Lei non era Annabel Lee
di
S.I.
genere
masturbazione
Lei non era Annabel Lee ma lui le disse che lo era, ne aveva gli occhi verdi azzurri e i capelli di un color sole estremamente caldo, la pelle vellutata e il corpo fine.
Era elegante e tanto, da apparirgli una bambolina vittoriana.
Amava Anna di una forza che non si conosce che poche volte.
Era vicino a a lei e al marito Giulio, quel tanto di tempo che gli serviva a scaricare patatine e a lasciare fatture in quello snack bar aperto coi sacrifici della sola Anna.
Almeno da ciò che raccontava.
La bambolina che subiva sempre e non gridava mai, alzava in disappunto il sopracciglio lineare e il labbro rosso vivo, il seno che intravedeva dalle sue camicie sussultando al suo respiro toglieva il fiato a lui.
Seno che emanava tepore a dicembre, umano, scottante profumo di donna. Vi scivolava in mezzo lo zaffiro trafitto dal filo d'argento.
Lei era d'argento.
Gli stava davanti più alta di lu, più grande di una quindicina di anni.
Aveva lavorato fin da bambina, rinunciato a tutto, subito di tutto ed in cambio non un grazie le era tornato. A pensarci oggi comunque, lui pensa che lei non aveva poi mani di chi ha faticato né il volto di chi è stato umiliato.
Eppure all'epoca era la dolce Anna… Annabel Lee la chiamò una sera quando gli chiese consigli e poesie.
Le sue confidenze gli provenivano da sms e telefonate svolte sottovoce quando il marito di lei ancora non saliva a casa, ritardando la chiusura e mai da altro, a starla a sentire in quella casa non facevano niente di più che litigare.
Non passava sufficiente tempo in loro compagnia o in compagnia di Anna in carne ed ossa per dar ragione all’una o all’altro ma in mezzo a qualche discussione vi era capitato.
Quella volta che aveva portato uno sproposito di sacchetti di patatine alla paprika perché Anna aveva sbagliato a far l'ordine e s'erano messi a litigare davanti a lui col contegno di chi lava i panni sporchi di rancori sulla pubblica piazza.
“Non è il caso di piangere per qualche prodotto acquistato di troppo.”
S'era accostato a dirle dopo che Giulio se l'era filata sbattendo la porta, lui stesso tremava di un disprezzo misto a collera a veder l'espressione che sapeva sfoderare quell'uomo durante un litigio.
Piegava verso il basso gli angoli della bocca avvolta dalla barba scura e corrugava fronte e tempie rendendo i propri occhi oblique braci di carbone accese.
Il collo gli sfuggiva dalle camicie di tinte pastello quasi tutte identiche, gonfio e rosso marcato da vene che chiamavano a raccolta il sangue di tutto quel corpo. Non molto alto eppure massiccio.
Mica si trattava di una persona aggressiva solo che incazzato ricordava un bulldozer e negli ultimi tempi di motivi per sbottare ne aveva in abbondanza.
Soldi no, tuttavia Anna si barcamenava tra lamentele ed incertezze.
C'era stato un periodo in cui era stata sul punto di mandarlo a fanculo per un cuoco, peccato che poi non se l'era sentita e aveva messo a posto rapidamente le cose.
“Non è tanto per le patatine Michele- gli rispose togliendosi le lacrime che avevano solcato la bella patina di fondotinta- e nemmeno per le birre. Qui è una vita che si va nella stessa direzione e sbaglio sempre io. Lui mai. Pensa solo a mangiare e io mi faccio in mille pezzi per mandare avanti qui e levargli anche il piatto di davanti.”
Michele teneva le mani in tasca, arricciava le labbra, distendeva il torace e puntava i piedi quasi per alzarsi sulle punte ad acciuffare la battuta per trarre un sorriso dal suo delizioso viso impastato di rabbia e dolore.
“Ma se uno sta insieme una vita ci sarà anche del buono tra voi. Periodi pesanti ce l'han tutte le storie ma tu non devi decidere niente quando non hai mente sgombra e lucida.”
Anna aveva levato il delizioso nasino dal fazzoletto.
“Infatti non decido mai niente io, né a mente fredda né calda. Sai che è che mi da più fastidio? Il ritornello che fa tutti i sabati sera dopo che ci siamo stressati a mille qua dentro. E le tazzine le tiri dalla lavastoviglie e ci sta ancora il rossetto, fai gli ordini e non ne azzecchi una, casa la pulisci una volta al mese… Quando ci siamo sposati non eri nessuno, io ti ho mandato a studiare, ti ho dato lavoro, ti ho messo sto tetto sopra la testa… E tu non fai un cazzo. La cella frigo è un casino, non hai manco figli da guardare, non fai un accidente ma pare ogni sera che tu salvi Roma.”
Lui s'era rimesso come di solito le mani in tasca, non è che non gli arrivasse un minimo di quelle parole ma stava studiando come ribattere.
Da tempo metteva a punto ogni mossa.
Se lei rideva lui veniva a far complimenti, se lei ritardava lui anticipava ordini che sapeva a memoria e se s’intristiva la distraeva col secondo fine di mettere un giorno le mani su quel paio di soffici fianchi.
Soltanto che non l’aveva mai veduta piangere.
“Questo è che non sopporto. Mi rinfaccia sempre sta storia dei figli e non è colpa mia se non ne posso fare.”
“Ma certo che non è colpa tua.”
Aveva abbracciato Anna ignorando il fatto che Lorena, la cameriera, avrebbe potuto imbattersi in loro in qualunque momento.
Si era lasciata attirare e superata la prima paura; aveva sperimentato sempre più di frequente il piacere di un affetto che si concludeva, al momento della separazione, con quello scherzo di fingersi amanti che la divertiva molto permettendole di ricordare le mani giovani di un ragazzo che avevano giocato con lei vergine parecchi anni prima.
Più volte avevano dovuto dissimulare l'eccitazione caricata da messaggi erotici mezzi composti di doppi sensi e mezzi di esplicite foto scambiati la notte dal bagno di casa di lei e dal sedile del furgone di lui, in cui Anna spogliava il suo corpicino d'alabastro dal pigiama e lo immortalava ricamato di capi di lingerie che a Giulio non interessavano più.
Michele si infiammava a confidarle in chiamate biascicate a mezza bocca quanta fatica facesse a resisterle il suo cazzo durissimo stretto nelle frenetiche dita della mano che no non poteva essere ancora quella della splendida Annabel.
A quel punto invariabilmente, Anna correva via e per colpa del sesso frigido usufruito sino ad allora, frutto di un’educazione rigida del paese dal quale veniva e del timore d'esser sorpresa a scattarsi foto sconce nel cesso, prendeva e chiudeva tutto ma anche il suo cuore pretendeva di meglio dell’uomo di ghiaccio che già volto alla parete dormiva. E si accontentava delle notevoli evoluzioni delle proprie dita con le quali
si era specializzata ad appagare la voglia segreta di lasciarsi stantuffare dal suo fornitore preferito in qualche posizione che le permettesse di aver finalmente un orgasmo decente.
La voglia di scopare la penetrava sempre più. Le sfuggiva qualche gemito, soprattutto per via della rabbia pronta ad assalirla quando ammetteva che Giulio non aveva nessuna intenzione di svegliarsi e lavarle il desiderio del tutto.
Forse perciò i suoi ditalini non duravano mai oltre i cinque minuti.
Torceva il corpo come un’anguilla, mentre il marito russava e mollava da sola colpa di polso devastanti verso la congiuntura pelvica.
Vedeva, con gli occhi della mente, il cazzo giovane dell'amico, mentre le sue labbra di donna adulta lo accoglievano. Aveva esaltato, addirittura idealizzato quell’amico, da dargli dimora stabile nell’apice dei suoi orgasmi.
Prendeva poi sonno madida di sudore e tremante e la sua masturbazione doveva ricominciare al mattino, nei preziosi momenti che servivano a Giulio per andare ad aprire il locale.
Approfittava di quella mezz'ora per cliccare il nome di Michele dell’icona di Whatsapp e mandargli l'immagine della rosa allargata, sbocciata sotto la pressione delle sue dita.
Due all'apertura che salivano e scendevano dalle labbra della bocca a quelle intime.
“La verrei a leccare…”
Le scriveva.
“Davvero vieni a mangiarmela, sono venuta per te anche ieri notte…”
Anna si succhiava le dita, toccava ancora e poi odorava.
“Starei tutta la mattinata a respirare la tua figa invece che a lavorare.”
Non aveva forse l'odore di un fiore secondo lei ma molto meglio all'avviso di lui.
Se dopo tutto, alla fine di tutto, quando una gode la sera non si lava come usava fare lei, la mattina i aspira una roba che manda all'ebrezza.
“Staresti tutta la mattina a leccarmi?”
Rimandava con emotion ridenti.
“Assolutamente…”
“Guarda che ogni promessa è un debito.”
“Io i miei debiti li pago sempre ma prima dovresti farmelo contrarre un debito con te.”
“Non ho capito.”
“Mi lasci sempre così cara mia, fammi almeno vedere cosa devo mangiare.”
“Che scemo. L'hai vista mille volte."
“Non in azione… Fammi chiamare col video…"
“Tu sei matto… Se sale Giulio…”
“Se sale e ti trova al telefono con le mani sulla patata forse partecipa…”
“Non ci pensar nemmeno.”
“D’accordo. Non lo farò.”
Anna restò in attesa con la punta del naso fuori dalle coperte. Silenzio assoluto.
Lo sguardo le guizzò oltre il suo dito pronto ma incerto sul cosa digitate.
Stava teso come ad indicare la finestra.
Fuori i due ciliegi spogli, vicini a loro, messi in posa, uno lievemente verso l’altro come due corpi a formare una porta dietro la quale le nubi scorrevano.
Un nastro di tutta la sua vita di paure.
Senza abbandonare la sua posizione guardinga socchiuse le palpebre sul punto finale della sequenza di fotogrammi che sola lei sentiva passarsi davanti.
C'era una carta in fondo a quel mazzo che doveva prendere il coraggio di giocare.
“Miche?”
“Si?”
“E fammi sta chiamata. Ma se poi prendiamo una brutta strada?”
“Mah… Più brutta di quella che ho da far io stamattina non ce n'è.”
Anna tirò su l’icona della videocamera azzurra con l’esile mano destra e con la sinistra scese il pigiama inzuppato di sé.
La sua vescica era ancora tesa a contenere l’incontenibile come le mutandine tra le ginocchia.
Avvicinò lo schermo al pube e avvertì vicina la voce di lui ma aveva troppo timore.
“Stai zitto non parlare.”
“Come no?”
“Si sente e poi mi distrai…”
“Bella questa.”
Rimase zitto come voleva lei ad osservarne la mano che scorreva sopra la figa senza avvolgerla mai e due dita sottili che penetravano ritmicamente, stimolate dal pensiero di quella lingua.
Era insicura tuttavia, si riprendeva la manina dal suo campo visivo l'attimo utile a lubrificare l’indice e il pollice mescolando il gusto ed il tatto.
Ma il suo ventre era caldo di certo e lui invece era al freddo. Deglutì e continuando a godersi lo spettacolo girò la chiave nel quadro ed accese il riscaldamento.
Dopo i primi sussulti gli arrivò il respiro trattenuto dell’esuberanza di lei, il movimento del pancino scosso dalla voglia, il serrarsi e il disserrarsi delle cosce raccolte a disegnare il loro profilo.
L'immagine delle reni sollevate e il luccichio dell'altro buco velato da un filo di mucosa trasparente, lontano dalla consistenza del miele ma certamente dall'indentico sapore.
Glielo diceva, il cuore.
Però, dopo un paio di bacetti inviati se la squagliò ancora con le labbra illuminate e gli occhi iridescenti, il petto gonfio del pizzicore di un orgasmo al terrore.
“Anche io ho una roba dura.”
Le disse ridente, indicando la sua erezione in crescita soffocata dentro i jeans, costretta come il cuore di Anna stretto nei tessuti di pelle e pigiama sollevato.
Gli pareva di percepire la morbidezza delle carne di lei e la tenerezza profonda dei suoi sentimenti.
“Vuoi vedere?”
“No!” Guizzò la donna mordendo il cuscino.
“Vero… Hai ragione. Meglio dal vivo.”
Era elegante e tanto, da apparirgli una bambolina vittoriana.
Amava Anna di una forza che non si conosce che poche volte.
Era vicino a a lei e al marito Giulio, quel tanto di tempo che gli serviva a scaricare patatine e a lasciare fatture in quello snack bar aperto coi sacrifici della sola Anna.
Almeno da ciò che raccontava.
La bambolina che subiva sempre e non gridava mai, alzava in disappunto il sopracciglio lineare e il labbro rosso vivo, il seno che intravedeva dalle sue camicie sussultando al suo respiro toglieva il fiato a lui.
Seno che emanava tepore a dicembre, umano, scottante profumo di donna. Vi scivolava in mezzo lo zaffiro trafitto dal filo d'argento.
Lei era d'argento.
Gli stava davanti più alta di lu, più grande di una quindicina di anni.
Aveva lavorato fin da bambina, rinunciato a tutto, subito di tutto ed in cambio non un grazie le era tornato. A pensarci oggi comunque, lui pensa che lei non aveva poi mani di chi ha faticato né il volto di chi è stato umiliato.
Eppure all'epoca era la dolce Anna… Annabel Lee la chiamò una sera quando gli chiese consigli e poesie.
Le sue confidenze gli provenivano da sms e telefonate svolte sottovoce quando il marito di lei ancora non saliva a casa, ritardando la chiusura e mai da altro, a starla a sentire in quella casa non facevano niente di più che litigare.
Non passava sufficiente tempo in loro compagnia o in compagnia di Anna in carne ed ossa per dar ragione all’una o all’altro ma in mezzo a qualche discussione vi era capitato.
Quella volta che aveva portato uno sproposito di sacchetti di patatine alla paprika perché Anna aveva sbagliato a far l'ordine e s'erano messi a litigare davanti a lui col contegno di chi lava i panni sporchi di rancori sulla pubblica piazza.
“Non è il caso di piangere per qualche prodotto acquistato di troppo.”
S'era accostato a dirle dopo che Giulio se l'era filata sbattendo la porta, lui stesso tremava di un disprezzo misto a collera a veder l'espressione che sapeva sfoderare quell'uomo durante un litigio.
Piegava verso il basso gli angoli della bocca avvolta dalla barba scura e corrugava fronte e tempie rendendo i propri occhi oblique braci di carbone accese.
Il collo gli sfuggiva dalle camicie di tinte pastello quasi tutte identiche, gonfio e rosso marcato da vene che chiamavano a raccolta il sangue di tutto quel corpo. Non molto alto eppure massiccio.
Mica si trattava di una persona aggressiva solo che incazzato ricordava un bulldozer e negli ultimi tempi di motivi per sbottare ne aveva in abbondanza.
Soldi no, tuttavia Anna si barcamenava tra lamentele ed incertezze.
C'era stato un periodo in cui era stata sul punto di mandarlo a fanculo per un cuoco, peccato che poi non se l'era sentita e aveva messo a posto rapidamente le cose.
“Non è tanto per le patatine Michele- gli rispose togliendosi le lacrime che avevano solcato la bella patina di fondotinta- e nemmeno per le birre. Qui è una vita che si va nella stessa direzione e sbaglio sempre io. Lui mai. Pensa solo a mangiare e io mi faccio in mille pezzi per mandare avanti qui e levargli anche il piatto di davanti.”
Michele teneva le mani in tasca, arricciava le labbra, distendeva il torace e puntava i piedi quasi per alzarsi sulle punte ad acciuffare la battuta per trarre un sorriso dal suo delizioso viso impastato di rabbia e dolore.
“Ma se uno sta insieme una vita ci sarà anche del buono tra voi. Periodi pesanti ce l'han tutte le storie ma tu non devi decidere niente quando non hai mente sgombra e lucida.”
Anna aveva levato il delizioso nasino dal fazzoletto.
“Infatti non decido mai niente io, né a mente fredda né calda. Sai che è che mi da più fastidio? Il ritornello che fa tutti i sabati sera dopo che ci siamo stressati a mille qua dentro. E le tazzine le tiri dalla lavastoviglie e ci sta ancora il rossetto, fai gli ordini e non ne azzecchi una, casa la pulisci una volta al mese… Quando ci siamo sposati non eri nessuno, io ti ho mandato a studiare, ti ho dato lavoro, ti ho messo sto tetto sopra la testa… E tu non fai un cazzo. La cella frigo è un casino, non hai manco figli da guardare, non fai un accidente ma pare ogni sera che tu salvi Roma.”
Lui s'era rimesso come di solito le mani in tasca, non è che non gli arrivasse un minimo di quelle parole ma stava studiando come ribattere.
Da tempo metteva a punto ogni mossa.
Se lei rideva lui veniva a far complimenti, se lei ritardava lui anticipava ordini che sapeva a memoria e se s’intristiva la distraeva col secondo fine di mettere un giorno le mani su quel paio di soffici fianchi.
Soltanto che non l’aveva mai veduta piangere.
“Questo è che non sopporto. Mi rinfaccia sempre sta storia dei figli e non è colpa mia se non ne posso fare.”
“Ma certo che non è colpa tua.”
Aveva abbracciato Anna ignorando il fatto che Lorena, la cameriera, avrebbe potuto imbattersi in loro in qualunque momento.
Si era lasciata attirare e superata la prima paura; aveva sperimentato sempre più di frequente il piacere di un affetto che si concludeva, al momento della separazione, con quello scherzo di fingersi amanti che la divertiva molto permettendole di ricordare le mani giovani di un ragazzo che avevano giocato con lei vergine parecchi anni prima.
Più volte avevano dovuto dissimulare l'eccitazione caricata da messaggi erotici mezzi composti di doppi sensi e mezzi di esplicite foto scambiati la notte dal bagno di casa di lei e dal sedile del furgone di lui, in cui Anna spogliava il suo corpicino d'alabastro dal pigiama e lo immortalava ricamato di capi di lingerie che a Giulio non interessavano più.
Michele si infiammava a confidarle in chiamate biascicate a mezza bocca quanta fatica facesse a resisterle il suo cazzo durissimo stretto nelle frenetiche dita della mano che no non poteva essere ancora quella della splendida Annabel.
A quel punto invariabilmente, Anna correva via e per colpa del sesso frigido usufruito sino ad allora, frutto di un’educazione rigida del paese dal quale veniva e del timore d'esser sorpresa a scattarsi foto sconce nel cesso, prendeva e chiudeva tutto ma anche il suo cuore pretendeva di meglio dell’uomo di ghiaccio che già volto alla parete dormiva. E si accontentava delle notevoli evoluzioni delle proprie dita con le quali
si era specializzata ad appagare la voglia segreta di lasciarsi stantuffare dal suo fornitore preferito in qualche posizione che le permettesse di aver finalmente un orgasmo decente.
La voglia di scopare la penetrava sempre più. Le sfuggiva qualche gemito, soprattutto per via della rabbia pronta ad assalirla quando ammetteva che Giulio non aveva nessuna intenzione di svegliarsi e lavarle il desiderio del tutto.
Forse perciò i suoi ditalini non duravano mai oltre i cinque minuti.
Torceva il corpo come un’anguilla, mentre il marito russava e mollava da sola colpa di polso devastanti verso la congiuntura pelvica.
Vedeva, con gli occhi della mente, il cazzo giovane dell'amico, mentre le sue labbra di donna adulta lo accoglievano. Aveva esaltato, addirittura idealizzato quell’amico, da dargli dimora stabile nell’apice dei suoi orgasmi.
Prendeva poi sonno madida di sudore e tremante e la sua masturbazione doveva ricominciare al mattino, nei preziosi momenti che servivano a Giulio per andare ad aprire il locale.
Approfittava di quella mezz'ora per cliccare il nome di Michele dell’icona di Whatsapp e mandargli l'immagine della rosa allargata, sbocciata sotto la pressione delle sue dita.
Due all'apertura che salivano e scendevano dalle labbra della bocca a quelle intime.
“La verrei a leccare…”
Le scriveva.
“Davvero vieni a mangiarmela, sono venuta per te anche ieri notte…”
Anna si succhiava le dita, toccava ancora e poi odorava.
“Starei tutta la mattinata a respirare la tua figa invece che a lavorare.”
Non aveva forse l'odore di un fiore secondo lei ma molto meglio all'avviso di lui.
Se dopo tutto, alla fine di tutto, quando una gode la sera non si lava come usava fare lei, la mattina i aspira una roba che manda all'ebrezza.
“Staresti tutta la mattina a leccarmi?”
Rimandava con emotion ridenti.
“Assolutamente…”
“Guarda che ogni promessa è un debito.”
“Io i miei debiti li pago sempre ma prima dovresti farmelo contrarre un debito con te.”
“Non ho capito.”
“Mi lasci sempre così cara mia, fammi almeno vedere cosa devo mangiare.”
“Che scemo. L'hai vista mille volte."
“Non in azione… Fammi chiamare col video…"
“Tu sei matto… Se sale Giulio…”
“Se sale e ti trova al telefono con le mani sulla patata forse partecipa…”
“Non ci pensar nemmeno.”
“D’accordo. Non lo farò.”
Anna restò in attesa con la punta del naso fuori dalle coperte. Silenzio assoluto.
Lo sguardo le guizzò oltre il suo dito pronto ma incerto sul cosa digitate.
Stava teso come ad indicare la finestra.
Fuori i due ciliegi spogli, vicini a loro, messi in posa, uno lievemente verso l’altro come due corpi a formare una porta dietro la quale le nubi scorrevano.
Un nastro di tutta la sua vita di paure.
Senza abbandonare la sua posizione guardinga socchiuse le palpebre sul punto finale della sequenza di fotogrammi che sola lei sentiva passarsi davanti.
C'era una carta in fondo a quel mazzo che doveva prendere il coraggio di giocare.
“Miche?”
“Si?”
“E fammi sta chiamata. Ma se poi prendiamo una brutta strada?”
“Mah… Più brutta di quella che ho da far io stamattina non ce n'è.”
Anna tirò su l’icona della videocamera azzurra con l’esile mano destra e con la sinistra scese il pigiama inzuppato di sé.
La sua vescica era ancora tesa a contenere l’incontenibile come le mutandine tra le ginocchia.
Avvicinò lo schermo al pube e avvertì vicina la voce di lui ma aveva troppo timore.
“Stai zitto non parlare.”
“Come no?”
“Si sente e poi mi distrai…”
“Bella questa.”
Rimase zitto come voleva lei ad osservarne la mano che scorreva sopra la figa senza avvolgerla mai e due dita sottili che penetravano ritmicamente, stimolate dal pensiero di quella lingua.
Era insicura tuttavia, si riprendeva la manina dal suo campo visivo l'attimo utile a lubrificare l’indice e il pollice mescolando il gusto ed il tatto.
Ma il suo ventre era caldo di certo e lui invece era al freddo. Deglutì e continuando a godersi lo spettacolo girò la chiave nel quadro ed accese il riscaldamento.
Dopo i primi sussulti gli arrivò il respiro trattenuto dell’esuberanza di lei, il movimento del pancino scosso dalla voglia, il serrarsi e il disserrarsi delle cosce raccolte a disegnare il loro profilo.
L'immagine delle reni sollevate e il luccichio dell'altro buco velato da un filo di mucosa trasparente, lontano dalla consistenza del miele ma certamente dall'indentico sapore.
Glielo diceva, il cuore.
Però, dopo un paio di bacetti inviati se la squagliò ancora con le labbra illuminate e gli occhi iridescenti, il petto gonfio del pizzicore di un orgasmo al terrore.
“Anche io ho una roba dura.”
Le disse ridente, indicando la sua erezione in crescita soffocata dentro i jeans, costretta come il cuore di Anna stretto nei tessuti di pelle e pigiama sollevato.
Gli pareva di percepire la morbidezza delle carne di lei e la tenerezza profonda dei suoi sentimenti.
“Vuoi vedere?”
“No!” Guizzò la donna mordendo il cuscino.
“Vero… Hai ragione. Meglio dal vivo.”
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto sucessivo
Venere e Padre Tevere
Commenti dei lettori al racconto erotico