La micia dal pelo nero - 4

di
genere
etero

Il pomeriggio del fiorentino fu tormentato e la cena fu agitata da pensieri e strategie opposte, mentre Jella si gustava dei deliziosi bocconcini di pantegana, come li aveva definiti Andrea.
Doveva portarsi la cesta della gatta in camera per controllare meglio le circostanze? Si sentiva ridicolo e non voleva dare vizi alla micetta.
Doveva sprangare la porta? Mettere telecamere?
E in tutto ciò continuava a darsi dello stupido, incapace di godere e apprezzare la situazione in cui viveva, potendo gioire della presenza della ragazza, bella e disponibile, che trovava più che concreta.
E se questa sua stupida voglia di sapere e controllare tutto avesse portato come risultato la fine delle sue esperienze notturne? Se lo sarebbe perdonato?
Con pensieri contrastanti, dopo aver ascoltato un po' di jazz, ripose la micia nella sua cesta in cucina e andò a dormire.
Nel sogno correva su un prato. Il sole stava sorgendo in quel momento e lui ne percepiva il primo tepore, incoraggiante e rassicurante. La luce rossastra disegnava sul terreno ombre lunghissime che saettavano mentre lui correva, libero e leggero. Ed ecco che le ombre diventarono due. Kon Meocai gli prese la mano per la punta delle dita e loro due correvano insieme, con salti così lunghi da sembrare piccoli voli.
Andrea si sentiva leggero come ali di farfalla.
Nella sua mente emotiva, pur non sentendola, percepiva le parole di quella canzone di de Gregori che amava tanto.
"... e la vita, Caterina lo sai, non è comoda per nessuno, quando vuoi gustare fino in fondo tutto il suo profumo".
Correvano e saltavano e la giovane orientale era a piedi nudi, con un vestito lungo e sottile di lino azzurro chiaro. L'impatto dell'aria, nella corsa, contro il suo corpo, ne disegnava i profili come se fosse stata nuda e la piccola macchia dei capezzoli si delineava con precisione attraverso il velo che la ricopriva. Le cosce forti e toniche sporgevano a tratti dal lembo inferiore e la veste indugiava in quello spicchio triangolare tra le pieghe inguinali del corpo della donna.
"... e quanti mascalzoni hai conosciuto, e quanta gente, e quante volte hai chiesto aiuto, ma non è servito a niente".
I due sorridevano e si guardavano mentre correvano, e non c'era più il tempo, e non esistevano più età diverse, o luoghi o situazioni.
"...Ma se solo per un attimo potessi averti accanto, forse non ti direi niente, ma ti guarderei soltanto... chissà se giochi ancora con i riccioli sull'orecchio o se guardandomi negli occhi mi troveresti un po' più vecchio".
Superarono correndo un torrente dalle acque basse, ma gli schizzi furono sufficienti a bagnare la veste della giovane quel tanto da far percepire in trasparenza il delta di peli neri del pube.
I capezzoli pungevano come spilli e i capelli volteggiavano lunghi e indomiti.
Come in un rallenty i due oltrepassarono il bordo del prato sul bordo più alto di una parete di roccia, ma continuarono a planare senza precipitare, superando un tappeto di foglie autunnali dal colore rossiccio e dal sentore di terriccio bagnato, per lambire poi immacolate distese di neve dall'aspetto di porose meringhe, e infine sfiorare campi di crocus e gemme in fiore, come se fossero diventati padroni del tempo che scorre.
"...E cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo, e non ti bastano per piangere le lacrime di tutto il mondo".
E ora, tra tessuti soffici e delicati dalle tinte tenui di color pastello, i due erano su un immenso letto.
Andrea sfilò il vestito dalle pallide spalle della ragazza seguendo la nudità che si manifestava prendendo la forma tonda dei suoi seni sviluppati. Le areole si contraevano sollevando i capezzoli nell'impalpabile eccitazione che precede l'atto sessuale.
Andrea, già spoglio, contemplò i peli del pube della ragazza che si affacciarono oltre l'orlo del tessuto azzurro che scivolava lentamente sul suo corpo, mentre la sua compagna rimaneva nuda: una mano come l'ultima labile difesa a coprirle la vulva tra le cosce lievemente socchiuse.
I due ora giacevano nudi sulla coltre stimolandosi la pelle e le forme con lunghe e discrete carezze in punta di dita.
"Cosa può offrire di più il paradiso rispetto a questo incanto?" Sussurrò il fiorentino mentre insinuava le dita tra le cosce che la ragazza aveva allargato per invitarlo a toccarla.
Lei gli sorrideva quand'ecco che il tarlo del dubbio lo assalì rodendolo dall'interno.
"Ma sei ancora mestruata?"
Le chiese come per metterla alla prova.
"Ne avrò ancora per qualche giorno" Rispose lei senza voler cogliere il velo di sospetto.
"E come faremo a fare l'amore? Meocai io desidero entrarti dentro."
Lei sorrise accarezzandogli il petto e sfiorandogli i capezzoli che spuntavano tra i peli.
"Non possiamo togliere l'assorbente?" Insistette l'uomo.
"Vuoi fare come Mosé quando ha attraversato il mar Rosso?" rispose la ragazza allungando le dita verso il pube dell'uomo.
"Non capisco" fece lui.
"Andrea, io ho un flusso abbondante, ti macchierei fino al materasso. "
"Ti va se prendo la gatta?" Proseguì lui cambiando discorso.
Kon Meocai si mise a ridere. "E che c'entra adesso la gatta? "
"Così, voglio vedervi insieme. " Insistette lui, caparbiamente ancorato alla sua idea.
"Lascia stare la gatta. Adesso hai me e penso di poterti bastare, non credi?"
"Ma io voglio vedervi insieme! "
"Andrea... Andrea! Questa assurda voglia di voler capire tutto a ogni costo!"
"Cosa intendi dire?" L'atmosfera si stava dissolvendo.
"Dai, vieni qui. Ti voglio sentire dentro di me" lo blandì la giovane, prendendogli una mano e posandosela sul seno per invitarlo a prendere possesso del corpo che lei gli offriva.
"Ti toglierai l'assorbente?" Insisteva lui.
La cinese sorrise paziente. "Non conviene. Ma c'è un altro posticino che ti potrebbe accogliere. "
Lui la guardò senza capire.
"Un posticino stretto in cui non è mai stato nessuno prima di te."
"Nel culo? " chiarì lui senza mezzi termini.
Lei arrossì mettendosi a ridere, mentre si copriva il sorriso con una mano.
"Se proprio vuoi usare questa perifrasi."
"Lo vuoi davvero?"
"Si, lo voglio. Voglio sentirti dietro. "
La fronte di Andrea coprì di un velo di sudore.
La ragazza aprì le gambe alzandole per esporre il pertugio più stretto.
Lui identificò il garofano che rimaneva serrato dove la mucosa dei glutei diventava di colore più scuro.
Cominciò a leccare il buchetto mentre la ragazza mostrava di gradire.
Poi ci infilò un dito, proseguendo a sfiorarle il clitoride.
La cinese godeva lanciando piccoli gemiti che terminavano in sospiri. Il toscano estrasse il dito mettendoselo in bocca. Poi lo passò sulla vulva per reintrodurlo, insieme al medio, nello stesso posto. Con lenti movimenti Andrea avvertiva la stretta allentarsi e la mucosa bagnarsi. La ragazza apprezzava e l'uomo pensò che il percorso fosse pronto per accoglierlo.
Si portò sopra il giovane corpo che si preparava a riceverlo.
"Sii delicato, Andrea. Per me è la prima volta."
L'uomo fu preso da un'incontrollabile commozione, uno struggimento che lo fece singhiozzare.
Lei si passò il suo glande nella vulva, per bagnarlo bene, e poi lo indirizzò più sotto.
Alla prima spinta sentì dolore e non seppe trattenere un gemito.
Il fiorentino quasi si maledisse per aver fatto soffrire la ragazza e si pentì per aver desiderato penetrarla, ma lei lo incoraggiò a riprovare.
Lui, allora, si sputò rozzamente sulla cappella e al secondo tentativo riuscì.
Kon Meocai trattenne il respiro e Andrea si arrestò dentro di lei il tempo necessario, prima che la giovane lo invitasse a proseguire.
Con cautela il movimento riprese prima circospetto poi via via più ampio mano a mano che il passaggio si inumidiva.
L'asiatica cominciò a toccarsi il clitoride aumentando il suo piacere e la secrezione fluida dove Andrea cominciò a muoversi più agevolmente.
"Ora comincia a essere bello." pronunciò la ragazza e l'uomo riprese coraggio.
L'amplesso proseguì senza interruzioni finché la cinese strinse il suo amante più forte con le braccia e con un gemito roco e prolungato gli regalò il suo primo orgasmo anale.
Fu allora che Andrea si rilassò unendo il suo gemito a quelli che la giovane ripeteva a ogni nuova spinta.
Stettero poi così: abbracciati uno dentro l'altra, finché il pene non scivolò fuori. Poi fu un sonno profondo e appagante.
Solo molto dopo la ragazza si sfilò da sotto il corpo che la ricopriva avviandosi verso la porta quando Andrea si svegliò.
"Rimani" le chiese.
"Devo andare, lo sai, Andrea. "
"Cos'hai da fare?"
"Il lavoro, Andrea. E poi..." e intanto aprì la porta per uscire.
Andrea si alzò di scatto e la raggiunse nel buio corridoio dove lei, rapidissima, era fuggita.
Nell'oscurità trovò e strinse il suo polso.
"Adesso rimani qui!" Le impose. "Voglio vedere dove e come fai a scomparire, e vedere te e la gatta insieme!"
Andrea si era trasformato in una belva inferocita. Non vedeva la ragazza nel buio fondo del corridoio, ma la sentì singhiozzare.
"Lasciami Andrea, mi fai male!" Piangeva lei, spaventata, e mentre lui, per un attimo, allentò la stretta, quella si divincolò e scappò alla cieca.
"Vieni qui, piccola peste!" Urlò lui inseguendola, ma lei corse via piangendo. "Quella tua stupida voglia di sapere tutto! " gli urlò dietro, di rimando.
Andrea la inseguì in cucina, ma lei scappò ancora, rovesciando una sedia.
"Piccola peste gialla!"
Andrea raggiunse la luce e l'accese.
La cucina era a soqquadro, ma la ragazza era scomparsa. Col respiro affannoso volse lo sguardo intorno: la cesta della gatta era vuota.
"Jella!"
Andrea guardò sotto gli armadi e sotto le sedie, ma non trovò nulla.
Si accorse invece di una corrente di aria fredda che proveniva dalla finestra. Ci si avventò contro, trovando i vetri socchiusi e ricordandosi che la sera prima li aveva aperti per cambiare aria dopo aver cucinato.
"Porca..."
Fece un rapido giro per casa, ma della micia nessuna traccia. Tornò in cucina con un inquietante presagio. Aprì gli infissi e guardò fuori senza trovare la gattina, neanche scrutando giù in cortile.
Tornò affranto in camera sua inseguendo un'ultima speranza, ma non trovò anima viva.
Spostò la coperta. Una striscia rossa di sangue macchiava il lenzuolo. Rimase immobile, a bocca aperta di fronte a quella rivelazione, ma istintivamente si toccò la mano che gli bruciava.
Alla ferita della mattina precedente, inferta dal graffio della gatta, si era staccata la crosta e dalla pelle gemevano piccole gocce di sangue.
di
scritto il
2024-10-18
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