Una gatta nella notte. 1.
di
Yuko
genere
masturbazione
Yuko si addormentò sui libri di studio.
Una cucina dai riflessi gelidi, sopra i fornelli le presine a forma di coniglio, alcune bacchette di bambù laccate di rosso carminio, la brocca dell'acqua sul tavolo, la pentola per il riso al vapore e una donna addormentata sui libri di testo per l'esame di specialità.
I capelli neri sparsi sulla tovaglia su cui spiccavano alcune miniature cinesi.
Un'immagine quasi povera di solitudine. Il silenzio irreale rotto dai profondi respiri della donna addormentata nella casa vuota.
Una macchia nera schizzò di fianco al frigorifero con una specie di fremito, un verso vibrante, animalesco.
Jella con un balzo leggero e silenzioso saltò sulle ginocchia della giovane addormentata, si accovacciò sulle sue cosce, raggomitolandosi in una palla di pelo nero da cui presto cominciò a diffondersi un sordo mormorio di fusa soddisfatte.
“Jella, sei tu?” Chiese la ragazza svegliandosi con una latenza incongrua.
“Miao” ottenne come risposta.
Il gatto intensificò la sua sonora vibrazione.
Yuko prese atto della situazione. Inquadrò la panoramica della cucina cercando il quadrante dell'orologio, sull'apertura del forno.
“È tardi, gattina e sono troppo stanca per studiare. Meglio andare a dormire.” Concluse storpiando le parole in uno sbadiglio non trattenuto, mentre si stiracchiava le stanche membra.
“Miao.”
Prese il felino e, uscita dalla cucina, dal corridoio, lo lanciò sul suo lettone a due piazze trascinandosi poi in direzione del bagno per lavarsi prima di ritornare verso la sua camera da letto.
Contemplò le stanze buie dell'appartamento. Il silenzio esacerbava la sensazione di solitudine e di abbandono che la ragazza ormai da qualche settimana provava ogni volta che calavano le tenebre e considerava gli spazi in cui abitava, svuotati di significato.
Quelle sensazioni l'attendevano puntuali e impietose a ogni sera da quando il suo compagno l'aveva lasciata.
Le urla della loro ultima furiosa litigata sembravano ancora echeggiare, rimbalzando da un muro all'altro, da una stanza all'altra. Quelle mura che sembravano rivestirsi di accusa e ostilità nei suoi confronti, quando, allo spegnersi della luce del giorno, si rianimavano rendendo i ricordi vividi e concreti, gli insulti e le accuse rinfacciate ancora reali e crudelmente ricorrenti.
Ma come aveva potuta tradirla proprio con la sua amica, nella loro casa, proprio sul loro stesso letto? Il disgustoso cliché, ripetuto banalmente fino alla nausea da questa umanità depravata, senza fantasia.
E proprio a lei, questa volta, era dovuto capitare.
In un solo colpo aveva perso il suo compagno e la persona che le era sempre sembrata quella capace di starle più vicina, la più intima, sostituendo agli affetti sociali la lacerante solitudine e il crollo della propria autostima.
Lei l'aveva allontanato da casa e lui, senza una parola di scuse, senza il minimo gesto di pentimento o di rimpianto, aveva tirato insieme pochi suoi indumenti e se ne era andato nella notte, senza neanche chiudere la porta, diretto tra le braccia dell'altra, nel suo appartamento.
Yuko si era ritrovata da sola a piangere sul divano, con la vita infranta e l'esame di specialità da preparare a poco più di un mese di distanza, senza più alcuna motivazione di vivere.
Solo la gatta nera le era stata vicina, saltandole in grembo secondo un rituale consolidato che pareva non risentire minimamente delle differenti situazioni emotive che la giovane giapponese attraversava.
Jella, la gatta nera che amici superstiziosi e maliziosi le avevano regalato l'ultimo venerdì 17 della primavera precedente, dopo aver carpito la notizia che la loro amica nipponica avrebbe desiderato un gatto come regalo.
Yuko entrò in stanza cominciando a spogliarsi.
Lo specchio di fronte al letto matrimoniale restituiva le immagini di una ragazza orientale intenta in uno svogliato striptease.
Quando fu nuda, con la camicia da notte tra le mani, contemplò la figura che lo specchio le rimbalzava di fronte.
Si raddrizzò osservando le proprie forme, i propri lineamenti.
Non si considerava una brutta ragazza. Il seno era florido e sodo, alto sul torace, e la vita bella stretta, ancora di più dopo quelle settimane in cui l'appetito non era più stato suo alleato. Forse i fianchi potevano sembrare un poco larghi, ma il ventre era piatto e asciutto e le gambe, anche se un po' muscolose, almeno non svelavano un filo di grasso.
Piegò la testa un poco di lato, osservando i capelli lunghi e neri scivolarle sul seno, coprendone una parte. Il suo viso era proporzionato e l'espressione dei suoi occhi sensuale.
Sì, concluse: la bellezza non è davvero così importante in un rapporto di coppia.
Il gatto la osservava, in piedi sulla trapunta. La sua coda ondeggiava come a voler manifestare domande inespresse di fronte ai gesti incomprensibili della padrona.
Yuko guardò il felino. Unica presenza che le portava un minimo di compagnia in quelle insopportabili serate delle ultime settimane.
“Certo che tu ne porti davvero tanta di sfiga, vero Jella?”
“Miao.”
Il gatto si mise nella tipica posizione seduta, avvolgendo la coda intorno al corpo.
Da quando quel grumo di folti peli neri era entrato nella casa, un cucciolotto custodito in un cestino di vimini imbottito, parecchie cose, in effetti, erano andate storte, ma per fortuna la giapponese non era per nulla superstiziosa e si era invece molto affezionata alla gatta.
Nelle loro ultime solitarie giornate la ragazza e l'animale erano entrate in profonda simbiosi e la giovane intratteneva lunghi monologhi con l'unica presenza viva rimasta ad animare le fredde serate invernali.
Yuko guardò incerta la camicina da notte nelle sue mani decidendo infine di gettare l'indumento dall'altra parte del lettone.
“Niente”, disse rivolta alla gatta, “stanotte dormirò nuda e tu, palla di pelo, mi scalderai col tuo corpo, ok?”
“Miao.” Sembrò acconsentire l'animale.
La donna saltellò fino al capezzale facendo oscillare il seno, sollevò il lembo del lenzuolo e, presa la gatta, si infilò sotto le coperte stringendosi il felino sul petto.
Il pelo dell'animale era folto e soffice e una piacevole sensazione di calore si diffuse presto tra i seni in cui era stata collocata la micia.
Anche se molto spesso Jella aveva dormito sul suo letto, accoccolandosi sui suoi piedi e inscenando regolarmente battute di caccia appena le sporgenze sotto le lenzuola si muovevano, questa era la prima volta che la nipponica si portava il felino sotto le lenzuola, direttamente in contatto col suo corpo nudo.
Spenta la luce, la giovane si addormentò accarezzando la compagna pelosa, cullata dal vibrante e regolare rumore della gatta in evidente stato di compiacimento.
Si svegliò nel cuore della notte, il respiro accelerato, i capezzoli duri e sensibilissimi al solo sfioramento delle lenzuola, un sottile velo di sudore sulla fronte e sotto ai seni e una franca sensazione di bagnato tra le cosce.
Un'incontenibile eccitazione ancora le serpeggiava all'interno della vulva concentrandosi sul clitoride, in quello che riconosceva essere l'attimo immediatamente successivo a un orgasmo vaginale.
'Ma che mi succede?' Pensò, riconoscendo di non aver mai sperimentato prima l'estrema estasi durante il sonno. Cercò la gatta, senza trovarla, mentre il suo corpo ricomponeva il battito del cuore entro un ritmo più normale.
“Sei stata tu, maialina di una gatta perversa?”
Si mise a sorridere del suo stesso irrazionale timore.
'Ma ti immagini se Jella veramente mi avesse leccata mentre dormivo?' Pensò. Nella profonda oscurità la micia era comunque invisibile.
Ma fra le cosce e sui seni le era rimasta una certa insoddisfazione, forse legata al fatto che quell'esperienza di erotismo l'aveva coinvolta solo nel fisico, mentre ora la mente reclamava un momento di sesso più consapevole e una partecipazione emotiva.
Si ritrovò ancora nuda, sotto le lenzuola, ricordandosi dell'insolita decisione della sera prima.
Con una mano si sfiorò un seno, poi l'altro. La pelle era ancora sensibilissima e nuovi formicolii le raddrizzarono i capezzoli tramandando una nuova ondata di calore tra gli inguini.
Con la stessa mano cercò i capezzoli, imponendosi solo carezze leggere per aumentare l'eccitazione, mentre con l'altra mano indagava il piatto ventre.
Alcune contrazioni del bacino che non seppe trattenere le confermarono che nel suo corpo il livello di eccitazione era rimasto elevato.
Si impose di rallentare l'incontro tra le grandi labbra, cercando di focalizzare le riminiscenze del sogno erotico che le aveva donato la prima e inaspettata esplosione di piacere.
Ricordi confusi si facevano strada tra precise sensazioni di mani che le accarezzavano l'interno delle cosce, scivolando poi sugli inguini, trascurando impietosamente la parte più sensibile tra le gambe e rinnovandosi invece sugli ordinati peli del suo monte di Venere.
Polpastrelli setosi che le lambivano i capezzoli e poi dita curiose che affondavano nella soda consistenza dei suoi seni.
Un volo radente di carezze sui suoi peli pubici che divergevano sulle grandi labbra, dilatandole lentamente ed esponendo l'umido frutto al loro interno.
Quella sensazione di fresco che conosceva, quando le mucose bagnate venivano esposte all'aria aperta e poi una crescente sequenza di baci sulle piccole labbra e timide toccate in punta di lingua sul suo clitoride.
Le sensazioni si mescolavano ai ricordi magnificandosi a vicenda in un percorso che ripercorreva una spirale di crescente piacere quando si accorse che con una mano già si stava accarezzando le sensibili pieghe alla radice delle cosce.
Allargò le ginocchia sporgendo un po' il bacino per esporre la sorgente del piacere più intenso alle proprie dita. Il piacere che si stava concedendo ora, elicitava i ricordi del sogno erotico rendendoli disponibili alla sfera della ragione.
Cominciò ad alternare circolari carezze alla base del clitoride con affondi di due dita tra le proprie mucose imbevute di secrezioni morbide e viscose. Con l'altra mano si strizzava i capezzoli strofinandoli tra pollice e indice, ogni tanto tirandoseli fin quasi a provare dolore.
Posseduta dal desiderio cominciò a gemere senza timore di essere udita, intensificando le proprie stimolazioni, fino a un urlo più secco e deciso, strangolato da una forte scossa dei fianchi.
Serrò le cosce sulla mano che teneva ancora infilata profondamente in vagina trattenendo il fiato fino a sentire spegnersi questo nuovo orgasmo, più intenso e partecipato.
Solo quando rilasciò il sospiro trattenuto dopo la prolungata apnea che accompagnava l'estasi, sentì la gatta avventarsi sulle sue ginocchia, attaccandole con penetranti artigliate.
“Jella! Ma dove eri finita? Non posso neanche tirarmene una in santa pace che subito devo fare i conti con te?”
“Miao.”
“Vieni qui, stupidina.”
Si inscenò una breve battaglia, ma la giapponese riuscì presto a fare prigioniera la sua avversaria, riportandosela sul seno, sotto le lenzuola.
“Adesso nanna...” sbadigliò la giovane abbandonandosi al deliquio che si impadroniva della sua coscienza, addormentandosi presto con la micia tra le braccia.
Una cucina dai riflessi gelidi, sopra i fornelli le presine a forma di coniglio, alcune bacchette di bambù laccate di rosso carminio, la brocca dell'acqua sul tavolo, la pentola per il riso al vapore e una donna addormentata sui libri di testo per l'esame di specialità.
I capelli neri sparsi sulla tovaglia su cui spiccavano alcune miniature cinesi.
Un'immagine quasi povera di solitudine. Il silenzio irreale rotto dai profondi respiri della donna addormentata nella casa vuota.
Una macchia nera schizzò di fianco al frigorifero con una specie di fremito, un verso vibrante, animalesco.
Jella con un balzo leggero e silenzioso saltò sulle ginocchia della giovane addormentata, si accovacciò sulle sue cosce, raggomitolandosi in una palla di pelo nero da cui presto cominciò a diffondersi un sordo mormorio di fusa soddisfatte.
“Jella, sei tu?” Chiese la ragazza svegliandosi con una latenza incongrua.
“Miao” ottenne come risposta.
Il gatto intensificò la sua sonora vibrazione.
Yuko prese atto della situazione. Inquadrò la panoramica della cucina cercando il quadrante dell'orologio, sull'apertura del forno.
“È tardi, gattina e sono troppo stanca per studiare. Meglio andare a dormire.” Concluse storpiando le parole in uno sbadiglio non trattenuto, mentre si stiracchiava le stanche membra.
“Miao.”
Prese il felino e, uscita dalla cucina, dal corridoio, lo lanciò sul suo lettone a due piazze trascinandosi poi in direzione del bagno per lavarsi prima di ritornare verso la sua camera da letto.
Contemplò le stanze buie dell'appartamento. Il silenzio esacerbava la sensazione di solitudine e di abbandono che la ragazza ormai da qualche settimana provava ogni volta che calavano le tenebre e considerava gli spazi in cui abitava, svuotati di significato.
Quelle sensazioni l'attendevano puntuali e impietose a ogni sera da quando il suo compagno l'aveva lasciata.
Le urla della loro ultima furiosa litigata sembravano ancora echeggiare, rimbalzando da un muro all'altro, da una stanza all'altra. Quelle mura che sembravano rivestirsi di accusa e ostilità nei suoi confronti, quando, allo spegnersi della luce del giorno, si rianimavano rendendo i ricordi vividi e concreti, gli insulti e le accuse rinfacciate ancora reali e crudelmente ricorrenti.
Ma come aveva potuta tradirla proprio con la sua amica, nella loro casa, proprio sul loro stesso letto? Il disgustoso cliché, ripetuto banalmente fino alla nausea da questa umanità depravata, senza fantasia.
E proprio a lei, questa volta, era dovuto capitare.
In un solo colpo aveva perso il suo compagno e la persona che le era sempre sembrata quella capace di starle più vicina, la più intima, sostituendo agli affetti sociali la lacerante solitudine e il crollo della propria autostima.
Lei l'aveva allontanato da casa e lui, senza una parola di scuse, senza il minimo gesto di pentimento o di rimpianto, aveva tirato insieme pochi suoi indumenti e se ne era andato nella notte, senza neanche chiudere la porta, diretto tra le braccia dell'altra, nel suo appartamento.
Yuko si era ritrovata da sola a piangere sul divano, con la vita infranta e l'esame di specialità da preparare a poco più di un mese di distanza, senza più alcuna motivazione di vivere.
Solo la gatta nera le era stata vicina, saltandole in grembo secondo un rituale consolidato che pareva non risentire minimamente delle differenti situazioni emotive che la giovane giapponese attraversava.
Jella, la gatta nera che amici superstiziosi e maliziosi le avevano regalato l'ultimo venerdì 17 della primavera precedente, dopo aver carpito la notizia che la loro amica nipponica avrebbe desiderato un gatto come regalo.
Yuko entrò in stanza cominciando a spogliarsi.
Lo specchio di fronte al letto matrimoniale restituiva le immagini di una ragazza orientale intenta in uno svogliato striptease.
Quando fu nuda, con la camicia da notte tra le mani, contemplò la figura che lo specchio le rimbalzava di fronte.
Si raddrizzò osservando le proprie forme, i propri lineamenti.
Non si considerava una brutta ragazza. Il seno era florido e sodo, alto sul torace, e la vita bella stretta, ancora di più dopo quelle settimane in cui l'appetito non era più stato suo alleato. Forse i fianchi potevano sembrare un poco larghi, ma il ventre era piatto e asciutto e le gambe, anche se un po' muscolose, almeno non svelavano un filo di grasso.
Piegò la testa un poco di lato, osservando i capelli lunghi e neri scivolarle sul seno, coprendone una parte. Il suo viso era proporzionato e l'espressione dei suoi occhi sensuale.
Sì, concluse: la bellezza non è davvero così importante in un rapporto di coppia.
Il gatto la osservava, in piedi sulla trapunta. La sua coda ondeggiava come a voler manifestare domande inespresse di fronte ai gesti incomprensibili della padrona.
Yuko guardò il felino. Unica presenza che le portava un minimo di compagnia in quelle insopportabili serate delle ultime settimane.
“Certo che tu ne porti davvero tanta di sfiga, vero Jella?”
“Miao.”
Il gatto si mise nella tipica posizione seduta, avvolgendo la coda intorno al corpo.
Da quando quel grumo di folti peli neri era entrato nella casa, un cucciolotto custodito in un cestino di vimini imbottito, parecchie cose, in effetti, erano andate storte, ma per fortuna la giapponese non era per nulla superstiziosa e si era invece molto affezionata alla gatta.
Nelle loro ultime solitarie giornate la ragazza e l'animale erano entrate in profonda simbiosi e la giovane intratteneva lunghi monologhi con l'unica presenza viva rimasta ad animare le fredde serate invernali.
Yuko guardò incerta la camicina da notte nelle sue mani decidendo infine di gettare l'indumento dall'altra parte del lettone.
“Niente”, disse rivolta alla gatta, “stanotte dormirò nuda e tu, palla di pelo, mi scalderai col tuo corpo, ok?”
“Miao.” Sembrò acconsentire l'animale.
La donna saltellò fino al capezzale facendo oscillare il seno, sollevò il lembo del lenzuolo e, presa la gatta, si infilò sotto le coperte stringendosi il felino sul petto.
Il pelo dell'animale era folto e soffice e una piacevole sensazione di calore si diffuse presto tra i seni in cui era stata collocata la micia.
Anche se molto spesso Jella aveva dormito sul suo letto, accoccolandosi sui suoi piedi e inscenando regolarmente battute di caccia appena le sporgenze sotto le lenzuola si muovevano, questa era la prima volta che la nipponica si portava il felino sotto le lenzuola, direttamente in contatto col suo corpo nudo.
Spenta la luce, la giovane si addormentò accarezzando la compagna pelosa, cullata dal vibrante e regolare rumore della gatta in evidente stato di compiacimento.
Si svegliò nel cuore della notte, il respiro accelerato, i capezzoli duri e sensibilissimi al solo sfioramento delle lenzuola, un sottile velo di sudore sulla fronte e sotto ai seni e una franca sensazione di bagnato tra le cosce.
Un'incontenibile eccitazione ancora le serpeggiava all'interno della vulva concentrandosi sul clitoride, in quello che riconosceva essere l'attimo immediatamente successivo a un orgasmo vaginale.
'Ma che mi succede?' Pensò, riconoscendo di non aver mai sperimentato prima l'estrema estasi durante il sonno. Cercò la gatta, senza trovarla, mentre il suo corpo ricomponeva il battito del cuore entro un ritmo più normale.
“Sei stata tu, maialina di una gatta perversa?”
Si mise a sorridere del suo stesso irrazionale timore.
'Ma ti immagini se Jella veramente mi avesse leccata mentre dormivo?' Pensò. Nella profonda oscurità la micia era comunque invisibile.
Ma fra le cosce e sui seni le era rimasta una certa insoddisfazione, forse legata al fatto che quell'esperienza di erotismo l'aveva coinvolta solo nel fisico, mentre ora la mente reclamava un momento di sesso più consapevole e una partecipazione emotiva.
Si ritrovò ancora nuda, sotto le lenzuola, ricordandosi dell'insolita decisione della sera prima.
Con una mano si sfiorò un seno, poi l'altro. La pelle era ancora sensibilissima e nuovi formicolii le raddrizzarono i capezzoli tramandando una nuova ondata di calore tra gli inguini.
Con la stessa mano cercò i capezzoli, imponendosi solo carezze leggere per aumentare l'eccitazione, mentre con l'altra mano indagava il piatto ventre.
Alcune contrazioni del bacino che non seppe trattenere le confermarono che nel suo corpo il livello di eccitazione era rimasto elevato.
Si impose di rallentare l'incontro tra le grandi labbra, cercando di focalizzare le riminiscenze del sogno erotico che le aveva donato la prima e inaspettata esplosione di piacere.
Ricordi confusi si facevano strada tra precise sensazioni di mani che le accarezzavano l'interno delle cosce, scivolando poi sugli inguini, trascurando impietosamente la parte più sensibile tra le gambe e rinnovandosi invece sugli ordinati peli del suo monte di Venere.
Polpastrelli setosi che le lambivano i capezzoli e poi dita curiose che affondavano nella soda consistenza dei suoi seni.
Un volo radente di carezze sui suoi peli pubici che divergevano sulle grandi labbra, dilatandole lentamente ed esponendo l'umido frutto al loro interno.
Quella sensazione di fresco che conosceva, quando le mucose bagnate venivano esposte all'aria aperta e poi una crescente sequenza di baci sulle piccole labbra e timide toccate in punta di lingua sul suo clitoride.
Le sensazioni si mescolavano ai ricordi magnificandosi a vicenda in un percorso che ripercorreva una spirale di crescente piacere quando si accorse che con una mano già si stava accarezzando le sensibili pieghe alla radice delle cosce.
Allargò le ginocchia sporgendo un po' il bacino per esporre la sorgente del piacere più intenso alle proprie dita. Il piacere che si stava concedendo ora, elicitava i ricordi del sogno erotico rendendoli disponibili alla sfera della ragione.
Cominciò ad alternare circolari carezze alla base del clitoride con affondi di due dita tra le proprie mucose imbevute di secrezioni morbide e viscose. Con l'altra mano si strizzava i capezzoli strofinandoli tra pollice e indice, ogni tanto tirandoseli fin quasi a provare dolore.
Posseduta dal desiderio cominciò a gemere senza timore di essere udita, intensificando le proprie stimolazioni, fino a un urlo più secco e deciso, strangolato da una forte scossa dei fianchi.
Serrò le cosce sulla mano che teneva ancora infilata profondamente in vagina trattenendo il fiato fino a sentire spegnersi questo nuovo orgasmo, più intenso e partecipato.
Solo quando rilasciò il sospiro trattenuto dopo la prolungata apnea che accompagnava l'estasi, sentì la gatta avventarsi sulle sue ginocchia, attaccandole con penetranti artigliate.
“Jella! Ma dove eri finita? Non posso neanche tirarmene una in santa pace che subito devo fare i conti con te?”
“Miao.”
“Vieni qui, stupidina.”
Si inscenò una breve battaglia, ma la giapponese riuscì presto a fare prigioniera la sua avversaria, riportandosela sul seno, sotto le lenzuola.
“Adesso nanna...” sbadigliò la giovane abbandonandosi al deliquio che si impadroniva della sua coscienza, addormentandosi presto con la micia tra le braccia.
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