Il collare - Cap.3

di
genere
zoofilia

Attesi la punizione per tutto il giorno e quello seguente.
Non arrivò.

L'atteggiamento di Laura nei confronti di Nerone cambiò sensibilmente però.
Non era risentimento o rabbia la sua, piuttosto distanza, freddezza.
Il suo linguaggio del corpo mi comunicava di non avvicinarmi ed io, colpevole, così facevo.


Comunque non disse nulla dell'accaduto, almeno in casa.
Certo, probabilmente reputava che raccontare a sua figlia come il cane avesse provato a montarla non fosse opportuno.
In certi momenti la sorprendevo a fissarmi con uno sguardo pensieroso, diffidente, soprattutto quando Michela mi stava facendo delle coccole.

Pensai che forse si desse la colpa dell'accaduto, magari solo in parte, o forse ancora che avesse inquadrato l'episodio come 'normale' comportamento canino.
Dopo tutto, dalle mie vaghe conoscenze sui cani, mi pareva di ricordare che fosse una cosa abbastanza comune che i maschi a volte si aggrappassero un po' a quello che gli capitava per sfogarsi, il che di solito provocava ilarità, non rabbia.
Un cane non aveva malizia, ne colpa...

Ero contento che la cosa non avesse portato conseguenze negative, ma non riuscivo comunque a scrollarmi di dosso un brutto presentimento.
In oltre, come per l'episodio con mia figlia, quello che era successo, quello che avevo fatto, mi metteva ora nella condizione di dover nascondere a tutti i costi, anche a Laura, il fatto che fossi finito dentro quel dannato cane.

Ma quello rimaneva tutto sommato un problema secondario, prima dovevo capire come poter riprendere il mio corpo.

Il giorno di Ferragosto il campanello suonò.
Accorsi, come ero solito fare.
Mi trovai di fronte il ghigno insopportabile di Manetti.
Che cavolo ci faceva qui in tenuta da spiaggia?

Laura lo accolse con calore.
Pareo, maglietta, e sotto un bikini che proprio non ricordavo di averle comprato, anche lei sembrava pronta per la spiaggia.
Anche i miei figli spuntarono dalle loro stanze per salutarlo.
Che succedeva? Gli stava presentando il nuovo papà?
Eravamo già a quel punto?
Ringhiai sommessamente, ma un'occhiataccia di mia moglie mi mise istantaneamente a cuccia.

I ragazzi raccolsero le loro cose, anche loro in effetti erano vestiti per andare al mare.
Notai che curiosamente la mise di Michela, maglietta e shorts di jeans, era notevolmente più casta di quella di sua madre.
Capii che avevano organizzato una giornata al mare tutti insieme.

Meglio? Peggio?
Non sapevo dirlo. Se da una parte mi sollevava sapere che non fosse un appuntamento a due, non mi piaceva che Manetti portasse fuori tutta la mia famiglia, che prendesse il mio posto.

Mi accodai a mio figlio Luca, ultimo ad uscire dalla porta di casa, scodizolando con la testa bassa.

"No, tu no, Nerone."

"Ma mamma ... " Protestò mio figlio.

"Vuoi sul serio lasciarlo tutto il giorno a casa solo, mamma? Avevi detto che lo portavamo con noi." Aggiunse Michela.

"Poverino, con questo caldo sul serio vuoi fargli fare tre ore di macchina? Starà moto meglio quà che in spiaggia, dammi retta. Vero Nerone?" Replico Laura fissadomi.

Irrazionalmente ci lessi mille significati in quello sguardo, significati che non di sicuro non c'erano.
Siamo seri, chi lancerebbe occhiate d'intesa ad un cane?

Uggiolai e tornai dentro, oltre la soglia di casa.

Michela, Luca e perfino l'insopportabile Manetti, tutti salvo mia moglie insomma, si spesero in una rapida carezza di saluto prima di chiudermi la porta in faccia e andarsene.

Magari Laura si preoccupava solo che vedendola in costume le saltassi di nuovo addosso, stavolta mettendola in imbarazzo in mezzo a tanta gente.
Era quello che mi meritavo.

A stento non impazzii quel giorno, il tempo sembrò non passare mai.

Rientrarono dopo cena, stanchi, ma sorridenti, la pelle arrossata e con addosso l'inconfodibile odore di salsedine e di crema solare.
Il Manetti non si fece vedere, per mia e sua fortuna, gli avrei senz'altro staccato una mano a morsi se solo mi si fosse avvicinato.

Tentai di fare le feste un po' a tutti, a turno, ma nessuno sembrava avere la forza o la voglia di starmi appresso.
Io d'altra parte scoppiavo di energia avendo passato il pomeriggio a sonnecchiare e annoiarmi.

Fecero a turno una doccia rapida poi, con mio sommo disappunto, andarono tutti a letto.
Incapace di fare altrettanto, sgattaiolai in camera di Laura.

Era seduta sul copriletto, dando le spalle alla porta, indosso una specie di sottana leggera nulla più, me lo diceva il mio super naso, che ogni giorno imparavo ad usare sempre meglio.
Si stava spalmado distrattamente della crema doposole sulle gambe mentre parlava al telefono, lo teneva stretto tra collo e spalla.

Ascoltai senza avvicinarmi, immaginando che probabilmente mi avrebbe cacciato via non appena mi avesse notato.
Parlava con una sua amica.
Della giornata appena trascorsa, di Manetti...

Sembrava che l'amica in questione volesse quasi incitarla a mollare gli ormeggi e buttarsi.
Potevo immaginare la sequela di luoghi comuni : ricomiciare a vivere, togliere il lutto, si vive una volta sola, non puo piovere per sempre, ti ci vuole una distrazione...
Lei nicchiava, si era divertita quel giorno, si, ma la differenza di età ed il fatto che Manetti fosse un mio ex-collega la frenava.

La mia Laura stava dicendo tutte le cose giuste, avrei solo voluto che quella cavolo di amica smettesse di insistere, poi disse una cosa.

"Certo però ... quanto mi manca il cazzo..."

Lo disse sospirando, poi scoppiò a ridere.
Era chiaro che fosse una frase goliardica tra amiche, eppure mi colpì.
Da un lato perchè non l'avevo praticamente mai sentita parlare in modo così volgare, o almeno avrei detto non da diversi anni a quella parte, dall'altra perchè dichiarare di aver voglia di cazzo dopo una giornata passata in compagnia di Manetti non mi faceva star tranquillo riguardo alla sua fermezza di intenti.

Sempre ridendo poi, dato che i freni inibitori erano saltati, raccontò alla sua amica dell'episodio del bagno.
Di come il suo cane le fosse saltato addoso e avesse cercato di scoparsela, con dovizia di particolari e relativa presa in giro.
A seguire breve rassegna di luoghi comuni e battutte sul tema : gli uomini sono tutti uguali e vogliono sempre una cosa sola.

Sentirla ridere di quel fatto mi avrebbe dovuto rassicurare.
Se poteva scherzarci sù, non doveva essere poi tutta questa tragedia, giusto?
Anzi, a dirla tutta, avrei dovuto riflettere sul fatto che l'avesse raccontato subito dopo aver espresso la propria frustrazione sessuale.
Un associazione mentale di certo degna di attenzione...

Invece ascoltarla mi fece sentire misero, patetico, impotente.
Trottai fuori dalla stanza con la coda fra le gambe, acquattandomi in corridoio.
Fissai la luce che veniva dalla porta della stanza di mia moglie fin quando, più tardi, non si spense.

Nel buio, un'altra luce, più fioca, attirò la mia attenzione.
Spinsi col muso la porta socchiusa della camera di mia figlia Michela.
Era sul letto, addosso solo un paio di slip di cotone e una specie di canotta corta, un top lasco che arrivava appena all'obelico, dello stesso materiale.

La stanza era pregna del profumo del doposole che doveva aver appena terminato di spalmarsi.
Parlava al telefono, anche lei come la madre, raccontava la giornata appena trascorsa a qualcuno.
Mi notò subito, seguendomi per un attimo con lo sguardo, poi venne riassorbita dalla sua conversazione.

Un piccolo ventilatore muoveva l'aria nella stanza, scostandole di tanto in tanto i capelli.
Il tono della sua voce era languido, sussurrato.
Si accarezzava la pancia, piatta, asciutta come solo a quell'età, giocando col bordo sottile dei suoi slip.

Matteo, chi era Matteo?
Ricordavo un Matteo, un fidanzatino di diversi anni fà, quando ancora abitavamo a Roma.
Ora, per quanto ne sapessi, non stava con nessuno.
Era un tipo un pochino chiuso ed introverso Michela, nostante fosse indubitabilmente una bella ragazza.

Gli occhi verdi, magnetici, della madre, ed un viso, forse leggermente meno 'elegante' (aveva preso un po' del mio naso a patata), ma comunque altrettanto femminile.
Dal modo in cui parlava, come sorrideva e si leccava le labbra ogni tre parole, quello con cui parlava non era un semplice compagno di studi.
Percepivo la sua eccitazione.

Il tenore della conversazione, s'era scaldato parecchio infatti, e Michela aveva preso ad accarezzarsi con una certa insistenza da sopra gli slip.
Sembrava totalmente dimentica della mia presenza.

La guardavo accucciato in un agolo buio della stanza, restio ad avvicinarmi, ma altrettanto incapace di andarmene come avrei dovuto.
Era sbagliato stare li a guardare, lo sapevo, ma l'impunità el'anonimato che mi davano quelle sembianze canine avevano già da un po' eroso la mia morale.

Come mi aspettavo, dopo qualche minuto Michela si liberò dell'intimo.
Prese a masturbarsi platealmente, la coversazione era diventata vero e proprio sesso telefonico.
Giuliva, eccitata, si tirò sù sul letto in ginocchio, per un attimo sembrò cercarmi nell'oscurita.

Apparentemente dopo avermi individuato, un sorriso malizioso le si disegnò sul viso.
Lo attribuii a quello che diceva il ragazzo all'altro capo del telefono.

Giocosamente si rotolò a pancia sotto.
L'odore della sua eccitazione si spargeva per la stanza come gelsomino a primavera.
Balzai agilmente sul letto senza neache rendermene conto.

Lei seguitava a parlare, ansimare al telefono.
Vedevo il bel sedere nudo, la schiena, il segno dell'abbronzatura descrivermi perfettamente com'era fatto il costume che aveva indossato quel giorno.
Tra le gambe aperte, la punta delle sue dita sottili, le unghie corte, curate, affondare ritmicamente nella sua carne glabra.

Lentamente, m'avvicinai.
Esitavo.
Scioccamente, pensavo potesse non essersi accorta che ero salito sul letto.

Ero decisamente più lucido rispetto alla volta precedente, non potevo prendermi in giro con la storia degli istinti canini stavolta.
Mossi il muso vicino alla sua gamba, lungo l'interno coscia.

Non poteva non percepire il fiato caldo di Nerone...
Sapeva di crema la sua pelle.
Non si mosse, non reagì.

Spinsi il muso verso l'epicentro del suo odore.
Le sue dita saettavano veloci contro la mia lingua.
Si ritirarono per un attimo.
Ecco, pensai, ora se ne è accorta.

"Leccami ...Ora voglio che mi lecchi fino a che non ti fa male la lingua..."

Lo diceva a Matteo o a me?
La sentii spostarsi, sollevarsi un po' e spingere quasi il sedere in contro al mio muso.
Leccai come richiesto, la grossa, muscolosa, lingua canina, calda, ruvida, finalmente libera di distendersi completamente, di avviluppare tutto il suo sesso assieme al monte di venere con lunghe, lente passate.

Gemette, il corpo scosso un fremito improvviso, tanto che quasi mi spaventai.
Sentii le dita cercare di nuovo il loro posto, intralciare quasi le mie leccate.
Mi ritrassi.

"Ci sei quasi? No dai ... ancora un po' ... scopami ... scopami adesso."

Mentre lo diceva, Michela lasciò scivolare di lato le ginocchia sul letto, aprendosi carponi di fronte al mio muso ansante.
Era una posizione tremendamente volgare, eppure altrettanto invitante.
Di certo richiedeva una flessibilità notevole.

Due delle sue dita scorrevano febbrilmente dentro e fuori il suo sesso, completamente esposto, squadernato oscenamente sotto i miei occhi estasiati.
Lo facevano senza sforzo, fino alle nocche, ed un sommesso sciaquio aveva cominciato a riempire la stanza assieme ai suoi sopiri.

"Voglio che mi scopi adesso ... Sono la tua cagna, scopami!"

Ci pensai veramente poco, in fondo era quello che volevo, quello per cui ero venuto.
In seguito avrei perfino avuto la faccia torsta di dirmi sconcercato di quel suo modo volgare di parlare...

Le balzai sulla schiena, fù molto più facile che con Laura, data quella posizione schiacciata.
Michela era più minuta della madre, più esile, sentivo distintamente il battito, veloce come quello d'un colibrì.
M'aggrappai ai suoi fianchi con le zampe anteriori, cominciado immediatamente i miei goffi tentativi di pentrarla.

Lei non si scompose, non urlò, ne tantomeno tentò di scrollarmisi di dosso.
Forse perchè era al telefono, pensai.
La frustrazione mi stava già assalendo, sapevo di aver poco tempo, poi d'un tratto sentii distitamente il cazzo puntarsi, i contorni umidi, quasi callosi di una fessura, un orlo carnoso contro la punta.

Ebbi un microsecondo di esitazione prima di spingere, di penetrare mia figlia.
Sentii le mano, le dita affusolate, fredde, di Michela afferrarmi il cazzo con decisione e urgenza prima che potessi riuscirci.
Ecco, la frittata era fatta.

Tuttavia, non venni scaraventato giù da letto come mi aspettavo.
Mi guidarono più in basso, verso un'apertura dai bordi più soffici, dentro di lei, quelle dita sottili, invece.
Lo fecero con grazia e con fermezza, tremavano.
Sentii la stuzzicante irregolarità di ogni dettaglio delle sue zone intime scorrere contro il glande, poi la carne soda, zuppa di umori, avvolgermi.

Non era stretta neache la metà di quanto mi aspettavo, forse perchè dopotutto Nerone non era poi così dotato.
Compensai quello che mancava per dimensione con l'energia.
Spinsi e spinsi ancora, forsennatamente, ormai incurante di quale potesse essere la reazione di Michela.

Ci misi un pochino di più di quanto mi ci volle con Laura, venni comunque abbastanza in fretta.
Non avevo sufficiente controllo per pensare di tirarlo fuori prima di finire come avrebbe fatto un uomo, un padre.
Di certo comunque non rischiavo di metterla incinta...

Mi abbandonai alla senzazione, un basso latrato scappò involontariamente dal corpo teso e ansante di Nerone.
La cosa provocò un violento sussulto anche da parte Michela.

"Sii! Riempimi, riempimi tutta! Vienimi dentro! Sento gli schizzi caldi dentro di me ..."

"Eh? Ma che ti frega ora? Era solo il cane, avrà sentito qualcosa di fuori ... dai non ti fermare adesso, scopami! Voglio che continui a spingere fin quando non ti sei svuotato le palle, voglio fino all'ultima goccia ..."

Oramai non avevo più molti dubbi che queste incitazioni fossero rivolte a me, a Nerone, più che al ragazzo al telefono.
Spinsi ancora, sentivo un curioso formicolio, un senso di gonfiore, che poco rientrava nelle mie solite reazioni fisologiche dopo un orgasmo.

Volevo assecondare comunque le richeste di Michela.
Prese a sussultare, a grugnire, incitando me ed il suo ignaro Matteo in modo via via sempre più incoerente ed osceno.
Mi sembrava di stare ancora venendo e che la fica di mia figlia si fosse come serrata attorno al mio cazzo, una specie elastica morsa.
Provai a spingere ancora.
Michela era provata, la faccia riversa sul letto, il braccio che reggeva il telefono penzolava fuori.
Ad ogni spinta guaiva, il corpo s'irrigidiva, quasi ne soffrisse.

Mi fermai.
Ansimava.
Io pure.

"Michela? Ci sei? Tutto bene?"

La voce del ragazzo arrivava sommessa, distante, allarmata, dall'altro capo della linea.
A fatica lei si riscosse, lo rassicurò e salutò in tutta fretta, poi lasciò cadere il telefono a terra, esausta ed incapace di muoversi.

Leccai una spalla, la schiena nuda, una specie di carezza prima di provare a sfilarmi.
Un sussulto da parte sua mi fece desistere, era come se il suo sesso non volesse lasciarmi andare.
Rassegnato, mi accquattai su di lei, ne sentivo il battito lento, rilassato.

Mi addormetai, credo.
Quando mi riscossi, ancora acciambellato sul letto, Michela era seduta sul bordo rivolta verso l'abat jour.
Feci capolino.
Sbuffava, con dei fazzolettini di carta stava pulendosi tra le gambe.
Ne notai tre o quattro già zuppi a terra.

Guaii sommessamente, richiamando la sua attenzione.
Mi sorrise, arruffandomi il pelo sulla testa con le dita, poi mi cinse con le braccia, attirandomi a se.
Le leccai la faccia, penoso tentativo di bacio canino.
Sentivo le labbra, piccole seppur sode, dischiuse in un sorriso, il naso, il mento, avvolto da quella lingua fastidiosamente grossa e lunga, un impaccio, almeno per quell'attività...

Mi sollevò di peso, deponendomi a terra, poi, dopo essersi affacciata in corridoio, mi fece cenno di seguirla.
Subito si chiuse in bagno, facendomi ciao con la mano dalla soglia.

Io mi acquattai nel mio angolo, soddisfatto.
Dormii come un bambino.
Anzi, come un cucciolo.
di
scritto il
2018-05-02
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