo i tre giorni che sono trascorsi da quando non esco dall’albergo, me ne rimangono undici. Lei?»
«Rimango ancora per dieci notti», mi rispose poi aggiunse:
«L’ho vista entrare nell’hotel di fronte al mio. Non si mangia male lì. Ci sono stato tre anni fa con mia moglie. Purtroppo quest’anno non si sono combaciate le ferie. Volevo tornare lì ma ho telefonato troppo tardi ed era tutto occupato, perciò ho dovuto sceglierne un altro, cento metri più distante dalla spiaggia.»
Annuii sorridendogli. Forse influenzata dalla libertà licenziosa che mi concedeva mio marito, mi balenò un pensiero vizioso. «A questo moro glielo prenderei volentieri in bocca. Chissà che non possa veramente capitare.» Pure le signore non soltanto i signori possono avere subitanei, lussuriosi desideri, persino più di quel che i maschi pensino. Gli augurai di seguitare una buona lettura. Un’ora dopo si approssimò al mio lettino. Poco distante passava il venditore di cocco. Mi chiese se accettavo che me ne offrirmene una fetta. Assentii. Si sedette sul bordo del mio lettino, mangiammo il cocco assieme e fu inevitabile che parlassimo un po’ di noi. Conversando giungemmo verso l’ora di tornare in albergo. Il tempo era volato. Mi disse: «Dopodomani c’è un concerto della Nammini allo stadio. Posso chiederle di accompagnarmi?»
Il cuore prese a palpitarmi in gola, ed ecco ancora l’impudico pensiero trapassarmi la mente come un dardo. L’occasione non sarebbe certo mancata di prenderglielo in bocca perché dopo il concerto…beh si sa come vanno a finire certi “inviti” . Accettai.
Purtroppo non vidi né il bel moro sposato né il concerto perché durante il pomeriggio l’eritema tornò a tormentarmi tanto che dovetti ritirarmi in albergo alle cinque del pomeriggio. Chiesi al gestore se avesse un’aspirina. Me la diede, poi mi suggerì di bagnare un fazzoletto di cotone con acqua minerale non gasata e applicarlo sulla parte infiammata. Al suono della campanella per la cena il bruciore si era attenuato. Giunsi in sala da pranzo con il dubbio se dire al direttore che avrei rinunciato alla vacanza oppure rimanere. Mi sarebbe dispiaciuto se il bel moro non mi avesse visto più. Ero titubante al punto da chiedere un consiglio al direttore. Mi suggerì di tornare a casa perché non era il primo caso che gli capitavano clienti con lo stesso mio problema e che non era solo il sole a provocare quel disturbo cutaneo. «Sicuramente l’aria salmastra, irritando la pelle, favorisce l’infiammazione», mi disse.
Le risposi, rattristata, che mi sarebbe dispiaciuto lasciarle libera la camera per così tanti giorni.
«Non si preoccupi signora, per noi non sarà un problema. Riceviamo molte telefonate al giorno per la prenotazione delle camere.»
Decisi che l’indomani mattina sarei partita presto. Tornai in camera, accesi il cellulare per avvisare Devin che sarei tornata a casa, ma desistei. Non volevo preoccuparlo e magari indurlo tornare. Saremmo stati in due a esserci rovinata la vacanza. Avrei atteso che mi telefonasse lui, l’indomani pomeriggio, verso l’ora di cena, quando ero già rientrata a casa.

Dopo alcune ore d’auto imboccai la rampa che scendeva nel vasto posteggio interrato dell’enorme edificio in cui vivevamo, un palazzone di quelle immense periferie, addossate al centro storico, in cui, in una grande città come la nostra, potevi passare una vita intera senza sapere nulla riguardo chi abitasse sullo stesso pianerottolo.
Giunta al mio piano tolsi le valigie dall’ascensore, le posai presso il portoncino del mio appartamento, presi le chiavi dalla borsetta e lo aprii. L’ingresso in cui si affacciavano la porta della zona notte, quella del salottino e del tinello, era immerso nel buio. Accesi la luce, portai le valigie nell’ingresso e la prima cosa che feci, fu quella di recarmi nel bagno della zona notte per rinfrescarmi un po’. La porta era soltanto accostata. La cosa mi sembrò piuttosto strana perché era stata io ad uscire di casa per ultima quando eravamo partiti e avevo fatto il giro di tutte le porte per chiuderle a chiave. «Strano» pensai «che mi sia dimenticata di chiudere proprio questa?» Accesi la luce del disimpegno in cui si affacciavano le porte delle camere e non dovetti adoperare la chiave nemmeno per entrare in bagno. Quella porta me lo rammentavo bene di averla chiusa, perché l’avevo riaperta per prendere delle forbicine, poi richiusa a chiave una seconda volta. La cosa cominciava a farsi sempre più strana. Nel bagno c’era un odore di colonia che mai avevo sentito: colonia for man. Strano. Aprii la tenda della doccia. L’ambiente era saturo di vapore acqueo, come se qualcuno l’avesse adoperato di recente, senza preoccuparsi di accendere la ventola. Un dubbio mi fece venire la pelle d’oca. Rimasi in silenzio, nemmeno rotto dalle mie scarpe sportive, che avevo calzato per stare più comoda durante il viaggio di ritorno. Mi parve di udire voci. Tornai nel corridoio. Le voci si fecero più distinte. Mi accostati alla porta della camera degli ospiti. Udii un tono baritonale che diceva:
«Tesoro, fammelo drizzare con la bocca. Ecco così. Titillami il frenulo con la lingua se vuoi che divenga grosso e lungo come a te piace vederlo. Bravo…Ah continua, ancora, ancora!»
«Te lo succhio anche per un quarto d’ora se mi prometti di non venire. Desidero che la prima sborrata, quella più abbondante, tu me la faccia in culo. Mamma mia, Morgan quanto lo hai grosso! Ancora mi stupisce quando me lo fai ballonzolare davanti agli occhi. Faccio fatica a prendere in bocca la sola cappella.»
Avvertii un fremito lungo la spina dorsale. La voce che aveva risposto a quella baritonale era di mio marito. Al mare non c’era andato e adesso mi tradiva nel letto a una piazza e mezza che avevamo messo nella cameretta degli ospiti, non con una donna ma… Mi sembrava impossibile che Devin mi tradisse con un uomo. Talvolta aveva qualche movenza aggraziata ma immaginavo facesse parte del suo modo gentile di comportarsi.
Spensi la luce del corridoio per rimanere in penombra, appoggiai la mano sulla maniglia della porta di camera e iniziai a tirarla in basso con esasperante lentezza per evitare il minimo cigolio. Scostai di un paio di centimetri la porta e ciò che vidi mi fece avere un mancamento tanto che dovetti appoggiarmi al muro. Avvicinai ancora di più l’occhio allo spiraglio e osservai trattenendo il fiato. Mio Marito era seduto sul letto e sulle sue gambe spiccavano autoreggenti nere a rete; calzava scarpe con tacco di certo non inferiore a 12. Un uomo molto alto, tanto quanto possono esserlo i giocatori di pallacanestro, era in piedi, piazzato davanti a lui e teneva la mano destra stretta alla base del suo cazzo (col pube rasato) per indirizzare l’asta verso la bocca di mio marito. Devin dovette spalancare completamente le labbra per ospitare il voluminoso glande. L’uomo disse a mio marito: «Alba, titillami il frenulo con la tua deliziosa lingua.»
Ero sconcertata, mio marito si faceva chiamare addirittura con un nome femminile. Prese a titillare il frenulo del suo amante con colpetti rapidi. Di tanto in tanto passava la lingua sull’orifizio uretrale e leccava avidamente le gocce di liquido prespermatico che da esso fuoriuscivano.
Morgan gli disse: «Adesso, Alba, leccami i testicoli, prendili in bocca, uno per volta e succhiali, poi leccami il buco del culo.»
Ubbidiente, mio marito fece scorrere la lingua lungo l’asta fino a raggiungere i grossi testicoli glabri. Iniziò a leccarli, ora uno ora l’altro, con voluttà. Che quell’atto gli cagionasse un intenso appagamento mentale lo capivo dal suo cazzo in erezione. Mio marito non è mini dotato; il suo cazzo misura una quindicina di centimetri in erezione ma confrontato con quello del suo amante, faceva una ben magra figura.
«Se tua moglie ti vedesse in questo momento, scatenerebbe il pandemonio», commentò a un tratto Morgan.
Mio marito seguitò a leccare e succhiare i testicoli di Morgan, limitandosi a cenno di assenso con la testa, come se la goduria cerebrale che provava, nel leccare i coglioni del suo amante sovrastasse in interesse tutto il resto.
«Forse», azzardò Morgan «se glielo lo confidassi gradualmente, potremmo coinvolgere anche lei nei nostri giochi erotici, che ne dici Devin? Lo sai benissimo che io sono bisex.»
Lui trasse di bocca il testicolo sinistro di Morgan per dirgli che non doveva contarci, che un trio così composto era impossibile avvenisse.»
«Mai dire mai», commentò Morgan stringendo gli occhi per il piacere che gli cagionava “Alba” di nuovo intenta a succhiargli i testicoli.

Mi sentivo avvilita e furiosa allo stesso tempo. Mi venne l’impulso di irrompere in camera per fare il diavolo a quattro e costringerli entrambi a lasciare casa, cosi com’erano, nudi come vermi, per esporli al pubblico ludibrio, ma il buon senso mi trattenne.
Quella che guardavo era sconvolgente perché nessuno dei due aveva fretta di fare o ricevere, visto che si ritenevano fuori pericolo da intrusioni.
Seguitando a spiarli, mi resi conto, però, che la mia mente reagiva in un modo che mai mi sarei aspettata. Ciò che mi accadeva mi stupiva ma, che lo volessi o no, ebbi la sensazione di bagnarmi. Come poteva capitarmi una reazione simile. Misi una mano sotto la gonna, poi nelle mutandine per accertarmene. Turbata al punto da sentirmi avvampare il volto, mi resi conto di essere fradicia. Com’era possibile che vedere mio marito fare sesso con un altro uomo mi eccitasse tanto?
«Alzati, Alba», disse a un tratto Morgan «se mi lecchi i testicoli per altri dieci secondi, ti vengo in faccia. Tu invece preferisci che ti sborri in culo e lo farò, però prima baciami, poi fammi quel particolare lavoretto di lingua che a me piace tanto.»
Vidi mio marito mettersi in piedi di fronte al suo amante. Soltanto in quel momento, paragonando l’altezza dei due, potevo vedere (sebbene mio marito calzasse scarpe da donna con tacchi alti) quanta differenza di altezza ci fosse tra Devin e quel gigante che lui chiamava Morgan. Seguitai a sbirciare dalla fessura. Avevo la fronte imperlata di sudore. Morgan prese letteralmente in braccio mio marito, come se i suoi settanta chili fossero leggeri come un cuscino di piume. Devin gli mise le braccia attorno alle massicce spalle e iniziò a leccargli il volto, lasciandogli sulla pelle una scia umidiccia di saliva. Poi si soffermò a leccargli le tumide labbra. Morgan si prestò alla strisciata di saliva gemendo di piacere, poi dischiuse la bocca per consentire a mio marito di affondarci la lingua. I due maschi presero a succhiarsi saliva vicendevolmente. Vedevo le loro lingue avvilupparsi, duellare, di bocca in bocca, come per esplorare le più recondite profondità delle mucose. A volte cessavano di baciarsi per fissarsi negli occhi, come due innamorati. Quel perdurare dei loro amoreggiamenti mi sminuiva come femmina, però mi conturbava, mi eccitava. Quell’enorme cazzone di Morgan, eretto e gocciolante liquido preseminale dall’uretra, che vedevo dondolare sotto i glutei di Devin, mi appariva come l’emblema della virilità. Però si ergeva in tutta la sua maestosità non per una donna ma per un altro maschio. Non sono mai stata brava a determinare la lunghezza di un oggetto, ma sono convinta che quel cazzo non misurasse meno di ventitré ventiquattro centimetri ed era molto grosso: una vera proboscide di carne pulsante, la cui asta era attraversata da una rete venosa di varie dimensioni, pulsante di sangue. Mi domandai quali fossero le motivazioni psicologiche che inducevano un uomo tanto possente e dotato, ad avere tendenze gay. Più guardavo quel bastone di carne, sormontato dal maglio della cappella che aveva dimensioni maggiori dell’asta, più pensavo a mio marito perché mi sembrava impossibile che potesse essere in grado di farsi sodomizzare da una tale anormalità, lui che diceva di trovare fastidioso persino che gli introducessi un dito in culo mentre gli facevo un pompino. Tutte frottole, le sue, fandonie con cui celava la sua vera natura omosessuale e pure passiva. Era lui tra i due che faceva la femmina.
A un tratto Morgan gli disse:
«Adesso, Alba, desidero che tu mi faccia quel lavoretto di lingua che a te riesce magnificamente e che mi manda in brodo di giuggiole.»
Col fiato sospeso, talmente ero tesa, vidi mio Marito sedersi sul letto e Morgan voltarsi di spalle, poi piegarsi in avanti ad angolo retto, in modo da mostrargli i glutei. Vidi Devin allargare, con le mani, i glutei di Morgan in modo da rendere scoperto il suo orifizio anale, anch’esso glabro.
Qualche secondo prima che mio marito sprofondasse il volto tra le muscolose e floride natiche di Morgan, lo vidi trarre fuori la lingua dalla bocca.

La faccia di mio marito sprofondò tra i glutei di Morgan. Non riuscivo a vedere che cosa facesse, ma dai mugolii che fuoriuscivano dalla bocca di Morgan, immaginavo che mio Devin si dava un bel daffare per leccare il buco del culo del suo amante e magari tentare di affondare il più possibile la lingua dentro il buco grinzoso.
La mia mano scivolò in basso, s’introdusse tra le mie mutandine, anch’esse ormai fradice di umori. Iniziai a titillarmi il clitoride. Giunsi all’orgasmo quasi subito, un piacere intenso mi avvolse la fica come una nube temporalesca, carica di pioggia, in cui balenavano lampi di luce ovattata. L’orgasmo si dilatò al punto da sembrare che mi risalisse lungo la spina dorsale, mi entrasse nel cervello e lì esplodesse in mille tonalità colorate. Chiusi gli occhi e seguitai a godere quel lungo orgasmo, che parve attenuarsi, per poi riesplodermi nella fica, quasi con l’intensità della prima volta. Seguitai a titillarmi il clitoride. Provai un terzo orgasmo che assieme al piacere mi fece avvertire una sorta di scossa elettrica. Aprii gli occhi e tornai a spiare i due amanti. Mio marito seguitava a leccare l’orifizio anale di Morgan come volesse proseguire chissà per quanto tempo ancora. Subito dopo mi sentii confusa. Avvertii un senso di disgusto, più per me stessa che per quello che seguitava a fare mio marito: rimorso per avere provato un orgasmo dietro l’altro spiandolo? Gocce di sudore mi grondavano dalla fronte rigandomi la faccia.
Finalmente, dopo avere consentito a Devin di leccargli l’ano per altri cinque o sei minuti, Morgan si scostò riprendendo la posizione eretta. Disse a mio marito che la sua lingua era stata di una delicatezza meravigliosa. Si sdraiarono sul letto, l’uno tra le braccia dell’altro, con i cazzi entrambi eretti. Rimasero forse un quarto d’ora a vezzeggiarsi e pomiciare.
Morgan baciò ardentemente quella bocca che si era aperta e appiccicata come una ventosa al suo ano e succhiò quella lingua che gli aveva leccato il buco del culo. Poi sussurrò in un orecchio di mio marito, qualcosa che non riuscii a percepire, ma ne compresi il senso quando vidi mio marito mettersi carponi sul bordo del letto, quindi collocarsi due guanciali sotto le ginocchia.
Morgan prese un tubetto dal comodino, ne trasse un gel trasparente che spalmò sull’orifizio anale di mio marito. Si spalmò un’abbondante quantità di gel lubrificante anche sul cazzo, giungendo fino ai testicoli, poi avvicinò quella proboscide di carne al culo di mio marito. Con le mani gli allargò le natiche e si accinse a sodomizzarlo. Mi sembrava ineseguibile che Devin potesse farsi penetrare da quella stanga di uccello dritto come un mattarello e con una cappella così grossa che lo faceva somigliare a quegli strumenti d’assalto medioevali che gli assedianti usavano per abbattere i massicci portoni de castelli assediati: gli arieti. Vidi la grossa cappella insinuarsi tra i glutei di Devin, poi Morgan arcuò la schiena per consentire ai suoi massicci fianchi di spingere il cazzo nell’orifizio anale di mio marito.
Vidi Devin stringere gli occhi, le sue labbra assumere una smorfia di dolore. Sentii che diceva a Morgan di fare adagio. Vidi il bacino di Morgan spingersi avanti lentamente. Dalla mia posizione non potevo vedere la penetrazione ma immaginavo lo sfintere di mio marito, tentare di dilatarsi per accogliere la grossa capocchia del cazzo di Morgan.
«Rilassati», gli suggerì Morgan «non contrarti, trai un profondo respiro, vedrai che dopo ti farò godere da matti.»
Vidi i glutei scattare in avanti di una decina di centimetri, poi fermarsi. Devin aveva emesso un mugolio di dolore, poi il suo volto si era rilassato e un lieve sorriso era apparso sulle sue labbra. Evidentemente il suo sfintere aveva ceduto alle spinte pelviche di Morgan e quella mostruosa cappella era riuscita ad entrare nel retto. Mi resi conto che mi stavo eccitando nuovamente. Dovevo riuscire a vedere di più. Sperando che i cardini della porta non cigolassero, allargai lo spiraglio di qualche centimetro. Adesso potevo vedere meglio la scena. Morgan, tenendo allargati i glutei di Devin, roteava il bacino come se con quel movimento volesse rilassare ancor di più i muscoli sfinterici di mio marito. Il suo cazzo era penetrato per metà nel culo di Devin e probabilmente lui si preparava all’affondo fino ai testicoli. Così accadde.
Morgan, con un repentino scatto del bacino, immerse la sua mazza nelle viscere di Devin, che guaì di dolore-piacere. Poi solo di piacere.
«Adesso ti sfondo il culo, troietta mia», sospirò Morgan in un singulto di goduria. Iniziò un martellante avanti e indietro da far ballonzolare mio marito come una bambola di pezza e lui che lo incitava gemendo e godendo. «Sì…sì…così, rompimi il culo, Morgan, sfondami, fottimi…ah, ancora, ancora, non ti fermare… ho come godooo! Il tuo cazzone è meraviglioso.»
Morgan si fermò, di colpo e, col suo vichingo spadone completamente affondato nel culo di Devin, tanto a fondo che la sua pelvi premeva tra i glutei di mio marito, commentò malizioso:
«Te la immagini la faccia di tua moglie se ci scoprisse in questo momento?»
Quella frase mi tolse il respiro. Per un istante pensavo che Morgan si fosse accorto della mia presenza. Mio marito gli rispose:
«Non ci voglio pensare. In ogni modo mia moglie non tornerà e per un’altra decina di giorni potremo seguitare a vederci.» Poi aggiunse:
«Perché mi hai fatto questa domanda?»
Morgan gli rispose:
«Per dire qualcosa di conturbante, distogliere il pensiero dal tuo ospitale intestino e attenuare lo stimolo di scaricarti, troppo in fretta, il mio carico intatto di calda sborra nel tuo intestino. Credo che eiaculerò tanto copiosamente che a te parrà un clistere. Hai il retto meravigliosamente caldo e avvolgente puttanella mia e non è facile trattenersi, invece voglio ancora incularti per un bel po’. Rimase pensoso, poi soggiunse:
«Se a tua moglie rivelassi la nostra relazione, potrebbe accettarla e forse…»
«Forse cosa», gli chiese mio marito, tra un ansito di goduria e l’altro.
«Potrebbe pure gradire un incontro a tre. Me l’hai descritta come una bella signora d’indole carnale e tu lo sai quanto io sia versatile.»
«Tremo solo al pensiero che lo venga a sapere», replicò Devin.
«La conversazione, in ogni caso, mi ha almeno distratto e fatto allontanare lo stimolo di eiaculare» disse Morgan. «Adesso, puttanella mia, voglio sodomizzarti nella posizione del missionario e guardarti negli occhi mentre ti ficcherò il mio spadone tutto nel culo. Ormai, per oggi, non hai la necessità che il mio cazzo debba allargarti lo sfintere, quindi t’impalerò in un sol colpo di maglio, proprio come a te piace che faccia.»
Morgan gli tolse la mazza dal culo tanto rapidamente che essa emise un rumore simile a un tappo tolto da una bottiglia di vino.
Vidi Devin prendere i due cuscini e metterseli sotto le reni con una spontaneità che mi fece pensare a quel gesto come un atto che aveva già fatto molte volte. Mentre lo faceva, osservai i guanciali. Non erano nostri e nemmeno nostre le doppie lenzuola color tabacco messe a protezione della biancheria nostra. Evidentemente quella biancheria era di Morgan che l’aveva messa per proteggere la nostra e non lasciare macchie di umori od odori diversi dal solito. Avevano proprio previsto tutto per non lasciare alcuna traccia.

Devin, con due cuscini sotto le reni, si era esposto all’assalto del cazzo di Morgan, nella posizione più adatta possibile. Quando divaricò le gambe e con le mani si dilatò le natiche, scorsi quanto fosse stata devastante la nerchia di Morgan. L’accesso ai suoi intestini era rimasto allargato almeno quanto il foro di un cilindretto su cui è avvolta la carta da cucina. Quello spettacolo invece di farmi inorridire di disgusto, mi fece accapponare la pelle. Abbassai la mano per trarre in alto un lembo di gonna e tornai a insinuare le dita sotto le mie mutandine. Come lo facesse indipendentemente dalla mia volontà, il dito medio si posò sul mio clito e prese a titillarlo lentamente, ancora una volta.
Morgan si adagiò sopra Devin, gli abboccò la grossa cappella all’orifizio anale e, con una rapida spinta del bacino, gli infilò il suo cazzone tutto nel culo fino a premere il pube contro i testicoli di Devin. Fece ruotare il bacino per rigirare la sua mazza nell’intestino di mio marito come volesse frugare in quei meandri come il mestolo rimesta nella polenta borbogliante.
«Ahhh…sììì!» mugolò Devin che aveva sollevato le gambe per avvolgere le caviglie attorno alle reni di Morgan. Le sue cosce fasciate dalle autoreggenti e i suoi piedi calzanti scarpe con tacco dodici (che mai si era tolto) mi rimandavano una visione sconcertante e conturbante.
«Rimestami gli intestini, fammi sentire che sono la tua maiala, la tua troia, la tua vacca da monta. Dimmelo Morgan!»
Lui iniziò a stantuffare il suo cazzone nel culo di mio marito con affondi lenti ma sempre profondi, quindi aumentò la rapidità. Il suo volto era trapassato da un’espressione che assommava piacere alla lotta per ritardare l’eiaculazione.
«Ancora, ancora, Morgan ancora! Sento che l’asta del tuo cazzo mi sta massaggiando la prostata; è meraviglioso! Continua, continua, sto per venire senza sfiorarmi il cazzo.»
Infatti, vedevo il pene di mio marito pulsare. Che fosse stato in grado di eiaculare davvero, senza sfiorarselo?»
«Ahhh, godooo», gridò mio marito. Vidi gli zampilli di sperma, iniziare a fuoriuscirgli, copiosi, dall’orifizio del glande a schizzargli sulla pancia e sul petto.
«Godo anch’iooo», mugolò Morgan. «Ti riempio il culo di sborra!» gridò moltiplicando le spinte pelviche.
A quel punto raggiunsi ancora un orgasmo. Sebbene avessi già provato un intenso un piacere diffuso per tutta la fica, un’onda di voluttà mi avvolse la vagina, dandomi la sensazione che mi penetrasse dentro l’utero: un piacere fisico che mi lasciò quasi senza energia per stare in piedi. Poi il turbamento mi prese alla gola. Richiusi la porta lentamente, in punta di piedi mi diressi verso la porta d’ingresso. Portati fuori della porta i bagagli, li misi sull’ascensore, raggiunsi la mia auto, mi allontanai dal condominio e mi recai alla ricerca di un albergo, in cui sostare per tutto il tempo che mi rimaneva delle vacanze. Avevo la necessità di concedermi il tempo per assorbire lo sconcerto, sia per avere trovato mio marito a letto con un altro maschio e sì, devo ammetterlo, anche per la mai strana reazione. Avevo visto mio marito sodomizzato da un uomo alto due metri, con un cazzo proporzionato alla sua altezza e mi ero letteralmente arrapata tanto da godere due volte con un’intensità mai provata. Cribbio!

Trascorsi il resto delle vacanze in albergo, dedicando il tempo rimasto per visitare pinacoteche e musei, ma senza togliermi dalla mente quello sconvolgente episodio. Guardavo un quadro del settecento ma senza vederlo con occhio critico perché pensavo:
«In questo momento mio marito giacerà con quel Morgan, sul letto degli ospiti? Gli succhierà il cazzo o godrà nel sentire che il gigante glielo ha messo tutto in culo? Ci telefonavamo due volte al giorno, a giorni alterni, e quando lo facevo io mi sforzavo di parlarle con naturalezza e inventandogli che stavo vivendo un flirt con un bel moro col pinzo. Lui fece lostesso dicendomi che stava vivendo un’ardente avventura con una venticinquenne olandese, rossa naturale e che i dettagli, al calor bianco, me li avrebbe rivelati al ritorno, sopra il nostro lettone coniugale.
«Il moro che ho conosciuto» gli dissi «si chiama Alberto, o almeno questo è il nome che si è dato. Stasera mi porta a mangiare la pizza.»
«Poi che cosa farete?» volle sapere lui.
«Certamente ci apparteremo. Ha una station vagon con i vetri bruniti e di stradine buie, a qualche chilometro dal mare, ce ne sono quante ne vogliamo. Ieri sera lui mi ha proposto che gli facessi un…»
«Non dirmelo Justin, anche se immagino che tu lo abbaia accontentato. I dettagli ce li racconteremo quando saremo tornati, prima di fare l’amore. Sarà elettrizzante.»
«Certo», pensavo tra me e me «sarà proprio elettrizzante.»

Dovevo ideare qualcosa di veramente originale per fargli capire che sapevo tutto di lui. Mi venne in mente un’idea. cercai un sexi-shop. Mi feci coraggio e, vincendo il disagio, entrai. Osservando i numerosissimi oggetti esposti, vidi ciò che sarebbe servito al mio scopo: un cazzo finto di notevoli proporzioni, copia perfetta di uno vero. Aveva un colore imitante la carne, con tanto di venature che simulavano i vasi sanguigni. Era pure dotato di cinghie per legarselo al pube. Chiamai la commessa, le dissi che volevo acquistare quel pene finto e di farmi un pacchetto regalo con un grande fiocco rosso.
«Signora», mi avvisò lei «quel pene è uno dei più grossi e lunghi che abbiamo ed è particolarmente adatto alle penetrazioni anali perché è morbido e flessibile. Le occorrerà però un’ottima crema lubrificante, sia che lei lo voglia usare per altre persone, oppure se sia lei a volerlo ricevere. L’avverto che ha un diametro di sei centimetri ed è lungo ventitre. Ce ne sarebbero anche più grandi. Venga glieli faccio vedere.
La commessa me ne fece vedere uno che aveva la forma di un braccio fino al gomito e con la mano che aveva le dita allungate e strette a becco d’uccello.
«Questo», disse «è adatto per simulare il fisting, ma occorrono ani molto abituati a questa pratica perché misura trentacinque centimetri di lunghezza e ha un diametro di otto nel punto più largo.
«Caspita!» pensai «da non credere «Prendo quello di prima», le risposi «e mi dia la più efficace crema lubrificante che ha in negozio.»


Epilogo
Quattro giorni dopo il mio rientro a casa, all’inizio di quella che doveva essere una notte di sesso ardente, durante la quale, nei preliminari, ci saremmo eccitati raccontandoci delle nostre avventurette sessuali, vissute al mare, porsi a Devin la scatola col fiocco rosso.
Lui la guardò sorridendo, felice che avessi pensato a farle un dono.
«Mi spiace che non abbia pensato a ricambiarti», mi disse con un’espressione mortificata.»
Io gli risposi:
«Sei ancora in tempo a ricambiare.»
«Come? Dimmi che cosa preferisci.»
«Apri la scatola, guarda il dono che ti ho fatto e forse comincerai a capire il dono che desidero.»
«Che cosa può esserci in una scatola più lunga che larga», disse lui, poi soggiunse soppesandola:
«Il contenuto è piuttosto pesante…»
Quando la aprì e ne vide il contenuto sbiancò come un lenzuolo.»
«Ti basta di questa grandezza?» gli domandai. «Credo che somigli molto alle dimensioni di quello di Morgan.»
Lui non rispose. Riuscì a balbettare qualcosa di incomprensibile al che dovetti perdere l’iniziativa per parlare. Gli proposi con calma:
«Ti prometto che quando lo vorrai ti sodomizzerò con questo oggetto ma tu dovrai farmi conoscere Morgan.»

IRIS
di
scritto il
2016-10-16
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