Quella casa sull‘albero
di
Winnie84
genere
gay
Nell‘Aprile del 1995 costrinsi mio padre a costruirmi una casa sull‘albero. Vagammo per ore nel bosco vicino a casa nostra, finche‘ trovammo, in una piccola radura, una quercia abbastanza grande da ospitare la struttura. Ci volle un bel po‘ per ultimare i lavori, ma alla fine quella casetta si rivelo‘ un investimento di tempo assai proficuo. Lontano da tutto e da tutti, creai finalmente il mio nascondiglio personale, con tutta la roba che di solito occupa gli scatoloni sotto il letto dell‘adolescente medio: album di figurine, videogiochi portatili, giornaletti porno e una manciata di preservativi che ero riuscito a sgraffignare a mia cugina più grande (una volta mi era addirittura capitato di vederla col pene del suo ex ragazzo in bocca mentre li spiavo dalla toppa della porta di camera sua…quella visione mi garanti‘ fantasie sessuali per un mese e più). Una volta ospitammo per una settimana suo fratello Luca -vale a dire mio cugino- a casa nostra. I miei zii dovevano accompagnare mia cugina all‘estero per sostenere un esame e lui, non ancora quindicenne, aveva preferito passare del tempo con me e la mia famiglia. Inutile dire che, durante quei giorni, trascorremmo più tempo sulla casetta sull‘albero che in casa, cosa che ci permise di conoscerci più‘ a fondo e di toccare argomenti del tutto nuovi come il bere, il fumare o le primissime esperienze sessuali. Poi lui torno‘ a casa, e quella settimana fini‘ pian piano nell‘archivio dei ricordi destinati prima o poi a sbiadirsi del tutto col passare dell‘eta‘. Il tempo passo‘…finimmo entrambi il liceo, mia cugina si sposo‘ ed ebbe una bambina, i miei genitori divorziarono e io finii a vivere da solo con mia madre nella casa vicino alla casetta sull‘albero.
Un giorno, con mia grande sorpresa, mio cugino Luca venne a trovarci. Non passarono molti minuti prima che mia madre lo invitasse a trattenersi per qualche giorno, non faceva nulla per i vestiti, avrei potuto prestargli i miei. Io accolsi la proposta con grande entusiasmo, perché con mio cugino era molto facile divertirsi e avevo bisogno in quel momento di un‘avventura che mi scrollasse di dosso la noia della quotidianità che da tempo mi affliggeva. Il giorno seguente, dopo aver pranzato tutti assieme, usci‘ di casa con lui. ‘‘Che ne dici di scoprire se quella casa sull‘albero e‘ ancora in piedi?‘‘ mi chiese con una canna in mano, che ogni tanto mi passava. Accolsi volentieri la sua proposta e continuammo la nostra passeggiata tra il suono fragrante delle foglie secche che si frantumavano sotto le nostre suole e il cinguettio rilassante degli uccelli in lontananza. Quando ormai la canna si era ridotta alle dimensioni di una pillola e i capillari negli occhi avevano ormai assunto il rosso intenso caratteristico di chi e‘ mezzo fatto, si staglio‘ fra gli alberi la sagoma di quella casa. Ci avvicinammo con un sorriso sulle labbra e guardai mio cugino battere il palmo su quello che restava della scala. ‘‘Dovremo darci una mano o non riusciremo mai ad arrivare sin lassù‘‘, mi disse guardando nel frattempo le fronde della quercia che danzavano al vento, anelando a chissa‘ quale nuvola in cielo. Congiunse le mani a coppa e me le offri‘ perché‘ potessi usarle come scalino. Poggiai il piede sinistro sulle sue mani, mi aggrappai al primo piolo raggiungibile e mi issai con tutte le forze. Mentre svolgevo questa operazione, Luca mi afferro‘ il membro e lo tiro‘ leggermente giu‘. ‘‘Sta‘ fermo, coglione!‘‘ gli gridai con un sorriso e una falsa espressione di sdegno. Con mia grande sorpresa, quando riuscii finalmente ad issarmi sul secondo piolo, sentii che il mio pene aveva acquisito una strana consistenza. Strana non perché‘ non l‘avessi mai provata (la prima volta in cui mi ci imbattei risaliva a non ricordo neppure quanti anni fa, alla vista di un‘attrice nuda in un film intitolato ‘‘Profumo: Storia di un assassinio‘‘), ma perché non mi era mai capitato di provarla per via di una persona del mio stesso sesso. Una volta issatici entrambi sull‘asse di legno che costituiva il pavimento della casetta, constatammo non senza un velo di tristezza come quella struttura non fosse abbastanza alta da consentirci di stare in piedi. Il tempo era passato e questa ne era una lampante dimostrazione. Ci sedemmo dunque a gambe incrociate, esaminando con attenzione le pareti e il tetto invase da una strana pianta rampicante di cui entrambi non conoscevamo il nome. Un ramarro passo‘ d‘un tratto in mezzo alle gambe di Luca, che con un ‘‘che schifo‘‘ piuttosto acuto suscito‘ la mia ilarità‘: dovettero passare una trentina di secondi prima che mi asciugassi le lacrime e ritornassi in me stesso. Controllammo, poi, i cassettoni in cui da adolescente avevo gelosamente custodito i miei tesori: tutti gli oggetti erano stati risparmiati dallo scorrere del tempo perché se ne potessero distinguere almeno le caratteristiche principali. Solo le riviste pornografiche, probabilmente per via della pioggia di tanti anni, avevano assunto le fattezze di una poltiglia di cellulosa in cui ogni tanto si riconosceva un seno, una vagina o un pene. ‘‘Cazzo…e pensare che adesso bastano due click e hai già di che segarti‘‘ mi disse in tono esageratamente sbigottito. Lui era sempre stato il tipo‘ più diretto tra noi, quello che per primo aveva usato parole come ‘‘figa‘‘, ‘‘sborra‘‘ o ‘‘scopare‘‘. Io mi limitavo sempre a sorridere, non adattando il mio linguaggio al suo ma lasciando trasparire comunque una certa condivisione di pensiero. Finimmo a parlare di sesso. Lui mi racconto‘ di come una volta era entrato di nascosto in casa di una sua ex, una ragazza tutta casa e chiesa, l‘aveva deflorata senza pieta‘ ed era poi dovuto scappare in tutta fretta dopo esser stato scoperto dal padre di lei, che prese a rincorrerlo con un matterello mentre la madre era china sul letto del misfatto a gridare tra i singhiozzi ‘‘dio, perdona loro perché non sanno quello che fanno‘‘. Io, in risposta, gli confessai di quella scappatella avvenuta durante un campeggio estivo, in cui una bella biondina tedesca mi aveva ‘‘fatto un pompino‘‘ dietro un cespuglio mentre le zanzare ci mangiavano vivi: il mattino seguente avevo punture persino sul pene mentre lei ne aveva sui seni. ‘‘E bravo mio cugino!‘‘ sentenzio‘ mentre faceva scattare la sua mano verso i miei genitali. Questa volta ci indugio‘ maggiormente, ma non abbastanza perché potesse scendere tra di noi un certo imbarazzo. Ad un certo punto, come dal nulla, mi chiese ‘‘ma hai mai avuto esperienze con altri ragazzi?‘‘. Io risposi di no, che non mi era mai capitato, che non avevo assolutamente nulla contro l‘essere gay ma che non mi era mai capitato, tutto qui. ‘‘Vuoi scoprire se sei gay o bisex…ora…adesso?‘‘ mi chiese ancora. Sentii la mia temperatura corporea scendere di qualche grado. Era uno di quei momenti in cui cade il silenzio perché sei esterrefatto ma allo stesso tempo vuoi pensare bene a cosa rispondere. Il Sole forava le assi di legno bucherellate dal tempo e andava a posare i raggi arancioni del tramonto sui dolci lineamenti del suo viso. Lui non attese risposta. Allungo‘ la mano verso il mio pene e lo carezzo‘ delicatamente. Era eretto, ma non duro abbastanza da essere inflessibile. Aveva una consistenza poco più‘ dura di quella di un würstel. Senti‘ del liquido attraversare i cunicoli spugnosi del mio pene. ‘‘Lo prendo come un si‘‘‘, mi sussurro‘ lui. Prese a massaggiarlo con maggior vigore, tastando la carne sempre più‘ dura sotto il tessuto dei miei pantaloncini corti. Senza dir nulla ne abbasso‘ l‘elastico e lo fece guizzar fuori, troppo grande ormai per essere contenuto, come un bisonte in calore che vuole sfondare il recinto. Lo prese in mano, avvicino‘ le sue labbra al prepuzio e con la lingua ne pulì‘ l‘estremita‘ da quella gocciolina di sperma appena secreta dai miei testicoli. Ci fissammo negli occhi. Io ero un po‘ sgomento, ma cercai di non lasciar trasparire nulla che facesse intendere che ne avevo abbastanza. Tuttavia, desideravo che continuasse lui a condurre le danze. Neanche fossimo in collegamento telepatico, mi cinse delicatamente la base del glande con pollice indice e medio e comincio‘, su e giu‘, la danza soave della masturbazione. Le dita dei miei piedi dimostrarono di apprezzare quella tecnica, perché‘ si arricciarono con uno scricchiolio di falangi attutito dalla tela delle scarpe. Ma non era ancora finita. Luca si abbasso‘ i pantaloncini a sua volta, tocco‘ il mio glande con il suo per poi avvilupparlo con la pelle del suo prepuzio. Adesso, i nostri due peni sembravano un unico lungo tubo di carne pulsante. Luca strinse le sue dita attorno alla parte centrale di questo tubo e ricomincio‘ la danza del su-e-giu‘. La nostra pelle piangeva lacrime di sudore, il nostro fiato si faceva sempre più corto. La danza continuo‘ per qualche secondo ancora, poi fu mio cugino a rompere l‘incantesimo. ‘‘Cazzo…sei già‘ venuto!‘‘ ridacchio‘ mentre separava i nostri due peni, in un‘esplosione di liquido seminale. Il mio sperma bagno‘ la sua mano mentre effettuava quell‘operazione e lui, senza un minimo di esitazione, se la porto‘ alle labbra per ripulirla. Mentre faceva tutto questo, io continuavo a guardarlo negli occhi con lo sguardo inebetito, perso nella divina adorazione della sua sicurezza e della sua apparente esperienza. ‘‘Non vale, pero‘… io non sono ancora venuto!‘‘, surrurro‘ nel mio orecchio in protesta, distogliendomi dalle mie osservazioni mentali e costringendomi a ristabilire un contatto con la realtà‘. ‘‘C-c-cosa posso fare?‘‘, fu tutto quello che riuscii a balbettare in risposta. ‘‘Apri la bocca‘‘, mi intimo‘. Io ubbidii senza batter ciglio, come un puritano del diciottesimo secolo che cede impotente ai desideri torbidi di una succube. Sentii dunque il suo pene occupare interamente il mio orifizio orale, spingerne le pareti, scavare a fondo insaziabile verso la mia gola, mentre i suoi peli pubici mi solleticavano le narici. Adattai le mie labbra a quelle forme facendomi aiutare dalla saliva, che oramai era arrivata ad inzaccherare persino il mio mento. Cercai di leccargli l‘asta, ma c‘era ben poco spazio a disposizione della mia lingua. Tutto quello che riuscivo a fare era muovere la testa avanti e indietro, in un ritmo talvolta interrotto da spasmi di piacere. Raggiunsi a tentoni le sue natiche e le strinsi tra le dita, facendole quasi sanguinare per via delle contrazioni di piacere che pervadevano il mio corpo dalla testa ai piedi. Alla fine, quasi al’improvviso, mi arrivo‘ in gola un getto bollente, rovente, che mi costrinse a girare bruscamente la testa per tossire violentemente, finalmente libero da quell‘ostruzione mostruosa che era il suo pene. Sentivo ora il suo sperma prendere possesso di tutta la mia testa. Lo sentivo, viscido, sui denti e in gola, lo sentivo attraversare il mio dotto nasale e colare infine dalle narici. ‘‘Principiante‘‘ rise lui, inarcando poi le labbra nel più‘ sensuale sorriso che i miei occhi avessero mai visto. Risposi debolmente al suo sorriso e poi chiusi gli occhi, stremato ma appagato fin nelle viscere. Mi sdraiai sul pavimento reso bollente dal Sole estivo e lui fece lo stesso. Mi cinse il bacino col braccio e ci addormentammo insieme, mentre in lontananza cominciavano a frinire le prime cicale della sera.
Un giorno, con mia grande sorpresa, mio cugino Luca venne a trovarci. Non passarono molti minuti prima che mia madre lo invitasse a trattenersi per qualche giorno, non faceva nulla per i vestiti, avrei potuto prestargli i miei. Io accolsi la proposta con grande entusiasmo, perché con mio cugino era molto facile divertirsi e avevo bisogno in quel momento di un‘avventura che mi scrollasse di dosso la noia della quotidianità che da tempo mi affliggeva. Il giorno seguente, dopo aver pranzato tutti assieme, usci‘ di casa con lui. ‘‘Che ne dici di scoprire se quella casa sull‘albero e‘ ancora in piedi?‘‘ mi chiese con una canna in mano, che ogni tanto mi passava. Accolsi volentieri la sua proposta e continuammo la nostra passeggiata tra il suono fragrante delle foglie secche che si frantumavano sotto le nostre suole e il cinguettio rilassante degli uccelli in lontananza. Quando ormai la canna si era ridotta alle dimensioni di una pillola e i capillari negli occhi avevano ormai assunto il rosso intenso caratteristico di chi e‘ mezzo fatto, si staglio‘ fra gli alberi la sagoma di quella casa. Ci avvicinammo con un sorriso sulle labbra e guardai mio cugino battere il palmo su quello che restava della scala. ‘‘Dovremo darci una mano o non riusciremo mai ad arrivare sin lassù‘‘, mi disse guardando nel frattempo le fronde della quercia che danzavano al vento, anelando a chissa‘ quale nuvola in cielo. Congiunse le mani a coppa e me le offri‘ perché‘ potessi usarle come scalino. Poggiai il piede sinistro sulle sue mani, mi aggrappai al primo piolo raggiungibile e mi issai con tutte le forze. Mentre svolgevo questa operazione, Luca mi afferro‘ il membro e lo tiro‘ leggermente giu‘. ‘‘Sta‘ fermo, coglione!‘‘ gli gridai con un sorriso e una falsa espressione di sdegno. Con mia grande sorpresa, quando riuscii finalmente ad issarmi sul secondo piolo, sentii che il mio pene aveva acquisito una strana consistenza. Strana non perché‘ non l‘avessi mai provata (la prima volta in cui mi ci imbattei risaliva a non ricordo neppure quanti anni fa, alla vista di un‘attrice nuda in un film intitolato ‘‘Profumo: Storia di un assassinio‘‘), ma perché non mi era mai capitato di provarla per via di una persona del mio stesso sesso. Una volta issatici entrambi sull‘asse di legno che costituiva il pavimento della casetta, constatammo non senza un velo di tristezza come quella struttura non fosse abbastanza alta da consentirci di stare in piedi. Il tempo era passato e questa ne era una lampante dimostrazione. Ci sedemmo dunque a gambe incrociate, esaminando con attenzione le pareti e il tetto invase da una strana pianta rampicante di cui entrambi non conoscevamo il nome. Un ramarro passo‘ d‘un tratto in mezzo alle gambe di Luca, che con un ‘‘che schifo‘‘ piuttosto acuto suscito‘ la mia ilarità‘: dovettero passare una trentina di secondi prima che mi asciugassi le lacrime e ritornassi in me stesso. Controllammo, poi, i cassettoni in cui da adolescente avevo gelosamente custodito i miei tesori: tutti gli oggetti erano stati risparmiati dallo scorrere del tempo perché se ne potessero distinguere almeno le caratteristiche principali. Solo le riviste pornografiche, probabilmente per via della pioggia di tanti anni, avevano assunto le fattezze di una poltiglia di cellulosa in cui ogni tanto si riconosceva un seno, una vagina o un pene. ‘‘Cazzo…e pensare che adesso bastano due click e hai già di che segarti‘‘ mi disse in tono esageratamente sbigottito. Lui era sempre stato il tipo‘ più diretto tra noi, quello che per primo aveva usato parole come ‘‘figa‘‘, ‘‘sborra‘‘ o ‘‘scopare‘‘. Io mi limitavo sempre a sorridere, non adattando il mio linguaggio al suo ma lasciando trasparire comunque una certa condivisione di pensiero. Finimmo a parlare di sesso. Lui mi racconto‘ di come una volta era entrato di nascosto in casa di una sua ex, una ragazza tutta casa e chiesa, l‘aveva deflorata senza pieta‘ ed era poi dovuto scappare in tutta fretta dopo esser stato scoperto dal padre di lei, che prese a rincorrerlo con un matterello mentre la madre era china sul letto del misfatto a gridare tra i singhiozzi ‘‘dio, perdona loro perché non sanno quello che fanno‘‘. Io, in risposta, gli confessai di quella scappatella avvenuta durante un campeggio estivo, in cui una bella biondina tedesca mi aveva ‘‘fatto un pompino‘‘ dietro un cespuglio mentre le zanzare ci mangiavano vivi: il mattino seguente avevo punture persino sul pene mentre lei ne aveva sui seni. ‘‘E bravo mio cugino!‘‘ sentenzio‘ mentre faceva scattare la sua mano verso i miei genitali. Questa volta ci indugio‘ maggiormente, ma non abbastanza perché potesse scendere tra di noi un certo imbarazzo. Ad un certo punto, come dal nulla, mi chiese ‘‘ma hai mai avuto esperienze con altri ragazzi?‘‘. Io risposi di no, che non mi era mai capitato, che non avevo assolutamente nulla contro l‘essere gay ma che non mi era mai capitato, tutto qui. ‘‘Vuoi scoprire se sei gay o bisex…ora…adesso?‘‘ mi chiese ancora. Sentii la mia temperatura corporea scendere di qualche grado. Era uno di quei momenti in cui cade il silenzio perché sei esterrefatto ma allo stesso tempo vuoi pensare bene a cosa rispondere. Il Sole forava le assi di legno bucherellate dal tempo e andava a posare i raggi arancioni del tramonto sui dolci lineamenti del suo viso. Lui non attese risposta. Allungo‘ la mano verso il mio pene e lo carezzo‘ delicatamente. Era eretto, ma non duro abbastanza da essere inflessibile. Aveva una consistenza poco più‘ dura di quella di un würstel. Senti‘ del liquido attraversare i cunicoli spugnosi del mio pene. ‘‘Lo prendo come un si‘‘‘, mi sussurro‘ lui. Prese a massaggiarlo con maggior vigore, tastando la carne sempre più‘ dura sotto il tessuto dei miei pantaloncini corti. Senza dir nulla ne abbasso‘ l‘elastico e lo fece guizzar fuori, troppo grande ormai per essere contenuto, come un bisonte in calore che vuole sfondare il recinto. Lo prese in mano, avvicino‘ le sue labbra al prepuzio e con la lingua ne pulì‘ l‘estremita‘ da quella gocciolina di sperma appena secreta dai miei testicoli. Ci fissammo negli occhi. Io ero un po‘ sgomento, ma cercai di non lasciar trasparire nulla che facesse intendere che ne avevo abbastanza. Tuttavia, desideravo che continuasse lui a condurre le danze. Neanche fossimo in collegamento telepatico, mi cinse delicatamente la base del glande con pollice indice e medio e comincio‘, su e giu‘, la danza soave della masturbazione. Le dita dei miei piedi dimostrarono di apprezzare quella tecnica, perché‘ si arricciarono con uno scricchiolio di falangi attutito dalla tela delle scarpe. Ma non era ancora finita. Luca si abbasso‘ i pantaloncini a sua volta, tocco‘ il mio glande con il suo per poi avvilupparlo con la pelle del suo prepuzio. Adesso, i nostri due peni sembravano un unico lungo tubo di carne pulsante. Luca strinse le sue dita attorno alla parte centrale di questo tubo e ricomincio‘ la danza del su-e-giu‘. La nostra pelle piangeva lacrime di sudore, il nostro fiato si faceva sempre più corto. La danza continuo‘ per qualche secondo ancora, poi fu mio cugino a rompere l‘incantesimo. ‘‘Cazzo…sei già‘ venuto!‘‘ ridacchio‘ mentre separava i nostri due peni, in un‘esplosione di liquido seminale. Il mio sperma bagno‘ la sua mano mentre effettuava quell‘operazione e lui, senza un minimo di esitazione, se la porto‘ alle labbra per ripulirla. Mentre faceva tutto questo, io continuavo a guardarlo negli occhi con lo sguardo inebetito, perso nella divina adorazione della sua sicurezza e della sua apparente esperienza. ‘‘Non vale, pero‘… io non sono ancora venuto!‘‘, surrurro‘ nel mio orecchio in protesta, distogliendomi dalle mie osservazioni mentali e costringendomi a ristabilire un contatto con la realtà‘. ‘‘C-c-cosa posso fare?‘‘, fu tutto quello che riuscii a balbettare in risposta. ‘‘Apri la bocca‘‘, mi intimo‘. Io ubbidii senza batter ciglio, come un puritano del diciottesimo secolo che cede impotente ai desideri torbidi di una succube. Sentii dunque il suo pene occupare interamente il mio orifizio orale, spingerne le pareti, scavare a fondo insaziabile verso la mia gola, mentre i suoi peli pubici mi solleticavano le narici. Adattai le mie labbra a quelle forme facendomi aiutare dalla saliva, che oramai era arrivata ad inzaccherare persino il mio mento. Cercai di leccargli l‘asta, ma c‘era ben poco spazio a disposizione della mia lingua. Tutto quello che riuscivo a fare era muovere la testa avanti e indietro, in un ritmo talvolta interrotto da spasmi di piacere. Raggiunsi a tentoni le sue natiche e le strinsi tra le dita, facendole quasi sanguinare per via delle contrazioni di piacere che pervadevano il mio corpo dalla testa ai piedi. Alla fine, quasi al’improvviso, mi arrivo‘ in gola un getto bollente, rovente, che mi costrinse a girare bruscamente la testa per tossire violentemente, finalmente libero da quell‘ostruzione mostruosa che era il suo pene. Sentivo ora il suo sperma prendere possesso di tutta la mia testa. Lo sentivo, viscido, sui denti e in gola, lo sentivo attraversare il mio dotto nasale e colare infine dalle narici. ‘‘Principiante‘‘ rise lui, inarcando poi le labbra nel più‘ sensuale sorriso che i miei occhi avessero mai visto. Risposi debolmente al suo sorriso e poi chiusi gli occhi, stremato ma appagato fin nelle viscere. Mi sdraiai sul pavimento reso bollente dal Sole estivo e lui fece lo stesso. Mi cinse il bacino col braccio e ci addormentammo insieme, mentre in lontananza cominciavano a frinire le prime cicale della sera.
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