Schiava aziendale, p. 4
di
Anacletus Whip
genere
sadomaso
ATTENZIONE: Questo racconto contiene scene forti e in alcuni casi anche estreme di abuso, umiliazione, violenza, e sesso non consensuale. Non contiene vero e proprio "snuff"; ma a parte questo, c'è di tutto. Tutto ciò è inteso come fantasia e ovviamente l'autore non giustificherebbe queste pratiche nella vita reale - in nessun modo, grado, o circostanza. Si dà anche per scontato che chi legge sappia che il reale BDSM è un'altra cosa ed è basato sul consenso, come qualsiasi altra attività sessuale sana. Tra l'altro, alcune forme di violenza che appaiono nel racconto non sono descritte realisticamente né come pratica né come conseguenze, e non sarebbero accettabili nemmeno in un rapporto consensuale.
Diversi lettori hanno trovato questo racconto troppo forte per i loro gusti; quindi suggerisco a chi ritiene di poter essere urtato di astenersi dal leggere.
Nota: le puntate precedenti di questa storia si trovano nella sezione "dominazione" anziché "sadomaso".
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Le punture di vespa (Manuela aveva percepito chiaramente solo la prima, ma era stata punta meno profondamente anche all’altro seno) risultarono molto dolorose e gonfiarono molto. Per Manuela non fu possibile nasconderle alla sua famiglia, e dovette inventarsi di aver urtato un nido di vespe tornando dalla mensa aziendale.
Per fortuna, lo stupro da parte dei colleghi era avvenuto di venerdì, e Manuela aveva due giorni di tempo per cercare di cancellare o almeno attenuare le tracce dell’accaduto, prima di tornare in ufficio e spogliarsi ancora di fronte a Depoulos. Il dottore (consultato per telefono, con la scusa di una puntura a una mano) le consigliò di riempire una bacinella d’acqua con cubetti di ghiaccio, e di tenere le punture immerse nell’acqua gelida il più a lungo possibile nell’arco di tutta la giornata. Manuela passò tutto il week-end in quelle condizioni, seduta in soggiorno davanti a una bacinella d’acqua ghiacciata; teneva i seni immersi finché non resisteva più per il dolore, li tirava fuori dall’acqua per qualche minuto, e poi ricominciava. Indossava una camicia sbottonata davanti per nascondere le cinghiate sulla schiena, e l’unico reggiseno che riusciva a sopportare, uno di cotone liscio molto morbido e che però, tutto bagnato, risultava quasi trasparente; aveva i capezzoli erano costantemente eretti per il freddo, e si vergognava moltissimo di trovarsi in quelle condizioni di fronte ai suoi familiari. Finché i seni erano in acqua erano meno visibili, e per la vergogna, ogni volta che c’era qualcuno nella stanza, Manuela cercava di tenerli immersi tutto il tempo, stringendo i denti per sopportare il dolore…
Sua madre e sua sorella cercavano di lasciare Manuela da sola, venendo solo ogni tanto a chiederle se aveva bisogno di qualcosa; suo fratello, invece, sembrava quasi fare apposta a fermarsi a lungo quando passava in soggiorno. Un paio di volte era addirittura rimasto a guardarla senza parlare, con un ghigno che Manuela non era riuscita a decifrare del tutto. Lei si era limitata ad abbassare gli occhi, arrossendo, rendendosi conto però che il ragazzo aspettava di vederle sollevare i seni gonfi dall’acqua…aveva cercato di resistere più che poteva, soffrendo, e il dolore e la vergogna – quando alla fine non aveva potuto fare a meno di mostrare i seni – le avevano fatto provare quell’odioso brivido fra le gambe a cui era stata abituata dalle umilianti attenzioni di Depoulos…
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Quando finalmente lunedì arrivò al lavoro, il gonfiore ai seni era quasi del tutto sparito, e anche i segni delle frustate di Goran erano meno evidenti. Manuela camminò a passo veloce attraverso l’open space, tenendo gli occhi bassi e cercando di ignorare i suoi colleghi, ed entrò nel proprio ufficio. La sua “nuova” sedia era ancora lì… aveva sperato che i colleghi la facessero sparire per non far scoprire nulla a Depoulos, ma si era sbagliata. Manuela rimase incerta qualche momento, guardando i due grossi membri di plastica su cui avrebbe dovuto impalarsi per sedersi al suo computer… e il suo sguardo si spostò su un documento che era rimasto sulla scrivania. Il suo progetto…
Aveva lavorato a quel progetto tutti i giorni da quando era cominciato il ricatto. Ci aveva messo l’anima, osando sperare che da quello potesse cominciare la sua riabilitazione agli occhi del direttore e dell’azienda. Il documento era pronto da diversi giorni, ma fino ad allora Manuela non aveva avuto il coraggio di parlarne a Depoulos. Quel giorno, però, ancora dolorante per le violenze subite la settimana prima, di fronte all’alternativa se sedersi sulla sua sedia o provare quello che aveva in mente da settimane… Prese il telefono, con mani tremanti.
– Signor Depoulos, mi perdoni – disse, in tono remissivo. – Chiedo scusa se mi permetto di disturbarla… volevo chiederle se posso parlarle… se gentilmente mi può concedere dieci minuti…
– Puoi venire, puttana – fu la risposta. Manuela arrossì, mettendo giù il telefono. Prese la cartelletta con il suo documento, si sistemò i capelli e la camicetta, e si incamminò.
Bussò delicatamente, e aprì quando Depoulos rispose “avanti”. Entrò nella stanza. Il direttore era seduto alla scrivania, apparentemente in ozio, le mani incrociate. – Buongiorno, padrone, – mormorò lei. Lui non rispose. – Posso avvicinarmi? – chiese Manuela. Depoulos annuì.
Manuela sapeva cosa doveva fare… Si slacciò la camicetta, scoprendo i seni, e si tirò su la gonna, mostrando il sesso al direttore. Quindi, si mise a quattro zampe, e strisciò verso l’uomo seduto, arrivando ai suoi piedi.
– Volevo parlarle di una cosa, padrone, se posso, – mormorò.
Depoulos allungò una gamba. – Lucidami le scarpe mentre parli. Sei abbastanza bagnata?
Manuela arrossì, abbassando il capo. – Si… padrone…
Era vero… non poteva fare a meno di bagnarsi dal momento in cui cominciava a spogliarsi di fronte a lui. Fece quello che Depoulos voleva, mettendosi a cavallo del suo piede, con le cosce ben aperte, e appoggiando la vagina alla scarpa di cuoio del direttore.
– Nelle ultime settimane… – cominciò Manuela, cominciando a strofinare il proprio sesso sulla scarpa di Depoulos. Parlare le riusciva difficile, era imbarazzata e impaurita, aveva paura di temere troppo… Ma doveva provare. – Ho lavorato a un progetto… di indagine… sulle opportunità di… business… offerte della nuove normative sulle assicurazioni per il lavoro…
Depoulos prese una sigaretta, e se la accese.
– Credo che… ci siano delle prospettive estremamente interessanti per l’azienda…
– Fammi vedere, – disse Depoulos, indicandole il piede su cui Manuela si stava masturbando per lui. Lei si scostò. Il cuoio della scarpa dell’uomo era lucido, bagnato degli umori della ragazza. – Asciuga e poi passa all’altra.
Manuela mormorò “si, padrone,” e si chinò, appoggiando i seni sulla scarpa. Li prese con le mani e li usò per strofinare e asciugare il cuoio, come faceva sempre. Quindi, tornò in ginocchio, e si mise a cavallo dell’altro piede, cominciando a strofinarsi sull’altra scarpa.
– Vorrei chiederle se vuole leggere il mio documento… e valutare… se può essere presentato al management… per valutare…
Continuando a ignorare le parole di Manuela, Depoulos disse, tenendo la sigaretta con due dita: – lingua.
Manuela mormorò “si, padrone” e chinò il busto in avanti, aprendo la bocca e tirando fuori la lingua. L’uomo avvicinò la sigaretta e scrollò la cenere, facendola cadere nella bocca della ragazza. Manuela aspettò che avesse finito, e chiuse la bocca, deglutendo a fatica.
– Valutare se qualche idea può essere applicata…
– Quindi pensi di avere avuto delle idee intelligenti, – disse lui.
Manuela arrossì, abbassando lo sguardo. – Mi perdoni, padrone… – mormorò, con le lacrime agli occhi.
– Io non credo che una cretina che sta seduta su due grossi cazzi tutto il giorno possa avere delle idee molto intelligenti, – continuò Depoulos. Manuela rabbrividì. Quindi Depoulos l’aveva vista. – Sono… sono stati dei colleghi… – mormorò. – Non so chi, – aggiunse, mentendo.
– Lo so, – disse Depoulos. – E voglio che ringrazi chi ti ha dato quello sedia. Visto che non sai chi è stato, appena torni al posto manderai una mail di ringraziamento a tutto l’ufficio. Dì che ami la tua nuova sedia e che la tua fica e il tuo buco del culo amano i loro nuovi amici. Hai capito?
Manuela annuì. – Si padrone. – La sola idea di mandare quella mail la faceva bruciare di vergogna… sentì di starsi bagnando ancora di più.
Depoulos fece un cenno a Manuela, come poco prima: voleva controllare la scarpa. Manuela si scostò, e all’ordine del suo direttore, nuovamente asciugò il cuoio con i seni. Quindi si mise di nuovo in ginocchio. Depoulos le fece tirare fuori ancora la lingua e scrollò nuova cenere nella bocca della ragazza.
– Non leggerò il tuo documento, – disse, – ma visto che pensi di essere un genio degli affari, lo presenterai direttamente tu alla prossima riunione del management.
Manuela sentì il cuore in gola. – Io… davvero…? – balbettò, incredula. – Io… la ringrazio… quando…?
– Non so quando sarà la prossima riunione, tu tieniti pronta e basta. Ora fammi spegnere.
Manuela guardò l’uomo. – Dove, padrone? – chiese, remissiva.
– Le tette, – rispose Depoulos. Manuela annuì. In ginocchio, si avvicinò a Depoulos, prendendosi i seni nelle mani e sollevandoli verso di lui. Depoulos spense la sigaretta come faceva solitamente quando decideva di usare a questo scopo i seni della ragazza, ovvero strofinandola avanti e indietro sulla pelle di Manuela, passando da una mammella all’altra, senza premere troppo. Un pezzettino di brace si staccò dalla sigaretta e cadde sulla coscia di Manuela, appena sopra l’orlo delle autoreggenti. Manuela sapeva di non potersi pulire, dovette lasciare che la brace si spegnesse dolorosamente sulla sua pelle, ed emise un debole gemito.
– Possibile che debba ancora sentirti mugolare come una piagnona per una scottatura, troia? – la sgridò Depoulos, colpendole con due violenti ceffoni i seni, prima uno, poi l’altro. – Devi imparare a sopportare il dolore in silenzio, schifosa puttana. Hai bisogno di più esercizio?
– Mi scusi… padrone… la supplico… mi perdoni….
– Durante la pausa pranzo vai a comprare una scatola di spilli. Oggi pomeriggio, quando starai seduta sulla tua nuova sedia, voglio che tu abbia le grandi labbra inchiodate con gli spilli al cazzo di plastica che hai in fica, due per lato. Hai capito?
Manuela non riusciva quasi a respirare per il terrore. – Io… si padrone… ho capito… la ringrazio padrone… – mormorò.
– Torniamo alla tua presentazione, – disse Depoulos. – Procurati un paio di occhiali, puoi prendere uno di quelli da poco che vendono nelle farmacie. Li indosserai alla presentazione, servirà a darti un’aria meno da cretina.
Manuela annuì. – Si… padrone… – mormorò. – Padrone… visto che dovrò presentarmi di fronte al management… e che loro… non sanno… insomma…
Depoulos rimase in attesa, in silenzio.
– Mi chiedevo… se vuole… se lei preferisce che io quel giorno indossi un reggiseno… o…
Depoulos sorrise.
– Le troie non portano reggiseno e non portano mutandine, – disse. – Il fatto che tu parli di fronte al management non cambia il fatto che sei una troia.
– Si… padrone, – mormorò Manuela, abbassando lo sguardo.
– Riceverai quaranta cinghiate sul culo per avermi chiesto di indossare un reggiseno.
Manuela annuì. – Si… padrone… grazie.
L’uomo allungò la mano, e la appoggiò sul sesso della ragazza, afferrandola.
– Te le verrò a dare personalmente oggi pomeriggio, e le riceverai con la fica inchiodata con gli spilli alla sedia. Ora ringraziami ancora e vieni sulla mia mano, puttana.
– Si, padrone, – disse ancora lei. Cominciò a muoversi, strofinando il sesso sul palmo della mano del direttore. Sapeva che doveva venire, e doveva farlo in fretta, o avrebbe ricevuto punizioni ancora più crudeli… chiuse gli occhi… iniziò a gemere… pensò agli spilli… alle cinghiate che le avrebbero rigato le natiche… e sentì l’orgasmo che arrivava…
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Passarono alcuni giorni. Manuela aveva continuato a rivedere il suo documento, a preparare il discorso con cui intendeva presentarlo, a limarne ogni dettaglio. Tutti i giorni, non sapendo se la riunione si sarebbe tenuta, curava al meglio il proprio aspetto; passava un’ora ogni giorno a pettinarsi, profumarsi, curare le ciglia, le unghie, la scelta degli accessori. E ogni giorno, profumata ed elegante, entrava nell’ufficio di Depoulos, che si limitava a usarla come la più sporca delle prostitute.
Il giorno venne dopo una settimana. Manuela stava entrando in azienda quando ricevette sul cellulare una email di Depoulos. “La riunione è iniziata da mezzora, stiamo aspettando te, puttana. Vieni subito nella sala riunioni grande subito.”
Manuela ebbe un tuffo al cuore. Non aveva avuto nessun preavviso da parte di Depoulos, era arrivata in ufficio al suo orario normale: non era colpa sua, ma si sarebbe dovuta presentare al management già in imbarazzo per essere in ritardo e averli fatti aspettare. Sentì le ginocchia che le tremavano per la paura, appese velocemente il cappotto. Si ricordò appena in tempo l’ordine degli occhiali, e li prese al volo dal cassetto della scrivania dove li teneva riposti, indossandoli prima di correre verso la sala riunioni col suo incartamento. Si diede un’ultima ravviata ai capelli prima di bussare ed entrare.
– Finalmente, – disse Depoulos.
– Vi chiedo scusa per il ritardo, – disse Manuela, arrossendo. Attorno a un grande tavolo ovale c’erano tutti i top manager dell’azienda, una decina di uomini. Qualcuno le fece un cenno quasi impercettibile di saluto, altri non la degnarono nemmeno di uno sguardo. – Non è dipeso da me…
– Questa è Manuela Rossi, del mio staff, – disse Depoulos. – Come vi dicevo, ha un progetto da sottoporre alla vostra attenzione. – Si rivolse a Manuela. – Accomodati, – disse, scostando dal tavolo la sedia vuota che aveva accanto alla propria.
Manuela si avvicinò a Depoulos, e quando gli fu vicino si immobilizzò per un attimo, sentendosi gelare il sangue. La sedia che Depoulos non era una delle sedie della sala riunioni, era la sedia dell’ufficio di Manuela. La ragazza diede uno sguardo terrorizzato al suo capo, che la guardò freddamente. – Forza, queste persone sono tutte molto impegnate, non facciamogli perdere altro tempo. Siediti e fai la tua presentazione.
Manuela trattenne le lacrime, cercando di non dar vedere alle altre persone il suo imbarazzo e la sua paura. La sedia non era visibile da nessuno a parte lei e Depoulos; doveva solo cercare di sedersi senza dar nulla a vedere. Si piegò, sollevando appena la gonna, il meno possibile. Mentre si abbassava, Depoulos si sporse verso di lei, prendendole un braccio e sussurrandole nell’orecchio: – sono tutti e due cosparsi di peperoncino, troia. Vediamo se riesci a non far capire a nessuno quanto ti faranno male…
Manuela si sentì gelare il sangue, ma ormai era praticamente seduta, e non poteva fermarsi. Sentì il contatto dei due falli di plastica, li sentì che le scivolavano e cominciò a stringere i denti per il dolore. A causa delle violenze che subiva quotidianamente da Depoulos, il suo ano e la sua vagina erano sempre escoriati e graffiati, e il peperoncino bruciava come il fuoco sulle sue ferite. Strinse i pugni e i denti, e scese col bacino, impalandosi su quelle che sembravano lame di fuoco. Quando le sue natiche toccarono la sedia, rimase un attimo immobile, tremante. Depoulos la osservava impassibile. – Tutto bene? – le chiese, con un tono quasi di derisione.
– Scusate… si… tutto bene… – mormorò Manuela. Non sapeva dove avrebbe trovato la forza di parlare, ma appoggiò il documento sul tavolo davanti a sé e lo aprì. – Buongiorno a tutti, – cominciò, iniziando il discorso che si era preparata. – Come… come ha detto il dottor Depoulos, mi chiamo Manuela.. Rossi… vi ringrazio per aver accettato di dedicarmi un po’ del vostro tempo…
Mentre continuava a parlare, ripetendo quello che aveva studiato a memoria per così tanti giorni, Manuela si sentiva venir meno per il dolore. Sapeva di stare sudando, anche se sperava che nessuno se ne accorgesse. Per gran parte del tempo teneva lo sguardo sui fogli, ma ogni tanto alzava gli occhi per cercare di guardare i dirigenti, nonostante l’imbarazzo. Gli occhiali da una diottria (di cui in realtà non aveva bisogno) le impedivano di vedere completamente nitide le altre persone nella stanza, ma non di leggere le loro espressioni. Si rese conto che solo alcuni dei dirigenti la guardavano; e di quelli che lo facevano, nessuno dava in modo chiaro l’impressione di starla ascoltando. Qualcuno sogghignava. Uno dei dirigenti anziani, l’Ingegner Moratti, teneva gli occhi incollati al suo seno, alzandoli solo ogni tanto per incontrare lo sguardo di Manuela e farle un sorriso ambiguo. Manuela cominciò a sentirsi sempre più nervosa e arrossire, e cominciò a balbettare e incepparsi nel parlare.
– Le prospettive di utile nel primo semestre… scusate… nel primo quarto… le prospettive utili… di utile…
Depoulos si era reso conto della crescente difficoltà di Manuela, e avvicinò leggermente la sedia a quella della ragazza. Vista dagli altri dirigenti, poteva sembrare un gesto volto a darle coraggio, ma in realtà Depoulos si era avvicinato solo per mettere una mano fra le cosce di Manuela. Mentre la ragazza parlava, cominciò a strofinarle il clitoride, prima sfiorandolo appena con la punta delle dita, poi schiacciandolo con forza contro il fallo di plastica o pizzicandolo.. Manuela cercava disperatamente di non dare a vedere nulla, muovendo nervosamente le gambe sotto il tavolo, e cercando di proseguire il discorso. Guardando timidamente i dirigenti, non riusciva a comprendere del tutto le loro espressioni… sembrava che nessuno si stesse accorgendo di nulla, ma allo stesso non la stavano veramente ascoltando, e qualcuno sembrava in attesa di qualcosa…
Manuela si rese conto della situazione solo quando Depoulos prese la parola, interrompendola in mezzo a una frase. – Dunque, – disse l’uomo, rivolto ai suoi pari grado, – Manuela sta andando molto per le lunghe nella sua presentazione. Vorrei che cominciaste a esprimere il vostro parere sulla sua proposta.
Manuela lo guardò. – Mi scusi… volevo arrivare almeno al… paragrafo 6… posso…
Depoulos la guardò. – Certo, Manuela, tu continua a parlare, – le rispose. La fissò con occhi gelidi, e le parlò con un tono diverso, il tono di un padrone che dà un ordine. – Continua il tuo discorso e non ti interrompere finché non te lo dico io.
Manuela arrossì. – Si… dottor Depoulos, – disse. – Dicevo… – riprese, – che l’applicazione della normativa alle assicurazioni private e….
Mentre Manuela parlava, uno dei dirigenti, l’Ingegner Milana, si era alzato. Manuela se ne rese conto ed ebbe un momento di esitazione, dando un’occhiata a Depoulos. L’uomo non ebbe nessuna reazione, e Manuela riprese subito a parlare, vedendo Milana che le si avvicinava. Alzò gli occhi verso l’uomo, e vide sul suo volto un’espressione che Manuela conosceva bene, un ghigno divertito, sadico… Anche Depoulos stava osservando divertito, con lo stesso ghigno. Manuela cominciò a capire, e si sentì gelare il sangue. Continuò a parlare mentre Milana le si avvicinava. – …Per le imprese e gli enti locali…
– Ecco il mio parere sul suo lavoro, – disse Milana, fermandosi accanto a Manuela. Mentre la ragazza arrossiva violentemente, e continuava a parlare, Milana si slacciò la cerniera dei pantaloni. Lo tirò fuori, e lo prese in mano, e cominciò a orinare. Manuela sentì il getto caldo contro la guancia, e cominciò a piangere mentre parlava, balbettando. – si… gli enti… locali… e… che hanno bisogno…
L’urina di Milana scivolava sulla guancia di Manuela, lungo il mento e il collo, e andava a inzupparle la camicia. L’uomo si scaricò completamente la vescica, e poi prese i capelli di Manuela, usandoli per asciugarsi il membro. Lo rimise dentro. Mentre Milana tornava al posto, un altro dirigente si era alzato e si avvicinava dal lato opposto del tavolo. – Ricordati, non smettere di parlare, – disse Depoulos a Manuela, – vogliamo sentire ogni dettaglio del tuo interessantissimo progetto.
Il secondo dirigente, l’Avvocato Pensa, arrivò accanto a Manuela. Mentre continuava a parlare, con la voce tremante e gli occhi al foglio, lei si accorse con la coda dell’occhio che l’uomo aveva già la patta aperta e il membro di fuori. In quel momento realizzò che probabilmente molti dei presenti in sala si stavano già masturbando sotto il tavolo, godendosi lo spettacolo della sua umiliazione. Era quello l’unico motivo per cui era stava convocata… Ebbe un momento di esitazione, ma riprese subito a parlare, temendo di far arrabbiare Depoulos.
– Il mio parere, – disse Pensa, – è che questa troia ha un bel faccino…
Così dicendo, l’uomo appoggiò il membro contro la guancia di Manuela, prendendole la testa con le mani, e cominciando a strofinarlo contro il volto della ragazza. – Per quanto… riguarda… il ritorno… di investimento… – continuava lei, singhiozzando. Le lacrime che prima le rigavano le guance ora andavano anche a bagnare il glande e l’asta dell’Avvocato, consentendogli di scivolare più facilmente contro il viso di lei. L’uomo continuò in quel modo, trattenendola per i capelli, per diversi minuti, e infine si fermò, il membro pulsante che schizzava diversi getti di sperma sulla fronte e sui capelli di Manuela. Una grossa goccia di seme le scese dalla fronte fin sul naso, entrandole nella montatura degli occhiali.
Anche Pensa si pulì il membro nei capelli di Manuela, lasciando il posto ad altri due dirigenti, uno a destra e uno a sinistra di Manuela. La ragazza non li aveva nemmeno visti alzarsi, e non osava spostare lo sguardo dal documento per vedere chi fossero. Uno dei due prese una ciocca di capelli di Manuela, se la avvolse attorno al membro, e cominciò a masturbarsi in quel modo; l’altro dapprima le strofinò il membro sulle labbra, e poi glielo spinse in bocca, dicendole: – smetti per un po’ di riempirti la bocca di paroloni, troia… riempitela con questo… è più adatto a te…
Manuela smise di parlare, la bocca piena del membro dell’uomo, e lasciò passivamente che i due si sfogassero su di lei in quel modo umiliante. Non le chiesero nemmeno di partecipare in alcun modo. Quando quello che le stava fottendo la bocca fu prossimo all’orgasmo, lo sfilò e le schizzò in faccia; l’altro venne poco dopo, scaricandole il proprio sperma sui capelli, sul volto e persino nell’orecchio.
– Elias, – disse il più anziano dei dirigenti, il dottor Manfredini, rivolgendosi a Depoulos ma guardando Manuela mentre parlava, – mi sembra che la signorina Rossi non sappia quali sono le sue qualità. Per quale motivo non ha ancora tirato fuori quelle grosse poppe da vacca?
Depoulos annuì. – Ha ragione, dottor Manfredini. – Si rivolse a Manuela. – Hai sentito, puttana? O hai troppa sborra nelle orecchie?
Manuela continuava a piangere, le lacrime che ora si mescolavano allo sperma. Portò la mano alla camicetta zuppa di orina e seme, e la slacciò, con le mani che le tremavano. Depoulos aspettò che avesse fatto, e quindi si chinò a rifilarle un violentissimo manrovescio sui seni. – Non ti ho detto che la presentazione è finita, puttana. Ricomincia a leggere.
– Io… non so… non so dov’ero arrivata… – singhiozzò Manuela.
– A nessuno frega un cazzo delle scemenze che hai scritto, troia, – rispose Depoulos, colpendole ancora i seni, – ma vogliamo che continui a parlare. Hai capito?
Manuela gemette di dolore. – Si… mi scusi….
Riprese il documento e cominciò a leggere. – Il ritorno… di investimento… atteso… nel primo… quarto…
Mentre Manuela procedeva nella lettura, tutti i dirigenti si alternarono accanto a lei per esprimere il loro “parere sul progetto”. Altri due le orinarono uno in faccia e uno in bocca; qualcuno le sputò sul volto; altri le vennero sui capelli, sulla fronte, sul naso, finché il suo volto fu una maschera di sperma. Il seme le colava lungo il volto, sui seni e sulle gambe. Uno dei dirigenti le fece aprire le cosce e volle orinarle sul sesso, mirando col getto al clitoride di Manuela, gonfio e arrossato per le precedenti attenzioni di Depoulos e per il peperoncino. Un altro si divertì a venirle dentro gli occhiali, dietro alle lenti; Manuela, che ormai non aveva più la forza di cercare le parole e stava limitandosi a leggere a fatica dal documento ormai tutto imbrattato, dovette fermarsi. Depoulos le concesse di pulire le lenti con la lingua, a patto che mandasse giù il disgustoso misto di sperma, urina e saliva.
Quando tutti i presenti ebbero concluso il proprio turno, e furono tornati ai propri posti, Depoulos interruppe finalmente Manuela. – Può bastare, – le disse.
Ci fu qualche momento di silenzio, mentre la ragazza continuava a piangere sommessamente. I dirigenti attorno al tavolo ora stavano ridacchiando o bisbigliando fra di loro.
– Ora alzati in piedi, – disse Depoulos.
Manuela raccolse il coraggio, alzandosi lentamente dalla sedia. Il fatto stesso di muoversi fece riaccendere il dolore causato dal peperoncino, e la ragazza emise un gemito mentre si sfilava dai due grossi falli. Istintivamente, fece per sistemarsi la gonna, ma Depoulos la interruppe con un gesto brusco. – Cosa fai, troia? Tieni su la gonna. Cos’è, vuoi impedire a questi tuoi superiori di guardarti la fica?
Manuela scosse il capo, tremando, rimanendo in piedi, con la gonna sollevata e le gambe leggermente divaricate. – No signor Depoulos… mi scusi… – mormorò.
– Anzi, apritela con le dita mentre parliamo.
– Si… signor Depoulos… – mormorò lei. Portò la mano al sesso, appoggiando le dita alle grandi labbra e dischiudendole davanti allo sguardo dei presenti. Era seminuda di fronte a un gruppo di estranei, coperta di sperma e di urina, eppure essere costretta a quel gesto la fece arrossire e vergognare ancora di più.
– Ora, troia, – continuò Depoulos, staccando il cavo del suo PC portatile mentre parlava, – dovresti ringraziare queste persone che ti hanno concesso mezz’ora del loro prezioso tempo, e scusarti.
Manuela aveva interpretato il gesto del direttore come l’indicazione che la seduta stava venendo tolta, che a breve sarebbe stata liberata da quella situazione… il suo cuore ebbe un tuffo quando si accorse che Depoulos stava piegando in due il cavo, come aveva fatto già tante volte nel suo ufficio, durante le sessioni di tortura di Manuela.
– Io… vi ringrazio… e….
Depoulos rifilò un violentissimo colpo col cavo sulle natiche nude di Manuela; lo schiocco echeggiò nella stanza, e la ragazza vacillò sulle ginocchia tremanti. – Uno per uno, puttana.
Manuela si appoggiò con le mani per un attimo al tavolo. Quindi, si rivolse al dirigente seduto più vicino. – La… ringrazio… dottor Dini… – cominciò, singhiozzando, – per il tempo che mi ha concesso… e le chiedo scusa…
Depoulos colpì ancora, un altro violento schiocco, seguito da un nuovo gemito di Manuela. La ragazza ricominciò a piangere copiosamente, le lacrime che colavano insieme allo sperma sulle sue guance.
– La ringrazio, Avvocato Pensa… per il tempo che mi ha concesso…Mi scuso…
Depoulos la colpì per la terza volta, ancora più forte. Ogni colpo del cavo lasciava un segno violaceo sulle natiche nude di Manuela. – Questi signori ti hanno anche onorato sborrandoti, pisciandoti, o sputandoti addosso, puttana, – disse, con tono severo, – dovresti ringraziarli anche per questo. E cerca di fargli capire bene quanto ti piace essere trattata così: masturbati mentre li ringrazi. Forza.
Una nuova frustata col cavo fece quasi cadere Manuela. Si trattenne al tavolo, stringendo i pugni per il dolore bruciante. Suo malgrado, portò la mano ancora libera al sesso che stava tenendo aperto per i dirigenti, e iniziò ad accarezzarsi il clitoride. Tutto il sesso le bruciava ancora terribilmente per il peperoncino. Cercò di farsi coraggio.
– Io… la ringrazio… – riprese, – Ingegner… Moratti… per il suo tempo… per avermi orinato in bocca… e… sputato in faccia…
L’umiliante rito proseguì per altri dieci minuti; Manuela ringraziava quegli uomini per averle concesso il loro tempo, per averle insozzato il volto, i capelli, i seni di sperma; per averle sputato addosso; e ogni ringraziamento era scandito da Depoulos da una nuova frustata col cavo sulle sue natiche, che ormai bruciavano. I segni del cavo stavano gonfiandosi e le facevano male, e Manuela continuava a umiliarsi, ringraziare, e accarezzarsi il clitoride. Più proseguiva, più il suo respiro si faceva affannoso, e nemmeno lei sapeva se ansimava per il dolore fisico, l’umiliazione, o il piacere che cercava di darsi per compiacere il suo padrone.
Quando Manuela ebbe finito il giro dei ringraziamenti, Depoulos si alzò, e le si avvicinò. – Ora, troia, ti è sufficientemente chiaro che a nessuno qui dentro e in questa azienda interessa sentire le cagate pensate da una vacca da monta come te?
Manuela arrossì, annuendo. – Si… signor Depoulos… – singhiozzò. Si rese conto troppo tardi di aver smesso, senza neppure accorgersene, di masturbarsi; Depoulos la colpì col cavo sui seni prima che potesse riprendere. – Non ti ho detto di fermarti, puttana. Rispondi alla domanda, ora.
– Si… signor Depoulos… – rispose ancora Manuela, piangendo. – A nessuno… in questa azienda… interessa… quello che pensa una vacca….
– Ora sentiamo, – disse Depoulos, prendendo il documento di Manuela. Fissandola negli occhi, cominciò ad arrotolare i fogli. Manuela cominciò a tremare. Qualcuno stava già cominciando a ridacchiare. Depoulos arrotolò il plico ben stretto, facendone un cilindro compatto. La ragazza non osava fiatare, e continuava a masturbarsi… il suo respiro si faceva sempre più affannoso.
– Sentiamo, Manuela, – continuò Depoulos, chiamandola col suo nome per la prima volta dall’inizio della riunione, e mostrandole il documento arrotolato. – Dimmelo tu, qual è il posto giusto per questo. Dove vuoi che lo metta?
Nonostante tutto quello che aveva già subito da quell’uomo, e le sopraffazioni a cui era ormai abituata, Manuela non riusciva a rispondere, ad accettare quell’umiliazione così grossolana, volgare, di fronte a tutte quelle persone. Apriva le labbra, tremando, e balbettava appena qualche sillaba – io… io… – Sentiva le dita con cui si stava toccando che si bagnavano sempre di più, suoi i succhi le colavano sul palmo della mano.
Depoulos non diceva nulla, limitandosi a fissarla. Nonostante il silenzio di lui, Manuela si sentiva sempre più sotto pressione per ogni secondo in cui esitava. Sapeva cosa poteva costarle non obbedire subito al suo padrone. Con le lacrime che le scendevano sulle guance in un flusso ininterrotto, si abbandonò e cominciò a parlare, gli occhi bassi. – Lo… me… me lo metta… nel culo… signor Depoulos…
– Alza gli occhi dal pavimento e ripeti, – disse Depoulos.
Manuela alzò gli occhi verso i dirigenti. Attraverso le lacrime e la deformazione delle lenti, vedeva confusamente i loro volti; la guardavano con espressioni allo stesso tempo di disprezzo, derisione, e divertimento. Bisbigliavano, ridevano, qualcuno stava riprendendo o facendo foto con il cellulare. Manuela si sentiva morire, eppure continuò a masturbarsi davanti a loro mentre ripeteva: – il documento.. metta il documento… me lo metta nel culo.. per favore…
Depoulos prese Manuela per i capelli e le spinse la testa, facendola inclinare in avanti per avere un accesso più semplice all’ano della ragazza. – Continua a guardare i tuoi superiori e masturbarti, – le disse. Appoggiò il documento fra le natiche della ragazza. Lo avvicinò all’ano, e cominciò a spingere. Manuela strinse i denti per il dolore che il taglio della carta le procurava strisciando contro le pareti del suo retto, infiammate dal peperoncino. – Sono certo che ora preferiresti aver scritto un documento un po’ più corto, vero troia? – disse Depoulos. – Stai imparando l’importanza della sintesi? – aggiunse, fra le risate dei suoi colleghi. – S… si… – mormorò Manuela, distrutta, mentre le sue lacrime gocciolavano sulla scrivania.
Depoulos continuò a spingere finché più di metà del cilindro di carta non fu ben piantato nell’ano di Manuela. Quindi, la colpì con una pacca sulle natiche già martoriate dal cavo, e la prese per i capelli, facendole raddrizzare la schiena.
– E ora concluderai dimostrandoci quanto ti è piaciuto essere trattata come una merda, – disse Depoulos, – e verrai per noi. Conterò fino al 10, e al 10 voglio che tu venga. Hai capito, troia?
Manuela annuì, terrorizzata. Cominciò a masturbarsi ancora più freneticamente. Depoulos si spostò dietro di lei, e riprese il cavo. – Uno! – esclamò ad alta voce, accompagnando la parola con una cinghiata sulle natiche già martoriate di Manuela. La ragazza vacillò per quella violenza che non si aspettava, gemette, e poi cercò di tornare a concentrarsi sul piacere che stava cercando di darsi…
– Due! – contò Depoulos, con una nuova cinghiata. – Tre!… Quattro!… – Ogni numero era una frustata, di piatto sulle natiche; al “tre”, il cavo colpì anche il documento piantato nell’ano di Manuela, provocandole un extra di dolore che di nuovo la fece vacillare sulle ginocchia. Non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora, sperava che Depoulos contasse in fretta, voleva venire, voleva che tutto finisse… Cinque!
– Ora, – disse Depoulos, avvicinandosi, – da questo punto in avanti non puoi più toccarti… penserò io a strofinarti il clitoride. – Le appoggiò il cavo fra le cosce, da dietro, e lo fece scivolare sul sesso bagnato di Manuela. La ragazza gemette, guardando i dirigenti con aria implorante. Quello che ebbe in risposta furono solo risatine e sorrisi sadici; nessuno la guardava nemmeno realmente negli occhi, guardavano i suoi seni, o il cavo che strisciava fra le sue cosce già lucido di umori; chi la guardava in volto lo faceva con un ghigno perverso, evidentemente solo per trarre piacere dalla disperazione e dalle lacrime della ragazza…
Depoulos si spostò di nuovo indietro. Manuela rabbrividì e strinse i pugni. – SEI!
Il cavo Manuela fra le cosce con uno schiocco violento, in qualche modo ci fu anche un rumore come di sciacquio dovuto all’urto della plastica sull’umido del suo sesso. Qualcuno rise, Manuela arrossì ancora più violentemente, piegandosi leggermente in avanti.
– SETTE!
Le frustate le stavano già procurando delle piccole escoriazioni, e il peperoncino mischiato ai suoi succhi le faceva bruciare come fuoco…
– OTTO! Preparati a venire vacca!
Manuela stava per svenire…
– NOVE!
Manuela si concentrò, strinse i pugni, socchiuse gli occhi, gemette, si irrigidì in attesa dell’ultima frustata… Per un tempo che le sembrò interminabile… Sentì il piacere che montava dentro di lei, desiderò il colpo del cavo, aprì istintivamente ancora di più le gambe per riceverlo netto… non poteva deludere Depoulos…
– DIECI!
La ragazza non riuscì a trattenere un grido mentre si piegava in avanti, ansimando, l’orgasmo che attraversava il suo corpo come un’esplosione. – S…. siiiiiiiiiiiii – si sentì gemere, mentre i dirigenti ancora ridevano di lei, del modo in cui stava godendo del fatto di essere frustata in quel modo selvaggio. Anche Depoulos, alle sue spalle, stava ridendo, e mentre Manuela si contorceva nel piacere le rifilò un’altra serie di cinghiate, che Manuela percepì in modo confuso, sulle natiche, sulle cosce, sulla schiena, sul sesso…
Quando finalmente Depoulos smise di colpirla, Manuela cadde in ginocchio, sostenendosi alla scrivania, tremante e ansimante, con i brividi dell’orgasmo che ancora le attraversavano il corpo. Si rese conto dello spettacolo che aveva dato… non era semplicemente venuta, era venuta come “una vogliosa cagna in calore”… questo era quello che avrebbe detto Depoulos e aveva ragione…
Depoulos si rivolse ai dirigenti: – spero che siate soddisfatti della punizione di Manuela, – disse. – In caso contrario, siete liberi di convocarla nei vostri uffici e farle personalmente tutto quello che secondo voi si merita. Manuela manderà a tutti voi una email con i suoi recapiti, telefono aziendale e cellulare. – Si rivolse alla ragazza inginocchiata. – Hai sentito puttana?
Manuela annuì. – S… si signor Depoulos, – mormorò. I dirigenti si stavano alzando, preparandosi per andarsene. Manuela sentì le frasi che si scambiavano, come se lei non ci fosse: – merita, merita… guarda che vaccona da monta… questa merita un sacco di cazzo, – disse Milana. – Vedo già quel bel culetto sulla mia scrivania, – fu il commento di qualcun altro. – Ci vediamo presto, puttana….
I partecipanti alla riunione cominciarono a defluire. – Tu, puttana, sistema il pavimento, guarda che schifezza c’è lì per terra, – disse Depoulos a Manuela, indicando la pozzanghera di sperma e urina che si era formata per terra. – Le donne delle pulizie non sono abituate a queste schifezze, fai sparire tutto e non pensare di sporcare i loro stracci. Hai i tuoi vestiti e hai anche la lingua, fatteli bastare.
– Si… signor Depoulos… – mormorò Manuela. L’uomo le fece cenno di cominciare, e Manuela si mise carponi, cominciando a strofinare il pavimento con la manica della camicetta. Uno dei dirigenti, mentre stava uscendo, si trattenne per scattare ancora una foto allo spettacolo di Manuela a quattro zampe intenta a pulire col documento che le spuntava per metà dall’ano.
– Manderò qui Cristina fra un’ora a controllare che sia tutto pulito, – continuò l’uomo. Indicò per terra. – E guarda che coli ancora sborra e piscio dalle tette e dalla faccia.
Tutti gli altri erano usciti; Depoulos prese il suo portatile e si avviò alla porta, chiudendola alle sue spalle senza rivolgere nessun’altra parola a Manuela. La ragazza rimase a quattro zampe. Si rese conto che non sarebbe riuscita a pulire tutto usando solo i vestiti… in parte erano già zuppi, soprattutto la camicetta. E non poteva inzuppare in quel modo anche gli altri. Sentì un moto di disgusto sapendo che presto avrebbe dovuto cominciare a usare veramente la lingua…
Pregò che Cristina non arrivasse troppo presto…
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Diversi lettori hanno trovato questo racconto troppo forte per i loro gusti; quindi suggerisco a chi ritiene di poter essere urtato di astenersi dal leggere.
Nota: le puntate precedenti di questa storia si trovano nella sezione "dominazione" anziché "sadomaso".
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Le punture di vespa (Manuela aveva percepito chiaramente solo la prima, ma era stata punta meno profondamente anche all’altro seno) risultarono molto dolorose e gonfiarono molto. Per Manuela non fu possibile nasconderle alla sua famiglia, e dovette inventarsi di aver urtato un nido di vespe tornando dalla mensa aziendale.
Per fortuna, lo stupro da parte dei colleghi era avvenuto di venerdì, e Manuela aveva due giorni di tempo per cercare di cancellare o almeno attenuare le tracce dell’accaduto, prima di tornare in ufficio e spogliarsi ancora di fronte a Depoulos. Il dottore (consultato per telefono, con la scusa di una puntura a una mano) le consigliò di riempire una bacinella d’acqua con cubetti di ghiaccio, e di tenere le punture immerse nell’acqua gelida il più a lungo possibile nell’arco di tutta la giornata. Manuela passò tutto il week-end in quelle condizioni, seduta in soggiorno davanti a una bacinella d’acqua ghiacciata; teneva i seni immersi finché non resisteva più per il dolore, li tirava fuori dall’acqua per qualche minuto, e poi ricominciava. Indossava una camicia sbottonata davanti per nascondere le cinghiate sulla schiena, e l’unico reggiseno che riusciva a sopportare, uno di cotone liscio molto morbido e che però, tutto bagnato, risultava quasi trasparente; aveva i capezzoli erano costantemente eretti per il freddo, e si vergognava moltissimo di trovarsi in quelle condizioni di fronte ai suoi familiari. Finché i seni erano in acqua erano meno visibili, e per la vergogna, ogni volta che c’era qualcuno nella stanza, Manuela cercava di tenerli immersi tutto il tempo, stringendo i denti per sopportare il dolore…
Sua madre e sua sorella cercavano di lasciare Manuela da sola, venendo solo ogni tanto a chiederle se aveva bisogno di qualcosa; suo fratello, invece, sembrava quasi fare apposta a fermarsi a lungo quando passava in soggiorno. Un paio di volte era addirittura rimasto a guardarla senza parlare, con un ghigno che Manuela non era riuscita a decifrare del tutto. Lei si era limitata ad abbassare gli occhi, arrossendo, rendendosi conto però che il ragazzo aspettava di vederle sollevare i seni gonfi dall’acqua…aveva cercato di resistere più che poteva, soffrendo, e il dolore e la vergogna – quando alla fine non aveva potuto fare a meno di mostrare i seni – le avevano fatto provare quell’odioso brivido fra le gambe a cui era stata abituata dalle umilianti attenzioni di Depoulos…
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Quando finalmente lunedì arrivò al lavoro, il gonfiore ai seni era quasi del tutto sparito, e anche i segni delle frustate di Goran erano meno evidenti. Manuela camminò a passo veloce attraverso l’open space, tenendo gli occhi bassi e cercando di ignorare i suoi colleghi, ed entrò nel proprio ufficio. La sua “nuova” sedia era ancora lì… aveva sperato che i colleghi la facessero sparire per non far scoprire nulla a Depoulos, ma si era sbagliata. Manuela rimase incerta qualche momento, guardando i due grossi membri di plastica su cui avrebbe dovuto impalarsi per sedersi al suo computer… e il suo sguardo si spostò su un documento che era rimasto sulla scrivania. Il suo progetto…
Aveva lavorato a quel progetto tutti i giorni da quando era cominciato il ricatto. Ci aveva messo l’anima, osando sperare che da quello potesse cominciare la sua riabilitazione agli occhi del direttore e dell’azienda. Il documento era pronto da diversi giorni, ma fino ad allora Manuela non aveva avuto il coraggio di parlarne a Depoulos. Quel giorno, però, ancora dolorante per le violenze subite la settimana prima, di fronte all’alternativa se sedersi sulla sua sedia o provare quello che aveva in mente da settimane… Prese il telefono, con mani tremanti.
– Signor Depoulos, mi perdoni – disse, in tono remissivo. – Chiedo scusa se mi permetto di disturbarla… volevo chiederle se posso parlarle… se gentilmente mi può concedere dieci minuti…
– Puoi venire, puttana – fu la risposta. Manuela arrossì, mettendo giù il telefono. Prese la cartelletta con il suo documento, si sistemò i capelli e la camicetta, e si incamminò.
Bussò delicatamente, e aprì quando Depoulos rispose “avanti”. Entrò nella stanza. Il direttore era seduto alla scrivania, apparentemente in ozio, le mani incrociate. – Buongiorno, padrone, – mormorò lei. Lui non rispose. – Posso avvicinarmi? – chiese Manuela. Depoulos annuì.
Manuela sapeva cosa doveva fare… Si slacciò la camicetta, scoprendo i seni, e si tirò su la gonna, mostrando il sesso al direttore. Quindi, si mise a quattro zampe, e strisciò verso l’uomo seduto, arrivando ai suoi piedi.
– Volevo parlarle di una cosa, padrone, se posso, – mormorò.
Depoulos allungò una gamba. – Lucidami le scarpe mentre parli. Sei abbastanza bagnata?
Manuela arrossì, abbassando il capo. – Si… padrone…
Era vero… non poteva fare a meno di bagnarsi dal momento in cui cominciava a spogliarsi di fronte a lui. Fece quello che Depoulos voleva, mettendosi a cavallo del suo piede, con le cosce ben aperte, e appoggiando la vagina alla scarpa di cuoio del direttore.
– Nelle ultime settimane… – cominciò Manuela, cominciando a strofinare il proprio sesso sulla scarpa di Depoulos. Parlare le riusciva difficile, era imbarazzata e impaurita, aveva paura di temere troppo… Ma doveva provare. – Ho lavorato a un progetto… di indagine… sulle opportunità di… business… offerte della nuove normative sulle assicurazioni per il lavoro…
Depoulos prese una sigaretta, e se la accese.
– Credo che… ci siano delle prospettive estremamente interessanti per l’azienda…
– Fammi vedere, – disse Depoulos, indicandole il piede su cui Manuela si stava masturbando per lui. Lei si scostò. Il cuoio della scarpa dell’uomo era lucido, bagnato degli umori della ragazza. – Asciuga e poi passa all’altra.
Manuela mormorò “si, padrone,” e si chinò, appoggiando i seni sulla scarpa. Li prese con le mani e li usò per strofinare e asciugare il cuoio, come faceva sempre. Quindi, tornò in ginocchio, e si mise a cavallo dell’altro piede, cominciando a strofinarsi sull’altra scarpa.
– Vorrei chiederle se vuole leggere il mio documento… e valutare… se può essere presentato al management… per valutare…
Continuando a ignorare le parole di Manuela, Depoulos disse, tenendo la sigaretta con due dita: – lingua.
Manuela mormorò “si, padrone” e chinò il busto in avanti, aprendo la bocca e tirando fuori la lingua. L’uomo avvicinò la sigaretta e scrollò la cenere, facendola cadere nella bocca della ragazza. Manuela aspettò che avesse finito, e chiuse la bocca, deglutendo a fatica.
– Valutare se qualche idea può essere applicata…
– Quindi pensi di avere avuto delle idee intelligenti, – disse lui.
Manuela arrossì, abbassando lo sguardo. – Mi perdoni, padrone… – mormorò, con le lacrime agli occhi.
– Io non credo che una cretina che sta seduta su due grossi cazzi tutto il giorno possa avere delle idee molto intelligenti, – continuò Depoulos. Manuela rabbrividì. Quindi Depoulos l’aveva vista. – Sono… sono stati dei colleghi… – mormorò. – Non so chi, – aggiunse, mentendo.
– Lo so, – disse Depoulos. – E voglio che ringrazi chi ti ha dato quello sedia. Visto che non sai chi è stato, appena torni al posto manderai una mail di ringraziamento a tutto l’ufficio. Dì che ami la tua nuova sedia e che la tua fica e il tuo buco del culo amano i loro nuovi amici. Hai capito?
Manuela annuì. – Si padrone. – La sola idea di mandare quella mail la faceva bruciare di vergogna… sentì di starsi bagnando ancora di più.
Depoulos fece un cenno a Manuela, come poco prima: voleva controllare la scarpa. Manuela si scostò, e all’ordine del suo direttore, nuovamente asciugò il cuoio con i seni. Quindi si mise di nuovo in ginocchio. Depoulos le fece tirare fuori ancora la lingua e scrollò nuova cenere nella bocca della ragazza.
– Non leggerò il tuo documento, – disse, – ma visto che pensi di essere un genio degli affari, lo presenterai direttamente tu alla prossima riunione del management.
Manuela sentì il cuore in gola. – Io… davvero…? – balbettò, incredula. – Io… la ringrazio… quando…?
– Non so quando sarà la prossima riunione, tu tieniti pronta e basta. Ora fammi spegnere.
Manuela guardò l’uomo. – Dove, padrone? – chiese, remissiva.
– Le tette, – rispose Depoulos. Manuela annuì. In ginocchio, si avvicinò a Depoulos, prendendosi i seni nelle mani e sollevandoli verso di lui. Depoulos spense la sigaretta come faceva solitamente quando decideva di usare a questo scopo i seni della ragazza, ovvero strofinandola avanti e indietro sulla pelle di Manuela, passando da una mammella all’altra, senza premere troppo. Un pezzettino di brace si staccò dalla sigaretta e cadde sulla coscia di Manuela, appena sopra l’orlo delle autoreggenti. Manuela sapeva di non potersi pulire, dovette lasciare che la brace si spegnesse dolorosamente sulla sua pelle, ed emise un debole gemito.
– Possibile che debba ancora sentirti mugolare come una piagnona per una scottatura, troia? – la sgridò Depoulos, colpendole con due violenti ceffoni i seni, prima uno, poi l’altro. – Devi imparare a sopportare il dolore in silenzio, schifosa puttana. Hai bisogno di più esercizio?
– Mi scusi… padrone… la supplico… mi perdoni….
– Durante la pausa pranzo vai a comprare una scatola di spilli. Oggi pomeriggio, quando starai seduta sulla tua nuova sedia, voglio che tu abbia le grandi labbra inchiodate con gli spilli al cazzo di plastica che hai in fica, due per lato. Hai capito?
Manuela non riusciva quasi a respirare per il terrore. – Io… si padrone… ho capito… la ringrazio padrone… – mormorò.
– Torniamo alla tua presentazione, – disse Depoulos. – Procurati un paio di occhiali, puoi prendere uno di quelli da poco che vendono nelle farmacie. Li indosserai alla presentazione, servirà a darti un’aria meno da cretina.
Manuela annuì. – Si… padrone… – mormorò. – Padrone… visto che dovrò presentarmi di fronte al management… e che loro… non sanno… insomma…
Depoulos rimase in attesa, in silenzio.
– Mi chiedevo… se vuole… se lei preferisce che io quel giorno indossi un reggiseno… o…
Depoulos sorrise.
– Le troie non portano reggiseno e non portano mutandine, – disse. – Il fatto che tu parli di fronte al management non cambia il fatto che sei una troia.
– Si… padrone, – mormorò Manuela, abbassando lo sguardo.
– Riceverai quaranta cinghiate sul culo per avermi chiesto di indossare un reggiseno.
Manuela annuì. – Si… padrone… grazie.
L’uomo allungò la mano, e la appoggiò sul sesso della ragazza, afferrandola.
– Te le verrò a dare personalmente oggi pomeriggio, e le riceverai con la fica inchiodata con gli spilli alla sedia. Ora ringraziami ancora e vieni sulla mia mano, puttana.
– Si, padrone, – disse ancora lei. Cominciò a muoversi, strofinando il sesso sul palmo della mano del direttore. Sapeva che doveva venire, e doveva farlo in fretta, o avrebbe ricevuto punizioni ancora più crudeli… chiuse gli occhi… iniziò a gemere… pensò agli spilli… alle cinghiate che le avrebbero rigato le natiche… e sentì l’orgasmo che arrivava…
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Passarono alcuni giorni. Manuela aveva continuato a rivedere il suo documento, a preparare il discorso con cui intendeva presentarlo, a limarne ogni dettaglio. Tutti i giorni, non sapendo se la riunione si sarebbe tenuta, curava al meglio il proprio aspetto; passava un’ora ogni giorno a pettinarsi, profumarsi, curare le ciglia, le unghie, la scelta degli accessori. E ogni giorno, profumata ed elegante, entrava nell’ufficio di Depoulos, che si limitava a usarla come la più sporca delle prostitute.
Il giorno venne dopo una settimana. Manuela stava entrando in azienda quando ricevette sul cellulare una email di Depoulos. “La riunione è iniziata da mezzora, stiamo aspettando te, puttana. Vieni subito nella sala riunioni grande subito.”
Manuela ebbe un tuffo al cuore. Non aveva avuto nessun preavviso da parte di Depoulos, era arrivata in ufficio al suo orario normale: non era colpa sua, ma si sarebbe dovuta presentare al management già in imbarazzo per essere in ritardo e averli fatti aspettare. Sentì le ginocchia che le tremavano per la paura, appese velocemente il cappotto. Si ricordò appena in tempo l’ordine degli occhiali, e li prese al volo dal cassetto della scrivania dove li teneva riposti, indossandoli prima di correre verso la sala riunioni col suo incartamento. Si diede un’ultima ravviata ai capelli prima di bussare ed entrare.
– Finalmente, – disse Depoulos.
– Vi chiedo scusa per il ritardo, – disse Manuela, arrossendo. Attorno a un grande tavolo ovale c’erano tutti i top manager dell’azienda, una decina di uomini. Qualcuno le fece un cenno quasi impercettibile di saluto, altri non la degnarono nemmeno di uno sguardo. – Non è dipeso da me…
– Questa è Manuela Rossi, del mio staff, – disse Depoulos. – Come vi dicevo, ha un progetto da sottoporre alla vostra attenzione. – Si rivolse a Manuela. – Accomodati, – disse, scostando dal tavolo la sedia vuota che aveva accanto alla propria.
Manuela si avvicinò a Depoulos, e quando gli fu vicino si immobilizzò per un attimo, sentendosi gelare il sangue. La sedia che Depoulos non era una delle sedie della sala riunioni, era la sedia dell’ufficio di Manuela. La ragazza diede uno sguardo terrorizzato al suo capo, che la guardò freddamente. – Forza, queste persone sono tutte molto impegnate, non facciamogli perdere altro tempo. Siediti e fai la tua presentazione.
Manuela trattenne le lacrime, cercando di non dar vedere alle altre persone il suo imbarazzo e la sua paura. La sedia non era visibile da nessuno a parte lei e Depoulos; doveva solo cercare di sedersi senza dar nulla a vedere. Si piegò, sollevando appena la gonna, il meno possibile. Mentre si abbassava, Depoulos si sporse verso di lei, prendendole un braccio e sussurrandole nell’orecchio: – sono tutti e due cosparsi di peperoncino, troia. Vediamo se riesci a non far capire a nessuno quanto ti faranno male…
Manuela si sentì gelare il sangue, ma ormai era praticamente seduta, e non poteva fermarsi. Sentì il contatto dei due falli di plastica, li sentì che le scivolavano e cominciò a stringere i denti per il dolore. A causa delle violenze che subiva quotidianamente da Depoulos, il suo ano e la sua vagina erano sempre escoriati e graffiati, e il peperoncino bruciava come il fuoco sulle sue ferite. Strinse i pugni e i denti, e scese col bacino, impalandosi su quelle che sembravano lame di fuoco. Quando le sue natiche toccarono la sedia, rimase un attimo immobile, tremante. Depoulos la osservava impassibile. – Tutto bene? – le chiese, con un tono quasi di derisione.
– Scusate… si… tutto bene… – mormorò Manuela. Non sapeva dove avrebbe trovato la forza di parlare, ma appoggiò il documento sul tavolo davanti a sé e lo aprì. – Buongiorno a tutti, – cominciò, iniziando il discorso che si era preparata. – Come… come ha detto il dottor Depoulos, mi chiamo Manuela.. Rossi… vi ringrazio per aver accettato di dedicarmi un po’ del vostro tempo…
Mentre continuava a parlare, ripetendo quello che aveva studiato a memoria per così tanti giorni, Manuela si sentiva venir meno per il dolore. Sapeva di stare sudando, anche se sperava che nessuno se ne accorgesse. Per gran parte del tempo teneva lo sguardo sui fogli, ma ogni tanto alzava gli occhi per cercare di guardare i dirigenti, nonostante l’imbarazzo. Gli occhiali da una diottria (di cui in realtà non aveva bisogno) le impedivano di vedere completamente nitide le altre persone nella stanza, ma non di leggere le loro espressioni. Si rese conto che solo alcuni dei dirigenti la guardavano; e di quelli che lo facevano, nessuno dava in modo chiaro l’impressione di starla ascoltando. Qualcuno sogghignava. Uno dei dirigenti anziani, l’Ingegner Moratti, teneva gli occhi incollati al suo seno, alzandoli solo ogni tanto per incontrare lo sguardo di Manuela e farle un sorriso ambiguo. Manuela cominciò a sentirsi sempre più nervosa e arrossire, e cominciò a balbettare e incepparsi nel parlare.
– Le prospettive di utile nel primo semestre… scusate… nel primo quarto… le prospettive utili… di utile…
Depoulos si era reso conto della crescente difficoltà di Manuela, e avvicinò leggermente la sedia a quella della ragazza. Vista dagli altri dirigenti, poteva sembrare un gesto volto a darle coraggio, ma in realtà Depoulos si era avvicinato solo per mettere una mano fra le cosce di Manuela. Mentre la ragazza parlava, cominciò a strofinarle il clitoride, prima sfiorandolo appena con la punta delle dita, poi schiacciandolo con forza contro il fallo di plastica o pizzicandolo.. Manuela cercava disperatamente di non dare a vedere nulla, muovendo nervosamente le gambe sotto il tavolo, e cercando di proseguire il discorso. Guardando timidamente i dirigenti, non riusciva a comprendere del tutto le loro espressioni… sembrava che nessuno si stesse accorgendo di nulla, ma allo stesso non la stavano veramente ascoltando, e qualcuno sembrava in attesa di qualcosa…
Manuela si rese conto della situazione solo quando Depoulos prese la parola, interrompendola in mezzo a una frase. – Dunque, – disse l’uomo, rivolto ai suoi pari grado, – Manuela sta andando molto per le lunghe nella sua presentazione. Vorrei che cominciaste a esprimere il vostro parere sulla sua proposta.
Manuela lo guardò. – Mi scusi… volevo arrivare almeno al… paragrafo 6… posso…
Depoulos la guardò. – Certo, Manuela, tu continua a parlare, – le rispose. La fissò con occhi gelidi, e le parlò con un tono diverso, il tono di un padrone che dà un ordine. – Continua il tuo discorso e non ti interrompere finché non te lo dico io.
Manuela arrossì. – Si… dottor Depoulos, – disse. – Dicevo… – riprese, – che l’applicazione della normativa alle assicurazioni private e….
Mentre Manuela parlava, uno dei dirigenti, l’Ingegner Milana, si era alzato. Manuela se ne rese conto ed ebbe un momento di esitazione, dando un’occhiata a Depoulos. L’uomo non ebbe nessuna reazione, e Manuela riprese subito a parlare, vedendo Milana che le si avvicinava. Alzò gli occhi verso l’uomo, e vide sul suo volto un’espressione che Manuela conosceva bene, un ghigno divertito, sadico… Anche Depoulos stava osservando divertito, con lo stesso ghigno. Manuela cominciò a capire, e si sentì gelare il sangue. Continuò a parlare mentre Milana le si avvicinava. – …Per le imprese e gli enti locali…
– Ecco il mio parere sul suo lavoro, – disse Milana, fermandosi accanto a Manuela. Mentre la ragazza arrossiva violentemente, e continuava a parlare, Milana si slacciò la cerniera dei pantaloni. Lo tirò fuori, e lo prese in mano, e cominciò a orinare. Manuela sentì il getto caldo contro la guancia, e cominciò a piangere mentre parlava, balbettando. – si… gli enti… locali… e… che hanno bisogno…
L’urina di Milana scivolava sulla guancia di Manuela, lungo il mento e il collo, e andava a inzupparle la camicia. L’uomo si scaricò completamente la vescica, e poi prese i capelli di Manuela, usandoli per asciugarsi il membro. Lo rimise dentro. Mentre Milana tornava al posto, un altro dirigente si era alzato e si avvicinava dal lato opposto del tavolo. – Ricordati, non smettere di parlare, – disse Depoulos a Manuela, – vogliamo sentire ogni dettaglio del tuo interessantissimo progetto.
Il secondo dirigente, l’Avvocato Pensa, arrivò accanto a Manuela. Mentre continuava a parlare, con la voce tremante e gli occhi al foglio, lei si accorse con la coda dell’occhio che l’uomo aveva già la patta aperta e il membro di fuori. In quel momento realizzò che probabilmente molti dei presenti in sala si stavano già masturbando sotto il tavolo, godendosi lo spettacolo della sua umiliazione. Era quello l’unico motivo per cui era stava convocata… Ebbe un momento di esitazione, ma riprese subito a parlare, temendo di far arrabbiare Depoulos.
– Il mio parere, – disse Pensa, – è che questa troia ha un bel faccino…
Così dicendo, l’uomo appoggiò il membro contro la guancia di Manuela, prendendole la testa con le mani, e cominciando a strofinarlo contro il volto della ragazza. – Per quanto… riguarda… il ritorno… di investimento… – continuava lei, singhiozzando. Le lacrime che prima le rigavano le guance ora andavano anche a bagnare il glande e l’asta dell’Avvocato, consentendogli di scivolare più facilmente contro il viso di lei. L’uomo continuò in quel modo, trattenendola per i capelli, per diversi minuti, e infine si fermò, il membro pulsante che schizzava diversi getti di sperma sulla fronte e sui capelli di Manuela. Una grossa goccia di seme le scese dalla fronte fin sul naso, entrandole nella montatura degli occhiali.
Anche Pensa si pulì il membro nei capelli di Manuela, lasciando il posto ad altri due dirigenti, uno a destra e uno a sinistra di Manuela. La ragazza non li aveva nemmeno visti alzarsi, e non osava spostare lo sguardo dal documento per vedere chi fossero. Uno dei due prese una ciocca di capelli di Manuela, se la avvolse attorno al membro, e cominciò a masturbarsi in quel modo; l’altro dapprima le strofinò il membro sulle labbra, e poi glielo spinse in bocca, dicendole: – smetti per un po’ di riempirti la bocca di paroloni, troia… riempitela con questo… è più adatto a te…
Manuela smise di parlare, la bocca piena del membro dell’uomo, e lasciò passivamente che i due si sfogassero su di lei in quel modo umiliante. Non le chiesero nemmeno di partecipare in alcun modo. Quando quello che le stava fottendo la bocca fu prossimo all’orgasmo, lo sfilò e le schizzò in faccia; l’altro venne poco dopo, scaricandole il proprio sperma sui capelli, sul volto e persino nell’orecchio.
– Elias, – disse il più anziano dei dirigenti, il dottor Manfredini, rivolgendosi a Depoulos ma guardando Manuela mentre parlava, – mi sembra che la signorina Rossi non sappia quali sono le sue qualità. Per quale motivo non ha ancora tirato fuori quelle grosse poppe da vacca?
Depoulos annuì. – Ha ragione, dottor Manfredini. – Si rivolse a Manuela. – Hai sentito, puttana? O hai troppa sborra nelle orecchie?
Manuela continuava a piangere, le lacrime che ora si mescolavano allo sperma. Portò la mano alla camicetta zuppa di orina e seme, e la slacciò, con le mani che le tremavano. Depoulos aspettò che avesse fatto, e quindi si chinò a rifilarle un violentissimo manrovescio sui seni. – Non ti ho detto che la presentazione è finita, puttana. Ricomincia a leggere.
– Io… non so… non so dov’ero arrivata… – singhiozzò Manuela.
– A nessuno frega un cazzo delle scemenze che hai scritto, troia, – rispose Depoulos, colpendole ancora i seni, – ma vogliamo che continui a parlare. Hai capito?
Manuela gemette di dolore. – Si… mi scusi….
Riprese il documento e cominciò a leggere. – Il ritorno… di investimento… atteso… nel primo… quarto…
Mentre Manuela procedeva nella lettura, tutti i dirigenti si alternarono accanto a lei per esprimere il loro “parere sul progetto”. Altri due le orinarono uno in faccia e uno in bocca; qualcuno le sputò sul volto; altri le vennero sui capelli, sulla fronte, sul naso, finché il suo volto fu una maschera di sperma. Il seme le colava lungo il volto, sui seni e sulle gambe. Uno dei dirigenti le fece aprire le cosce e volle orinarle sul sesso, mirando col getto al clitoride di Manuela, gonfio e arrossato per le precedenti attenzioni di Depoulos e per il peperoncino. Un altro si divertì a venirle dentro gli occhiali, dietro alle lenti; Manuela, che ormai non aveva più la forza di cercare le parole e stava limitandosi a leggere a fatica dal documento ormai tutto imbrattato, dovette fermarsi. Depoulos le concesse di pulire le lenti con la lingua, a patto che mandasse giù il disgustoso misto di sperma, urina e saliva.
Quando tutti i presenti ebbero concluso il proprio turno, e furono tornati ai propri posti, Depoulos interruppe finalmente Manuela. – Può bastare, – le disse.
Ci fu qualche momento di silenzio, mentre la ragazza continuava a piangere sommessamente. I dirigenti attorno al tavolo ora stavano ridacchiando o bisbigliando fra di loro.
– Ora alzati in piedi, – disse Depoulos.
Manuela raccolse il coraggio, alzandosi lentamente dalla sedia. Il fatto stesso di muoversi fece riaccendere il dolore causato dal peperoncino, e la ragazza emise un gemito mentre si sfilava dai due grossi falli. Istintivamente, fece per sistemarsi la gonna, ma Depoulos la interruppe con un gesto brusco. – Cosa fai, troia? Tieni su la gonna. Cos’è, vuoi impedire a questi tuoi superiori di guardarti la fica?
Manuela scosse il capo, tremando, rimanendo in piedi, con la gonna sollevata e le gambe leggermente divaricate. – No signor Depoulos… mi scusi… – mormorò.
– Anzi, apritela con le dita mentre parliamo.
– Si… signor Depoulos… – mormorò lei. Portò la mano al sesso, appoggiando le dita alle grandi labbra e dischiudendole davanti allo sguardo dei presenti. Era seminuda di fronte a un gruppo di estranei, coperta di sperma e di urina, eppure essere costretta a quel gesto la fece arrossire e vergognare ancora di più.
– Ora, troia, – continuò Depoulos, staccando il cavo del suo PC portatile mentre parlava, – dovresti ringraziare queste persone che ti hanno concesso mezz’ora del loro prezioso tempo, e scusarti.
Manuela aveva interpretato il gesto del direttore come l’indicazione che la seduta stava venendo tolta, che a breve sarebbe stata liberata da quella situazione… il suo cuore ebbe un tuffo quando si accorse che Depoulos stava piegando in due il cavo, come aveva fatto già tante volte nel suo ufficio, durante le sessioni di tortura di Manuela.
– Io… vi ringrazio… e….
Depoulos rifilò un violentissimo colpo col cavo sulle natiche nude di Manuela; lo schiocco echeggiò nella stanza, e la ragazza vacillò sulle ginocchia tremanti. – Uno per uno, puttana.
Manuela si appoggiò con le mani per un attimo al tavolo. Quindi, si rivolse al dirigente seduto più vicino. – La… ringrazio… dottor Dini… – cominciò, singhiozzando, – per il tempo che mi ha concesso… e le chiedo scusa…
Depoulos colpì ancora, un altro violento schiocco, seguito da un nuovo gemito di Manuela. La ragazza ricominciò a piangere copiosamente, le lacrime che colavano insieme allo sperma sulle sue guance.
– La ringrazio, Avvocato Pensa… per il tempo che mi ha concesso…Mi scuso…
Depoulos la colpì per la terza volta, ancora più forte. Ogni colpo del cavo lasciava un segno violaceo sulle natiche nude di Manuela. – Questi signori ti hanno anche onorato sborrandoti, pisciandoti, o sputandoti addosso, puttana, – disse, con tono severo, – dovresti ringraziarli anche per questo. E cerca di fargli capire bene quanto ti piace essere trattata così: masturbati mentre li ringrazi. Forza.
Una nuova frustata col cavo fece quasi cadere Manuela. Si trattenne al tavolo, stringendo i pugni per il dolore bruciante. Suo malgrado, portò la mano ancora libera al sesso che stava tenendo aperto per i dirigenti, e iniziò ad accarezzarsi il clitoride. Tutto il sesso le bruciava ancora terribilmente per il peperoncino. Cercò di farsi coraggio.
– Io… la ringrazio… – riprese, – Ingegner… Moratti… per il suo tempo… per avermi orinato in bocca… e… sputato in faccia…
L’umiliante rito proseguì per altri dieci minuti; Manuela ringraziava quegli uomini per averle concesso il loro tempo, per averle insozzato il volto, i capelli, i seni di sperma; per averle sputato addosso; e ogni ringraziamento era scandito da Depoulos da una nuova frustata col cavo sulle sue natiche, che ormai bruciavano. I segni del cavo stavano gonfiandosi e le facevano male, e Manuela continuava a umiliarsi, ringraziare, e accarezzarsi il clitoride. Più proseguiva, più il suo respiro si faceva affannoso, e nemmeno lei sapeva se ansimava per il dolore fisico, l’umiliazione, o il piacere che cercava di darsi per compiacere il suo padrone.
Quando Manuela ebbe finito il giro dei ringraziamenti, Depoulos si alzò, e le si avvicinò. – Ora, troia, ti è sufficientemente chiaro che a nessuno qui dentro e in questa azienda interessa sentire le cagate pensate da una vacca da monta come te?
Manuela arrossì, annuendo. – Si… signor Depoulos… – singhiozzò. Si rese conto troppo tardi di aver smesso, senza neppure accorgersene, di masturbarsi; Depoulos la colpì col cavo sui seni prima che potesse riprendere. – Non ti ho detto di fermarti, puttana. Rispondi alla domanda, ora.
– Si… signor Depoulos… – rispose ancora Manuela, piangendo. – A nessuno… in questa azienda… interessa… quello che pensa una vacca….
– Ora sentiamo, – disse Depoulos, prendendo il documento di Manuela. Fissandola negli occhi, cominciò ad arrotolare i fogli. Manuela cominciò a tremare. Qualcuno stava già cominciando a ridacchiare. Depoulos arrotolò il plico ben stretto, facendone un cilindro compatto. La ragazza non osava fiatare, e continuava a masturbarsi… il suo respiro si faceva sempre più affannoso.
– Sentiamo, Manuela, – continuò Depoulos, chiamandola col suo nome per la prima volta dall’inizio della riunione, e mostrandole il documento arrotolato. – Dimmelo tu, qual è il posto giusto per questo. Dove vuoi che lo metta?
Nonostante tutto quello che aveva già subito da quell’uomo, e le sopraffazioni a cui era ormai abituata, Manuela non riusciva a rispondere, ad accettare quell’umiliazione così grossolana, volgare, di fronte a tutte quelle persone. Apriva le labbra, tremando, e balbettava appena qualche sillaba – io… io… – Sentiva le dita con cui si stava toccando che si bagnavano sempre di più, suoi i succhi le colavano sul palmo della mano.
Depoulos non diceva nulla, limitandosi a fissarla. Nonostante il silenzio di lui, Manuela si sentiva sempre più sotto pressione per ogni secondo in cui esitava. Sapeva cosa poteva costarle non obbedire subito al suo padrone. Con le lacrime che le scendevano sulle guance in un flusso ininterrotto, si abbandonò e cominciò a parlare, gli occhi bassi. – Lo… me… me lo metta… nel culo… signor Depoulos…
– Alza gli occhi dal pavimento e ripeti, – disse Depoulos.
Manuela alzò gli occhi verso i dirigenti. Attraverso le lacrime e la deformazione delle lenti, vedeva confusamente i loro volti; la guardavano con espressioni allo stesso tempo di disprezzo, derisione, e divertimento. Bisbigliavano, ridevano, qualcuno stava riprendendo o facendo foto con il cellulare. Manuela si sentiva morire, eppure continuò a masturbarsi davanti a loro mentre ripeteva: – il documento.. metta il documento… me lo metta nel culo.. per favore…
Depoulos prese Manuela per i capelli e le spinse la testa, facendola inclinare in avanti per avere un accesso più semplice all’ano della ragazza. – Continua a guardare i tuoi superiori e masturbarti, – le disse. Appoggiò il documento fra le natiche della ragazza. Lo avvicinò all’ano, e cominciò a spingere. Manuela strinse i denti per il dolore che il taglio della carta le procurava strisciando contro le pareti del suo retto, infiammate dal peperoncino. – Sono certo che ora preferiresti aver scritto un documento un po’ più corto, vero troia? – disse Depoulos. – Stai imparando l’importanza della sintesi? – aggiunse, fra le risate dei suoi colleghi. – S… si… – mormorò Manuela, distrutta, mentre le sue lacrime gocciolavano sulla scrivania.
Depoulos continuò a spingere finché più di metà del cilindro di carta non fu ben piantato nell’ano di Manuela. Quindi, la colpì con una pacca sulle natiche già martoriate dal cavo, e la prese per i capelli, facendole raddrizzare la schiena.
– E ora concluderai dimostrandoci quanto ti è piaciuto essere trattata come una merda, – disse Depoulos, – e verrai per noi. Conterò fino al 10, e al 10 voglio che tu venga. Hai capito, troia?
Manuela annuì, terrorizzata. Cominciò a masturbarsi ancora più freneticamente. Depoulos si spostò dietro di lei, e riprese il cavo. – Uno! – esclamò ad alta voce, accompagnando la parola con una cinghiata sulle natiche già martoriate di Manuela. La ragazza vacillò per quella violenza che non si aspettava, gemette, e poi cercò di tornare a concentrarsi sul piacere che stava cercando di darsi…
– Due! – contò Depoulos, con una nuova cinghiata. – Tre!… Quattro!… – Ogni numero era una frustata, di piatto sulle natiche; al “tre”, il cavo colpì anche il documento piantato nell’ano di Manuela, provocandole un extra di dolore che di nuovo la fece vacillare sulle ginocchia. Non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora, sperava che Depoulos contasse in fretta, voleva venire, voleva che tutto finisse… Cinque!
– Ora, – disse Depoulos, avvicinandosi, – da questo punto in avanti non puoi più toccarti… penserò io a strofinarti il clitoride. – Le appoggiò il cavo fra le cosce, da dietro, e lo fece scivolare sul sesso bagnato di Manuela. La ragazza gemette, guardando i dirigenti con aria implorante. Quello che ebbe in risposta furono solo risatine e sorrisi sadici; nessuno la guardava nemmeno realmente negli occhi, guardavano i suoi seni, o il cavo che strisciava fra le sue cosce già lucido di umori; chi la guardava in volto lo faceva con un ghigno perverso, evidentemente solo per trarre piacere dalla disperazione e dalle lacrime della ragazza…
Depoulos si spostò di nuovo indietro. Manuela rabbrividì e strinse i pugni. – SEI!
Il cavo Manuela fra le cosce con uno schiocco violento, in qualche modo ci fu anche un rumore come di sciacquio dovuto all’urto della plastica sull’umido del suo sesso. Qualcuno rise, Manuela arrossì ancora più violentemente, piegandosi leggermente in avanti.
– SETTE!
Le frustate le stavano già procurando delle piccole escoriazioni, e il peperoncino mischiato ai suoi succhi le faceva bruciare come fuoco…
– OTTO! Preparati a venire vacca!
Manuela stava per svenire…
– NOVE!
Manuela si concentrò, strinse i pugni, socchiuse gli occhi, gemette, si irrigidì in attesa dell’ultima frustata… Per un tempo che le sembrò interminabile… Sentì il piacere che montava dentro di lei, desiderò il colpo del cavo, aprì istintivamente ancora di più le gambe per riceverlo netto… non poteva deludere Depoulos…
– DIECI!
La ragazza non riuscì a trattenere un grido mentre si piegava in avanti, ansimando, l’orgasmo che attraversava il suo corpo come un’esplosione. – S…. siiiiiiiiiiiii – si sentì gemere, mentre i dirigenti ancora ridevano di lei, del modo in cui stava godendo del fatto di essere frustata in quel modo selvaggio. Anche Depoulos, alle sue spalle, stava ridendo, e mentre Manuela si contorceva nel piacere le rifilò un’altra serie di cinghiate, che Manuela percepì in modo confuso, sulle natiche, sulle cosce, sulla schiena, sul sesso…
Quando finalmente Depoulos smise di colpirla, Manuela cadde in ginocchio, sostenendosi alla scrivania, tremante e ansimante, con i brividi dell’orgasmo che ancora le attraversavano il corpo. Si rese conto dello spettacolo che aveva dato… non era semplicemente venuta, era venuta come “una vogliosa cagna in calore”… questo era quello che avrebbe detto Depoulos e aveva ragione…
Depoulos si rivolse ai dirigenti: – spero che siate soddisfatti della punizione di Manuela, – disse. – In caso contrario, siete liberi di convocarla nei vostri uffici e farle personalmente tutto quello che secondo voi si merita. Manuela manderà a tutti voi una email con i suoi recapiti, telefono aziendale e cellulare. – Si rivolse alla ragazza inginocchiata. – Hai sentito puttana?
Manuela annuì. – S… si signor Depoulos, – mormorò. I dirigenti si stavano alzando, preparandosi per andarsene. Manuela sentì le frasi che si scambiavano, come se lei non ci fosse: – merita, merita… guarda che vaccona da monta… questa merita un sacco di cazzo, – disse Milana. – Vedo già quel bel culetto sulla mia scrivania, – fu il commento di qualcun altro. – Ci vediamo presto, puttana….
I partecipanti alla riunione cominciarono a defluire. – Tu, puttana, sistema il pavimento, guarda che schifezza c’è lì per terra, – disse Depoulos a Manuela, indicando la pozzanghera di sperma e urina che si era formata per terra. – Le donne delle pulizie non sono abituate a queste schifezze, fai sparire tutto e non pensare di sporcare i loro stracci. Hai i tuoi vestiti e hai anche la lingua, fatteli bastare.
– Si… signor Depoulos… – mormorò Manuela. L’uomo le fece cenno di cominciare, e Manuela si mise carponi, cominciando a strofinare il pavimento con la manica della camicetta. Uno dei dirigenti, mentre stava uscendo, si trattenne per scattare ancora una foto allo spettacolo di Manuela a quattro zampe intenta a pulire col documento che le spuntava per metà dall’ano.
– Manderò qui Cristina fra un’ora a controllare che sia tutto pulito, – continuò l’uomo. Indicò per terra. – E guarda che coli ancora sborra e piscio dalle tette e dalla faccia.
Tutti gli altri erano usciti; Depoulos prese il suo portatile e si avviò alla porta, chiudendola alle sue spalle senza rivolgere nessun’altra parola a Manuela. La ragazza rimase a quattro zampe. Si rese conto che non sarebbe riuscita a pulire tutto usando solo i vestiti… in parte erano già zuppi, soprattutto la camicetta. E non poteva inzuppare in quel modo anche gli altri. Sentì un moto di disgusto sapendo che presto avrebbe dovuto cominciare a usare veramente la lingua…
Pregò che Cristina non arrivasse troppo presto…
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