Lunghi peli neri

di
genere
feticismo

Ti guardo negli occhi mentre, dopo aver preso una consapevole decisione, sollevo le braccia per indirizzare le mani verso i miei capelli.
Seguo le tue iridi che saettano sbirciando le mie ascelle, quella parte del corpo della donna che ancora simboleggia un'intima nudità anche se, da quando ci si depila, ha perso molto della sua componente erogena.
Sì, un'ascella di donna ancora inselvatichita dai peli incolti rappresenta ineluttabilmente uno sfacciato richiamo erotico e sessuale, evocando necessariamente i peli del pube. Quelle poche zone della donna che, in ogni razza e continente, ancora, per natura, sono ricoperte di peli; lì, dove gli arti superiori si uniscono nel tronco, dove convergono quelli inferiori. Lì, dove si nasconde o, con immotivata necessità estetica, si depila.
Ma il mio sguardo imbriglia il tuo, lo magnetizza e, dopo la fugace parvenza di conquista delle mie ascelle, ancora lo costringe nel mio.
Una donna che si scioglie la chioma, con implacabile lentezza, fissandoti negli occhi con aria di provocazione.
Le mie dita si muovono a memoria tra i lacci del mio crine, e mentre cadono a terra i legacci e i capelli riprendono forma, analogamente e nello stesso tempo, il sangue riprende forza e flusso nel tuo basso ventre. Lo sento, ne sono certa e, rallentando, esercito il mio dominio sui tuoi sensi, e tu riposi, in questo giogo che trovi rassicurante: forse non ne sei neanche sorpreso.
Vaporizzo il mio crine, una puledra selvaggia che nel tuo pensiero ancora ti illudi di domare.
E ti immagini a essere tu a passare le tue dita tra i miei capelli, a sentirne la fluida consistenza scivolare tra le palme, abbracciarne la morbidezza, l'impalpabile temporaneità, la fugace sensazione che vorresti perpetuare.
Ma sei ancora incarcerato dal mio sguardo che ti concede solo centimetriche digressioni.
Una donna che si scioglie i capelli, non vista. Tu la spii e non vorresti interrompere quella sequenza di gesti quotidiani, così provocanti, sempre allo stesso modo, come la prima volta.
La stessa dona che ti fissa mentre ripete l'identica azione, e ti provoca, ti obbliga a eccitarti.
Medesima carica erotica di una donna che si slaccia il reggiseno, e mentre l'indumento comincia a scorrere sulla pelle, quando i primi centimetri espongono quelle forme, bramate dal tuo desiderio, prima ancora di arrivare ai capezzoli, tu sei già distrutto, incatenato, completamente soggiogato da quanto si sta per avverare. Un forziere che si apre e mostra i primi bagliori dorati del suo contenuto. Una conchiglia che si schiude per svelare la sua perla; un epocale avvenimento che sta per mantenere la sua promessa.
I capelli scivolano sulla spalla nuda.
I capelli si adagiano sul mio seno, celandolo solo un poco al tuo sguardo supplice.
I capelli.
Sipario temporaneo sulla mia pelle, velo cangiante intorno alle mie intimità quasi nascoste.
Volatile diaframma tra la tua tensione e il suo appagamento.
I capelli sul mio volto, quando li scuoto: li rianimo riempiendoli di vita.
E quei sottili steli neri, quel crine selvaggio, mentre offuscano i miei occhi che ancora spiano i tuoi gesti, ingabbiano i tuoi sentimenti, anestetizzano i tuoi movimenti e disarmano la tua volontà.
Li sposto con un dito per rendere lo specchio della mia anima ancora accessibile alla tua domanda, e tu ti senti rinascere, rinvigorito nella tua convinzione.
Attimi che prolungano tempi in dimensioni insondabili, e ancora sollevo la fronte in piccole scosse per riordinare i sottili fili di buio e liberare il mio profilo per i tuoi audaci pensieri.

Ben altro è riservato ai peli, quelli che tirano più di un carro di buoi.
Le ascelle, curate e morbide, hanno sminuito la loro potenza erogena e quando un'impalpabile peluria riconquista zone disabitate, ormai l'immagine si è rivestita di incuria e provocante sporcizia.
Ultimo baluardo in vacillante precarietà, sono i peli del pube, quelli che si estendono fino ad avvolgere l'essenza più profonda di ogni donna.
Un monte di Venere glabro, che si scopre gradualmente mentre si abbassano le mutandine di fronte a uno sguardo impaziente, non ha più nulla da raccontare. È una parte del ventre che ha perso la sua pulsione erotica, cancellato un confine invalicabile, concesso solo a pochi e in circostanze saltuarie.
Una parte del corpo femminile che ha smarrito la parola e, muta e incapace di comunicare sensazioni, si arrende alla perdita irreversibile delle provocazioni graduali, della progressività del dono sessuale.
Di quanta più enfasi si arricchisce il gesto di calarsi gli slip di fronte a un amante, di qualunque sesso sia, se, valicati gli estremi orizzonti del consueto, il bordo dell'elastico lascia trapelare i primi peli neri.
Un picco di emozioni, il preludio di nuove dissolute sensazioni; l'elogio alla lussuria, la sua accurata coltivazione.
Quegli steli neri che si affacciano improvvisamente e senza preludi, al di sotto del ventre anche più glabro: sensibili ancelle in grado di trasmettere stimoli incontenibili quando con la mano, gentile e leggera, li accarezzo; quando tu, con le tue dita, li sondi con rispetto, li esplori, li domi facendone tuo terreno di gioco, anticamera di traguardi più devastanti.
Percorso disordinato, un boschetto selvaggio, o fine vello accuratamente sagomato, delta di soffice consistenza o semplice striscia di morbidezza. Profumi inesplorati, percezione curiosa tra le tua labbra, sotto i tuoi piccoli morsi che anelano alla sorgente concupita, al delizioso vertice di umido piacere che da lì è ormai accessibile e concesso.
Quel percorso scuro, delineato a racchiudere come in un abbraccio aperto, gli atri pronti ad accogliere la tua pienezza, le tue dita, i tuoi baci.
Peluria che sfuma verso le cosce, guida precisa verso gli accessi più profondi, visitabili, disponibili.
Segreto occulto svelato solo a chi, ritenuto eletto, potrà prendersene cura.
E ancora mi fermo per coltivar malizia, mentre le prime punte nere si dipanano sopra l'elastico delle mutandine che reggo tra le dita.
Il sangue pulsa nelle tempie. Il liquido invade gli organi genitali convertendosi in cascate di sensazioni bagnate, in imperiose distensioni di corpi incarcerati in spazi esigui.
Con le dita sfioro le punte, provocandomi piacere, facendo impazzire la tua attesa.
Con le mani affondo negli steli di picei riflessi, li risveglio, li pettino, li accarezzo.
E questo mio gioco, sotto i tuoi occhi succubi, ti lacera di passione e di gelidi sudori.
Quello che in un'affollata spiaggia può provocare imbarazzo, l'insistente darsi di gomito tra giovani irriverenti e mordaci che passano e ripassano a godersi il paesaggio, finché mi accorgo della fuga e ricompongo l'insubordinazione, in altri momenti è in grado di tenere in scacco l'amante, maschio, o di far fondere di fusa la amante, donna.
Pelo di donna, pelo di pube, peli di figa.
di
scritto il
2025-01-01
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