Lost in space (La legge dell'ultimo rimasto)

di
genere
fantascienza

Mi mancavano le stelle.
Risaliva a 6 anni prima l'ultimo viaggio ma sapevo che prima o poi le avrei riviste da vicino. Quando sei lassù ti senti unico, ti senti il padrone del mondo, sembra che tutto sia tutto tuo, sembra che ogni cosa sia a posto. Ma bisogna provare per credere.
Non sono sensazioni descrivibili.
Venni scelto per la missione Aurora. Aurora era un piccolo pianeta scoperto nell'ultimo decennio. Fu trovato per caso perchè la sua orbita collimava con quella di Caronte, il satellite di Plutone. Soltanto una fortuita e insolita posizione degli astri permise il suo riconoscimento.
Dalle rilevazioni sembrava molto simile alla terra ma la cosa che importava di più alla compagnia è che sembrava fosse ricco di giacimenti di robasio, un minerale che fu scoperto all'inizio dell'anno 2300. L'unico minerale in grado di produrra una grande quantità di energia pulita,non radioattiva. Ormai le risorse energetiche del pianeta terra erano sull'orlo del collasso. La missione sarebbe durata tre anni, due e mezzo dei quali io e il secondo astronauta avremmo passato nell'ipersonno. La missione consisteva nel raccogliere la più possinile quantità del minerale e riportarlo a casa.
Era il 28 febbraio dell'anno 2340.
La capsula criogenica stava sollevando il suo coperchio pressurizzato. Erano passati 540 giorni circa dalla partenza. Dopo un periodo di sonno così lungo anche la luce più flebile sarebbe parsa accecante. Aprii gli occhi gradatamente. Ci misi un pò prima di riuscire a mettere a fuoco, prima di
riuscire a ragionare, prima di prendere coscienza di dove fossi, prima si riuscire a muovere gli arti quasi fossilizzati dal lungo sonno.
Alla mia sinistra notai Michael che aveva appena aperto gli occhi. "Jonathan ci sei?" balbettò.
"Ci sono. Tutto ok?". "Mi sento come se mi avesse colpito una bomba ma per farti contento ti rispondo tutto ok!". Si girò molto lentamente verso di me e fece un accenno di sorriso.
"Buongiorno ragazzi!". Non era un granchè la voce di Father, il computer di bordo che gestiva la missione. Ma ci fece comunque piacere sentirla. Arrivò anche Tommy, un piccolo robot a cui erano date varie mansioni. "State bene piccoli?". Era simpatico, ci chiamava piccoli, come se lui invece fosse stato grande, gli avevano anche dato una voce da bambino.
"Dopo questa punturina tornerete in forma al 100%."
Dopo l'iniezione continuava a stare lì davanti a noi per monitorare che tutto procedesse secondo le regole. Io e Michael piano piano riprendemmo le forze e riuscimmo ad alzarci dalle capsule. Finalmente eravamo in piedi, anche se un pò barcollanti. "Non mi avete salutato" disse Father. "Scusaci ma eravamo mezzi rimbecilliti. Ora va molto meglio. Comunque buongiorno a te" gli dissi. "Avete freddo?" chiese Tommy. "Io no" replico' Michael. "Quanti gradi ci sono?" chiesi io. "26" fece Tommy. "Non ho freddo" gli dissi. "Beh dovrete comunque vestirvi, messi così siete indecenti. Vi porto le tute". Io e Michael ci guardammo, senza imbarazzo ma eravamo completamente nudi. "Pensa per te!" disse Michael a Tommy, "sei nudo pure tu". Tommy girandosi ribattè: "Io però non sono indecente, sono solo un piccolo robottino di latta". Sorridemmo per la sua battuta. Ci rivestimmo e ci dirigemmo alla sala ristoro. Cosa c'è di meglio che un buon caffè dopo una dormita di centinaia di giorni? "Va meglio?" mi chiese Michael. "Si, ancora un pò mezzo rincoglionito ma sto progredendo ogni minuto che passa". Stava sorseggiando il caffè e aveva lo sguardo nel vuoto: "La prima cosa che ho pensato quando ho aperto gli occhi è stata Helen".
"Beh ti posso capire..." feci io.
"Tu hai la ragazza?" mi chiese. Risposi di no.
"Forse è un bene -disse lui- non hai nessuno a cui manchi e nessuno che manca a te". Dopo colazione facemmo un giro di perlustrazione nella nave. Ci rendemmo conto della sua grande tecnologia, dell'affascinante avanguardia e della sua enormità. Ci chiedemmo perchè la flotta dell'equipaggio fosse formata solo da noi due. Solo 2 membri. Pensavamo che la compagnia avesse voluto risparmiare. Ma non era così. Lo scoprimmo più avanti decifrando dei messaggi cifrati nel computer di volo. Solo 2 membri perchè nel caso qualcosa fosse andato storto sarebbe stato minore il numero delle perdite umane. L'astronave era stata progettata per ospitare 20 persone.
Nè io nè Michael commentammo mai quella cosa. La buttammo giù come un boccone amaro senza farne parola, forse solo per evitare di spaventarci a vicenda.
Comunque, giorno dopo giorno ci stavamo abituando a quella nuova vita. La convivenza con noi due, con Tommy, con Father. Ci consolavamo pensando che sarebbe durata solo qualche mese poi il viaggio di ritorno a casa. Poi ci avevano dotato di ogni confort. C'era la palestra, c'era la piscina, la sala cinema, gli alloggi attrezzati con comodissimi letti. C'era la sala ristoro arredata come un vero ristorante. Tutto era stato adubito per mettere a proprio agio gli abitanti di quella nave.
Eravamo a pranzo. Pollo arrosto e patate fritte.
"E' buonissima questa roba!" disse Michael,
"Si -replicai-ma lo sai di cosa e fatta vero?".
"Perchè devi sempre rovinare tutto? Si lo so che è roba artificiale. Materiale sintetico combinato biochimicamente con microelementi liofilizzati, ma sembra pollo e queste sembrano patate, è l'aspetto che conta, non la sostanza, non credi?" Non sempre è così ma in questo caso hai ragione". "Hanno fatto passi da giganti però i terrestri se pensi che una volta gli astronauti mangiavano pastiglie e tubetti di omogeneizzati concentrati, bah che schifo...".
"Pensa Michael abbiamo una stiva di vivande che puo' durare all'infinito, il processo di sintesi del cibo non non si esaurisce mai. Potremmo vivere nello spazio per decine e decine di anni"...Michael replicò:
"Già ma io tra un anno e mezzo sarò di nuovo a casa invece e mangerò cose vere, non questa merda sintetica" lo disse serio aggiungendo "bah, mi è passata la fame...".
Un giorno, mentre stavo guardando sullo schermo megacinema "Per un pugno di dollari" arrivo' Michael. Non era trafelato, ma nascondeva di esserlo. "Stavo facendo un pò di corsa per tenermi in allenamento ma ho notato un'anomalia nella sezione refrigeranti".
"Perchè?" gli chiesi. "La porta di ingresso è bloccata. Guardando dal vetro si vede del gran fumo azzurro. Non ci dovrebbe essere".
"Infatti" replicai.
Mi alzai dirigendomi verso il computer. "Father! Porta bloccata alla sezione refrigeranti e fumo azzurro nella camera di decompressione. Che sai dirmi?". "Non rilevo alcuna anomalia Jonathan!". "Non sei molto d'aiuto. Monitorizza la sala di refrigerazione ti prego e dicci cosa c'è che non va!". "Ti accontento Jonathan aspetta solo un attimo". Dopo un minuto parlò ancora: "Avevi ragione Jonathan. Non capisco perchè non mi sia arrivata questa informazione. E' esplosa una delle camere di pressurizzazione del refrigerante. Il fumo azzurro che si vede è dovuto a quello".
"Perchè è successo?". Father non rispose. Lo urlai:
"Perchè è successo??".
"Scusami Jonathan stavo pensando cosa risponderti. Vedi, tutta questa astronave è stata fatta con materiali di recupero. Hanno voluto risparmiare un bel pò quelli della compagnia. E' già molto che a più di meta' del viaggio questa baracca stia ancora continuando imperterrita verso la meta...Ahahahah".
"Non ti ho chiesto di esternare il tuo sarcasmo" gli dissi. "Scusami Jonathan, mi è venuto spontaneo".
"Dammi una stima dei danni e le consenguenze per la sicurezza per l'esplosione della camera di pressurizzazione!". Father si mise a elaborare e dopo 20 secondi diede la sua risposta. Era brusca, secca, senza più briciole di ironia. "Il gas pressurizzato è altamente corrosivo. Tempo 24 ore e intaccherà gli involucri delle altre camere stagne. Le altre 4 camere di contenimento salteranno. Passate le 24 ore l'intero sistema resterà senza refrigerazione. La temperatura interna dell'astronave raggiungerà picchi elevatissimi per la sopravvivenza umana. Dopo 48 ore il calore raggiungerà i reattori principali e questi esploderanno e con loro tutta l'astronave! Mi spiace Jonathan, mi spiace Michael!". "MI DISPIACE?? -esplose Michael - Quello che sai dire è solo mi dispiace??? Perchè non metti in moto invece i tuoi bulloni e i tuoi circuiti integrati e ci proponi un'alternativa al finire arrostiti su questa astronave di merda??"
"Grazie Michael per avermi ricordato che sono fatto di metallo e silicio, ma non c'era bisogno lo sapevo già! Datemi un'ora per elaborare i dati. Vediamo cosa si può fare". Father spense lo schermo come ogni volta che finiva di parlare e si mise al lavoro. Michael si era seduto con la testa tra le mani. Non capivo bene se i singhiozzii che faceva stessero a indicare riso o pianto. Ma poi lo compresi, era una sorta di risata che sconfinava nel pianto. Mi guardò con quegli occhi enormi allucinati pieni di lacrime dicendomi: "Non dovranno neanche pagarci. Neanche a Helen daranno nulla. Non siamo ancora sposati. E non le diranno neanche nulla magari. Lo imparerà dai telegiornali che questa merda di astronave è esplosa nello spazio a un tiro di schioppo da Plutone. Perchè?? Perchè non c'è mai un cazzo che funziona? Perchè le cose devono sempre finire così??". Lo alzai da quella sedia e lo abbracciai stringendolo piu' che potevo. Senza guardarlo in faccia, non doveva accorgersi che mi ero messo a piangere anch'io.
"Coraggio Michael, non è ancora detta l'ultima parola. Aspettiamo prima cosa ci dice Father. Poi tireremo le somme". "Nell'abbraccio avevo le mie labbra sul suo collo e anche se appena accennato, praticamente insensibile, ci scappò involontariamente un bacio. Lui era troppo alterato, non se ne sarebbe mai accorto. Era bello Michael, una bellezza semplice, non esagerata. Ma non me ne ero accorto a terra durante l'addestramento. Non ci feci caso anche per questione di rispetto sapendo che era felicemente fidanzato con Helen, una bellisima ragazza che avrebbe dovuto sposare al ritorno dalla missione.
Father ci chiamo' a rapporto: "Ho esaminato la situazione ragazzi. C'è una soluzione probabilmente.
"Che significa probabilmente? O si o no!".
"Si, l'idea sarebbe di far espellere il gas dalla valvola di scarico. Ma..." "Ma?" "la valvola di scarico è stata corrosa dai gas e si è bloccata. Bisogna che uno entri nella camera di refrigerazione e faccia saltare la valvola manualmente!".
"Ma la tuta pressurizzata reggerà?" chiesi.
"E' stata costruita con un materiale speciale. Resisterà ma non piu' di 5 minuti. Dopodiche il gas comincerà a intaccare le fibre di cui è costituta e passerà all'interno. Se passa all'interno tempo un minuto e il corpo si dissolverà". "Fantastico, veramente un'ottima soluzione. E se mandassimo Tommy??" chiese Michael. "Tommy non ha una tuta spaziale adatta alla sua forma. Verrebbe disintegrato nel giro di due minuti". "Beh sarebbe stato troppo facile..." "Ok vado io" Disse Michael. "No sarò io a entrare la' dentro!" replicai. "Andai di corsa a prelevare la tuta pressurizzata, non c'era un attimo da perdere. Michael mi seguiva. "Sei sicuro che vuoi entrare là?". "Non voglio restare da solo su questa carretta spaziale!" "Non resterai da solo, te lo prometto, andra' tutto bene". La tuta era indossata, ero pronto.
"Michael devi chiudere ermeticamente gli scomparti adiacenti alla camera di refrigerazione. Quando forzero' la porta uscira' una piccola parte del gas ma sarà minima, la faremo poi proiettare all'esterno dalle ventole di aspirazione"."Ok mi disse. Buona fortuna". Notai che aveva gli occhi lucidi. Lo lasciai dietro la porta da ermetizzare. Arrivai davanti allo sportello della camera di refrigerazione.
"Ti guiderò io passo passo fino alla valvola di scarico una volta che sei entrato" disse Father. Presi la pistola al laser di litio e la puntai sulla
serratura dello sportellone. Lo aprii e una nuvola di gas bluastro uscì immediatamente, entrai e richiusi velocemente la porta. "Father, non si vede quasi niente qui dentro, questo fumo mi impedisce la visuale!". "Non preoccuparti Jonathan, con le mie istruzioni potrai andare avanti alla cieca. Ora vai dritto, fai dieci passi poi gira a destra. Poi gira ancora a sinistra, ti troverai uno stretto corridoio leggermente ventilato, qui il gas sara' piu' rarefatto". "Si è vero, qui si vede già di più!".
"Fermati a un metro prima della fine del corridoio e guarda sulla tua destra. Vedrai un piccolo oblò tondo, rosso, quella è la valvola di scarico". "Ci sono arrivato ma non è rosso, è nero!". "Sono gli effetti della corrosione, ma è quello. Ora applicaci sopra il detonatore e fai partire il timer. Poi puoi tornare allo sportello di uscita". "Quanto tempo ho?". "Ancora un minuto, ce la farai". Accesi il timer e tornai indietro più veloce che potevo. Riaprii il portellone a forza e uscii. "Sigilla la porta col laser". Lo feci poi avvertii uno scoppio e guardai dal vetro. Il fumo azzurro stava velocemente scomparendo risucchiato nello spazio. Ce l'avevo fatta ed ero ancora vivo! Father parlò ancora: "Ora azionero' la pioggia artificiale. Ho aggiunto una forte contrazione basica. Questa neutralizzerà i residui del gas che hai sulla tuta". E piovve dai piccoli idranti posizionati sul soffitto di metallo.
E mentre pioveva la soluzione basica reagiva coi resti del gas generando un vapore che si alzava dalla tuta. Dopo 5 minuti gli idranti si chiusero. Il gas era stato neutralizzato del tutto. Mi recai nel reparto adiacente dove Michael mi stava aspettando. Era commosso, si vedeva. Mi aiutò velocemente a liberarmi dalla tuta ormai quasi inutilizzabile, l'acido l'aveva danneggiata notevolmente. Una volta fuori Michael mi abbraccio' forte e mi sussurrò "Grazie". Nel forte abbraccio avevo le sue labbra sul mio collo. Ebbi come l'impressione mi avesse dato un bacio, come me quella volta. Ma forse fu solo un'allucinazione. "Sei stato molto bravo Jonathan, complimenti" fu il commento di Father.
Anche Tommy parlò muovendo le sue simpatiche telecamere fatte a forma di occhio. "Davvero molto bravo", disse con la sua tenera voce da bambino.
Dopo quell'episodio Michael diventò sempre più premuroso nei miei confronti e anch'io nei suoi. Sapevamo di poter contare solo uno nell'altro e cercavamo di passare insieme il maggior tempo possibile. Decidemmo per cui di dormire anche insieme. C'era un enorme letto matrimoniale nella sala grande e quello diventò il nostro giaciglio. Perchè non perdessimo mai l'unico contatto che ormai avevamo a disposizione. Il contatto umano.
Un giorno, dopo aver fatto dei calcoli su quanto sarebbe durata esattamente la missione recupero minerale tornai in camera. Michael era sul letto e stava guardando un video. Quando si accorse della mia presenza lo spense. "Perchè hai spento?" - gli chiesi- "scommetto che era un video porno...Poi cosa ci fai con la mano dentro i pantaloni?" E gli feci un sorrisetto molto ironico.
"Stavo toccandomi ok? Tanto...prima che lo rifaccia ancora con Helen...Se mai lo rifaro' ancora con Helen..." "Beh se vuoi una mano non ha che da chiedermi..." replicai per stuzzicarlo. Mi rispose:
"Lascia stare, non provocarmi, so cavarmela benissimo da solo". "Beh è passato tanto di quel tempo che magari non ti ricordi neanche come si fa...". Mi sono dimenticato tante cose ma questa no, te lo garantisco! Grazie dell'aiuto comunque". Avevo capito che voleva restare da solo e per non violare la sua privacy me ne andai. Pero' anch'io c'avevo una voglia e quanto gliela avrei fatta io la sega a Michael. Ma spensi i pensieri cattivi e andai a fare una bella doccia. Con acqua riciclata, con acqua sintetica ma era sempre un'emozione di grandissima intensità. Mentre mi sciacquavo la mano cadde lì e cominciò a muoversi dapprima per gioco poi con più dedizione, sempre più incessantemente. Era più di un anno che non lo facevo. Quando venni mi uscì un urlo liberatorio insieme ad una grande quantita' di sperma. Pensai a Michael in quel momento, anche perchè non avevo altri a cui pensare. Poi quando tutto si era pianificato a livello ormonale la mia coscienza mi disse che non avrei mai dovuto sfiorarlo. Eravamo solo colleghi, compagni di volo, di missione, di lavoro e nulla avrebbe mai dovuto nascere tra noi.
I giorni passavano, mentre Aurora si stava avvicinando, l'idea di approdare su un nuovo pianeta tutto sommato ci entusiasmava. Sollevammo
il pannello che richiudeva la cupola che dava sullo spazio esterno. Contemplammo lo scenario. Ormai eravamo vicini a Plutone, il pianeta nano fatto solo di metano ghiacciato, non molto bello a vedersi ma affascinate. Più in là Caronte, una delle sue lune, Avevano la stessa rotazione Plutone e Caronte per cui volgevano sempre la stessa faccia verso se stessi. Il sole visto da lì era solo un piccolissimo puntino,
molto più piccolo della nostra luna ma molto più luminoso. "Quel piccolo astro oltre Caronte deve essere Aurora, brilla di luce azzurra, forse c'è davvero un'atmosfera" osservò Michael. "Magari c'è anche vegetazione, magari è anche abitato da vite intelligenti, magari troviamo qualche bella figa aliena..." dissi io. Michael rise ma solo per un'istante, magari il suo pensiero torno' subito a Helen, non smetteva mai di pensare a lei.
Ogni giorno dovevamo fare accurati controlli tecnici ma avevamo anche molto tempo libero. "Dobbiamo trovare altri sport, sono stanco di giocare a tennis! ti piace lotta?" -disse Michael- E' sempre stata una mia passione". "Se mi fai vincere potrebbe anche piacermi ma se devo perdere io..." replicai. "Dai, andiamo in palestra, ti stendo a tappeto, sono sicuro!". E rideva di gusto mentre ci stavamo dirigendo. Faceva caldo, restammo solo con dei calzoncini corti. Ho sempre odiato fare la letta ma avevo accettato perchè gradivo il contatto con la sua pelle. Salimmo sulla pedana e cominciammo la contesa. Cercavamo di buttarci giù con le morse più complicate, più astute, più strette ma non volevamo farci del male, per cui calcolavamo bene ogni movimento. Io gioivo per il contatto dei corpi quasi nudi, sudati. Ci atterrammo vicendevolmente svariate volte, poi ci rialzavamo. L'ultimo che rimase a terra fu Michael. Mi guardava dal basso verso l'alto sorridendo e ansimando per la fatica. "Ok, hai vinto, -disse- mai mettersi contro chi è più forte". Gli diedi la mano per aiutarlo a rialzarsi sorridendo a mia volta: "Dai andiamo a fare una bella doccia che è meglio".
Alla sera ci buttammo sul letto, eravamo ancora stremati per l'estenuante fatica. Il letto era grande ma avevo come l'impressione che volesse starmi il più vicino possibile. Mi girai verso di lui. Mi stava guardando. "Jonathan, secondo te, in casi eccezionali, in casi particolari, in situazioni anomale qualcuno potrebbe provare pulsione per qualcuno dello stesso sesso?". La domada mi stupì ma cercai di rispondere quasi con distacco "Certo, non ci trovo niente di strano. E' la legge dell'ultimo rimasto" risposi. "E sarebbe?" chiese. "Quando salta la luce accendi la candela...tutto chiaro adesso?" "Si, ho capito quello che vuoi dire..." rispose. Aspettavo la sua prossima frase, con ansia, con trepidazione, ma fingevo indifferenza. Venne ancora più vicino e parlò quasi sussurrando:
"Jonathan, credo di essermi innamorato, va bene? Senza sapere neanche di quale sponda tu sia. Forse queste cose emergono solo in certe situazioni. Forse lo sono dalla nascita e magari prima o poi sarebbe venuto fuori. Magari dopo che mi ero sposato con Helen. Bella figura ci avrei fatto!". "Lascia stare queste congetture Michael. Dimostrami invece quello che hai appena detto!". Mi prese violentemente tra le mani la testa e me la avvicinò a sè. Le labbra si unirono
appasionatamente, selvaggiamente, sguaiatamente, le mani premevano reciprocamente le teste per attaccare la bocca il più possibile. E non ci chiedemmo se era giusto, se era lecito, se era concesso, ma era stato spontaneo e questo, solo questo importava. E non so ancora quale di noi due desiderasse maggiormente quel bacio, forse entrambi, all'unisono. E fu come respirare ossigeno dopo una lunga apnea, fu come
bere dopo una camminata di giorni in un assolato deserto, fu come avere la terra sotto i piedi dopo avere vagato infinito tempo nell'aria.
Se non ci avesse interrotto Tommy avremmo continuato forse per tutto il resto del tempo. Entrò emulando un finto colpo di tosse.
"Che c'è Tommy?" gli chiesi. "Father mi ha incaricato di ricordarvi di andare a controllare la serra. Lui da solo non riesce a monitorare tutte le piante...".
"Ok sara' fatto Tommy!". Uscì dalla stanza salutandoci con un sarcastico "Buon proseguimento".
"Sembra stupido quel robot -disse Michael- ma non lo è". "Già...non lo è per niente" replicai. Il bacio era stato interrotto e in quel momento non avevamo voglia di continuare quell'azione. Ma Michael mi accarezzava ancora il viso e io lo ricambiavo, occhi negli occhi, sorriso sul sorriso. Non ci dicemmo niente. Ci abbracciammo e restammo in quella posizione svariati minuti. Mentre gli sfioravo il viso mi chiedevo come poteva essere successo, quale sottile meccanismo avesse messo in moto una sua pulsione nei miei confronti. Forse la disperazione, la paura, l'incidente al raffreddamento, la scoperta che l'astronave era costruita con materiali di recupero. O forse solo la voglia di abbracciare qualcuno, di baciare qualcuno, con passione, la voglia di umano o forse davvero per la legge dell'ultimo rimasto. Quel bacio mi aveva trasmesso amore, l'amore per il mio compagno di volo che probabilmente era sempre stato latente dentro me.
Ma ancora non avevo realizzato quel che mi aveva detto, non avevo ancora compreso l'importanza di quelle parole in quel suo "Mi sono innamorato". E di
questo ne avrei parlato con lui più avanti per dimostrargli che il sentimento che era scaturito era
per me più importante di ogni altra cosa.
Ci alzammo e andammo a controllare la serra come richiesto.
Non ci eravamo ancora entrati dopo il nostro risveglio, l'avevamo visitata soltanto prima della partenza. Che meraviglia. Sembrava una foresta,
le più svariate forme vegetative, piante con i frutti, ortaggi, c'era di tutto. E che profumo di verde, di clorofilla, di cose vive e vere. Dopo aver
monitorato che la regolazione della temperatura e gli innaffiamenti automatici fossero calibrati, raccogliemmo insalata, peperoni, fragole, e delle mele. Avremmo mangiato finalmente un prodotto offerto dalla natura. Non le solite pietanze costruite in provetta da un elaboratore biochimico.
A cena eravamo euforici, non parlavamo. Buttavamo giù con gusto i prodotti del nostro raccolto. Peccato non averlo saputo prima che la serra offriva così tante prelibatezze. Arrivò Tommy. "Father vi invita a rapporto ragazzi, subito". Ci guardammo seccati chiedendoci cosa avesse avuto Father di così importante da dirci urgentemente. Ci recammo da lui e Father parlò: "Ragazzi...mi risulta che abbiate peccato. "Cosa?? -replicai- ti hanno programmato insegnandoti i peccati? Bella questa, proprio bella!". "Sapete che l'omosessualità non è ammessa tra i membri dell'equipaggio?". "Si lo sappiamo, siamo stati programmati anche noi se è per questo. Ma ti volevo ricordare, tanto per rinfrescarti la memoria che noi siamo molto di più che membri di un eqipaggio. Siamo due persone, due uomini e agli uomini è concesso sbagliare e non siamo affatto pentiti di questo sbaglio, ammesso che questo sia uno sbaglio! Hai capito Father!?" replicò irretito Michael. " Vi ho solo ricordato che avete peccato -replicò- Father, fate voi le vostre considerazioni. Non posso sostituirmi alla vostra coscienza!". "Tu ce l'hai una coscienza vero? -replicai io- Peccato sia artificiale, peccato non sia tua, ma sia solo quello che ci hanno messo dentro gli uomini! Comunque sei avvisato Father: facci solo un'altra osservazione di questo tipo e ti disattiviamo, lo giuro!". "Non potete disattivarmi. Sono io che ho tutti i controlli dell'astronave".
"Allora spegneremo quella parte della tua coscienza, anzi della tua FALSA coscienza" aggiunsi. "Perdonalo Jonathan, riferisce solo quello che gli hanno insegnato. Non puoi condannarlo". "Non importa, ma a me non è mai stato simpatico, la voce che ha, le cose che dice, lo trovo anche cinico, gli avranno insegnato anche quello".
Quell'episodio non fece calare quello che si era creato tra me e Michael. Il desiderio semmai si era ingigantito. Ogni notte, prima di addormentarci
ci baciavamo per un lungo lasso di tempo e l'emozione che provavamo, dentro, era talmente magnifica che potevamo tenerla solo per noi.
Giorno dopo giorno ci stavamo avvicinando sempre di più ad Aurora. Erano sempre più assidui i nostri controlli affinchè tutto andasse nel migliore dei modi. Se l'aria fosse stata respirabile saremmo atterrati anche io e Michel, in caso contrario avremmo fatto scendere un modulo di ancoraggio che pilotato dall'astronave madre avrebbe fatto le rilevazioni e gli scavi per riportare a bordo il minerale che avrebbe permesso al pianeta terra di rigenerarsi.
Mancavano ancora alcune settimane di viaggio. Un rumore assordante ci sveglio' verso le 4. Il pavimento sussulatava, si sentivano le lamiere stridere. Si aggiunse la sirena di allarme, intermittente, lancinante, spaventosa. Arrivò Tommy tutto alterato:
"Ragazzi, Father vi vuole a rapporto, subito!". Ci rivestimmo in fretta e raggiungemmo la console di comando percorrendo il lungo corridoio mentre i rumori cupi provenienti da tutte le parti continuavano incessanti. "Che è succeso Father?". "Ho una brutta notizia da darvi!".
"E sarebbe?". "Abbiamo perso la rotta. Aurora non è più sui nostri schermi e sui nostri radar. Ci siamo allontanati notevolmente". "Allontanati quanto?".
"Dai calcoli effettuati direi almeno 24anni luce!". "24 anni luce???" "Ma sei impazzito? Hai elaborato bene??". "Dalle rivelazioni effettuate penso siamo entrati in un tunnel, risucchiati da un buco nero". "Un buco nero? ma lo sai che non si esce indenni da un buco nero? Non te l'hanno insegnato a scuola?". "Me l'hanno insegnato ma esistono eccezioni". "E quali sarebbero?". "Se il buco nero è di piccole dimensioni e lo scudo dell'astronave abbastanza resistente si scivola in mezzo al tunnel in maniera lineare, non drastica. Si fa solo un piccolo viaggio nel tempo" "24 anni luce? Un piccolo viaggio?". "I rumori che prima sentivate erano l'attrito del nostro scafo sulle pareti del tunnel, ora il rumore è cessato. Ora siamo dall'altra parte. Potete vedere voi stessi sullo schermo". Guardammo. Il paesaggio era completamente diverso da quello di qualche ora prima. Non c'era piu' Plutone, nè alcuna traccia di Aurora. C'erano galassie che non avevamo mai visto neanche durante le fasi di studio dell'universo. "Father, puoi darci le coordinate?". "Sto elaborando...". Io e Michael ci stavamo guardando atterriti, sconcertati, spaesati. Father riprese: "Non ho nel database questo sistema stellare. Non è conosciuto all'astronomia terrestre. Non sono in grado di decodificarlo, di dargli un nome. Non sono in grado di dirvi dove ci troviamo. Comunque sia non riusciremo mai a tornare indietro.
La missione Aurora è da considerare obsoleta. E obsoleto il nostro ritorno sul pianeta terra. Ora chiudo. Questa elaborazione mi è costata molta fatica. Coraggio ragazzi. La vita continua". "Il monitor si spense e Michael cominciò a singhiozzare disperato..."
"Hai sentito che ha detto? La vita continua. Siamo persi nell'universo! Non rivedremo mai più i nostri familiari, non metteremo mai più piede sulla terra! E lui dice che la vita continua?? Jonathan!!!". Mi venne incontro e mi abbracciò fortissimo. Le sue lacrime mi stavano bagnando la tuta. Io cercavo di rimanere saldo per dagli conforto. Ma non ce la feci. Cademmo in ginocchio insieme stringendoci sempre più forte. I singhiozzii che ci uscivano si coprivano a vicenda. Restammo in quella posizione svariato tempo, senza più piangere, senza più pensare, quello che ci teneva in vita era sentire battere il cuore dell'altro. Ci scosse Tommy. Ci stava passando la mano meccanica sulla schiena, come volesse accarezzarci. Volle darci una spinta per proseguire il nostro cammino e anche lui disse le stesse parole, forse dopo averle rubate a Father "La vita continua!". Ci rialzammo e tornammo nel nostro alloggio. Non avevamo voglia di parlare, non c'era niente da dire. Una volta sul letto ci lasciammo andare una volta per tutte e facemmo l'amore. Come si fa l'amore, con l'anima, la mente, il cuore, nutrendoci del nostro respiro, delle nostre carni intrecciate, assaporando il gusto di un frutto nuovo, bevendo a fonti pure e immacolate, cavalcando le onde di un'oceano sconosciuto ma privo di insidie,
arrampicandoci su vette sulle quali nessuno era mai salito. Consapevoli che eravamo prigionieri per sempre di una nave alla deriva. Ma quell'atto ci liberò dalle paure, dai nostri terrori più profondi, dai nostri ricordi legati a un pianeta che ormai forse non sarebbe esistito neanche più. Non eravamo più terrestri. Eravamo soltanto due piccoli pezzi dell'universo. L'universo ormai faceva parte di noi. E giorno per giorno la vita continuò come ci era stato detto.
Da quella notte Michael non parlò mai più di Helen, forse per non ferirmi, forse perchè non ci volle più pensare davvero, rassegnandosi.
Ci abituammo a quella nuova vita, alla convivenza con Father e con Tommy. In quella nave spaziale che anche se costruita con materiali di recupero aveva fatto il suo dovere e ci stava portando in un persorso senza più un destino.
Il giorno dopo eravamo davanti allo schermo planetario. C'erano tre galassie davanti a noi, una attaccata all'altra, completamente diverse ma di una
bellezza esaltante. Trasmetteva gioia la luminiscenza dei loro svariati colori. Ti facevano sentire vero, vivo, sembravano parlarci nel loro brillamento spettacolare. Sembrava ci dicessero di non arrenderci, di continuare a sperare. Tutto l'infinito era davanti ai nostri occhi. Uno spettacolo immenso. E non ci faceva paura il futuro. Anche se stavamo andando alla deriva di chissà quale sistema solare io e Michael non eravamo soli. Avevamo noi. E anche se fosse arrivato il momento di sfracellarsi contro una nova, contro un asteroide o la luna di qualche pianeta non importava. L'importante è che fino a quel momento avessimo avuto qualcuno. Qualcuno da amare
scritto il
2011-05-29
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