La montatura
di
Mario
genere
etero
LA MONTATURA
Una storia erotica? No, una vera e propria esperienza di vita, una tragedia a sfondo erotico.
Il mio nome ovviamente non ha importanza e tutto quello che narrerò è accaduto realmente pochi anni addietro.
Allora ero appena andato a convivere con la mia nuova compagna. Tiravamo avanti con lavori umili: lei faceva la badante ed io il barista occasionale. Lei aveva una figlia già adulta, di circa vent’anni. Quando tornavo dal lavoro ed entravo in casa, la ragazza non c’era mai. Quelle poche volte che ci incrociavamo era sempre vestita in modo accattivante con particolari di abbigliamento che facevano trasparire un certo lusso. Si muoveva in taxi e spesso mangiava al ristorante. Ma i denari dove li prendeva?
Scoprii dopo poco che la ragazza, nominalmente una ballerina, stava lavorando in realtà come lap-dancer in un locale del centro, ovviamente un locale equivoco dove, secondo le voci di popolo, si organizzavano incontri sessuali a pagamento.
Questa cosa non mi lasciava dormire: dovevo fregarmene e invece…
Mi organizzai in segreto ed una sera mi recai al locale con la scusa di cercare un ingaggio come barista. La figlia della mia compagna ballava attaccata al classico tubo di metallo. Io restavo in disparte, fuori vista ed iniziai a parlare con un tipo. Per farla breve, egli mi confermò che lì dentro si potevano combinare incontri piccanti anche con le ballerine, ma la cosa costava parecchio. A quel punto feci finta di niente e chiesi di “quella” ballerina: il tipo mi disse senza mezze misure che la ragazza, per quel che ne sapeva lui, era disponibile, ma costava cara e solitamente “tirava” un po’ di polvere bianca prima di lasciarsi andare a proposte. Rabbrividii. Tornai a casa con una scusa ed aspettai. Verso le 5:30 la ragazza rincasava ed io ero seduto al tavolo di cucina: fumavo nervosamente mentre la mia compagna, di professione badante, non era in casa per fortuna.
“Ciao Carla” pronunciai con voce stanca –“Ciao Mario” rispose lei. “Ma che ci fai alzato?” – “Volevo parlarti” –replicai. “Allora dimmi”… “Carla, guardiamoci negli occhi, ma tu che lavoro fai?” – “La ballerina, perché?” – “Perché le ballerine tirano su col naso e poi la danno a pagamento? Ma non ti vergogni, ma non pensi a tua madre?” – seguirono interminabili secondi di silenzio. Carla aveva capito che io “sapevo”. “Va bene Mario, ora che vuoi fare? Sputtanarmi con mamma?” – “No, voglio che tu smetta questo abominio!” – risposi con voce decisa. “Senti Mario, hai idea di quanto guadagno io in una sera? No? Te lo dico io: guadagno quello che tu, spaccandoti la schiena guadagni in una settimana. E la mamma? Lei fa la badante…io non voglio imitarla”. “Carla, ma tu ti prostituisci!” – “Se preferisci pensarla così pensala così”. Mi sentii bollire di rabbia ed esplosi con questa frase: “Allora se ti prostituisci lo fai anche a me un servizio?” – “Ma certo Mario, vuoi sbattermi ora? Un centone e facciamo tutto”. Lo sguardo di Carla si era come illuminato, mi squadrava come un predatore guarda la propria preda. Sollevò la cortissima minigonna in pelle e si sedette lì vicino, mentre le sue mani, con calma, sbottonavano la camicettina di pizzo facendomi intravedere non solo la patatina ma anche due seni sugosi. La mia rabbia lasciava il posto ad altri conturbanti pensieri: più la guardavo e più il mio uccello si induriva. “No Carla, no! Non posso farlo! “ –Urlai – “Smettila, copriti!”. “Ho deciso: dirò tutto a tua madre e poi vedremo cosa fare”. “Sei un frocio bastardo!” – urlò lei- corse poi in camera sua sbattendo la porta. I minuti seguenti furono frastornanti. Mentre io ero ancora lì a fumare più nervoso che mai, pensando il da farsi, ecco riapparire Carla: era completamente nuda. Venne decisa verso di me e quasi con furia si attaccò ai miei pantaloni. “Ma che vuoi fare Carla, sei impazzita?” – “Mario, se proprio non mi vuoi scopare…ti aiuterò a svuotare le palle”. Carla mi prese l’uccello in mano ed io stupidamente mi lasciai andare. Iniziò a masturbarmi ed a strusciarsi su di me. I suoi seni dondolavano davanti al mio viso, mentre le sue abili mani massaggiavano l’uccello. Nel conturbante gioco mi ritrovai persino la sua fica letteralmente in faccia mentre la vocina maliziosa di lei recitava, in una nenia quasi ossessiva: “Leccala e sbattimi, leccala e sbattimi, leccala e sbattimi”… finchè venni: una copiosa sborrata che inondò Carla sul seno e sull’inguine. Mentre ero ancora rimbecillito da quanto accadeva, Carla mi passò le dita in faccia cospargendomi quella “merda bianca” sul naso. Poi, così come era arrivata, sparì di corsa nella sua camera. Mentre io ero lì a riprendermi ed a chiedermi cosa era successo di preciso, suonarono alla porta. Ma chi poteva essere a quell’ora del mattino? Aprii: due uomini in divisa entrarono senza tanti complimenti. “Sono qui!” Carla si era messa a gridare. Io ero sempre più confuso. Uno dei due mi sbattè per terra e mi ammanettò mentre l’altro sentivo che consolava la “povera” Carla, che parlava tra lacrime e singhiozzi.
Mi arrestarono e mi ritrovai in caserma: ero messo malissimo, la mia versione dei fatti non reggeva. Carla mi aveva denunciato per stupro con l’evidenza del liquido seminale sul suo corpo. Ulteriore aggravante l’uso di stupefacenti. Secondo la versione della vittima io l’avevo prima costretta a sniffare con me, poi sarei passato alla violenza carnale. L’accusa venne formalizzata e venni condotto in carcere nell’arco di poche ore, in attesa di processo. Vi taccio le paure dei giorni seguenti: i detenuti mi odiavano perché per loro ero uno stupratore infame. Avevo paura, una paura tremenda, difficile da descrivere ma vi basti sapere che il giorno dopo il mio arrivo, accanto al mio nome fuori dalla cella, qualcuno aveva disegnato un teschio: un avviso più che evidente. Poi che dire del mio lavoro? Rovinato, ero rovinato. Bastano davvero pochi minuti di scelleratezza per rovinare per sempre una vita.
Devo la mia libertà, che avvenne dopo quasi un mese, ad uno zelante carabiniere, l’unico che mi credette e che indagò. Alla fine i carabinieri strinsero intorno a Carla una bella morsa psicologica e lei confessò tutta la montatura.
Quando tornai in libertà mi sentivo sporco, un reietto, un avanzo di galera. Per fortuna venni riassunto. Ancor oggi però soffro di tremendi incubi e di attacchi di panico.
Carla, grazie ai prodigi della nostra Legge, non subì conseguenze e per quel che ne so, ancora oggi fa il più antico mestiere del mondo.
Una storia erotica? No, una vera e propria esperienza di vita, una tragedia a sfondo erotico.
Il mio nome ovviamente non ha importanza e tutto quello che narrerò è accaduto realmente pochi anni addietro.
Allora ero appena andato a convivere con la mia nuova compagna. Tiravamo avanti con lavori umili: lei faceva la badante ed io il barista occasionale. Lei aveva una figlia già adulta, di circa vent’anni. Quando tornavo dal lavoro ed entravo in casa, la ragazza non c’era mai. Quelle poche volte che ci incrociavamo era sempre vestita in modo accattivante con particolari di abbigliamento che facevano trasparire un certo lusso. Si muoveva in taxi e spesso mangiava al ristorante. Ma i denari dove li prendeva?
Scoprii dopo poco che la ragazza, nominalmente una ballerina, stava lavorando in realtà come lap-dancer in un locale del centro, ovviamente un locale equivoco dove, secondo le voci di popolo, si organizzavano incontri sessuali a pagamento.
Questa cosa non mi lasciava dormire: dovevo fregarmene e invece…
Mi organizzai in segreto ed una sera mi recai al locale con la scusa di cercare un ingaggio come barista. La figlia della mia compagna ballava attaccata al classico tubo di metallo. Io restavo in disparte, fuori vista ed iniziai a parlare con un tipo. Per farla breve, egli mi confermò che lì dentro si potevano combinare incontri piccanti anche con le ballerine, ma la cosa costava parecchio. A quel punto feci finta di niente e chiesi di “quella” ballerina: il tipo mi disse senza mezze misure che la ragazza, per quel che ne sapeva lui, era disponibile, ma costava cara e solitamente “tirava” un po’ di polvere bianca prima di lasciarsi andare a proposte. Rabbrividii. Tornai a casa con una scusa ed aspettai. Verso le 5:30 la ragazza rincasava ed io ero seduto al tavolo di cucina: fumavo nervosamente mentre la mia compagna, di professione badante, non era in casa per fortuna.
“Ciao Carla” pronunciai con voce stanca –“Ciao Mario” rispose lei. “Ma che ci fai alzato?” – “Volevo parlarti” –replicai. “Allora dimmi”… “Carla, guardiamoci negli occhi, ma tu che lavoro fai?” – “La ballerina, perché?” – “Perché le ballerine tirano su col naso e poi la danno a pagamento? Ma non ti vergogni, ma non pensi a tua madre?” – seguirono interminabili secondi di silenzio. Carla aveva capito che io “sapevo”. “Va bene Mario, ora che vuoi fare? Sputtanarmi con mamma?” – “No, voglio che tu smetta questo abominio!” – risposi con voce decisa. “Senti Mario, hai idea di quanto guadagno io in una sera? No? Te lo dico io: guadagno quello che tu, spaccandoti la schiena guadagni in una settimana. E la mamma? Lei fa la badante…io non voglio imitarla”. “Carla, ma tu ti prostituisci!” – “Se preferisci pensarla così pensala così”. Mi sentii bollire di rabbia ed esplosi con questa frase: “Allora se ti prostituisci lo fai anche a me un servizio?” – “Ma certo Mario, vuoi sbattermi ora? Un centone e facciamo tutto”. Lo sguardo di Carla si era come illuminato, mi squadrava come un predatore guarda la propria preda. Sollevò la cortissima minigonna in pelle e si sedette lì vicino, mentre le sue mani, con calma, sbottonavano la camicettina di pizzo facendomi intravedere non solo la patatina ma anche due seni sugosi. La mia rabbia lasciava il posto ad altri conturbanti pensieri: più la guardavo e più il mio uccello si induriva. “No Carla, no! Non posso farlo! “ –Urlai – “Smettila, copriti!”. “Ho deciso: dirò tutto a tua madre e poi vedremo cosa fare”. “Sei un frocio bastardo!” – urlò lei- corse poi in camera sua sbattendo la porta. I minuti seguenti furono frastornanti. Mentre io ero ancora lì a fumare più nervoso che mai, pensando il da farsi, ecco riapparire Carla: era completamente nuda. Venne decisa verso di me e quasi con furia si attaccò ai miei pantaloni. “Ma che vuoi fare Carla, sei impazzita?” – “Mario, se proprio non mi vuoi scopare…ti aiuterò a svuotare le palle”. Carla mi prese l’uccello in mano ed io stupidamente mi lasciai andare. Iniziò a masturbarmi ed a strusciarsi su di me. I suoi seni dondolavano davanti al mio viso, mentre le sue abili mani massaggiavano l’uccello. Nel conturbante gioco mi ritrovai persino la sua fica letteralmente in faccia mentre la vocina maliziosa di lei recitava, in una nenia quasi ossessiva: “Leccala e sbattimi, leccala e sbattimi, leccala e sbattimi”… finchè venni: una copiosa sborrata che inondò Carla sul seno e sull’inguine. Mentre ero ancora rimbecillito da quanto accadeva, Carla mi passò le dita in faccia cospargendomi quella “merda bianca” sul naso. Poi, così come era arrivata, sparì di corsa nella sua camera. Mentre io ero lì a riprendermi ed a chiedermi cosa era successo di preciso, suonarono alla porta. Ma chi poteva essere a quell’ora del mattino? Aprii: due uomini in divisa entrarono senza tanti complimenti. “Sono qui!” Carla si era messa a gridare. Io ero sempre più confuso. Uno dei due mi sbattè per terra e mi ammanettò mentre l’altro sentivo che consolava la “povera” Carla, che parlava tra lacrime e singhiozzi.
Mi arrestarono e mi ritrovai in caserma: ero messo malissimo, la mia versione dei fatti non reggeva. Carla mi aveva denunciato per stupro con l’evidenza del liquido seminale sul suo corpo. Ulteriore aggravante l’uso di stupefacenti. Secondo la versione della vittima io l’avevo prima costretta a sniffare con me, poi sarei passato alla violenza carnale. L’accusa venne formalizzata e venni condotto in carcere nell’arco di poche ore, in attesa di processo. Vi taccio le paure dei giorni seguenti: i detenuti mi odiavano perché per loro ero uno stupratore infame. Avevo paura, una paura tremenda, difficile da descrivere ma vi basti sapere che il giorno dopo il mio arrivo, accanto al mio nome fuori dalla cella, qualcuno aveva disegnato un teschio: un avviso più che evidente. Poi che dire del mio lavoro? Rovinato, ero rovinato. Bastano davvero pochi minuti di scelleratezza per rovinare per sempre una vita.
Devo la mia libertà, che avvenne dopo quasi un mese, ad uno zelante carabiniere, l’unico che mi credette e che indagò. Alla fine i carabinieri strinsero intorno a Carla una bella morsa psicologica e lei confessò tutta la montatura.
Quando tornai in libertà mi sentivo sporco, un reietto, un avanzo di galera. Per fortuna venni riassunto. Ancor oggi però soffro di tremendi incubi e di attacchi di panico.
Carla, grazie ai prodigi della nostra Legge, non subì conseguenze e per quel che ne so, ancora oggi fa il più antico mestiere del mondo.
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