Fantásia (Cap. 9)

di
genere
dominazione

Capitolo 9: Il Ritorno.
Carpe diem, quam minimum credula postero.

Arrivammo alla porta.
Inya mi si stringeva al braccio, respiro rapido, occhi socchiusi e volto rivolto in alto, cercava di trattenersi: le scale erano state una dolce sofferenza, era palese, ma evidentemente non voleva mostrarlo.
-Tutto bene?- domandai.
-Sìhh,- sibiló, -andiamo.

Aprii, entrai facendola accomodare mentre osservavo intorno: al posto d'onore vidi di spalle Lei, La bionda misteriosa; Inya andò ad accovacciarsi alla Sua destra, le poggiò la testa sulla gamba, come un cucciolo e Lei mi accennó di sedere sulla sedia alla sinistra, dietro le sue spalle.

-Lo sai perché sei qui vero?- sussurró con voce suadente, sensuale e avvolgente: dava serenità.
-Sì, credo di sì.
-Non sembri preoccupato, perché?
-Perché l’ho sempre tenuto in conto, anche se così no, non l'avrei mai detto!- risposi indicando quel che avveniva nella sala ai piedi del palco.
-Oh, quello? Quello è parte dei tuoi desideri.
-Già, avrei dovuto immaginarlo. Ma è proprio lei?
-Si.

Quel desiderio recondito: la sottile follia di lasciare ai sensi più profondi la guida delle proprie azioni; raggiungere il piacere senza alcun pensiero, liberi nel corpo e nella mente.
Quel suo lato nascosto che fugacemente aveva mostrato, tanto da scolpire nella mia memoria ogni attimo in cui la sua esuberanza aveva preso il sopravvento; adesso lo ammiravo palesemente: si muoveva come… no… era diventata quello che aveva tatuato addosso.
La guardavo incedere con passo lento verso una coppia, gli occhi fissi sulla donna, lui visibilmente eccitato: rosso in viso e fronte lucida di sudore.
Si portò al fianco di lei, avvicinando la bocca all'orecchio a sussurrarle qualcosa mentre con il dorso della mano le accarezzava una guancia, scendendo lungo il collo, la spalla, il braccio e afferrarle il polso.
Qualunque cosa le avesse detto fu efficace: la ragazza assecondó il movimento che le stava imponendo: portare la mano verso i pantaloni di lui, aprirne il davanti, estrarne il cazzo e iniziare una lenta masturbazione a mani sovrapposte.
Con l’altra mano sulla spalla e continuando a sussurrare all'orecchio, la fece accovacciare, gambe larghe, di fronte a quello scettro di carne, mentre il lento va e vieni delle loro mani continuava.
Avvicinò le labbra alla bocca della ragazza, estrasse la lingua e ne percorse il contorno, la risposta non tardò: come una murena esce dallo scoglio attirata dall’esca del sub, così le due lingue si incontrarono, con un’abile danza la guidò verso l’obiettivo, avanzando finché le due bocche unite fecero sparire la punta di quel cazzo svettante.
La ragazza, ammaliata, prese l'iniziativa e proseguì da sola il pompino mentre la mia compagna, la ritrosa, la repressa e ora invece maestra di danze si portava sinuosa alle sue spalle per slacciarle il vestito lasciandolo scivolare a terra, insinuando la mano al centro delle gambe aperte per amplificare il piacere al massimo il suo scopo.

L'eccitazione dei presenti era palese e lei sapeva di averne il controllo: bastò uno sguardo e il movimento di ripiegare l'indice verso il palmo per richiamare a sé una donna sulla cinquantina, che ubbidí prontamente, come tirata da un guinzaglio.
Lo sguardo, il dito che aveva fatto da richiamo portato a sfiorare il monte di Venere, allargare le gambe: tutto era un tacito ordine di portare la bocca a soddisfare il suo piacere.
Finché le attenzioni non si rivolgevano su qualcun'altra: allora faceva in modo che la persona lasciata venisse soddisfatta da qualcuno che si trovava a portata di mano.

Era indiscutibile, lei voleva che l’iniziativa, la guida del gioco, fosse condotta dalle Femmine; era padrona di se stessa e di tutti: direttore di un'orchestra di corpi in amplesso, nessuno fu lasciato da solo, tutti erano intenti a far godere qualcuno.

Solo lei pareva insoddisfatta: il serpente era sempre in caccia. Non trovava la sua preda: poteva fare un cunnilingus a una ragazza che in quel momento veniva inculata o un face-sitting su una donna matura scopata dal compagno, arrivò persino a segare un cazzo piantato nella figa di una MILF formosa.
Come volesse rimanere al culmine dell'eccitazione senza mai farla arrivare all’acme, ogni possibile variante di un'orgia la stava sperimentando, ma senza mai concedersi fino in fondo.

-Sta cercando soddisfazione,- disse Lei, -non si placherá finché ciò che le brucia dentro non sarà soddisfatto.

Ero preso da quella performance, eccitato oltre ogni limite, dovevo liberarmi, il cazzo mi faceva male per la posizione che aveva assunto nei calzoni: mi sbottonai, lo estrassi e iniziai a massaggiarlo.
Vidi Inya sollevare il viso verso di Lei con espressione interrogativa, ricevette un cenno di assenso a cui rispose con un sussurrato: -Grazie, mia Signora.
Si alzò, venne dietro di me, mi bloccò e, richiudendo il tutto nei pantaloni, mi sussurró all'orecchio: -Dobbiamo andare.
Prendendomi per mano come si fa con un bambino, mi condusse verso il lato del palco dove una scala scendeva con un ampio arco su di una specie di presbiterio nella sala sottostante.
Stavamo arrivando in fondo alle scale; osservavo ancora la mia compagna, rivolta di spalle, impegnata in un 69 sopra una ragazza giovanissima che si faceva aiutare nel cunnilingus da una donna matura: una lezione pratica di sesso orale probabilmente.

Fu un attimo, non ebbe scrupoli stavolta: lasciò quella giovine a bocca asciutta scattando in piedi, alzò la testa annusando l’aria, si girò verso di noi. Continuò a fissarmi mentre ci veniva incontro, si fermò davanti a Inya alzando a mezz'aria la mano destra, lei rispose con un baciamano.

-Sono pronta, Arwenamin.
-Lo so cara,- le rispose continuando a fissarmi mentre armeggiava con la mano sotto il vestito e estraendo un butterfly vibe, -Si vede...
-...e si sente, vero Caro?- disse rivolgendosi a me, mentre mi piazzata sotto il naso quell'oggetto intriso di profumati e vischiosi umori.
-Sìhh.- Sospirai: cos'altro potevo dirgli, mi sentivo completamente fatto.
-Così mi volevi allora?- Mi sussurrò all'orecchio mentre si portava sinuosa dietro di noi, osservando Inya; -Una vergine vogliosa, una che prende l’iniziativa sempre e comunque. Un animale da letto.
-No! Io non volevo… Io volevo… Io…- quelle parole erano una spina nella pelle: non senti niente finché non la tocchi, ma se solo la sfiori fa male.
-Oh, non ti preoccupare, anch'io ne sono la causa: deluso da me? No, forse, la verità è che ti sei illuso!-

Diceva questo mentre allontanava Inya da me. Le stava alle spalle e la tirava verso una larga chaise longue imbottita al centro del palco in cui ci trovavamo.

-Dunque hai scelto,- disse mentre faceva scorrere la zip che apriva il vestito di Inya, -ne sei sicuro?
-S… si. Io t… ti vorrei, ma anche… anche lei mi… mi…

Il vestito non fasciava più Inya: quello era terra e lei, nuda, in piedi davanti al bordo della chaise longue, mi guardava.
-Oh, vedo che non hai ancora capito,- mi interruppe venendo al mio fianco, -vedi, mio caro, non sei tu che puoi scegliere, siamo noi che ci offriamo. Tu devi solo accettarlo.
-Ma…. io… lei…- ero allibito, o, meglio, pietrificato.

Le fece un cenno e Inya si sedette divaricando le cosce a mettere in mostra il suo fiore, invitandomi a lei con il braccio sollevato.
-No, non tu: lei ti ha scelto per aprirgli la porta della Vita,- mi sussurrò all'orecchio mentre mi stava spogliando, -e quelle del piacere, ricordi?
-Sì, adesso si. Allora quel tuo invito ad uscire la prima volta… lei a scegliere sull'aereo… non… non c'è differenza....
-Già, bravo, vedo che hai capito. Vai, esaudisci i tuoi desideri, lei si è offerta e io te la dono.

E così feci: saggiai la sua bocca, intrecciammo le lingue, mi guidò a scendere verso quella porta, la sua porta: il suo dono.
E lo trovai inebriante, profumato, saporito: me lo stavo gustando mentre si stendeva e con le mani sulla mia testa mi guidava verso i suoi punti più sensibili. Era una fonte di nettare inesauribile, finché mi attirò di nuovo verso l'alto.

-Entra!- Un ordine, un desiderio, una supplica.

Le sue mani che dal mio viso scendono lungo il petto, i fianchi.
Una mano afferra il cazzo alla radice, una apre le sue grandi labbra.
Una leggera trazione e la punta è all'imbocco, caldo, umido, avvolgente e stretto.
Un ostacolo, il suo sguardo, le sue mani di nuovo sui miei fianchi e le gambe aperte e sollevate che si chiudono premendo lentamente i talloni sulle mio culo.
La sua espressione sofferente quando la porta si aprì e quella estatica dopo essere entrato a fondo.

Il primo dono fu aperto.

E tutti gli altri seguirono: tutto ciò che avevo desiderato, senza limiti, Inya non si risparmiava e così faceva la mia compagna.
Godevo di loro e loro di me ma in modo speciale: ogni volta che stavo per raggiungere il punto di non ritorno o una o l'altra me lo bloccava, stringendo la base del cazzo. Era pazzesco: godevo ma non venivo. Finché…

Io, lei e Inya sotto di noi: formavano un triangolo perfetto. Stavo scopando Inya che si stava dando da fare tra le cosce della mia compagna.
Mancava poco e sarei venuto alla grande
Mia moglie mi prese la testa fra le mani e avvicinò il viso, mi guardò negli occhi ma lo sguardo era oltre il mio.

-Sapevi che ogni desiderio ha una contropartita, vero? Accettare è stata la tua scelta,- disse con voce sospirata e triste, -lei è parte di me, tu sei la parte di lei che è in me: Inya è noi.

L’orgasmo fu assolutamente devastante, adrenalina pura in vena, inarcai la schiena per affondare il più possibile in quella figa giovane che mi si stava contraendo sul cazzo: volevo far combaciare le naturali aperture di cappella e utero, volevo sparare tutta la mia essenza direttamente nelle sue ovaie, il mio dono a chi si è donato.
Esplosi in un urlò animale: -AAAHHHH…
‘Click’, il collare mi si chiuse al collo: Lei dietro di me: -Adesso sei completamente MIO!- E il tempo tornò a scorrere.

-...TTENTAAA!!!-

Fu l'attimo, la frazione di secondo poco prima della fine: il bagliore dei fari di un camion che salta la carreggiata sbucando improvvisi nella nebbia, poi solo buio, pace, serenità.

-Ok, dottoressa, l'abbiamo ripresa, sembra stabile.-
Sentiva le voci ovattate, gli occhi non volevano aprirsi, ogni singolo muscolo del corpo doleva.
-Dai, su, apri gli occhi.
Quella voce...
-Dai, forza, resta con noi, tu almeno sei stata fortunata: non mollare proprio adesso!
Sì, era lei, ma cosa era successo?
-Arwenamin…
-Cosa ha detto?- chiese l’anestesista.
-Non ho capito...- rispose la dottoressa, -Arleen, aveline… qualcosa del genere.

La dottoressa tolse la catenina dal collo della donna che stava soccorrendo, il ciondolo, a forma di Y, le dava fastidio nelle manovre.
Conosceva quel simbolo: la runa Algiz, Protezione nell'affrontare situazioni inesplorate. Sollevò la testa osservando il corpo esanime dell'uomo tra le lamiere, anche lui ne portava uno al collo. Uno sguardo intorno: una donna bionda passava indifferente tra la folla di curiosi verso le operazioni di soccorso dello strano incidente stradale, un uomo la seguiva appresso.

‘Lei’ si fermò un attimo, la guardò e fece un cenno con la testa
-Sará fatto, Mia signora…- sussurrò la dottoressa.
Mi guardai le mani, mi guardai in macchina, mi sfiorai il collo: sì, il collare era lì.

-Andiamo, è ora,- disse mentre ci allontanavamo nella nebbia, -tranquillo, te l'ho concesso, Gelith si occuperà della loro istruzione tu le proteggerai, anche se da qui.

La guardai, socchiuse gli occhi guardandosi intorno: una stanza in penombra su di letto di terapia intensiva; sentiva le voci sussurrate provenire da dietro la porta: -È stata fortunata, se lui non gli avesse fatto da scudo con il corpo, non se la sarebbe cavata.
-Beh, alle volte il destino è beffardo: lui sapeva che era incinta, dottoressa?
-Non credo, era solo alla quarta settimana quando è successo: forse non lo sapeva neanche lei.

Non lo sapeva forse,, ma lo sospettava: in macchina stavamo proprio discutendo del suo ritardo del ciclo, e ne eravamo felici.

Le proprietarie delle voci si palesarono alla porta
Sì, era proprio la sua voce, non l’avrebbe mai più potuta scordare dopo quello che le aveva fatto provare; ora era di nuovo davanti a lei, in camice bianco.
“Gelith…”
-Bene, si è svegliata.- disse la dottoressa, -Buongiorno, cara, sono la dottoressa Sophie, mi sente? Riesce a capirmi: sono il primario del reparto. Le dispiace se...
-Gelith…
-Scusi?
-Cosa mi è successo? Perché sono qui?
-Si ricorda qualcosa di quanto e successo?
-Stavo…- si interruppe subito: “...scopando di brutto in mezzo ad un'orgia...” non le parve cosa molto sensata da dire in quel momento. Optó per l’ultima cosa impressa nella sua memoria che le paresse normale,certa e plausibile: -Stamattina. Stavo uscendo di casa e… Perché mi guarda così, dottoressa?
-Uhm,- rispose pensierosa mentre con una torcia stilo le esaminata le pupille, -come si sente?
-Mah… confusa, mi sembra di avere la testa sott'acqua e ho un fastidio al basso ventre e il seno mi fa male.
-Niente di grave, vista la sua condizione. Adesso riposi. Passerò più tardi a controllate. E parleremo di quanto le è successo.

“Tu lo sai vero? Lo so che sei qui.” La dottoressa Sophie lo pensò solo, ma lei, Gelith nel limbo dove mi trovavo, sapeva che potevo sentirla.

...

-Ciao, Zia!- salutò Enya.

Sì, Zia Sophie, non una vera zia: lei la chiamava così. La dottoressa che soccorse sua mamma anni prima. Convivevano da che si ricordava e avevano un rapporto speciale, complice: tutte due gli avevano insegnato certi giochetti che neanche Sasha Gray!

-Heilá, viperetta, com'è che sei tornata così presto?
-Devo prepararmi per bene. Il mio nuovo ragazzo mi porta al Club Avalon, una bella cenetta, poi a ballare e infine una notte nel loro resort cinque stelle superior: festeggeremo alla grande il mio ventunesimo compleanno: ho intenzione di spolparlo vivo, non sa cos'è esattamente quel posto.
-Uhm. E come fa ad avere due inviti nel club privè più esclusivo del Paese?- chiese dubbiosa, -Naviga nell'oro?
-Sua nonna, quando siamo andati da lei: gli ha regalato una gift-box dicendo che non sapeva cosa farsene e che sarebbe servita molto di più a lui.
-Che nonna perversa! Sai come si chiama il pacchetto?- Chiese Sophie, una punta di apprensione nella voce, -Così magari lo regalo anch’io a tua madre e ci spupazziamo un poco come si deve.
-Siete due porcelline fatte e finite! Mi pare si chiami ‘I tre desideri’, della… Aliz, Agiz o qualcosa del genere.
-Algiz, forse?
-Sì, forse. Sai, ha un logo quasi uguale a una delle tessere che tieni nel sacchetto ricamato col serpente: una Y ma con una stanghetta in più.- Rispose Enya avviandosi verso il bagno.
-Sì, Algiz: la runa Protezione- disse tra sé Sophie.
-Cosa?- Aveva aperto la doccia.
-Niente, cara...- le rispose ad alta voce, terminò sussurrando: -...niente.
Si diresse verso la cabina armadio della camera padronale, fece scattare un listello largo una ventina di centimetri: una intercapedine tra due armadi si aprì. Attese che Enya finisse la doccia.

-Gelith, sono arrivata! Ho incontrato giù questo ragazzo che dice di…
-Essere venuto a prendermi. Si. Ciao, Ma’. È Conn, il mio ragazzo.- urlò dalla camera Enya.-Finisco di truccarmi e arrivo! Vedessi che regalo mi ha fatto Zia.
-Ok. Gli offro qualcosa, intanto.-
-Allora? Cosa gradisci, Conny? Caffè, té… Mé?
-Conn, signora, il mio nome è Conn. Groucho Marx, giusto?- Enya lo aveva avvisato che mamma metteva alla prova la cultura dei ragazzi con cui usciva, -una Coca-Cola, se possibile, grazie.

Nell'attesa della ragazza si misero a disquisire su vari argomenti: che erano insieme da più di un mese, se aveva intenzione di fare sul serio e tutto il classico repertorio delle domande inquisitorie delle mamme.
Il ragazzo trovava piacevole conversare con quella donna senza peli sulla lingua e molto disinibita.
Stava bevendo l'ultimo goccio quando sgranó gli occhi cominciando a tossire in modo convulso: la bibita gli era andata di traverso.
Ween si alzò preoccupata per dargli alcune pacche sulle spalle: -Su, su, Conny. E che diavolo t’è preso? Cos'è, hai visto un fantasma?
Si, forse si, gli occhi del ragazzo erano fissi in un punto preciso: la porta della camera padronale. Ween voltò la testa in quella direzione: un brivido, che già in passato aveva provato, le attraversò il corpo.

-Ma… coff… ma…- Conn cercava di dire qualcosa tra i colpi di tosse, -coff... è… coff.. inde… coff… cente! Davvero mi… coff.. permetterete di portarla al fuori così?
Wenn si riprese dalla sorpresa senza darlo a vedere al ragazzo.
-Si, perché? Cosa non va? È un vestito da sera più che adeguato per dove state andando,- disse Zia Sophie spuntando da dietro Enya, -specialmente considerando la vostra conclusione di serata.
Enya abbozzó un perverso sorriso malizioso.
-Beh, contente voi!- rispose Conn, -andiamo? Ho la macchina sotto.
-Ehi, ehi, ehi. Dove credi di andare con lei bardata così!- Lo bloccò Ween.
-Ah, certo. Volevo ben dire, bel dolcetto o scherzetto!- Il viso del ragazzo tradiva una certa delusione.
-No, non hai capito: domani inizia novembre, fuori è sottozero e sta calando un nebbione che non si vede a un palmo,- spiegò Ween, andando velocemente verso la camera per riapparire con un pesante drappo nero e rosso sul braccio e, in mano, una specie di collare in raso nero.
-Vuoi essere tu a metterglielo?- chiese, rivolta al ragazzo.
-È una cosa che non si usa più da tempo: un mantello che apparteneva alla nonna di Sophie,- Lo disse guardandola e ricevendo un impercettibile assenso col capo, -tiene più caldo di un cappotto e non rischia di sgualcire il vestito.
-Questo va allacciato al collo: fa da colletto.- gli spiegò la zia mentre porgeva al ragazzo il collare.
Quando Conn fece scattare la chiusura ebbe una strana sensazione alle parti basse e fu quasi certo che anche Enya provò qualcosa, perché ebbe un leggero sussulto che la fece inarcare leggermente con la schiena e socchiudere le labbra; quindi fu la volta del mantello: agganció la parte interna in raso rosso ai cinque anelli equidistanti presenti sul colletto.
Indietreggió di qualche passo ammirandola: -Eheheh, se lo tieni chiuso ti manca solo il cappello a punta e sembri proprio una strega,- la prese in giro,- dai, andiamo, siamo già in ritardo.- disse, prendendola per mano.
-Ti fermerai per pranzo domani?- chiese Ween con tono era forzatamente scherzoso mentre scendevano le scale, -Dopo che avrete festeggiato credo ne avrai molto bisogno.
-Se non muoio prima!- rispose il ragazzo scendendo le scale.
-NON…- soffocò il rimprovero in gola, era dal giorno prima dell'incidente che non sentiva quell’odioso saluto, chiuse la porta alle spalle tornando in soggiorno.
-Allora?- chiese Sophie.
-Sì, Arwenamin,- si stese sul divano, la testa sulle ginocchia di Sophie, -sua nonna doveva saperlo, per questo deve averglielo dato.
-Già, le è toccato un maschio.
-Nonna Ween… - sospirò, -mi suonerà strano essere chiamata così, speriamo solo sia Femmina.
-Oh, lo sarà. Sono certa che lo sarà,- cercò di consolarla Gelith.

-Meno male che esiste il GPS, cazzo! Con questa nebbia non vedo neanche il cofano della macchina.- Conn temeva di arrivare tardi al ristorante.
-Non ti preoccupare, ci aspettano.- Lo rincuoró Enya poggiando la mano sulla coscia e risalendo maliziosamente verso il pacco che, da quando erano usciti di casa, era mediamente sull'attenti.
Arrivarono col buio calato da un pezzo.
“Peccato, a Enya sarebbe piaciuto la vista dal promontorio di fronte al castello” pensò Conn.
-Non fa niente, lo vedró domani.- sussurrò lei varcando la porta del Resort tenuta aperta da un portiere in livrea.
-Cosa?- Il ragazzo non aveva afferrato cosa avesse detto ma lei non rispose alla domanda: fece finta di non aver sentito. La guardarobiera le si avvicinò mentre si stava sfilando il mantello dal collare: -Bentornata, Inya.- le disse sottomessa la ragazza chinandosi a raccogliere da terra il mantello lasciato cadere dalla ospite.
Conn non si accorse di quel particolare saluto: era passato oltre osservando verso l’altro lato della hall una strafiga bionda seduta al bancone del lodge bar, così particolare da attirare la sua attenzione: portava grandi occhiali da sole sotto un cappello a tesa larga, collo lungo e sottile delineato da due lunghi pendenti Swarovski, simili a serpenti: non sapeva bene perché ma ebbe la netta impressione che stesse osservando proprio lui.
Anche Inya guardò in quella direzione, fece un leggero inchino: un saluto regale. La bionda le rispose sollevando il calice che teneva in mano.
Come sua madre, anche lei poteva passare ‘oltre’ e tornare: ‘Lei’ poteva concedere il Dono a chi l'avesse vista in faccia, ma alle volte c'è un prezzo da pagare.
Il mio è stata lei.

Lei fu, Lei è, Lei sempre sarà.
Lei non ti segue… mai.
Lei ti aspetta.
Non può esistere se tu non esisti.
Sii pronto.
Fino a quel momento… sta a te fare in modo di non avere rimpianti quando la incontrerai.

(Fine)

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scritto il
2017-04-28
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