Vita distrutta
di
M.m.
genere
pulp
La stanza dell'albergo era pulita ed asettica.
Avevo fatto uno strano sogno,avevo 17 anni, ero felice, triste, disperato,rabbioso ma felice, avevo un amico, un vero amico, che mi amava, mi abbracciava, mi valorizzava, la famiglia in cui vivevo mi soffocava, mi distruggeva giorno dopo giorno, violentava la mia debole psiche,erano i miei genitori, coloro che mi avevano messo al mondo, era loro dovere essere sorridenti con me, farmi sentire a casa, al sicuro,consolarmi, incoraggiarmi, sostenermi ma non erano in grado, mi colpevolizzavano, mi minacciavano, mi obbligavano alla perfezione, però avevo questo amico più grande di me, era così buono, così gentile, così affettuoso, così caldo che non mi vergognavo di essere me stesso, di esternare tutte le mie emozioni, con lui spegnevo la mente e la estraniavo dal male per concentrarmi solo sul bene.
Il sogno era su una gita che avevamo fatto in montagna, cielo azzurro, sole perfetto, tutto era andato bene, senza ansie e tormenti, c'era stata la magia più vera ed autentica, ma poco dopo era morto in un incidente stradale.
Cercavo di colmare l'assenza, di dimenticarmene, di iniziare da capo, di trovare qualcuno di adatto a me, ma non ne avevo la forza, avevo come una voragine dentro che risucchiava tutte le mie energie vitali e mi faceva marcire ed imputridire tutto.
Accanto al mio letto dormiva Davide, il mio nuovo amico, non c'era profondità di rapporto, non c'era amicizia purissima e tagliente, eravamo solo due fottuti sfigati che condividevano il loro schifo, il loro degrado e la disperazione delle loro esistenze.
Davide si svegliò, era un bell'uomo, anch'io lo ero, la sera prima in quella stessa stanza una donna ci aveva torturato e pestato a sangue, imbavagliato, aveva serrato le nostre bocche con nastro adesivo industriale, aveva versato sui nostri corpi deboli ed impotenti della cera rovente, aveva sfondato i nostri culi con dei vibratori, era una donna splendida e volgare e venire abusati da quella perfezione fatta carne ci ricolmò di piacere.
Era il piacere quello che cercavamo, quando il piacere entrava nei nostri cervelli tutto il dolore subito, tutte le lacrime, tutto l'esaurimento e tutta la rabbia esacerbata se ne andavano, si dissolvevano nel nulla, non erano mai esistiti, al loro posto trionfava il godimento più sfrenato e violento, che eccitava i nostri corpi e rilassava le nostre menti.
Il piacere era la nostra personale dose di eroina.
Non avevamo limiti, eravamo estremisti del sesso estremo, cercavamo sempre nuovi stimoli, nuove sensazioni fisiche, nuove esperienze per soddisfare questa sete della droga del piacere.
La notte seguente andammo in un locale specializzato nel sadomaso.
C'era una tipa bionda e formosa ad accoglierci, sarebbe stata la nostra padrona, fu particolarmente crudele, ci costrinse a scopare tra noi due, sia come attivi che come passivi, praticò su entrambi il fisting con la mano, ci distrusse eppure sapevo dove andare a tastare, sapeva come scatenare il dolore ed il piacere e come portarli a dei livelli infiniti, il mio cervello si era abituato alle sensazioni del sesso tradizionale e quest'ultime avevano scarsi effetti come droghe, ora il mio cervello voleva di più, più intenso, più originale, più perverso, il mio cervello affondava nell'Inferno tramite il piacere ed assaggiava il brivido dell'abisso.
Il piacere mi distraeva e mi faceva dimenticare la sofferenza ma non mi dava la felicità, il mio cuore non scoppiava mai dall'euforia, dalla gratificazione e dalla soddisfazione, non brillava mai, non rifulgeva mai di luce come quella volta con il mio amico ma era sempre asfissiato dal dolore e dal disagio, per dimenticare tutto questo ricorrevo al piacere, il piacere era la mia unica droga, ero un fottuto sesso dipendente del cazzo ma non avevo altro che quello per non morire.
Il piacere non era nemmeno lontanamente paragonabile alla vera gioia ma almeno mi ripuliva di tutto il male, resettava la mia mente, niente aveva più valore ed importanza se non quello.
La puttana che avevo preso era rumena, capelli nerissimi, fisico statuario, me la trombai nella mia macchina, era una sera triste, buia, senza stelle, pensavo alla mia vita, a quanto fosse insignificante, a quanto fosse meglio il suicidio ma di come non avessi la forza nemmeno per prendere una scelta del genere, a come non avessi nessuno che tenesse a me, che mi attendesse con calore ed amore,che non aspettasse altro che una mia chiamata per accogliermi in casa, pensavo a tutto il male subito dai miei genitori, a tutte le notti passate a studiare, a bruciarmi la vista, a spremermi i neuroni in modo da ottenere un bel voto e renderli contenti di me, cosa che non avveniva mai, pensavo a tutto il disgusto, a tutto il rancore, al non sapere dove e come sbattere la testa, guardavo tutte quelle luci accese nelle case, pensavo a quante famiglie felici ci fossero e al mio appartamento così solo e triste, però la puttana era lì, così sexy, così sinuosa, con quel micro abito di pizzo bianco, quella faccia da cagna in calore, quel corpo da regina del sesso, me la scopai in bocca e nel culo, affogai nel lago di magma tutti i pensieri deprimenti di prima, era così bello scoparsi quella troietta, così arrapante che non c'era posto per nient'altro, la gioia come il dolore non potevano entrare nella mia testa, c'era spazio solo per il godimento.
La puttana era nigeriana, me la scopai in un bagno pubblico, succhiava come nessun altra e mentre il pisello era nella bocca di quella dea il cervello si era accesso, si era bagnato di lava, si liquefaceva, il mio cervello non poteva più fare a meno di quella droga, era l'unico mezzo che mi calmava e allo stesso tempo mi mandava in estasi.
Mi presi l'AIDS,Davide non volle più saperne di me, anche lui mi abbandonava e mi rifiutava, non avevo e non potevo avere più nessuno, ero una minaccia, un pericolo,le poche possibilità che prima avevo ora erano morte e sepolte, non dovevo fare altro che subire la malattia e morire.
L'infermiera che mi accompagnò alla morte nell'ospedale era una suora, aveva lo stesso volto del mio amico, semplice, genuino e radioso, quella suora mi voleva bene e non lo faceva per finta, mi sentivo amato dopo tanto tempo e in quei pochi giorni che mi rimasero provai la vera felicità, il mio cuore scoppiò dall'euforia, mi addormentai, al mio risveglio trovai il mio amico ad accogliermi, dopo un po' di tempo ci raggiunse quella suora anziana che faceva l'Infermiera, in quel prato saremmo rimasti a farci compagnia per sempre.
Avevo fatto uno strano sogno,avevo 17 anni, ero felice, triste, disperato,rabbioso ma felice, avevo un amico, un vero amico, che mi amava, mi abbracciava, mi valorizzava, la famiglia in cui vivevo mi soffocava, mi distruggeva giorno dopo giorno, violentava la mia debole psiche,erano i miei genitori, coloro che mi avevano messo al mondo, era loro dovere essere sorridenti con me, farmi sentire a casa, al sicuro,consolarmi, incoraggiarmi, sostenermi ma non erano in grado, mi colpevolizzavano, mi minacciavano, mi obbligavano alla perfezione, però avevo questo amico più grande di me, era così buono, così gentile, così affettuoso, così caldo che non mi vergognavo di essere me stesso, di esternare tutte le mie emozioni, con lui spegnevo la mente e la estraniavo dal male per concentrarmi solo sul bene.
Il sogno era su una gita che avevamo fatto in montagna, cielo azzurro, sole perfetto, tutto era andato bene, senza ansie e tormenti, c'era stata la magia più vera ed autentica, ma poco dopo era morto in un incidente stradale.
Cercavo di colmare l'assenza, di dimenticarmene, di iniziare da capo, di trovare qualcuno di adatto a me, ma non ne avevo la forza, avevo come una voragine dentro che risucchiava tutte le mie energie vitali e mi faceva marcire ed imputridire tutto.
Accanto al mio letto dormiva Davide, il mio nuovo amico, non c'era profondità di rapporto, non c'era amicizia purissima e tagliente, eravamo solo due fottuti sfigati che condividevano il loro schifo, il loro degrado e la disperazione delle loro esistenze.
Davide si svegliò, era un bell'uomo, anch'io lo ero, la sera prima in quella stessa stanza una donna ci aveva torturato e pestato a sangue, imbavagliato, aveva serrato le nostre bocche con nastro adesivo industriale, aveva versato sui nostri corpi deboli ed impotenti della cera rovente, aveva sfondato i nostri culi con dei vibratori, era una donna splendida e volgare e venire abusati da quella perfezione fatta carne ci ricolmò di piacere.
Era il piacere quello che cercavamo, quando il piacere entrava nei nostri cervelli tutto il dolore subito, tutte le lacrime, tutto l'esaurimento e tutta la rabbia esacerbata se ne andavano, si dissolvevano nel nulla, non erano mai esistiti, al loro posto trionfava il godimento più sfrenato e violento, che eccitava i nostri corpi e rilassava le nostre menti.
Il piacere era la nostra personale dose di eroina.
Non avevamo limiti, eravamo estremisti del sesso estremo, cercavamo sempre nuovi stimoli, nuove sensazioni fisiche, nuove esperienze per soddisfare questa sete della droga del piacere.
La notte seguente andammo in un locale specializzato nel sadomaso.
C'era una tipa bionda e formosa ad accoglierci, sarebbe stata la nostra padrona, fu particolarmente crudele, ci costrinse a scopare tra noi due, sia come attivi che come passivi, praticò su entrambi il fisting con la mano, ci distrusse eppure sapevo dove andare a tastare, sapeva come scatenare il dolore ed il piacere e come portarli a dei livelli infiniti, il mio cervello si era abituato alle sensazioni del sesso tradizionale e quest'ultime avevano scarsi effetti come droghe, ora il mio cervello voleva di più, più intenso, più originale, più perverso, il mio cervello affondava nell'Inferno tramite il piacere ed assaggiava il brivido dell'abisso.
Il piacere mi distraeva e mi faceva dimenticare la sofferenza ma non mi dava la felicità, il mio cuore non scoppiava mai dall'euforia, dalla gratificazione e dalla soddisfazione, non brillava mai, non rifulgeva mai di luce come quella volta con il mio amico ma era sempre asfissiato dal dolore e dal disagio, per dimenticare tutto questo ricorrevo al piacere, il piacere era la mia unica droga, ero un fottuto sesso dipendente del cazzo ma non avevo altro che quello per non morire.
Il piacere non era nemmeno lontanamente paragonabile alla vera gioia ma almeno mi ripuliva di tutto il male, resettava la mia mente, niente aveva più valore ed importanza se non quello.
La puttana che avevo preso era rumena, capelli nerissimi, fisico statuario, me la trombai nella mia macchina, era una sera triste, buia, senza stelle, pensavo alla mia vita, a quanto fosse insignificante, a quanto fosse meglio il suicidio ma di come non avessi la forza nemmeno per prendere una scelta del genere, a come non avessi nessuno che tenesse a me, che mi attendesse con calore ed amore,che non aspettasse altro che una mia chiamata per accogliermi in casa, pensavo a tutto il male subito dai miei genitori, a tutte le notti passate a studiare, a bruciarmi la vista, a spremermi i neuroni in modo da ottenere un bel voto e renderli contenti di me, cosa che non avveniva mai, pensavo a tutto il disgusto, a tutto il rancore, al non sapere dove e come sbattere la testa, guardavo tutte quelle luci accese nelle case, pensavo a quante famiglie felici ci fossero e al mio appartamento così solo e triste, però la puttana era lì, così sexy, così sinuosa, con quel micro abito di pizzo bianco, quella faccia da cagna in calore, quel corpo da regina del sesso, me la scopai in bocca e nel culo, affogai nel lago di magma tutti i pensieri deprimenti di prima, era così bello scoparsi quella troietta, così arrapante che non c'era posto per nient'altro, la gioia come il dolore non potevano entrare nella mia testa, c'era spazio solo per il godimento.
La puttana era nigeriana, me la scopai in un bagno pubblico, succhiava come nessun altra e mentre il pisello era nella bocca di quella dea il cervello si era accesso, si era bagnato di lava, si liquefaceva, il mio cervello non poteva più fare a meno di quella droga, era l'unico mezzo che mi calmava e allo stesso tempo mi mandava in estasi.
Mi presi l'AIDS,Davide non volle più saperne di me, anche lui mi abbandonava e mi rifiutava, non avevo e non potevo avere più nessuno, ero una minaccia, un pericolo,le poche possibilità che prima avevo ora erano morte e sepolte, non dovevo fare altro che subire la malattia e morire.
L'infermiera che mi accompagnò alla morte nell'ospedale era una suora, aveva lo stesso volto del mio amico, semplice, genuino e radioso, quella suora mi voleva bene e non lo faceva per finta, mi sentivo amato dopo tanto tempo e in quei pochi giorni che mi rimasero provai la vera felicità, il mio cuore scoppiò dall'euforia, mi addormentai, al mio risveglio trovai il mio amico ad accogliermi, dopo un po' di tempo ci raggiunse quella suora anziana che faceva l'Infermiera, in quel prato saremmo rimasti a farci compagnia per sempre.
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