Crema e cioccolato per la festeggiata
di
FetishJo
genere
bondage
Sarebbe stata quella la prima volta che mi sarei trovato legato mani e piedi ai quattro angoli del letto, nudo, in balia di cinque ragazze decise a godere in ogni modo del mio corpo.
Quando, tramite amicizie comuni, mi giunse voce che alcune ragazze volevano celebrare l’addio al nubilato di una di loro e cercavano un uomo sulla trentina, di bell’aspetto e soprattutto affidabile, che fosse disposto a soddisfare tutti i loro piaceri (salvo quelli che prevedono la violenza o il dolore, situazioni che anche io respingo), la mia curiosità per le novità erotiche ebbe come sempre il sopravvento e avanzai la mia candidatura, anche se avevo qualche anno in più (ma ho sempre dimostrato di meno!), candidatura che venne accettata dopo l’invio delle referenze e di un paio di mie foto, una di nudo integrale con viso e un’altra del mio bel cazzo scappellato in piena erezione.
Quando, all’ora che mi era stata richiesta, arrivai, la festa era pervenuta a buon punto e le ragazze, tutte di età compresa tra i 25 e i 30 anni, erano evidentemente pronte per il divertimento conclusivo, dato che si fecero trovare tutte senza vestiti e, seppure non brille, decisamente su di giri. Dopo essermi spogliato, entrai nella camera, accolto da un susseguirsi di gridolini e da un applauso di incoraggiamento, e mi distesi sul letto, allargando le braccia e le gambe in modo che le mani e i piedi potessero essere bloccati grazie ad apposite corde che erano state fissate alla struttura del letto.
Mentre venivo incatenato, il mio cazzo, che già si era ampliato e alzato al momento dell’ingresso nel percepire lo stuzzicante odore di corpi femminili di cui si era saturato il locale e nell’avvistare le loro nudità, si irrigidì ulteriormente all’idea che non avrei potuto difendermi e sarei sessualmente stato alla loro mercé, per cui la cappella si gonfiò parecchio, provocando nelle presenti gorgheggi e risatine.
Per comodità, a parte Giorgia, la festeggiata, una ragazza minuta e benfatta, con un caschetto bruno e seni minuscoli ma sodi, come il culo, indicherò le altre partecipanti all’incontro, tutte per fortuna dotate di un viso gradevole e di un fisico decente, tramite il colore dei loro capelli: la mora (lunghi capelli neri, magra, alta, seno piccolo), la bionda (capelli chiari raccolti a coda di cavallo, tette abbondanti), la riccia (capelli castani lunghi e boccolosi, gambe slanciate) e la rossa (corti e ispidi capelli tinti sull’arancione, come lo smalto che sfoggiava su mani e piedi, capezzoli con piercing e bel culo).
Iniziarono a familiarizzare con me, ognuna toccando, guardando o annusando una parte del mio corpo, con la sola proibizione di maneggiare il mio cazzo, azione che era permessa, e solo quando la serata sarebbe volta al termine, soltanto a Giorgia, che avrebbe scelto come soddisfarsi e avrebbe stabilito se e come farmi avere l’orgasmo (scopata, pompino, sega?).
Capii subito che la più disinibita (ma non la più libidinosa come compresi in seguito) era la rossa, perché si mise accucciata in fondo al letto e mi annusò i piedi.
“Hai dei bei piedi, schiavo”, rilevò odorandomeli mentre si vellicava il pube, “lunghi, snelli e un po’ puzzolenti, come piacciono a me”.
“Anche il suo cazzo emana un profumo eccitante”, fece di rimando la bionda approssimando il naso al mio inguine e palpeggiandosi le voluminose tette.
“Saporito oltre che bello allora”, approvò la riccia osservando la mia tondeggiante cappella, sempre più rossa. “Mi fa andare in brodo di giuggiole la punta grossa, ci giocherei ore”.
“Mi raccomando ragazze”, ammonì la mora, “il cazzo è riservato alla sposina, noi abbiamo tutto il resto”, spiegò mordicchiandomi i capezzoli.
La festeggiata si gustava la scena soppesando le parti del mio corpo e ammirando le sue compagne di trastullo che, tutte nude, potevano gestire il corpo di un bel maschio, ben sapendo però che il pezzo migliore spettava a lei. Dopo un periodo nel quale le cinque ragazze si affaccendarono allegramente intorno al letto per fermi annusare i loro piedi gustosi (quelli della rossa erano i migliori) o leccare i capezzoli (i più turgidi, dei veri cazzetti, erano quelli della bionda) e per assaporarmi, dedicandosi bramosamente in particolare a piedi, capezzoli, palle e solo a qualche fugace toccamento del cazzo e a qualche colpetto alla cappella, che ringraziava sussultando, Giorgia decretò che si poteva dare il via allo spasso finale, proclamo che fu accolto da un’acclamazione liberatoria.
La prima a farsi avanti fu la bionda, che si mise a cavalcioni sul mio petto in modo da squadernarmi davanti alla bocca la sua figa sormontata da una sottile peluria chiara. Cominciai a lapparla, concentrandomi sul clitoride, che era lungo come i suoi capezzoli, e intanto respiravo l’afrore della sua figa. Sapendo di essere contemplata dalle sue amiche mentre si faceva slinguare, la bionda non ci mise molto ad arrivare al climax.
“Porco, così mi fai venire”, gemette infatti poco dopo tenendosi la figa spalancata con le mani e schiacciandomela contro la bocca come per asfissiarmi.
Non appena con la lingua premetti nuovamente con forza sul clitoride, la bionda prese a sobbalzare, sbattendo qua e là la coda di cavallo e liberando i suoi succhi dentro la mia bocca tra le ovazioni delle altre. Deglutii la sua essenza, era buona.
Poi fu il turno della mora, che si collocò su di me come la sua amica ma stando più lontana dalla mia bocca, in modo che non la potessi raggiungere con la lingua. Fissandomi negli occhi, prese a sditalinarsi freneticamente con un mano mentre con l’altra, alternativamente, si massaggiava le tettine compatte oppure mi sfiorava i testicoli, per poi leccarsi le dita. Quando si strinse per l’ennesima volta il clitoride, e nel contempo si mise in bocca l’indice dopo averne infilato la punta nel mio ano, si irrigidì tutta e, ululando, esplose in un violento orgasmo accolto da grida di approvazione, lasciando sulla mia piatta pancia una piccola pozza di denso liquido.
Ora toccava alla riccia, che si sedette tra le mie gambe e iniziò ad accarezzarsi il seno inarcando la schiena, inspirando l’odore del mio cazzo, che aveva sotto di sé e non distogliendo gli occhi dalla mia cappella congestionata. All’improvviso si spostò leggermente più avanti e, in ginocchio, si portò all’altezza del mio cazzo, restando però una spanna sopra.
“Mi scappa di pisciare”, annunciò, e un istante dopo dalla figa, che lei si teneva divaricata, partì una serie di zampilli che piovvero sul mio cazzo ormai marmoreo, lavandolo completamente.
“Sì brava, piscia sul cazzo”, urlavano estasiate le sue amiche, all’unisono, “così si insaporisce bene per Giorgia!”.
Il fatto di avermi inondato della sua piscia doveva aver acceso oltremodo la riccia, che solo penetrando con due dita nella figa e quasi senza masturbarsi ebbe poco dopo un orgasmo silenzioso ma molto protratto, facendola contorcere tutta. Qualche goccia del suo succo filante si mischiò alla sua piscia sopra il mio cazzo lucido.
“Ora tocca a me”, esclamò la rossa balzandomi sopra ma offrendo alla mia bocca il didietro e piegandosi verso il mio cazzo.
Ai lati della mia testa avevo i suoi bellissimi piedi smaltati, mentre avevo davanti a me il suo altrettanto fascinoso culo, vellutato e saldo. Con le mani si separò le chiappe in modo da mettermi a disposizione un ano da favola, tondo, liscio e fantasticamente olezzante.
“Ora chiavami il culo con la lingua”, mi ordinò. Obbedii volentieri e introdussi la punta della lingua nel foro, roteandola. Sapeva di sapone, ma anche di sudore e di cacca, cosa che, devo ammettere, non mi dispiacque affatto.
“La tua lingua nel mio culo e il tanfo dei tuoi piedi che ho prima assaggiato mi fanno impazzire”, mormorò dopo un po’ la rossa, mentre si masturbava con entrambe le mani e stando con il volto a pochi centrimetri dal mio lucente cazzo impietrito.
Realizzai che stava raggiungendo l’apice del piacere, cercai di scoparla ancora più intensamente con la lingua e notai che l’ano si stava dilatando per fare apparire la punta di un simpatico cilindro scuro, che forse sarebbe stato liberato da quella morsa crudele piombando nella mia bocca affamata se in quel momento l’orgasmo che la travolse non avesse provveduto a contrarre lo sfintere, che ricacciò dentro il timido stronzetto, mentre dalla sua figa colava un fluido che nei presi del mio ombelico confluì nella pozzanghera che mi aveva lasciato la mora.
Ora era giunto il momento del gran finale, consacrato a Giorgia, che tra gli incitamenti e le provocazioni delle amiche, si piazzò sul letto, tra le mie gambe, afferrando con una mano il cazzo che le torreggiava davanti e con l’altra sfregandosi un capezzolo già bello teso. Dopo aver percorso la lunghezza dell’asta, si fermò sulla debordante cappella, saggiandone la consistenza e pompandola leggermente tra le dita, facendola ingigantire ancora di più.
“Brava Giorgia”, gridavano le altre, “goditi a fondo quel bel cazzo. Da domani vedrai sempre lo stesso!”.
In effetti il mio cazzo si stava comportando degnamente. Malgrado le sollecitazioni a cui era stato sottoposto (se non fossi stato legato lo avrei infilato tra fighe, culi, bocche e piedi) non era esploso, e anzi adesso era nel suo aspetto migliore, dritto, durissimo nei suoi 18 centimentri, con la cappella imponente che pareva scambiare con la sua padrona di quel giorno uno sguardo bramoso e determinato. Subito Giorgia vi si chinò sopra e prese a succhiarlo con calma, centellinando le slinguate e gustandosi le succhiate, mentre le altre le chiedevano di cosa sapesse il mio cazzo e se le piaceva. Avendo la bocca occupata, lei non disse nulla, ma la risposta era chiara dai suoi mugolii e dal maggior impeto con cui seguitava a pomparmelo con la bocca. A un certo punto si levò il cazzo dalle labbra e pose l’indice umido sulla fessura in cima alla cappella, che si era dilatata al massimo tanto era gonfia e tesa, ma evitando purtroppo di esplorarla. Si introdusse invece quel dito nell’ano, per poi leccarselo, squittendo di piacere. Fu, per le sue complici, quasi come un segnale. Si avvicinarono e, mentre una teneva il mio cazzo verticale, le altre la aiutarono a sbatterselo nel culo, esaudendo un desiderio che pertanto conoscevano. Cominciò a saltellare su e giù sul mio cazzo, mentre le sue amiche la palpavano: la bionda stringendo una sua tetta e tirando il capezzolo dell’altra, la mora accarezzandole il culo, la rossa leccandole i piedi, la riccia introducendo due dita nella sua figa incoronata da peli neri, che Giorgia si teneva divaricata completamente e che io scrutavo nei dettagli, ammirando il clitoride sfolgorante che veniva martoriato dalle sue dita sapienti. Sentivo il suo ano che mi mungeva il cazzo e specialmente la cappella, in particolare quando, facendo leva sulle ginocchia, si sollevava in alto e poi, con il concorso delle altre, piombava giù di scatto, scartavetrandomi il fallo, che a sua volta scavava infaticabile nel suo intestino, e mi sembrava quasi di sentire la mia cappellona rimestare nella sua cacca, cagionandomi un piacere sopraffino.
“Ragazze, così mi stimola… mi viene da cagare!”, avvertì Giorgia, al che le amiche proruppero all’unisono in un “sììì” convinto, che mi attizzò alla follia, facendomi scatenare (almeno lì,visto che per il resto ero immobilizzato) nella scopata di quel culo favoloso, spingendo in alto il mio bacino in modo da slargarle al massimo il buco, ma anche quella volta l’orgasmo interruppe sventuratamente il tanto agognato processo esplusivo, e l’inculata strillò schizzando il suo succo sui miei peli pubici e, con una serie di spasmi del suo ano, serrando in una morsa implacabile il mio cazzo, che così eruttò in quella accogliente cavità fiotti di rovente lava bianca, per poi venire estratto dal suo culo tascabile ma internamente spazioso (si vede che era allenato) e rimanere alla vista delle cinque donzelle. Ancora piuttosto duro e ritmicamente pulsante, era tutto arrossato e attraversato da striature marroni e lattiginose, curiosamente con la monumentale cappella esattamente per metà ricoperta di cacca e per metà di sborra.
“Ecco il dolce prediletto di Giorgia: il gelato di crema e cioccolato”, dissero tutte insieme le altre, palesemente consapevoli di quella che doveva essere una preferenza sessuale dell’amica, che difatti, ancora ansante per la goduta, divorava per ora solo con gli occhi il gran cono che svettava tra le mie gambe.
Era una buongustaia.
Quando, tramite amicizie comuni, mi giunse voce che alcune ragazze volevano celebrare l’addio al nubilato di una di loro e cercavano un uomo sulla trentina, di bell’aspetto e soprattutto affidabile, che fosse disposto a soddisfare tutti i loro piaceri (salvo quelli che prevedono la violenza o il dolore, situazioni che anche io respingo), la mia curiosità per le novità erotiche ebbe come sempre il sopravvento e avanzai la mia candidatura, anche se avevo qualche anno in più (ma ho sempre dimostrato di meno!), candidatura che venne accettata dopo l’invio delle referenze e di un paio di mie foto, una di nudo integrale con viso e un’altra del mio bel cazzo scappellato in piena erezione.
Quando, all’ora che mi era stata richiesta, arrivai, la festa era pervenuta a buon punto e le ragazze, tutte di età compresa tra i 25 e i 30 anni, erano evidentemente pronte per il divertimento conclusivo, dato che si fecero trovare tutte senza vestiti e, seppure non brille, decisamente su di giri. Dopo essermi spogliato, entrai nella camera, accolto da un susseguirsi di gridolini e da un applauso di incoraggiamento, e mi distesi sul letto, allargando le braccia e le gambe in modo che le mani e i piedi potessero essere bloccati grazie ad apposite corde che erano state fissate alla struttura del letto.
Mentre venivo incatenato, il mio cazzo, che già si era ampliato e alzato al momento dell’ingresso nel percepire lo stuzzicante odore di corpi femminili di cui si era saturato il locale e nell’avvistare le loro nudità, si irrigidì ulteriormente all’idea che non avrei potuto difendermi e sarei sessualmente stato alla loro mercé, per cui la cappella si gonfiò parecchio, provocando nelle presenti gorgheggi e risatine.
Per comodità, a parte Giorgia, la festeggiata, una ragazza minuta e benfatta, con un caschetto bruno e seni minuscoli ma sodi, come il culo, indicherò le altre partecipanti all’incontro, tutte per fortuna dotate di un viso gradevole e di un fisico decente, tramite il colore dei loro capelli: la mora (lunghi capelli neri, magra, alta, seno piccolo), la bionda (capelli chiari raccolti a coda di cavallo, tette abbondanti), la riccia (capelli castani lunghi e boccolosi, gambe slanciate) e la rossa (corti e ispidi capelli tinti sull’arancione, come lo smalto che sfoggiava su mani e piedi, capezzoli con piercing e bel culo).
Iniziarono a familiarizzare con me, ognuna toccando, guardando o annusando una parte del mio corpo, con la sola proibizione di maneggiare il mio cazzo, azione che era permessa, e solo quando la serata sarebbe volta al termine, soltanto a Giorgia, che avrebbe scelto come soddisfarsi e avrebbe stabilito se e come farmi avere l’orgasmo (scopata, pompino, sega?).
Capii subito che la più disinibita (ma non la più libidinosa come compresi in seguito) era la rossa, perché si mise accucciata in fondo al letto e mi annusò i piedi.
“Hai dei bei piedi, schiavo”, rilevò odorandomeli mentre si vellicava il pube, “lunghi, snelli e un po’ puzzolenti, come piacciono a me”.
“Anche il suo cazzo emana un profumo eccitante”, fece di rimando la bionda approssimando il naso al mio inguine e palpeggiandosi le voluminose tette.
“Saporito oltre che bello allora”, approvò la riccia osservando la mia tondeggiante cappella, sempre più rossa. “Mi fa andare in brodo di giuggiole la punta grossa, ci giocherei ore”.
“Mi raccomando ragazze”, ammonì la mora, “il cazzo è riservato alla sposina, noi abbiamo tutto il resto”, spiegò mordicchiandomi i capezzoli.
La festeggiata si gustava la scena soppesando le parti del mio corpo e ammirando le sue compagne di trastullo che, tutte nude, potevano gestire il corpo di un bel maschio, ben sapendo però che il pezzo migliore spettava a lei. Dopo un periodo nel quale le cinque ragazze si affaccendarono allegramente intorno al letto per fermi annusare i loro piedi gustosi (quelli della rossa erano i migliori) o leccare i capezzoli (i più turgidi, dei veri cazzetti, erano quelli della bionda) e per assaporarmi, dedicandosi bramosamente in particolare a piedi, capezzoli, palle e solo a qualche fugace toccamento del cazzo e a qualche colpetto alla cappella, che ringraziava sussultando, Giorgia decretò che si poteva dare il via allo spasso finale, proclamo che fu accolto da un’acclamazione liberatoria.
La prima a farsi avanti fu la bionda, che si mise a cavalcioni sul mio petto in modo da squadernarmi davanti alla bocca la sua figa sormontata da una sottile peluria chiara. Cominciai a lapparla, concentrandomi sul clitoride, che era lungo come i suoi capezzoli, e intanto respiravo l’afrore della sua figa. Sapendo di essere contemplata dalle sue amiche mentre si faceva slinguare, la bionda non ci mise molto ad arrivare al climax.
“Porco, così mi fai venire”, gemette infatti poco dopo tenendosi la figa spalancata con le mani e schiacciandomela contro la bocca come per asfissiarmi.
Non appena con la lingua premetti nuovamente con forza sul clitoride, la bionda prese a sobbalzare, sbattendo qua e là la coda di cavallo e liberando i suoi succhi dentro la mia bocca tra le ovazioni delle altre. Deglutii la sua essenza, era buona.
Poi fu il turno della mora, che si collocò su di me come la sua amica ma stando più lontana dalla mia bocca, in modo che non la potessi raggiungere con la lingua. Fissandomi negli occhi, prese a sditalinarsi freneticamente con un mano mentre con l’altra, alternativamente, si massaggiava le tettine compatte oppure mi sfiorava i testicoli, per poi leccarsi le dita. Quando si strinse per l’ennesima volta il clitoride, e nel contempo si mise in bocca l’indice dopo averne infilato la punta nel mio ano, si irrigidì tutta e, ululando, esplose in un violento orgasmo accolto da grida di approvazione, lasciando sulla mia piatta pancia una piccola pozza di denso liquido.
Ora toccava alla riccia, che si sedette tra le mie gambe e iniziò ad accarezzarsi il seno inarcando la schiena, inspirando l’odore del mio cazzo, che aveva sotto di sé e non distogliendo gli occhi dalla mia cappella congestionata. All’improvviso si spostò leggermente più avanti e, in ginocchio, si portò all’altezza del mio cazzo, restando però una spanna sopra.
“Mi scappa di pisciare”, annunciò, e un istante dopo dalla figa, che lei si teneva divaricata, partì una serie di zampilli che piovvero sul mio cazzo ormai marmoreo, lavandolo completamente.
“Sì brava, piscia sul cazzo”, urlavano estasiate le sue amiche, all’unisono, “così si insaporisce bene per Giorgia!”.
Il fatto di avermi inondato della sua piscia doveva aver acceso oltremodo la riccia, che solo penetrando con due dita nella figa e quasi senza masturbarsi ebbe poco dopo un orgasmo silenzioso ma molto protratto, facendola contorcere tutta. Qualche goccia del suo succo filante si mischiò alla sua piscia sopra il mio cazzo lucido.
“Ora tocca a me”, esclamò la rossa balzandomi sopra ma offrendo alla mia bocca il didietro e piegandosi verso il mio cazzo.
Ai lati della mia testa avevo i suoi bellissimi piedi smaltati, mentre avevo davanti a me il suo altrettanto fascinoso culo, vellutato e saldo. Con le mani si separò le chiappe in modo da mettermi a disposizione un ano da favola, tondo, liscio e fantasticamente olezzante.
“Ora chiavami il culo con la lingua”, mi ordinò. Obbedii volentieri e introdussi la punta della lingua nel foro, roteandola. Sapeva di sapone, ma anche di sudore e di cacca, cosa che, devo ammettere, non mi dispiacque affatto.
“La tua lingua nel mio culo e il tanfo dei tuoi piedi che ho prima assaggiato mi fanno impazzire”, mormorò dopo un po’ la rossa, mentre si masturbava con entrambe le mani e stando con il volto a pochi centrimetri dal mio lucente cazzo impietrito.
Realizzai che stava raggiungendo l’apice del piacere, cercai di scoparla ancora più intensamente con la lingua e notai che l’ano si stava dilatando per fare apparire la punta di un simpatico cilindro scuro, che forse sarebbe stato liberato da quella morsa crudele piombando nella mia bocca affamata se in quel momento l’orgasmo che la travolse non avesse provveduto a contrarre lo sfintere, che ricacciò dentro il timido stronzetto, mentre dalla sua figa colava un fluido che nei presi del mio ombelico confluì nella pozzanghera che mi aveva lasciato la mora.
Ora era giunto il momento del gran finale, consacrato a Giorgia, che tra gli incitamenti e le provocazioni delle amiche, si piazzò sul letto, tra le mie gambe, afferrando con una mano il cazzo che le torreggiava davanti e con l’altra sfregandosi un capezzolo già bello teso. Dopo aver percorso la lunghezza dell’asta, si fermò sulla debordante cappella, saggiandone la consistenza e pompandola leggermente tra le dita, facendola ingigantire ancora di più.
“Brava Giorgia”, gridavano le altre, “goditi a fondo quel bel cazzo. Da domani vedrai sempre lo stesso!”.
In effetti il mio cazzo si stava comportando degnamente. Malgrado le sollecitazioni a cui era stato sottoposto (se non fossi stato legato lo avrei infilato tra fighe, culi, bocche e piedi) non era esploso, e anzi adesso era nel suo aspetto migliore, dritto, durissimo nei suoi 18 centimentri, con la cappella imponente che pareva scambiare con la sua padrona di quel giorno uno sguardo bramoso e determinato. Subito Giorgia vi si chinò sopra e prese a succhiarlo con calma, centellinando le slinguate e gustandosi le succhiate, mentre le altre le chiedevano di cosa sapesse il mio cazzo e se le piaceva. Avendo la bocca occupata, lei non disse nulla, ma la risposta era chiara dai suoi mugolii e dal maggior impeto con cui seguitava a pomparmelo con la bocca. A un certo punto si levò il cazzo dalle labbra e pose l’indice umido sulla fessura in cima alla cappella, che si era dilatata al massimo tanto era gonfia e tesa, ma evitando purtroppo di esplorarla. Si introdusse invece quel dito nell’ano, per poi leccarselo, squittendo di piacere. Fu, per le sue complici, quasi come un segnale. Si avvicinarono e, mentre una teneva il mio cazzo verticale, le altre la aiutarono a sbatterselo nel culo, esaudendo un desiderio che pertanto conoscevano. Cominciò a saltellare su e giù sul mio cazzo, mentre le sue amiche la palpavano: la bionda stringendo una sua tetta e tirando il capezzolo dell’altra, la mora accarezzandole il culo, la rossa leccandole i piedi, la riccia introducendo due dita nella sua figa incoronata da peli neri, che Giorgia si teneva divaricata completamente e che io scrutavo nei dettagli, ammirando il clitoride sfolgorante che veniva martoriato dalle sue dita sapienti. Sentivo il suo ano che mi mungeva il cazzo e specialmente la cappella, in particolare quando, facendo leva sulle ginocchia, si sollevava in alto e poi, con il concorso delle altre, piombava giù di scatto, scartavetrandomi il fallo, che a sua volta scavava infaticabile nel suo intestino, e mi sembrava quasi di sentire la mia cappellona rimestare nella sua cacca, cagionandomi un piacere sopraffino.
“Ragazze, così mi stimola… mi viene da cagare!”, avvertì Giorgia, al che le amiche proruppero all’unisono in un “sììì” convinto, che mi attizzò alla follia, facendomi scatenare (almeno lì,visto che per il resto ero immobilizzato) nella scopata di quel culo favoloso, spingendo in alto il mio bacino in modo da slargarle al massimo il buco, ma anche quella volta l’orgasmo interruppe sventuratamente il tanto agognato processo esplusivo, e l’inculata strillò schizzando il suo succo sui miei peli pubici e, con una serie di spasmi del suo ano, serrando in una morsa implacabile il mio cazzo, che così eruttò in quella accogliente cavità fiotti di rovente lava bianca, per poi venire estratto dal suo culo tascabile ma internamente spazioso (si vede che era allenato) e rimanere alla vista delle cinque donzelle. Ancora piuttosto duro e ritmicamente pulsante, era tutto arrossato e attraversato da striature marroni e lattiginose, curiosamente con la monumentale cappella esattamente per metà ricoperta di cacca e per metà di sborra.
“Ecco il dolce prediletto di Giorgia: il gelato di crema e cioccolato”, dissero tutte insieme le altre, palesemente consapevoli di quella che doveva essere una preferenza sessuale dell’amica, che difatti, ancora ansante per la goduta, divorava per ora solo con gli occhi il gran cono che svettava tra le mie gambe.
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