Come neve dal cielo sereno (di senzaidentità e Cassandra)
di
S.I.
genere
etero
“Come neve dal cielo sereno- canticchia trottando tra bottiglie vuote, piene di rose o soltanto di sole- mi sta appiccicato come il demonio…”
-Non mi esce più dalla testa.- Pensa.
Ha appena finito di riordinare, quando in bocca non ha la cantilena di cui sopra, passando le mani rosee intenerite dall’acqua a levare il sapone dalle stoviglie, la filastrocca ripetuta è quest’altra:
“Sono insoddisfatta e sciatta, provo a vendere mio marito su e-bay ogni lunedì ma un guaio del genere se lo piglia il diavolo… Scopa come se bevesse un bicchier d’acqua fresca, altro che appiccicato come il demonio… Mai uno schizzo di fantasia, si mette sopra o sotto come capita e via botte di anche. Le conto pure. Non hanno mai superato il numero di venti. Alla faccia dei cento colpi di spazzola prima di andare a dormire… Io me li sogno. Finito il guizzo di vita si gira a lato e russa. Talmente forte che son convinta che nel palazzo l’abbiano sentito tutti.
È pure taccagno.
Avevo preso confidenza con un centro di massaggi cinese che la clientela femminile solitamente la rigetta ma nel mio caso… Ho pregato, implorato, mostrato che la mia esistenza è un continuo alzarmi presto, sgobbare e senza scopare e la cinese mi osservava con le dita incrociate e annuiva sotto una frangetta laccata che le oscurava le sopracciglia… Vediamo cosa possiamo fare… No vabbè la frase di circostanza non la disse però le ho affidato il mio portafogli e ho detto:
-prenda quello che comanda lei-
Così nelle fessure dei suoi occhi si sono accese due cerchietti di scintilline gialle….
Ma ormai è sparito, tutto sparito. Ci resta solo il macellaio di fiducia ma non oso e poi…Mancanza di capitali.
Se sapesse però quello che faccio col salame nel frigo, non ci metterebbe più manco il naso quando torna perché a lui, lo so, fa ribrezzo leccare la figa ma anche avvicinarsi alla bocca ogni cosa che sia venuta a contatto con quella cosa… Lo ho visto come butta vicino alla lavatrice, svelto come la luce, la federa del cuscino quando ci sente l’odore di figa. “
I piatti sono a posto- grazie al cielo- perché a chiavare non chiava ma per mangiare mangia eccome.
Sul tavolo c’è un’altra bottiglia di latte fresco, meglio spostarla o prenderà odore di sole anche quella.
-Ma non la butto, è di vetro. Più tardi colgo fiori e ce li metto… Come neve dal cielo sereno…. Lei è tutta di fuoco…- Prosegue il canto silenzioso.
Ha ingurgitato i due bigné previo taglio col coltello e minuziosa leccata del loro ventre cremoso, adesso trascina la sua litania con la spalla che spunta dal tutone color cinnamono, facendo cadere la cenere di sigaretta con un tocco leggero dell’unghia.
Sotto il tavolo strusciano uno contro l’altro i polpacci scaldati da spesse calze lunghe a righe.
-Ora me ne torno a letto, ho terminato. Anzi no, qui sto meglio.-
Si vede negli occhi della specchiera incollata alla parete dell’ingresso, la luce le rifrange sulla bocca, accesa così tanto che può apparire ritoccata col rossetto.
-Se magari venissi a suonarmi nel mezzo nelle mie faccende come Cenerentola…. Attendo il tuo arrivo con trepidazione. Eppure, per te niente abiti scollati e sexy. Quando ti apro, mi trovi in ciabatte, calzettoni a righe e tutona di ciniglia. I capelli sono legati a coda e le ciocche ai lati sono tenute ferme da odiosi fermagli colorati. Non ci sono trucchi per te: hai l’onore di vedermi così, al naturale.-
Ma chi?
L’immagine che prende vita negli anfratti del cervello potrebbe esser quella di un soggetto con cui eccitarsi ancora e allora…
-Forse potrei scrivermela una scopata visto che non ho da viverla, però aspetta, no il pc lo usa anche quel cagnaccio che imperversa tutta la notte ansando come un barboncino a cui hanno messo il collare attorno al cazzo… Fammi pigliare carta e penna.-
“Allora dicevo che non sono attraente ma tu non ti curi mai dell’aspetto delle tue signore. L’importante e trovarle e ricevere i soldi quando è richiesto.”
Scrive e rilegge a voce alta.
-E si certo, nell’oceano della fantasia ogni cosa veleggia attorno al denaro come nella realtà. Ma non conterebbe molto se fossero spesi bene.-
Mi chiedi se sono proprio io quella che cerchi.
“Si sono io.”
L’indice raggiunge il bocciolino tra le labbra, è secco diamine.
-Ti ci metti pure tu? Ti eri inumidito, avevo sentito e che diavolo…-
Sta scomoda, è meglio gettar via la pantofola e poggiare il piedino sul bordo del tavolo.
Il fantasma che si compone dal vapore fluttuante sopra la teiera, ha mani forti che accarezzano la sua figa ed il cuore carnoso che ha sulle labbra.
-Desidererei che tu mi spogliassi.-
Il divano l’abbraccia col suo ruvido corpo di cuoio, i gancetti demoniaci di un reggiseno del mercato cedono semplicemente alla voglia di dita buone per raccogliere fiori e masturbare le donne isteriche…
“Come me… Strappami via gli slip e buttali a terra. Li facciamo raccogliere a mio marito quando torna. Almeno si rende utile una volta tanto quel barboncino, io d’altronde sto tutte le mattine a tirar su le mutande e i calzini che mi semina dove capita. Glieli facciamo pure annusare… Profumano certo più del suo muso. Ah, questa me la devo segnare perché magari sarà divertente solo per me stessa ma provate voi a immedesimarvi nella frustrazione di una femmina che si becca per la vita uno che afferma che gli fa schifo leccare la figa perché puzza. Che poi mangi di tutto, pure la minestra slavata col pattume se te la sbatto davanti alle sette. Io credo che tu probabilmente sia un omosessuale represso, ecco cosa.
Ma no, ho divagato…Torna qua tu, no tu, lui l’altro…-
Nell’abisso dello specchio guarda ora il suo corpo nudo e le sue reni che assecondano incurvandosi un movimento deciso nell’alone di vapore che la avvolge.
-Io ti vedrei bene con un frustino tra le mani a dirmi:
“Miss Anastasia Steele, abbiamo fatto le cattive oggi? Ora io te le suono di santa ragione e tu conti!”
“Eccomi sono pronta, serviti pure!”
La sua eccitazione è alle stelle e riluce nelle colline rosa dei suoi glutei che si delineano sul vetro tra le ginocchia sollevate.
Le bottiglie fremono tutte in coro intonando il trillo del campanello.
Ma lei non apre, non vuole alzarsi adesso, non adesso che sta per irradiarsi nel salone la sua fragranza di donna in risposta ad una presenza trasparente ma percepita così nettamente che vorrebbe abbracciarlo, baciarlo e invece abbraccia e bacia il cazzo. Può sembrare strano ma ha aspettato tanto tempo ad averlo che ora non ci sarà mica fretta di tenerlo dentro di sé, succhia con una debolezza tormentosa.
Un tormento esatto, lo stressa è un’emozione così forte da mandarla in estasi.
Le bottiglie di nuovo in coro.
-Quel coglione si è scordato un’altra volta le chiavi-
I suoi occhi sono aperti e le sue stesse mani seriche sfiorano la propria pelle tra gemiti che raccontano un piacere atteso, troppo lungamente atteso…
Un trillo acuto e nervoso.
“Arrivo!”
Ripetuto.
Solleva il naso dall’incavo morbido della spalla e sbuffa un’aria satura di rabbia.
“Arrivo ho detto! Ero di sopra a stirare! E checcazzo…Possibile che non mi debba mai portare un briciolo di… Di pazienza… Nemmeno in un momento come questo… Stavo stirando porca…”
Correndo da un lato all’altro del salone recupera solo un pezzo della tuta. E l’altro?
-Via mi metto sto scialle.-
Il suo passo incede nel corridoio dell’ingresso accompagnato dal grugnito accorciato del respiro affannoso, spalanca la porta con un calcio e si rivolta per tornare in sala, torcendo allo spasimo la stoffa che s’è buttata sulla schiena.
Ora è freddo, fuori dalla nebbia voluttuosa di poco prima, ruota la manovella del termostato per aumentare di cinque gradi la temperatura e schizza via. Non le va manco di guardarlo in faccia, oltre a non fare nulla riesce a rovinare pure quello che fa lei…
“Domani mattina appenditela al collo quella chiave, stronzo! Raccogli le mie mutande p-e-r p-i-a-c-e-r-e? Mi sono scivolate dal cesto prima svuotando la lavatrice, tanto io sto sempre a raccattar le tue. Ma che ti ha mangiato la lingua il gatto?”
Un momento.
Porca p… Sudore freddo, capelli incollati alla nuca e goccioline tremule di sudore impermalito sulle ciglia.
“Le mie?”
Effettivamente quello alle sue spalle chino ad alzare i suoi slip riflesso nello specchio non è lui. Vero, lui in genere da al campanello due suoni brevi e limpidi da padrone.
-Niente panico, dico che mi sono sbagliata, rido… Ma che ridere questa è da pianto… Facciamo che… Calma i nervi… Come neve dal cielo sereno…-
Ma quello ha già un dito a seguire le righe da lei scritte pochi minuti fa.
“Le mutande facciamole raccogliere a lui… Omosessuale represso…”
“Non era rivolto a lei.”
“Lo so, io non ho mai avuto l’onore di sorbirmi la sua minestra al pattume.”
Ma che roba è? Anche se ha fatto una sceneggiata indimenticabile questo cafone dovrebbe darle il pacco e defilarsi, non stare lì a cacciare il naso nelle sue fantasie erotiche…
-Darmi il pacco? Fantasie?-
E lo conosce pure, ci ha litigato, è lo stesso scemo di corriere che incontra il giovedì quando va a fare spesa. Puntuali, si beccano al semaforo rosso sulla salita che precede la chiesa e lui frena all’ultimo secondo o venti metri prima e lei dietro conseguentemente inchioda. Quindi non sapendo ancora ripartire in salita resta lì imprecando con la macchina spenta quasi tutte le volte.
Ributta dalle narici un odore di tabacco bruciato misto a il diavolo sa che cosa risucchiando dal filtro ingiallito e semitrinciato di una sigaretta fai da te.
“Ehi, lei non può fumare in casa mia.”
“Anche lei fuma.”
“Io sono la padrona! Spenga quella roba. Là c’è il posacenere.”
“L’ho visto.”
La guarda con una faccia che sta a dire -Toh- nell’atto di schiacciare del tutto la cicca sulla ceramica.
“Forza mi dia il pacco.”
“Eccolo.”
Ha una mano di donna appena uscita dalle coperte, lo sente nel breve contatto imbarazzante e sicuramente sarebbe stato molto meglio poter stare a letto fino a tardi insieme a lei; invece di articolare il consueto -buongiorno mondo- e ritrovarsi costretto nell’uniforme sottile e blu profondo. Nella quale ogni mattina chiude un pacco che diversamente da lui è più che mattiniero e si sveglia forte e urgente.
Lei ha una palpebra sola strizzata che tremola e si confonde nelle sfumature pallide del mattino, contro lo sfondo dell’intonaco scricchiolante dell’appartamento.
Ed un respiro appena udibile che le si alza ed abbassa nel petto mentre scarta quel pacco con movimenti impercettibili.
“Ma perché sta lì impalato?”
“Deve firmare.”
“Ah, già.”
Solo che invece di porgere una penna ha torto il suo piccolo polso tra le dita non appena gli si è accostata e la fissa, dritto negli occhi, con le iridi virate dal colore simile al cuoio del suo divano ad un rosso umido e gonfio. Se per stanchezza o per l’essersi svegliato all’alba…
-Io non me lo dovrei domandare.- Si dice divincolando il polso dalla sua stretta.
“Manderò un reclamo scritto.”
“Non dimentichi di riportare dettagliatamente l’accoglienza che mi ha riservato… Anastasia…”
La sua voce è affogata in un riso cretino e la cocca bianca del tovagliolo di lino che s’infila nel colletto per non sporcarsi la tuta a colazione occhieggia dal tavolo offrendosi di fare da benda.
“Vada a fanculo.”
“Prima lei.”
I suoi polsi fanno unione senza bisogno di alcun legamento e nessun tovagliolo, lui ha un serafico bagliore nelle pupille che attende forse un si o no.
La sua lingua sa di sale, di tabacco e di qualcosa di metallico.
-Dovrei fare qualche cosa…-
Lo specchio li scruta ma non è inibente, non serve un grande sforzo per far evaporare il poco che ha addosso, i suoi lunghi, folti capelli le coprono la schiena. Sembra una cagna dal manto bruno imbevuto di sole.
-Dovrei fare qualcosa… Ma cosa potrei…-
I suoi peli pubici bagnati dalla masturbazione e dallo spavento di poco prima hanno un lieve odore d’orina ma forse non è un problema per questo cane che affonda la lingua per bere, assetato di carne, di pelle, di sangue il succo della sua troiaggine.
Il suo ventre solo di poco arrotondato è premuto sul ripiano del tavolo, la complessione delle sue forme genera un’immagine di briosa sensualità nonostante l’assenza del trucco, dell’uso mancato del pettine ma poi a chi interessa del trucco in questi momenti…
La mente le chiede cosa fare mentre quella lingua sale e scende nell’interno delle sue cosce e va più u e più su, le si infila nell’ano. Gli piace, questo si vede ed è gratificante.
-Ma io non voglio fare un cazzo…-
E lascia la guancia abbandonata al noce scuro continuando a guardarsi, lui non vede niente, ha già la mente proiettata al divano sul quale lei si è accoppiata con sé stessa fino a poco prima e alla visione di quel corpo premuto sotto il suo peso una volta che sarà penetrato per tutta la lunghezza dal suo cazzo.
Le sue mani le abbracciano le cosce, le sue belle cosce color pesca e le affonda i denti nella spalla, dettaglio in rilevo di quella sequenza di immagini nel mattino traboccante di luce.
Entrerà di colpo, ci cadrà dentro, si è intensamente allargata e dilavata al pensiero di quanto sia bello stringere con tutti i muscoli della fica un cazzo mentre ti scopa.
Lei si scuote, ricambia il morso, i suoi occhi hanno la profondità e la sincerità dì uno sguardo animale, il naso di lui è umido, lo sente passarle sulle orecchie e soffiarle nel cervello ansiti risultanti da un dimenarsi che va a sbattere direttamente alla sua cervice.
Ed il suo respiro è pesante, pregno di tabacco e di carne, le sue mani sono callose, lei vi intreccia le dita, sa che desidera smembrarla ed ingoiarle l’anima ma lei sarà più veloce.
Lo avvinghia a sé grazie ai polpacci morbidamente avviluppati dalle calze, seduta in fronte a lui, ingoia la sua estrema erezione ancora alta e il sapore di sé stessa la inebria. Risucchia ancora e poi un’altra volta, adesso è pulito e sa solo di cazzo, di cazzo che sta per scoppiare. Non ricorda nemmeno l’ultima volta che ha fatto un pompino, forse mille anni fa, il rancore prevale su tutto e le offusca gli occhi lacrimanti. Lacrima e geme con il membro premuto sulla giugulare, la lingua le è serpeggiata fuori dalle labbra negli ultimi ansiti, negli ultimi rantoli, la testa le è caduta all’indietro e i capelli toccano terra. Il suo divano trasuda di loro.
Ha sicuramente vinto lei, è lei a portarsi via le ultime combattute energie e a restituirgliele in un bacio soffocante pieno del suo sperma e di umore, di metallico sentore di sangue ceduto dai capillari dilaniati dai rispettivi denti che le scappa dal labbro e le cola lungo il collo.
Ora lo specchio le mostra le sue guance trasfigurate in due chiazze viola, volgari e violente. Raccoglie dalle tette ciò che resta di quel miscuglio liquido e glielo porta alle labbra, vuole riempirgli la bocca di sé stesso, fino allo spasimo, a farlo vomitare.
Ma non vomita perché lui non ha disgusto per nessuna cosa che sia correlata con l’atavica sete.
***
Adesso che la porta si è richiusa alle sue spalle si ricorda del suo cellulare nuovo ancora nascosto nell’imballaggio.
“Mah. Ordinerò pure la cover e la pellicola.”
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