Burton e l'attrezzo del falegname
di
Yuko
genere
trio
Or vi voglio raccontare
una storia singolare.
Su seguitemi, signori,
nella stanza degli orrori.
Prima serve una premessa,
state calmi, non son fessa.
Qui su erotici racconti
non ci scrivono dei tonti,
ma soltanto gli scrittori
più dotati: manzi e tori.
Le scrittrici sono belle,
ma non parlo ora di quelle.)
Burton è il mio personaggio
Lo scrittore buono e saggio
Lui che scrive in poesia
con gagliarda leggiadria,
nella notte si trasforma,
si dimentica ogni norma.
Gli piacea la giapponese.
Un po' spinto e un po' cortese
era spesso il suo linguaggio,
certo non di gran lignaggio.
Della dottoressa Yuko
lui pensava: “ora ti induco
a cadermi tra le braccia,
le tue tette sulla faccia!
La tua vulva scura scura
cederà alla mia premura!”
Glii fremeva di scoparmi,
di riempirmi, di lavarmi.
Mi faceva assai la corte,
si mostrava bello e forte.
Ma un bel giorno ecco una rossa
e il suo anelito s'affossa.
Da Firenze un gran bel tocco
e lui resta come allocco.
Alla giappo non rinuncia,
ma alla rossa già pronuncia
versi di sincero amore.
Non sa più che vuole il cuore
con due scelte molto ardite:
“Tutte e due! Son più assortite!”
Cominciò il corteggiamento
con passione e sentimento.
Lui di giorno ben scriveva,
ma già in mano lo teneva,
per la forte eccitazione
al pensiero del tenzone
fra la mora e bella Yuko
e la rossa del sambuco.
Occhi verdi e pelle chiara
sono ormai una merce rara.
Ma che vuoi, le giapponesi
non le trovi tutti i mesi!
Fare sesso all'orientale
godi certo da maiale.
E così pensava spesso
alle due, per fare sesso.
Di Beatrice e anche di Yuko
lui volea sondare il buco.
Tutte e due voleva farci,
con la lingua penetrarci.
“Pelo rosso, pelo nero,
con l'uccello entro leggero!
Pelo nero, pelo rosso,
con il cazzo a più non posso!”
Il pensiero va alla gnocca,
con la mano poi si tocca.
Si brandiva alto e ben stretto
il suo membro bello eretto.
Lo sbatteva contro il muro
per tenerlo sempre duro.
Già si liscia bene il glande,
il suo seme intorno spande.
Inondava la pianura
del terren lenìa l'arsura.
Si faceva bello bello,
tutto tronfio del suo uccello.
Poi scriveva a me e alla tosca.
Tutte e due! Faccenda losca.
Lui faceva il filo a entrambe;
d'infilarsi tra le gambe
non vedeva proprio l'ora,
di scoparci dentro e fora.
Di vederci tutte nude,
di trombarci cotte e crude,
lui sperava di riuscire.
Molto ingenuo questo ardire.
Nella sua immaginazione
ci infilava a colazione.
Nella rossa, al grido “Vai!”,
nella giappo samurai
lui pensava ad ogni costo
di venire tosto tosto.
E ogni giorno lo menava,
il suo uccello masturbava.
Finchè un giorno gli divenne
tutto rosso, ormai perenne.
Quel suo povero nerchione
ora sembra un peperone!
Teso, lucido e assai rosso,
mamma mia, ma quanto è grosso!
Tutto gonfio e dolorante
con la fronte già sudante,
lui contempla quel complesso
frutto dell'ardor del sesso.
Ed in più la giapponese
ora avanza le pretese!
“Lascia stare Beatrice!
Ora è mia. Più non si addice
alle brame tue maschili
a rincorrersi in fienili,
con la fava gonfia in mano.
Ora è un gioco da villano.
Lei, con me è già in preda a Saffo.
Del tuo pene si fa un baffo!
Tieni a posto le tue mani
o scateno i miei caimani.”
L'uomo non si dà pensiero
del rimprovero severo.
Fresco vuole per l'uccello,
ora pensa solo a quello.
Nelle mani ha la cappella
grossa come una ciambella.
Ora a Yuko, perentorio,
chiede un antinfiammatorio.
Che lenisca quel rossore,
quell'ignobile bruciore.
E la giappo gli risponde,
col suo tono lo confonde.
“Ciapa su un flacun di gel,
O te se spela l'usel!”
Quello ride, non capisce
e ben poco percepisce.
La nipponica riprova
il consiglio gli rinnova.
“Cazzo ridi? Cazzo ridi?
Ungi bene, se no gridi!”
Poi lo provoca, stronzetta,
già gli parla di una tetta.
“Tieni l'asta un po' infiammata?
Proporrei una gran leccata.
Muco morbido e filoso
dal mio ventre già brioso,
a lenir le scottature,
dell'uccel le bruciature.
Troppe seghe ti sei fatto.
Esci cieco, esci matto!
Pensi a me, pensi alla rossa?
Il tuo pene già s'ingrossa.
Pensi troppo alla mia figa.
Devo metterti più in riga.
Non pensare più alla topa.
Non si tocca, non si scopa.
Lascia stare le mammelle,
mangia delle caramelle.
Non pensare ai nostri seni,
se menandolo non vieni.
Dai, dimentica il mio culo.
Devi dirti: 'più non ciulo'.
Pensa ad altro, orsù, convieni.
Tu già troppo te lo meni!”
Ora mogio Burton resta,
tutto triste, senza festa.
L'asta, pensa, ora gli preme,
tra le mani se la tiene.
Non farà più alzabandiera.
Nè la rossa, né la nera.
Molto, forse, avea voluto,
ora è moscio, un po' cornuto.
Troppo tempo è stato in bagno.
Non ha fatto un gran guadagno!
una storia singolare.
Su seguitemi, signori,
nella stanza degli orrori.
Prima serve una premessa,
state calmi, non son fessa.
Qui su erotici racconti
non ci scrivono dei tonti,
ma soltanto gli scrittori
più dotati: manzi e tori.
Le scrittrici sono belle,
ma non parlo ora di quelle.)
Burton è il mio personaggio
Lo scrittore buono e saggio
Lui che scrive in poesia
con gagliarda leggiadria,
nella notte si trasforma,
si dimentica ogni norma.
Gli piacea la giapponese.
Un po' spinto e un po' cortese
era spesso il suo linguaggio,
certo non di gran lignaggio.
Della dottoressa Yuko
lui pensava: “ora ti induco
a cadermi tra le braccia,
le tue tette sulla faccia!
La tua vulva scura scura
cederà alla mia premura!”
Glii fremeva di scoparmi,
di riempirmi, di lavarmi.
Mi faceva assai la corte,
si mostrava bello e forte.
Ma un bel giorno ecco una rossa
e il suo anelito s'affossa.
Da Firenze un gran bel tocco
e lui resta come allocco.
Alla giappo non rinuncia,
ma alla rossa già pronuncia
versi di sincero amore.
Non sa più che vuole il cuore
con due scelte molto ardite:
“Tutte e due! Son più assortite!”
Cominciò il corteggiamento
con passione e sentimento.
Lui di giorno ben scriveva,
ma già in mano lo teneva,
per la forte eccitazione
al pensiero del tenzone
fra la mora e bella Yuko
e la rossa del sambuco.
Occhi verdi e pelle chiara
sono ormai una merce rara.
Ma che vuoi, le giapponesi
non le trovi tutti i mesi!
Fare sesso all'orientale
godi certo da maiale.
E così pensava spesso
alle due, per fare sesso.
Di Beatrice e anche di Yuko
lui volea sondare il buco.
Tutte e due voleva farci,
con la lingua penetrarci.
“Pelo rosso, pelo nero,
con l'uccello entro leggero!
Pelo nero, pelo rosso,
con il cazzo a più non posso!”
Il pensiero va alla gnocca,
con la mano poi si tocca.
Si brandiva alto e ben stretto
il suo membro bello eretto.
Lo sbatteva contro il muro
per tenerlo sempre duro.
Già si liscia bene il glande,
il suo seme intorno spande.
Inondava la pianura
del terren lenìa l'arsura.
Si faceva bello bello,
tutto tronfio del suo uccello.
Poi scriveva a me e alla tosca.
Tutte e due! Faccenda losca.
Lui faceva il filo a entrambe;
d'infilarsi tra le gambe
non vedeva proprio l'ora,
di scoparci dentro e fora.
Di vederci tutte nude,
di trombarci cotte e crude,
lui sperava di riuscire.
Molto ingenuo questo ardire.
Nella sua immaginazione
ci infilava a colazione.
Nella rossa, al grido “Vai!”,
nella giappo samurai
lui pensava ad ogni costo
di venire tosto tosto.
E ogni giorno lo menava,
il suo uccello masturbava.
Finchè un giorno gli divenne
tutto rosso, ormai perenne.
Quel suo povero nerchione
ora sembra un peperone!
Teso, lucido e assai rosso,
mamma mia, ma quanto è grosso!
Tutto gonfio e dolorante
con la fronte già sudante,
lui contempla quel complesso
frutto dell'ardor del sesso.
Ed in più la giapponese
ora avanza le pretese!
“Lascia stare Beatrice!
Ora è mia. Più non si addice
alle brame tue maschili
a rincorrersi in fienili,
con la fava gonfia in mano.
Ora è un gioco da villano.
Lei, con me è già in preda a Saffo.
Del tuo pene si fa un baffo!
Tieni a posto le tue mani
o scateno i miei caimani.”
L'uomo non si dà pensiero
del rimprovero severo.
Fresco vuole per l'uccello,
ora pensa solo a quello.
Nelle mani ha la cappella
grossa come una ciambella.
Ora a Yuko, perentorio,
chiede un antinfiammatorio.
Che lenisca quel rossore,
quell'ignobile bruciore.
E la giappo gli risponde,
col suo tono lo confonde.
“Ciapa su un flacun di gel,
O te se spela l'usel!”
Quello ride, non capisce
e ben poco percepisce.
La nipponica riprova
il consiglio gli rinnova.
“Cazzo ridi? Cazzo ridi?
Ungi bene, se no gridi!”
Poi lo provoca, stronzetta,
già gli parla di una tetta.
“Tieni l'asta un po' infiammata?
Proporrei una gran leccata.
Muco morbido e filoso
dal mio ventre già brioso,
a lenir le scottature,
dell'uccel le bruciature.
Troppe seghe ti sei fatto.
Esci cieco, esci matto!
Pensi a me, pensi alla rossa?
Il tuo pene già s'ingrossa.
Pensi troppo alla mia figa.
Devo metterti più in riga.
Non pensare più alla topa.
Non si tocca, non si scopa.
Lascia stare le mammelle,
mangia delle caramelle.
Non pensare ai nostri seni,
se menandolo non vieni.
Dai, dimentica il mio culo.
Devi dirti: 'più non ciulo'.
Pensa ad altro, orsù, convieni.
Tu già troppo te lo meni!”
Ora mogio Burton resta,
tutto triste, senza festa.
L'asta, pensa, ora gli preme,
tra le mani se la tiene.
Non farà più alzabandiera.
Nè la rossa, né la nera.
Molto, forse, avea voluto,
ora è moscio, un po' cornuto.
Troppo tempo è stato in bagno.
Non ha fatto un gran guadagno!
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