L'amico di mia mamma

di
genere
sentimentali

Da che me ne ricordo, mia mamma ha sempre detto che Michele era un bellissimo ragazzo.
Negli anni ottanta, quando erano giovani, era considerato il più bello della zona. Rispetto a trent'anni fa, non era cambiato nulla: era ancora single, circondato da belle donne, amante delle serate in discoteca e bello.
Su di lui mi ero trovata a fantasticare spesso e volentieri! Veniva sovente a cena da noi, mi conosce da quando era alta come un funghetto e così avevo avuto modo di memorizzare tutte le sue caratteristiche migliori: i capelli castano chiaro ingrigiti alle tempie, un naso non proprio armonico, eppure su di lui aveva un-non-so-che di particolare, la barba sempre rasata di fresco ogni mattina. Profumava sempre di buono, profumava di uomo.
Ogni volta che lo incontravo, mi accoglieva con sorrisoni gentili e accomodanti. Succedeva, però, che ogni tanto lo sorprendevo a fissarmi con quegli occhi verdi chiarissimi, appena incorniciati da un paio di rughette intorno agli angoli esterni. Aveva cinquant'anni, ma era davvero un uomo molto bello.
Una sera mia mamma organizzò una cena pre-natalizia per passare il tempo insieme ad amici e parenti prima della gran confusione delle feste. Invitò anche Michele.
Mi tirai a lustro, dopo cena mia cugina sarebbe passata a prendermi per andare in discoteca.
Indossavo un vestito nero abbastanza attillato con le maniche di pizzo a tre quarti. La profonda scollatura metteva in risalto il mio seno abbondante e i tacchi mi slanciavano le gambe facendomi sembrare altissima. Avevo lisciato i miei lunghi capelli e mi ero truccata benissimo. Quella sera mi sentivo bella.
Il campanello di casa iniziò a suonare e, poco alla volta, gli invitati iniziarono ad arrivare. Arrivò anche lui che, quando entrò nel salone da pranzo, salutò tutti con un caloroso "ciao" generale, guardando tutti i presenti. Guardò anche me e mi fissò. Un brivido mi percorse la schiena lungo tutta la colonna vertebrale.
La serata procedeva piacevolmente e sentivo costantemente lo sguardo di Michele addosso, ma feci finta di nulla. Ormai, però erano le 11 e mia cugina sarebbe passata a prendermi da lì a poco. Salutai tutti, baciai mia madre e mi diressi verso il cortile ad aspettarla mentre fumavo una sigaretta.
Con la coda dell'occhio lo vidi alzarsi.
-Aspettami dai! Vengo anch'io fuori così fumo una sigaretta post caffè: è obbligatoria.-
Prese la giacca, se la infilò e uscimmo dalla porta.
Mi sedetti sulla panchina, i tacchi mi stavano già facendo male e, dal momento che avrei dovuto tenerli tutta la notte, preferivo dar tregua ai piedi.
-Allora, dove andrai stasera?-
-Mi vedo con mia cugina e raggiungiamo degli amici al Divine.-
-Ah si? Ci saranno anche dei miei amici, infatti mi hanno chiesto di raggiungerli. C'è la serata anni 80/90 e uno della mia età non può mancare.-
-Ci troviamo anche lì allora! Mia madre ti ha per caso chiesto di pedinarmi?-
Si mise a ridere.
Mia cugina era in estremo ritardo, come sempre. Poco dopo, infatti, mi mandò un messaggio. "Riesci a farti accompagnare da qualcuno a casa mia? Ho la macchina rotta e Luca ci passa a prendere.
La mia delusione si leggeva in faccia a chilometri. Mia madre di certo non mi avrebbe accompagnata. Perfetto, serata annullata!
-Tutto a posto?-
-Si, cioè, no. Non mi passano più a prendere.-
Non so cosa passò nella testa di Michele in quel momento, vidi solo il suo volto illuminarsi.
-A questo non c'è problema! Vado anch'io al Divine, ti ci porto io.-
-Ma non vorr..-
-Non farti problemi! Avvisa tua cugina che vi troverete direttamente là.-

Rientrò in casa e lo vidi salutare mia madre. Per il rapporto che avevano, ero certa che gli avesse detto che mi avrebbe portata in discoteca. Mia madre si fida di lui, quindi per le non c’erano problemi.
Uscì.
-Andiamo dai, ci aspetta un’oretta di strada.-
Salii sulla sua auto dopo che mi aprì la portiera. Si vedeva che faceva parte di un’altra generazione.
Ingranò la marcia e partimmo.
Non ero mai stata in auto con lui e vederlo guidare quell’auto (sicuramente costosa) gli conferiva un’aurea molto sexy. Le luci della città gli illuminavano gli occhi chiari concentrati sulla strada. Che uomo! In quel momento mi immaginavo come la sua ragazza, in auto verso una serata fatta di balli insieme e cocktail.
-Dimmi un po’, ma il ragazzo?-
-Eh, non c’è! Evidentemente sono brutta!- scoppiai a ridere.-
Si girò verso di me, per un millesimo di secondo, per poi tornare con lo sguardo attento sulla strada. Era molto serio in viso.
-Io ti trovo bellissima. E non lo dico solo perchè ti ho vista crescere. Lo penso seriamente.
Sei molto simile ad Anto, una ragazza con cui mi sono frequentato nel 1987.-
Mi bloccai e arrossii. Di complimenti me ne aveva sempre fatti, ma quello era diverso. La situazione era diversa.
Un’altro brivido mi scosse interiormente.
Presi coraggio e gli tirai una frecciatina.
-È per quello che mi fissavi tutta sera? Ti ho visto eh?!- scoppiai a ridere, un po’ per smorzare il tono malizioso con cui avevo detto quella frase. forse avevo esagerato, quindi ridere mi sembrava l’unico modo per riparare al meglio la situazione.
-Ti fissavo perchè rimpiangevo di non avere qualche anno in meno.-
Già, lui ne aveva 50, mentre io solo 22. Poteva essere tranquillamente mio padre.
Quella conversazione mi stava stimolando talmente tanto che cambiai il modo di pormi nei suoi confronti. Non so cosa mi successe, ma mi resi conto che stavo facendo la gatta morta con lui.
-Ma l’età è solo un numero Mic! Suvvia, dentro di te quanti anni hai? Meno di trenta sicuro!-
-Questo è abbastanza ovvio, bimba!-
Il clima si faceva sempre più strano, c’era della tensione, sentivo l’atmosfera elettrica. Lo vedevo stringere sempre di più il volante, come se stesse cercando di trattenere qualcosa.
-Vedi, è da un po’ che ti osservo. Sei cambiata, ormai hai assunto tutte le forme di una donna, sei matura e la tua bellezza può attirare qualsiasi uomo..-
-..e sono maggiorenne.-
Le parole mi uscirono dalla bocca senza che potessi rendermene conto. Il mio inconscio lo voleva stuzzicare, praticamente gli stavo dando l’occasione di provarci con me.
-Non dirlo un’altra volta.-
-Perchè?-
-Perchè è sbagliato. Perchè dovrei considerarti come una nipotina, la figlia di una mia cara amica.-
-Però..-
-Ascoltami bene. Quello che ti dirò ora dovrai dimenticarlo subito. Va bene?- respirò a fondo -Ogni volta che ti vedo ti immagino mia. Stasera, appena ti ho visto con quel vestitino corto e scollato non ho fatto altro che immaginarti nuda. Pensavo a come potevi essere senza nessun velo addosso. Fantasticavo quelle belle mani che hai sul mio corpo ed io che mi impossessavo del tuo. Ti immaginavo lì, in quella sala, mentre avanzavi verso di me per darmi un’accoglienza tutto tranne che innocente.-
-Oh..-
-Non dovevo dirti queste cose, penserai che sono un depravato. Io, io che ti ho visto da quando eri piccola.-
-No, non pensarla così. Solo che sono rimasta sorpresa.-
-Per cosa?-
Già, per cosa? Sorpresa nel constatare che facevo anch’io pensieri su lui nudo?
Impacciata, con la voce tremolante e insicura gli risposi tutto d’un fiato. Gli vomitai addosso quella brevissima frase.
-Beh, vedi.. P-Perchè sono gli stessi miei pensieri.. su di te, voglio dire.- pronunciai quelle parole e, per l’imbarazzo mi morsi il labbro inferiore, paonazza in viso. Iniziavo a sentire molto caldo.
Lo vidi serrare la mascella e irrigidire la presa sul volante.
Mi sentii molto, molto stupida. Ma cosa stavo facendo? A che gioco stavo giocando? Mi pentii subito di quella frase, cosa avrebbe potuto pensare su di me? Che soffro del Complesso di Elettra nei suoi confronti, dal momento che è stata l’unica figura maschile adulta nella mia vita? Lui alla fine mi ha cresciuta, ha fatto ciò che mio padre non fece. Dovrei considerarlo alla pari di un genitore.
Chissà cosa gli passasse per la testa in quel momento. Magari era scioccato, quasi schifato, dalla mia confessione.
Si fermò ad un semaforo.
Non me ne accorsi nemmeno, ma in men che non si dica, si tuffò su di me e mi mise la lingua in bocca. Inizialmente restai di ghiaccio, sentendo la sua lingua che combatteva con la mia. Poi incalzai nei movimenti e ricambiai. Gli misi una mano tra i capelli e lui mi prese per la nuca.
Il tutto sembrò durare un’eternità, fino a che un auto non suonò il clacson. Il semaforo era verde, Michele si staccò da me e riprese la marcia imprecando verso l’auto dietro di lui.
Restammo in silenzio. Sono sicura che in quel momento lui aveva i miei stessi pensieri. Quanto sbagliata era questa situazione? Fin dove ci saremmo dovuti spingere prima di capire che era tutto un errore?
Per smorzare il silenzio, accese la radio. Meglio così perchè in quel momento non sapevo nemmeno come comportarmi. La musica colmò il vuoto e l’imbarazzo creatosi.
Il viaggio proseguì e ormai eravamo a pochi chilometri della discoteca. Meno male perchè non sapevo più come affrontare questa situazione.
-Basta!- borbottò tra i denti, quasi feci fatica a sentirlo.
Si fermò al ciglio della strada, spense la macchina e si girò verso di me.
-Sono altamente combattuto su tutto questo che sta capitando. Nel giro di quaranta minuti è letteralmente scoppiata una bomba qui dentro. Da una parte non voglio nemmeno avere pensieri osceni su di te ma l’altra mia parte ti prenderebbe e ti porterebbe indietro, a casa mia. Non so valutare questa cosa, è più grande di me. Io che ho cinquant’anni mi ritrovo a disagio perchè ho una bella donna al mio fianco e non so cosa fare, cosa pensare. Non mi era mai successa una cosa simile.-
Continuai a guardare in basso, senza mai incrociare i nostri sguardi. Sentivo le mie guance friggere per quanto erano infuocate, le gambe mi tremavano.
-Vedi? Ti ho spaventata, è tutto sbagliato!-
-No, non è così.- feci una pausa e respirai a fondo.
Ormai era tutto venuto a galla, le confessioni erano state fatte. Le carte erano scoperte sul tavolo. Ma cosa dovevo fare? Giocarle o abbandonare la partita?
Sentivo i suoi occhi su di me.
Senza guardarlo e con un lieve tono di voce, un sussurro, dissi -Prendimi!-
-Cosa?-
Alzai la testa, ma continuai a guardare fuori dal parabrezza. Guardarlo negli occhi era troppo difficile in quel momento. Non sapevo cosa pensare, avevo paura del suo giudizio.
-Fallo. Fammi tua.-
Lo sentii ancora con il viso rivolto verso di me. Il suo sguardo emanava scariche elettriche, le percepivo. Cosa stava pensando in quel momento? Perchè non parlava?
Quel momento sembrava essere sospeso nel tempo. Potevo sentire i battiti del mio cuore.
Una suspance struggente e drammatica.
Espirò tremolante.
Evidentemente si era reso conto che, nonostante i cinquant’anni di esperienza, in quel momento eravamo alla pari. Colti tutti e due alla sprovvista, nulla di programmato e tutto nuovo.
Accese il motore e si buttò in strada.
Non riuscivo a leggere il suo stato d’animo. Cosa stava succedendo? Cosa provava?
La vergogna mi tenne incollata al sedile, potevo quasi scomparirci dentro. Era tutto così irreale.
Non proseguì dritto verso la discoteca ma voltò su una laterale. Entrò nel parcheggio interno di una zona industriale, di notte non sarebbe passato nessuno per quelle strade.
Si scagliò nuovamente su di me mentre slacciava la cintura dell’auto per essere più libero nel movimento.
Iniziammo a baciarci, come due amanti che attendevano quel momento da tempo. Ci baciammo prima con molta calma, poi con più passione e desiderio.
Mise una mano sul mio petto, senza toccare nulla di più.
Con la testa nascosta tra i miei capelli e la mano sul mio petto, si fermò.
-Non ho intenzione di andare oltre se tu non lo volessi.-
Restai in silenzio.
-Ti prego, fermami se non vuoi che vada oltre. Basta una tua parola, un tuo gesto e io non farò nulla, non proverò nemmeno a convincerti.-
Continuai a non dire nulla. Gli presi la mano che aveva sul mio petto e gliel’abbassai sul mio seno.
Abbassò la mia scollatura, tremava, e tirò fuori le mie prominenze coperte dal reggiseno.
Con fare esperto, abbassò il tessuto e accarezzo una tetta, poi l’altra.
I suoi movimenti erano gentili e delicati; evidentemente stava ancora aspettando di sentirmi dire “basta, non possiamo”.
Tornò sul mio viso e mi baciò.
Continuavamo a non guardarci e tra un bacio e l’altro sul collo mi chiese -Sicura?-
Annuii.
La trasgressione in atto mi stava facendo salire sempre di più l’eccitazione. Iniziai a bagnarmi e più lui mi toccava, più lo desideravo.
Scendemmo dall’auto per poi risalire sui sedili posteriori.
Ci spogliammo a vicenda: io sbottonavo la sua camicia bianca e lui calava la zip del mio vestito. Lentamente, ci ritrovammo nudi.
La pelle dei sedili era fredda e i brividi irrigidirono il mio corpo.
Inizialmente non ero a mio agio, mi coprivo i seni con le braccia e serravo le cosce. Ero imbarazzata tanto quanto eccitata. Che confusione.
Ma il suo modo di fare, le sue mani calde che accarezzavano le mie curve, mi aiutarono a sciogliermi.
Era molto dolce, sentivo l’insicurezza e la paura di farmi male. Probabilmente non sapeva cosa aspettarsi; non credo sapesse che non ero più vergine.
Riuscii a rilassare i muscoli, allentai la pressione con cui serravo la mascella.
Ricambiai le carezze e ci cullammo in un’interminabile gioco di sensazioni. I nostri baci delicati ripercorrevano le linee dei nostri corpi, le mani creavano vortici sulle nostre pelli.
Lasciai fare tutto a lui. Ero sicura che non si aspettasse nulla da me, capiva che probabilmente il sesso era già tanto per quella prima volta.
Personalmente non me la sentivo di prendere alcuna iniziativa, non volevo risultare troppo spinta. In qualunque modo si volesse vedere quella situazione, restavo la ragazzetta che lui ha visto crescere.
La cosa molto bella che vidi, fu il momento in cui cercò nel porta-oggetti dell’auto il preservativo. Lo considerai un gesto di gran rispetto nei miei confronti. Lui ci teneva a me, mi voleva bene e avrebbe fatto qualsiasi cosa per farmi sentire al sicuro. In quel momento, il preservativo rappresentava proprio questo, nel mio modo di vederla.
Seduto sul sedile centrale, si infilò il profilattico. Non volli guardare la scena, tenevo lo sguardo basso altrove.
Mi sedetti sopra di lui, facendo entrare il membro nella mia vagina.
Un brivido mi pervase il corpo.
Se ne accorse e mi abbracciò contro il suo petto, avvolgendo le braccia intorno alla mia schiena nuda.
I miei movimenti erano lenti e tranquilli, lui mi teneva la vita e mi guardava. Il suo volto era rilassato. Ci baciammo.
Sentivo il mio ventre pieno di lui, percepivo il suo volume allargarmi le pareti ad ogni movimento.
Le sue mani mi prendevano i fianchi con leggerezza e mi spingevano ancor più contro il suo bacino.
Scariche di adrenalina e piacere pervasero il mio corpo.
Quello non era far sesso, quello era far l’amore. Da quando persi la verginità avevo solo conosciuto i rapporti movimentati, comandati solo dall’istinto carnale del voler provare piacere tutto e subito.
Con Michele era diverso. Stavo vivendo il momento, i movimenti lenti e delicati ampliavano la percezione del piacere, potevo sentire ogni dettaglio del rapporto in ogni attimo. Per me, che pensavo che il piacere si potesse provare solo con rapporti più forti, fu una bella scoperta rendermi conto che il sesso flemmatico era molto più incisivo e tangibile.
I dolci movimenti del sesso venivano accompagnati da lunghi baci appassionati, mentre con le mani accarezzava i miei seni caldi ornati dai capezzoli turgidi per l’eccitazione. Ogni carezza, in qualsiasi zona del mio corpo, donava fremiti piacevoli che arrivavano subito al cuore.
Lo sentivo, sotto di me, accompagnare i miei movimenti con piccoli movenze del bacino. Lievi sussulti che accentuavano la penetrazione.
Intrecciai le mie mani dietro alla sua testa, gli accarezzavo i capelli lisci e morbidi. Sentivo l’esigenza di toccarlo, come per rendermi ulteriormente conto che era lui, Michele.
Scivoli con le mani sul suo petto, ripercorsi le linee di inchiostro del tatuaggio sulla clavicola.
Percepivo il suo piacere dentro di me, il suo calore.
-Perchè ti desidero? Perchè?- sussurrò con una punta di amarezza.
L’eccitazione stava prendendo sempre più piedi, fosse stato per me saremmo andati ben oltre alla dolcezza. Era lì, bello come pochi uomini adulti che avessi mai conosciuto, era mio in quel momento.
I nostri respiri, resi gravi dal piacere, avevano ormai appannato l’abitacolo. La luce giallognola dei lampioni faticava ad illuminare i nostri corpi crudi e disarmati. Trasudavamo beatitudine da ogni poro, pregustando l’ormai vicina fine dell’amplesso.
Il ritmo iniziava ad incalzare sempre più, il mio corpo venne sollecitato a tal punto da avere in orgasmo. Un crescere di fitte colmò il mio sesso, sentii le contrazioni ritmiche della cervice gioire per la frenesia sensoriale.
Mi sentivo soddisfatta, tremavo per il godimento. Chiusi gli occhi e mi gustai il momento di appagamento.
Lui si lasciò andare.
Caricò gli ultimi colpi con più intensità, sentivo il membro andare a sbattere ai confini delle mie pareti, sempre più in profondità e con determinazione.
Strinse la mia carne con le mani. Lo sentii irrigidirsi e godere dentro di me.
Non emise alcun verso, espirò sussultando dal naso e si chiuse su di me.
Lo sentii respirare tra i miei capelli.
Lasciò i miei fianchi, sazio di sesso.
Mi sciolsi sul suo corpo, gettando la testa sulla sua spalla, voltando il mio sguardo verso il finestrino. Il suo respiro, lento e tremolante, mi solleticava la pelle muovendo i ciuffi lisci dei miei capelli.
Mi abbracciò con fare tenue, come se avesse il timore di rompermi. Mi lasciai andare al suo abbraccio e mi sentii protetta.

Quella sera non era stato sesso, non era solo carne.
Fu una dimostrazione d’amore, un momento di intimità tra due persone che condividevano un sentimento.
scritto il
2016-12-03
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