Inseguito da un orso

di
genere
gay

La stagione dei funghi era giunta ed io e mio fratello Marco, come solito, ci apprestavamo a partire per i boschi. Una bella quantità di funghi ci avrebbe permesso di fare dei soldi e poter pagare la manutenzione del vecchio trattore. Marco era in cucina a preparare dei panini, mentre io sistemavo, nella borsa, i coltelli e gli elastici con cui legare i mazzetti di funghi. Un urlo di dolore provenne dalla cucina: si era tagliato una mano mentre tagliava del formaggio. L'ora della partenza era ormai giunta e non potevamo perdere altro tempo a medicare la ferita. Perciò, Marco rimase a casa e mi assicurò che mi avrebbe eventualmente raggiunto qualche ora dopo. Mi incamminai verso i boschi su cui la nostra cascina si affacciava. Dalla finestra della cucina sembrava poter toccare i suoi alberi ma era un effetto ottico perché, più o meno, avrei dovuto camminare per almeno un'ora. A passo svelto raggiunsi l'entrata del bosco e mi inoltrai alla ricerca dei funghi. Il bosco alternava viuzze dritte ad altre in picchiata, che non permettevano, girandosi, di scorgere ciò che ci si era lasciati alle spalle. Una scesa era abbastanza ripida e, senza prestare molta attenzione, decisi di fare un salto ma feci male i miei conti: caddi subito a terra di pancia col sedere in aria. Il pacco strusciò per un attimo sul terreno umido e soffice e provai un misto di piacere e dolore, dovuto alla caduta. Mi voltai per assumere la posizione seduta e darmi una spinta per rialzarmi; fu allora che intravidi sulla sommità della viuzza, dietro un cespuglio fitto, un braccio pelosissimo e rossiccio, con delle unghie lunghe. Il panico mi percosse l'inguine e fui preso da una sensazione adrenalinica che passò per il pube, per lo scroto fino allo stomaco. Mi diedi uno slancio e iniziai a correre: un orso mi aveva avvistato e aveva cominciato a seguirmi. Sentivo i suoi passi, sempre più forti e vicini, ma non ebbi il coraggio di voltarmi. Correvo forte e il sudore mi impregnava anche i capezzoli ma non fu abbastanza. Mi raggiunse e tutto si fece buio. Mi risvegliai dopo non so ben dire quanto; ero su una superficie di legno, su un pavimento, cosparso di un po' di pagliuzza. Mi guardai intorno e scoprii di essere seminudo, con le mutande bagnate e sporche di terreno. Le gambe spalancate a tal punto da poter sentire la tensione dell'ano. Le caviglie e i polsi legati da elastici, i miei elastici! Diedi un urlo ma riecheggiò nell'aria vuota e calma. Un filo di luce cominciò a farsi strada dalla porta e intravidi un piede, grosso e peloso, sporco di fango, mentre si faceva sempre più chiara la figura di un uomo grosso e alto, dalla costituzione possente. La luce andò a scoprire una parte di quella figura scura: il suo pene penzolava, era imponente e mi incuteva timore, sovrastato da un cespuglio di peli rossi che brillavano al contatto col sole. La porta fu spalancata tutta e l'uomo era interamente visibile: la testa era un tutt'uno con la barba, le spalle, il petto e il resto del corpo tramite una folta massa di peluria. I suoi occhi erano di un nero profondo e mi osservavano con decisione. Sentii un formicolio tra lo scroto e l'ano, ma ero spaventato, non solo eccitato. Urlai ancora ma l'orso fece uno scatto e mi si precipitò addosso, tappandomi la bocca con la sua mano terrosa. Una lacrima mi scese sulla guancia e lui se ne accorse. Con un gesto dolce la raccolse con l'indice e lo avvicinò alla mia bocca spingendo con forza per entrare. Aprii e cominciò a infilarlo e a toglierlo: mi sussurrò nell'orecchio di leccarlo. La sua voce era profonda e il suo alito sapeva di selvaggina. Iniziai a leccare il dito muovendo la lingua e sul suo volto apparve una smorfia di godimento. Lo tolse e cominciò a solcarmi il collo, poi il petto e fece un giro sul capezzolo: fu chiaro che farmi stimolare il capezzolo mi dava un profondo piacere, il sesso si indurì in un attimo; continuò sui fianchi e sulla coscia sinistra, per poi iniziare a solleticare le forme del mio sedere. Scostò la mutanda e iniziò a spingere la punta del dito contro il mio ano già dilatato per l'eccitazione. Fu dentro in un secondo e diedi un gemito di dolore ben presto eguagliato dal piacere. Con un gesto inaspettato, cominciò a scoparmi col dito e a leccarmi i capezzoli. Non potei contenermi e venni subito nelle mutande. Inevitabilmente il suo pelo si bagnò e non mi sembrò molto contento. Mi diede uno schiaffo e ringhiò: "Sei una preda molto cattiva. Meriti una fucilata!". Mi afferrò i capelli e mi portò in avanti, mentre gli elastici erano in tensione e mi facevano male. Mi mostrò il suo mostruoso "cazzo" e gridò, sputandomi prima in faccia: "Lo vedi questo fucile? Questo modello ti farà molto male.". Fui preso dal panico perché avevo capito le sue intenzioni e non volevo perché mi avrebbe impalato e sarei forse morto dal dolore. Mi strappò via la mutanda piena di sperma e mi sollevò le gambe sulla sua schiena. Come un trapano si fiondò sul mio buchino sudato e iniziò a leccare tutto: la sua lingua era così rigida e lunga da poterla sentire mentre mi penetrava. La sua saliva mi colava lungo il culo e la schiena. Mi piaceva da morire e chiesi, incontrollatamente, di andare più a fondo. Era un animale insaziabile. Puntò il suo cazzo sul buco dilaniato dal piacere; entrò con un affondo deciso e iniziò a pompare senza pietà mentre io non riuscivo più a distinguere la sofferenza dal piacere. Mi strinse a sé in una morsa letale e sentivo il naso premere sul suo pelo abbondante. I colpi erano sempre costanti e gemevo, implorandolo di farmi male. Sentivo il cazzo che entrava e mi sfregava le pareti interne e il mio ano era ormai diventato una molla. Ogni colpo era come essere spediti in paradiso e, poi, essere rigettati all'inferno. A un certo punto mi scaraventò sul pavimento ed ebbi una fitta alla schiena. Guardandomi profondamente mi disse: "Adesso ti fucilo la testa.". Mi puntò suo cazzo contro e fui colpito da schizzi violenti del suo sperma, così forti che l'impatto mi fece male. Mi aveva ucciso ma immaginavo la morte fosse più spiacevole. Strappò via gli elastici con le unghie e mi chiese il perché mi fossi addentrato in quei boschi da solo. I boschi possono essere luoghi molto pericolosi. Riuscii solo ad amettere un suono indefinito: "Fun...fun...ghi". Rispose: "Tra qualche ora sarà buio. Sbrigati o dovrai tornare a casa a mani vuote. Dovrai trovare una scusa valida.". Mi alzai tremante e mi vestii: i miei panni e la mia borsa erano in un angolo, in una cassa con delle noci. Mi avviai alla porta e stavo per guardare fuori, quando gli occhi mi furono coperti con non so cosa. Mi stritolava e sussurrò all'orecchio:"È il predatore che accompagna la preda alla propria tana. Non ti è dato sapere dove siamo". Mi caricò in spalla e camminammo per forse dieci minuti. Aveva una forza bruta, non sembrava mai stancarsi. Mi lanciò su un mucchio di foglie e mi tolse il tessuto nero che mi copriva gli occhi. Chiesi il suo nome ma la risposta fu secca: "Gli animali del bosco non hanno un nome". Si inoltrò tra la steppaglia e subito mi fu impossibile vederlo.
scritto il
2017-07-08
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