Il collare - Cap.4
di
SBD
genere
zoofilia
E poi venne il giorno.
Quando meno me lo aspettavo, una mattina fui caricato in macchina e portato dal veterinario.
Fù proprio Laura a farlo, la sentii parlare con il dottore, un uomo dal viso asciutto e dai capelli brizzolati, più o meno sulla cinquantina.
Lei cercò di fargli capire con dei complicati giri di parole quello che era successo qualche giorno prima nel bagno, ma in fondo si vergognava troppo.
Si rassegnò a mentire, raccontando che mi aggrappavo a tutto quello che trovavo, pure le gambe del tavolo, ed ero diventato imbarazzante da portare in giro.
Quello sorrise, il tipico sorriso di chi ti prende per scemo e vuole solo rabbonirti, quello che alla fine funziona sempre.
Si accordarono per il pacchetto completo, tolettatura e check-up, più una fantomatica "valutazione psicologica canina".
I soldi non erano certo un problema per Laura e fui lasciato lì.
Ricordo che stavo pensando al fatto che la cosa avesse il suo lato positivo, che mi ero adagiato troppo dopo quello che era successo con Michela, quasi non avessi urgenza di tornare nel mio corpo, quando fui lasciato solo.
Una scossa mi ci voleva.
Poi tutto divenne buio, improvvisamente, come se mi avessero drogato o dato una botta in testa, ma in modo ancora più istantaneo.
Mi risvegliai, intontito, indolenzito, strano...
C'era pochissima luce nella stanza, silenzio.
Mi sollevai sulle zampe, colto quasi subito da una fastidiosa sensazione di vertigine.
Dove erano tutti? Il veterinario, gli altri cani ... Ero forse stato già riportato a casa?
Notai un larga vetrata coperta da pesanti tende che occupava un'intera parete della stanza.
Quella non sembrava proprio casa mia.
Individuai una porta, si apriva dall'altro lato, quindi non potevo aprirla.
Mi avvicinai.
Il pomello però era insolitamente basso, o meglio la porta sembrava fatta per un bambino.
Provai ad addentarlo e tirare, sentivo il freddo metallo sotto i denti e la lingua.
Qualcosa scattò, e finalmente la porta si aprì.
Mi ritrovai su di un pianerottolo, di fronte a me due porte chiuse, a destra una scala di legno scendeva nel buio.
Tutto sembrava curiosamente piccolo.
Scesi con cautela, sentivo che qualcosa era fuori posto ma non capivo cosa.
Al piano di sotto trovai un'altra sequela di porte chiuse ed un'altra scala che scendeva.
Le tende, più leggere di quelle del piano superiore, lasciavano filtrare la luce dall'esterno.
Scesi ancora.
L'abiente era largo e spazioso, non ne riconoscevo l'odore.
Dalla larga vetrata in fondo le cui tende erano state lasciate aperte, la luce della luna piena rischiarava la stanza, gli arredi, lussuosi, eppure comicamente piccoli.
Fuori una piscina contornata da un giardino, sedie e un obrellone chiuso.
Passai distrattamente accanto ad un specchio.
Mi fermai, tornando sui miei passi.
Di fronte a me c'era sì un cane, ma di certo non era Nerone.
Per quanto non fossi un esperto di razze e quant'altro, e per quanto dal mio punto di vista i cani si somigliassero un po' tutti, oramai avevo preso una certa confidenza con l'aspetto del mio ospite.
Il cane che avevo davanti gli somigliava un pochino, ma era comunque diverso in qualcosa.
Relizzai che la prima importate differenza era la dimensione.
Già, non era la casa ad essere piccola, era il cane che era grande, grosso almeno il doppio di Nerone.
(Appresi solo molto tempo dopo, facendo ricerche sui i vari ospiti che avevo abitato, che il cane in questione era un Mastiff...)
Spaventato da questa scoperta, dopo un iniziale momento di panico, decisi di tornare a rifugiarmi al piano di sopra, nella stanza in cui ero stato lasciato, in attesa di scoprire chi fossero i padroni di questo cane e sopratutto dove diavolo fossi finito.
Martina e Alberto, questo il nome dei mie padroni.
A posteriori però, sarebbe stato quasi il caso di mettere Martina al mio stesso livello nella scala gerarchica della casa, perchè delle volte Alberto sembrava essere anche il suo di padrone.
Era un uomo più o meno della mia età, divorziato, risposato.
Un industriale, figlio di industriali.
Martina era la sua seconda moglie, il nuovo modello, appena uscito di fabbrica per rimpiazzare quello vecchio.
Non che Alberto fosse uno particolarmente stronzo o chissà che, ma era proprio evidente dalla loro dinamica di coppia, che lui la considerasse solo un'altra delle tante cose belle di cui circondava grazie ai suoi soldi.
E lei ad essere bella era bella.
Una bellezza di alto, altissimo livello, tanto che si sarebbe potuta guadagnare da vivere facendo la modella. Di intimo.
Chissà, magari l'aveva fatto anche, prima prima di sposarsi.
Almeno adesso a doverla veder sfilare era uno solo...
Avrà avuto venticinque, massimo ventotto anni, era difficile dirlo con precisione.
Il viso sembrava senza tempo, pareva giovane e matura al contempo.
Era bambina eppure donna, signora, non saprei dire se a causa di una magistrale chirurgia estetica o dei suoi stessi geni.
Bionda, (ma di certo i capelli erano tinti ...), magra, un seno irrazionalmente perfetto, un sedere, piccolo, sodo tanto da parer fatto di marmo; vederla girare per casa in vestaglia, mi faceva venir voglia di credere di nuovo in Dio...
Ero quasi certo di averla gia vista su qualche rivista patinata o in televisione, ma non mi riusciva di ricordare dove.
Per parte mia, potei constatare anche in quel breve periodo, la sua effettiva ossessione per lo scattarsi foto con il cellulare nelle pose più disparate.
Selfie, belfie e compagnia cantante, erano il suo pane quotidiano.
Alle faccende di casa pensava Sveta, la ragazza alla pari.
Chiaramente dall'accento e dall'aspetto, doveva provenire da qualche paese dell'est europa.
Non ci fosse stata Martina a prendersi il palco e tutti gli applausi, qualcuno avrebbe potuto anche notare che pure Sveta era una bellezza.
Alta quasi quanto Alberto pur indossando scarpe basse tutto il tempo, occhi che sembravano metallo liquido, la pelle chiara, pallida, come fosse appena uscita da un bagno nell'acqua ghiacciata, i capelli sempre raccolti.
Era chiaro, che avendo Martina per moglie, Alberto non necessitasse di una colf che fosse più di una semplice colf, non aveva quel tipo di atteggiamento con lei infatti.
Eppure, potendo scegliere, s'era voluto prendere quella più bella, cosi da poterla ostentare lei pure con gli ospiti.
Indendiamoci, Alberto non era un mostro, anzi si comportava come una persona squisita.
Gentile, garbato, non alzava la voce. Mai.
Rientrava piuttosto tardi, cenava con la moglie o da solo, e poi si chiudeva per qualche altra ora nel suo studio a lavorare ancora.
Per assurdo certe volte sembrava tiepido, quasi disinteressato a tutta la bellezza che gli girava per casa.
Un altra persona comlpetava la lista degli inquilini di quella villa.
Jermy, il figlio di Alberto.
Avrà avuto si è no quattro o cinque anni.
Martina e Sveta se lo scambiavano in modo tanto paritario, da farmi dubitare che potesse essere figlio della prima.
A guardarla d'altronde, non avrei mai detto che potesse aver già partorito.
Non potevo biasimarla tuttavia, perchè il bambino era davvero insopportabile.
Dovevo continuamente sostenere i suoi graffi, gli schiaffi le tirate di orecchie, senza che nessuno venisse a staccarmelo di dosso.
Più d'una volta mi domandai se il vero cane, Ged, questo era il nome dell'animale, al mio posto non avrebbe già da tempo sbranato quella piccola peste.
In quei giorni, mentre venivo seviziato dal rapollo di casa, feci una scoperta agghiacciante.
Era passato del tempo. Molto tempo ... troppo tempo, da quel giorno al veterinario.
La stagione era cambiata, tanto che Sveta faceva i preparativi con Jermy per Halloween.
Due mesi! Che era successo? Come ero finito lì?
La spiegazione che mi diedi, era che probabilmente il collare era stato tolto a Nerone durante i preparativi per la tolettatura.
Perchè poi, invece che tornare al suo di collo, fosse finito tempo dopo attorno a quello di quest'altro cane, era un vero è proprio mistero.
Quando appresi quest' infomazione, ebbi l'impulso di scappare, di correre fuori, saltare la recinzione e raggiungere casa.
Ged, con quel suo corpo grosso è muscoloso, probabilmente ne sarebbe stato in grado.
Ma poi? Quanto sarei riuscito ad andare avanti da solo? E come potevo rientrare in casa?
Ero disperato, realizzai di essere finito dalla padella alla brace.
A casa, tra l'altro, avevo lasciato una situazione a dir poco preoccupante.
Come stavano andando le cose tra Manetti e mia moglie Laura? Rabbrividivo all'idea che in questi due mesi fossero passati dalle parole ai fatti.
E Michela? Voi vi chiederete cosa c'entrasse mia figlia.
Beh, avevo riflettuto su quello che era successo fra noi, ed ero giunto alla conclusione, neanche troppo arguta, che quella sera lei aveva avuto il completo controllo della situazione.
Per quanto volessi darmi tutta la colpa dell'accaduto (che era comunque maggiore della sua, visto che io almeno sapevo chi avevo di fronte...), mi era chiaro il fatto che non sarei mai riuscito a fare sesso con lei in quel modo se anche lei non l'avesse desiderato, quello che era capitato con Laura ne era la prova lampante.
Era stata sicura quella sera, sfrontata quasi, nell'offrirsi al suo cane.
Ed anche la volta prima, quando l'avevo sopresa a masturbarsi, non era stata poi così sconvolta dalla mia intrusione.
S'era fatta largo in me quindi l'ipotesi, non confermata per ora dai fatti, che già da prima che prendessi possesso del corpo di Nerone, Michela avesse preso l'abitudine di fare giochi inappropriati con il suo cane.
Ora, dopo essersi spinta fino a farci sesso, non potevo evitare di immaginarla tentare di ripetere la cosa.
Era paradossale, grottesco lo so, ma oltre ad essere geloso di quello che poteva succedere tra mia moglie e il mio tirocinante, ero quindi pure geloso di mia figlia e del mio cane.
Più geloso anzi.
Con questa disposizione d'animo trascorsi i giorni seguenti.
La sera venivo sempre chiuso nella mia stanza nella mansarda.
Era una stanza sufficientemente grande, più del salone di casa mia, eppure mi pesava terribilmente venirci rinchiuso ogni volta.
Mi ero abituato alle mie scorribande notturne, assuefatto a i piacevoli incidenti che mi erano capitati, e devo dire che le donne di quella casa solleticavano parecchio la mia fantasia.
Una sera, dopo aver fatto mettere il piccolo a letto, Martina chiese a Sveta di chiudermi in soffitta come al solito.
Aveva, come spesso capitava, un calice di vino rosso tra le dita e se ne stava raggomitolata sul divano con un cardigan di lana addosso e la faccia imbronciata.
Io avevo provato giocare un po' con lei, a leccarle i piedi affusolati che sporgevano nudi da sotto un cuscino.
Di giocare lei non aveva voglia, praticamente mai, e quindi aveva colto la palla al balzo e si era liberata di me.
Mi faceva pena a volte, tanto la sua vita assomigliasse a quella Ged dentro quella gabbia dorata.
Sveta a confronto era messa molto meglio, lei ci lavora solo lì, in fondo.
La seguii ubbidiente su per le scale, soddisfatto di vedermela ancheggiare davanti.
Mi guidò nella stanza, poi si inginocchiò a farmi un po' di carezze.
Benchè delle volte, anche a causa della sua carnagione, dei lineamenti regolari, simmetrici al limite dell'umano, sembrasse quasi una statua di marmo, aveva un animo tenero e gentile quella ragazza.
Ringhiai allarmato quando sentii le sue dita infilarsi sotto il collare.
Vidi la sua paura, gli occhi spalancati.
Ora si che sembrava una statua.
Avevo ragionato in quei giorni, che l'unico modo per uscire da questa situazione fosse far tornare Ged dal veterinario e sperare che qualcuno riconoscesse il collare.
Per fare questo, l'unica strada sembrava quella dell'autolesionismo.
Dovevo farmi male, far male a Ged, tanto da necessitare cure mediche.
La cosa non mi garbava.
Mi dicevo perchè non volevo ci andasse di mezzo il povero cane, la verità era che ogni volta che provavo a procurarmi una ferita, desistevo, repulso dalla prospettiva di provare dolore io stesso.
In quel momento, con Sveta, mi venne in mente che forse c'era un altro modo...
Ringhiai una seconda volta.
Non ero abituato a farlo, ma l'aspetto e la mole di Ged, furono sufficienti a spaventare a morte la povera ragazza, che scattò all'indietro.
Balzai oltre di lei, anticipandola e chiudendo al porta col sedere.
Ringhiai ancora, abbassandomi sulle zampe.
Potevo leggere lo sconcerto sul suo viso.
Mi spiaceva spaventarla certo, eppure ero soddisfatto di riuscirci cosi bene e così facilmente.
"Geeed! Buono bello ..."
Il tono della sua voce era incerto, protese il palmo della mano abbassandosi sulle ginocchia.
Le saltai addosso.
Non avevo ancora riflettuto bene sulla cosa, ma la mole di Ged era veramente ragguardevole.
Probabilmente, anzi, certamente, quel cane sarebbe stato in grado di sopraffare pure me, fossi stato ancora nel mio corpo.
Essere Ged, dopotutto era un po' come essere un energumeno con un coltello alla cintola.
Intimidiva, l'avevo notato con gli ospiti che frequntavano la villa.
Solo la famiglia lo vedeva come un cucciolone buono e gentile.
Sveta era sotto di me, sopresa e atterrita.
Non si muoveva, a stento respirava.
Annusavo la sua paura, il sudore nervoso che cominciava a sgorgare dai pori.
La guardai incuriosito ruotando la testa.
Lo iterpretò come un segno che il gioco fosse finito e provò a liberarsi.
Ringhiai nuovamente, poi feci scattare le mascelle come per morderla, una finta ovviamente.
Ora era veramente terrorizzata.
Abbassai il muso, annusandola, poi leccandole la faccia, il collo.
Non aveva quasi trucco, ne profumo, altra prova della sua bellezza genuina.
Tremava.
Lasciai scivolare il suo collo da cigno dentro la mia bocca, ci stava tutto comodamente.
Sentivo la giugulare pulsare rapida sotto la lingua.
E' strano dirlo, ma quella sensazione di potere mi esaltava, mi eccitava.
Non avevo mai provato nulla del genere.
Sarebbe bastato poco, pochissimo ...
Ma che dico?
In fondo io non volevo far male a nessuno...
Mi ritrassi.
Lei sembrava ancora più pallida di come era di solito.
Mi resi conto di essermi realmente eccitato, sentivo la pesante erezione di Ged sporgere sotto la pancia.
Lei la notò con la coda dell'occhio, incapace di distogliere lo sguardo da quelle fauci che a momenti non le stavano per spezzare il collo.
D'un tratto sentii qualcosa sfiorarmi, un movimento sotto di me.
Delle dita, fredde, esitanti, toccarmi, carezzarmi la pancia.
Lo sguardo di Sveta era ancora fisso sulla mia bocca ansante.
Sentii la sua mano avvolgersi attorno al mio cazzo, era ghiacciata.
Rimasi immobile a guardarla.
Avevo capito cosa stava facendo, volevo che continuasse.
Ogni mio movimento o reazione avrebbe potuto farla desistere, quindi mi forzai a non fare nulla.
Prese a farmi una sega.
Rapida, sbrigativa.
Avrei voluto farla rallentare, non avevo idea di come dirglielo però.
Eppure avevo io il controllo, no?
Portai il muso sopra la sua faccia, fermando a pochi centimetri dalla sua bocca.
Si bloccò, in attesa della mia prossima mossa.
Leccai le sue labbra e il mento, poi mi ritrassi.
Una piccola smorfia, quasi una specie di amaro sorriso le si disegnò sul volto.
Guardò in basso, tra le mie gambe.
Sentii la sua mano staccarsi, cambiare verso di modo che la punta scorresse contro il suo polso, e poi riprendere la sega.
La lasciai fare senza più interferire.
Di tanto in tanto le leccavo la faccia il collo, cercando perfino di sbottonare i bottoni sul petto della sua maglietta.
Dalla sagoma, potevo chiaramente intuire che li sotto ci fosse un seno meraviglioso.
Considerai per un istante l'ipotesi di provare a strapparle la maglietta, ma rinunciai.
Aveva un sapore buonissimo la sua pelle, sentivo una punta di eccitazione mischiarsi alla paura a mano a mano che i minuti passavano.
Ero ancora io quello in controllo della siutazione?
Forse non più.
Ansimavo ritmicamente, grato del piacere che mi stessero concedendo quelle dita.
Poi finalmente venni.
Ged era un vero e proprio idrante scoprii.
L'abile mano di Seva lo munse instancabilmente, incurante dell'incolumità dei propri vestiti.
D'altra parte, era probabile che la ragazza ancora temesse per la sua di incolumità...
Lasciai la poveretta libera di tirarsi su dopo l'essesima leccata al suo bel viso impassibile.
Aveva tutta la maglia e jeans sporchi, perfino la mano ed il polso erano coperti di sperma canino.
La guardai ansante con la lingua di fuori, in attesa di una reazione, magari un sguardo incazzato o un urlo.
Quella invece raggiunse la porta con passo misurato, senza dire una parola e sopratutto senza guardarmi.
Poi la apri e uscì, richiudendosela alle spalle in tutta fretta.
Quando meno me lo aspettavo, una mattina fui caricato in macchina e portato dal veterinario.
Fù proprio Laura a farlo, la sentii parlare con il dottore, un uomo dal viso asciutto e dai capelli brizzolati, più o meno sulla cinquantina.
Lei cercò di fargli capire con dei complicati giri di parole quello che era successo qualche giorno prima nel bagno, ma in fondo si vergognava troppo.
Si rassegnò a mentire, raccontando che mi aggrappavo a tutto quello che trovavo, pure le gambe del tavolo, ed ero diventato imbarazzante da portare in giro.
Quello sorrise, il tipico sorriso di chi ti prende per scemo e vuole solo rabbonirti, quello che alla fine funziona sempre.
Si accordarono per il pacchetto completo, tolettatura e check-up, più una fantomatica "valutazione psicologica canina".
I soldi non erano certo un problema per Laura e fui lasciato lì.
Ricordo che stavo pensando al fatto che la cosa avesse il suo lato positivo, che mi ero adagiato troppo dopo quello che era successo con Michela, quasi non avessi urgenza di tornare nel mio corpo, quando fui lasciato solo.
Una scossa mi ci voleva.
Poi tutto divenne buio, improvvisamente, come se mi avessero drogato o dato una botta in testa, ma in modo ancora più istantaneo.
Mi risvegliai, intontito, indolenzito, strano...
C'era pochissima luce nella stanza, silenzio.
Mi sollevai sulle zampe, colto quasi subito da una fastidiosa sensazione di vertigine.
Dove erano tutti? Il veterinario, gli altri cani ... Ero forse stato già riportato a casa?
Notai un larga vetrata coperta da pesanti tende che occupava un'intera parete della stanza.
Quella non sembrava proprio casa mia.
Individuai una porta, si apriva dall'altro lato, quindi non potevo aprirla.
Mi avvicinai.
Il pomello però era insolitamente basso, o meglio la porta sembrava fatta per un bambino.
Provai ad addentarlo e tirare, sentivo il freddo metallo sotto i denti e la lingua.
Qualcosa scattò, e finalmente la porta si aprì.
Mi ritrovai su di un pianerottolo, di fronte a me due porte chiuse, a destra una scala di legno scendeva nel buio.
Tutto sembrava curiosamente piccolo.
Scesi con cautela, sentivo che qualcosa era fuori posto ma non capivo cosa.
Al piano di sotto trovai un'altra sequela di porte chiuse ed un'altra scala che scendeva.
Le tende, più leggere di quelle del piano superiore, lasciavano filtrare la luce dall'esterno.
Scesi ancora.
L'abiente era largo e spazioso, non ne riconoscevo l'odore.
Dalla larga vetrata in fondo le cui tende erano state lasciate aperte, la luce della luna piena rischiarava la stanza, gli arredi, lussuosi, eppure comicamente piccoli.
Fuori una piscina contornata da un giardino, sedie e un obrellone chiuso.
Passai distrattamente accanto ad un specchio.
Mi fermai, tornando sui miei passi.
Di fronte a me c'era sì un cane, ma di certo non era Nerone.
Per quanto non fossi un esperto di razze e quant'altro, e per quanto dal mio punto di vista i cani si somigliassero un po' tutti, oramai avevo preso una certa confidenza con l'aspetto del mio ospite.
Il cane che avevo davanti gli somigliava un pochino, ma era comunque diverso in qualcosa.
Relizzai che la prima importate differenza era la dimensione.
Già, non era la casa ad essere piccola, era il cane che era grande, grosso almeno il doppio di Nerone.
(Appresi solo molto tempo dopo, facendo ricerche sui i vari ospiti che avevo abitato, che il cane in questione era un Mastiff...)
Spaventato da questa scoperta, dopo un iniziale momento di panico, decisi di tornare a rifugiarmi al piano di sopra, nella stanza in cui ero stato lasciato, in attesa di scoprire chi fossero i padroni di questo cane e sopratutto dove diavolo fossi finito.
Martina e Alberto, questo il nome dei mie padroni.
A posteriori però, sarebbe stato quasi il caso di mettere Martina al mio stesso livello nella scala gerarchica della casa, perchè delle volte Alberto sembrava essere anche il suo di padrone.
Era un uomo più o meno della mia età, divorziato, risposato.
Un industriale, figlio di industriali.
Martina era la sua seconda moglie, il nuovo modello, appena uscito di fabbrica per rimpiazzare quello vecchio.
Non che Alberto fosse uno particolarmente stronzo o chissà che, ma era proprio evidente dalla loro dinamica di coppia, che lui la considerasse solo un'altra delle tante cose belle di cui circondava grazie ai suoi soldi.
E lei ad essere bella era bella.
Una bellezza di alto, altissimo livello, tanto che si sarebbe potuta guadagnare da vivere facendo la modella. Di intimo.
Chissà, magari l'aveva fatto anche, prima prima di sposarsi.
Almeno adesso a doverla veder sfilare era uno solo...
Avrà avuto venticinque, massimo ventotto anni, era difficile dirlo con precisione.
Il viso sembrava senza tempo, pareva giovane e matura al contempo.
Era bambina eppure donna, signora, non saprei dire se a causa di una magistrale chirurgia estetica o dei suoi stessi geni.
Bionda, (ma di certo i capelli erano tinti ...), magra, un seno irrazionalmente perfetto, un sedere, piccolo, sodo tanto da parer fatto di marmo; vederla girare per casa in vestaglia, mi faceva venir voglia di credere di nuovo in Dio...
Ero quasi certo di averla gia vista su qualche rivista patinata o in televisione, ma non mi riusciva di ricordare dove.
Per parte mia, potei constatare anche in quel breve periodo, la sua effettiva ossessione per lo scattarsi foto con il cellulare nelle pose più disparate.
Selfie, belfie e compagnia cantante, erano il suo pane quotidiano.
Alle faccende di casa pensava Sveta, la ragazza alla pari.
Chiaramente dall'accento e dall'aspetto, doveva provenire da qualche paese dell'est europa.
Non ci fosse stata Martina a prendersi il palco e tutti gli applausi, qualcuno avrebbe potuto anche notare che pure Sveta era una bellezza.
Alta quasi quanto Alberto pur indossando scarpe basse tutto il tempo, occhi che sembravano metallo liquido, la pelle chiara, pallida, come fosse appena uscita da un bagno nell'acqua ghiacciata, i capelli sempre raccolti.
Era chiaro, che avendo Martina per moglie, Alberto non necessitasse di una colf che fosse più di una semplice colf, non aveva quel tipo di atteggiamento con lei infatti.
Eppure, potendo scegliere, s'era voluto prendere quella più bella, cosi da poterla ostentare lei pure con gli ospiti.
Indendiamoci, Alberto non era un mostro, anzi si comportava come una persona squisita.
Gentile, garbato, non alzava la voce. Mai.
Rientrava piuttosto tardi, cenava con la moglie o da solo, e poi si chiudeva per qualche altra ora nel suo studio a lavorare ancora.
Per assurdo certe volte sembrava tiepido, quasi disinteressato a tutta la bellezza che gli girava per casa.
Un altra persona comlpetava la lista degli inquilini di quella villa.
Jermy, il figlio di Alberto.
Avrà avuto si è no quattro o cinque anni.
Martina e Sveta se lo scambiavano in modo tanto paritario, da farmi dubitare che potesse essere figlio della prima.
A guardarla d'altronde, non avrei mai detto che potesse aver già partorito.
Non potevo biasimarla tuttavia, perchè il bambino era davvero insopportabile.
Dovevo continuamente sostenere i suoi graffi, gli schiaffi le tirate di orecchie, senza che nessuno venisse a staccarmelo di dosso.
Più d'una volta mi domandai se il vero cane, Ged, questo era il nome dell'animale, al mio posto non avrebbe già da tempo sbranato quella piccola peste.
In quei giorni, mentre venivo seviziato dal rapollo di casa, feci una scoperta agghiacciante.
Era passato del tempo. Molto tempo ... troppo tempo, da quel giorno al veterinario.
La stagione era cambiata, tanto che Sveta faceva i preparativi con Jermy per Halloween.
Due mesi! Che era successo? Come ero finito lì?
La spiegazione che mi diedi, era che probabilmente il collare era stato tolto a Nerone durante i preparativi per la tolettatura.
Perchè poi, invece che tornare al suo di collo, fosse finito tempo dopo attorno a quello di quest'altro cane, era un vero è proprio mistero.
Quando appresi quest' infomazione, ebbi l'impulso di scappare, di correre fuori, saltare la recinzione e raggiungere casa.
Ged, con quel suo corpo grosso è muscoloso, probabilmente ne sarebbe stato in grado.
Ma poi? Quanto sarei riuscito ad andare avanti da solo? E come potevo rientrare in casa?
Ero disperato, realizzai di essere finito dalla padella alla brace.
A casa, tra l'altro, avevo lasciato una situazione a dir poco preoccupante.
Come stavano andando le cose tra Manetti e mia moglie Laura? Rabbrividivo all'idea che in questi due mesi fossero passati dalle parole ai fatti.
E Michela? Voi vi chiederete cosa c'entrasse mia figlia.
Beh, avevo riflettuto su quello che era successo fra noi, ed ero giunto alla conclusione, neanche troppo arguta, che quella sera lei aveva avuto il completo controllo della situazione.
Per quanto volessi darmi tutta la colpa dell'accaduto (che era comunque maggiore della sua, visto che io almeno sapevo chi avevo di fronte...), mi era chiaro il fatto che non sarei mai riuscito a fare sesso con lei in quel modo se anche lei non l'avesse desiderato, quello che era capitato con Laura ne era la prova lampante.
Era stata sicura quella sera, sfrontata quasi, nell'offrirsi al suo cane.
Ed anche la volta prima, quando l'avevo sopresa a masturbarsi, non era stata poi così sconvolta dalla mia intrusione.
S'era fatta largo in me quindi l'ipotesi, non confermata per ora dai fatti, che già da prima che prendessi possesso del corpo di Nerone, Michela avesse preso l'abitudine di fare giochi inappropriati con il suo cane.
Ora, dopo essersi spinta fino a farci sesso, non potevo evitare di immaginarla tentare di ripetere la cosa.
Era paradossale, grottesco lo so, ma oltre ad essere geloso di quello che poteva succedere tra mia moglie e il mio tirocinante, ero quindi pure geloso di mia figlia e del mio cane.
Più geloso anzi.
Con questa disposizione d'animo trascorsi i giorni seguenti.
La sera venivo sempre chiuso nella mia stanza nella mansarda.
Era una stanza sufficientemente grande, più del salone di casa mia, eppure mi pesava terribilmente venirci rinchiuso ogni volta.
Mi ero abituato alle mie scorribande notturne, assuefatto a i piacevoli incidenti che mi erano capitati, e devo dire che le donne di quella casa solleticavano parecchio la mia fantasia.
Una sera, dopo aver fatto mettere il piccolo a letto, Martina chiese a Sveta di chiudermi in soffitta come al solito.
Aveva, come spesso capitava, un calice di vino rosso tra le dita e se ne stava raggomitolata sul divano con un cardigan di lana addosso e la faccia imbronciata.
Io avevo provato giocare un po' con lei, a leccarle i piedi affusolati che sporgevano nudi da sotto un cuscino.
Di giocare lei non aveva voglia, praticamente mai, e quindi aveva colto la palla al balzo e si era liberata di me.
Mi faceva pena a volte, tanto la sua vita assomigliasse a quella Ged dentro quella gabbia dorata.
Sveta a confronto era messa molto meglio, lei ci lavora solo lì, in fondo.
La seguii ubbidiente su per le scale, soddisfatto di vedermela ancheggiare davanti.
Mi guidò nella stanza, poi si inginocchiò a farmi un po' di carezze.
Benchè delle volte, anche a causa della sua carnagione, dei lineamenti regolari, simmetrici al limite dell'umano, sembrasse quasi una statua di marmo, aveva un animo tenero e gentile quella ragazza.
Ringhiai allarmato quando sentii le sue dita infilarsi sotto il collare.
Vidi la sua paura, gli occhi spalancati.
Ora si che sembrava una statua.
Avevo ragionato in quei giorni, che l'unico modo per uscire da questa situazione fosse far tornare Ged dal veterinario e sperare che qualcuno riconoscesse il collare.
Per fare questo, l'unica strada sembrava quella dell'autolesionismo.
Dovevo farmi male, far male a Ged, tanto da necessitare cure mediche.
La cosa non mi garbava.
Mi dicevo perchè non volevo ci andasse di mezzo il povero cane, la verità era che ogni volta che provavo a procurarmi una ferita, desistevo, repulso dalla prospettiva di provare dolore io stesso.
In quel momento, con Sveta, mi venne in mente che forse c'era un altro modo...
Ringhiai una seconda volta.
Non ero abituato a farlo, ma l'aspetto e la mole di Ged, furono sufficienti a spaventare a morte la povera ragazza, che scattò all'indietro.
Balzai oltre di lei, anticipandola e chiudendo al porta col sedere.
Ringhiai ancora, abbassandomi sulle zampe.
Potevo leggere lo sconcerto sul suo viso.
Mi spiaceva spaventarla certo, eppure ero soddisfatto di riuscirci cosi bene e così facilmente.
"Geeed! Buono bello ..."
Il tono della sua voce era incerto, protese il palmo della mano abbassandosi sulle ginocchia.
Le saltai addosso.
Non avevo ancora riflettuto bene sulla cosa, ma la mole di Ged era veramente ragguardevole.
Probabilmente, anzi, certamente, quel cane sarebbe stato in grado di sopraffare pure me, fossi stato ancora nel mio corpo.
Essere Ged, dopotutto era un po' come essere un energumeno con un coltello alla cintola.
Intimidiva, l'avevo notato con gli ospiti che frequntavano la villa.
Solo la famiglia lo vedeva come un cucciolone buono e gentile.
Sveta era sotto di me, sopresa e atterrita.
Non si muoveva, a stento respirava.
Annusavo la sua paura, il sudore nervoso che cominciava a sgorgare dai pori.
La guardai incuriosito ruotando la testa.
Lo iterpretò come un segno che il gioco fosse finito e provò a liberarsi.
Ringhiai nuovamente, poi feci scattare le mascelle come per morderla, una finta ovviamente.
Ora era veramente terrorizzata.
Abbassai il muso, annusandola, poi leccandole la faccia, il collo.
Non aveva quasi trucco, ne profumo, altra prova della sua bellezza genuina.
Tremava.
Lasciai scivolare il suo collo da cigno dentro la mia bocca, ci stava tutto comodamente.
Sentivo la giugulare pulsare rapida sotto la lingua.
E' strano dirlo, ma quella sensazione di potere mi esaltava, mi eccitava.
Non avevo mai provato nulla del genere.
Sarebbe bastato poco, pochissimo ...
Ma che dico?
In fondo io non volevo far male a nessuno...
Mi ritrassi.
Lei sembrava ancora più pallida di come era di solito.
Mi resi conto di essermi realmente eccitato, sentivo la pesante erezione di Ged sporgere sotto la pancia.
Lei la notò con la coda dell'occhio, incapace di distogliere lo sguardo da quelle fauci che a momenti non le stavano per spezzare il collo.
D'un tratto sentii qualcosa sfiorarmi, un movimento sotto di me.
Delle dita, fredde, esitanti, toccarmi, carezzarmi la pancia.
Lo sguardo di Sveta era ancora fisso sulla mia bocca ansante.
Sentii la sua mano avvolgersi attorno al mio cazzo, era ghiacciata.
Rimasi immobile a guardarla.
Avevo capito cosa stava facendo, volevo che continuasse.
Ogni mio movimento o reazione avrebbe potuto farla desistere, quindi mi forzai a non fare nulla.
Prese a farmi una sega.
Rapida, sbrigativa.
Avrei voluto farla rallentare, non avevo idea di come dirglielo però.
Eppure avevo io il controllo, no?
Portai il muso sopra la sua faccia, fermando a pochi centimetri dalla sua bocca.
Si bloccò, in attesa della mia prossima mossa.
Leccai le sue labbra e il mento, poi mi ritrassi.
Una piccola smorfia, quasi una specie di amaro sorriso le si disegnò sul volto.
Guardò in basso, tra le mie gambe.
Sentii la sua mano staccarsi, cambiare verso di modo che la punta scorresse contro il suo polso, e poi riprendere la sega.
La lasciai fare senza più interferire.
Di tanto in tanto le leccavo la faccia il collo, cercando perfino di sbottonare i bottoni sul petto della sua maglietta.
Dalla sagoma, potevo chiaramente intuire che li sotto ci fosse un seno meraviglioso.
Considerai per un istante l'ipotesi di provare a strapparle la maglietta, ma rinunciai.
Aveva un sapore buonissimo la sua pelle, sentivo una punta di eccitazione mischiarsi alla paura a mano a mano che i minuti passavano.
Ero ancora io quello in controllo della siutazione?
Forse non più.
Ansimavo ritmicamente, grato del piacere che mi stessero concedendo quelle dita.
Poi finalmente venni.
Ged era un vero e proprio idrante scoprii.
L'abile mano di Seva lo munse instancabilmente, incurante dell'incolumità dei propri vestiti.
D'altra parte, era probabile che la ragazza ancora temesse per la sua di incolumità...
Lasciai la poveretta libera di tirarsi su dopo l'essesima leccata al suo bel viso impassibile.
Aveva tutta la maglia e jeans sporchi, perfino la mano ed il polso erano coperti di sperma canino.
La guardai ansante con la lingua di fuori, in attesa di una reazione, magari un sguardo incazzato o un urlo.
Quella invece raggiunse la porta con passo misurato, senza dire una parola e sopratutto senza guardarmi.
Poi la apri e uscì, richiudendosela alle spalle in tutta fretta.
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