Factory Slut - capitolo 1

di
genere
dominazione

1 LA VINCITA AL GIOCO

Valentina, in quel momento, si trovava nel retro di un furgone, ed era in estrema difficoltà. Stava affrontando una prova molto dura, ma immaginava che negli anni a venire avrebbe sofferto molto di più, ne era sicura, ma non riusciva a rassegnarsi. Tutto per colpa di quell’idiota di suo marito che se l’era venduta giocandosela a poker.

Gilberto, Gil per gli amici, l’aveva piegata, ma non l’aveva domata e non sapeva se ci sarebbe mai riuscito. Gil era un bastardo, anche con una certa esperienza, ma questa volta aveva bisogno di ottenere molto di più del consueto dalla schiava di turno.
Valentina non era una con cui divertirsi punendola, umiliandola e sbattendola, magari insieme ad altri. No da lei voleva e doveva ottenere molto di più, immensamente di più, d’altra parte, per averla, aveva rischiato di perdere un sacco di soldi. Sapeva quindi che aveva bisogno di aiuto, molto aiuto, per fortuna sapeva a chi rivolgersi.
Valentina aveva un corpo provocante e pieno di contrasti. Aveva occhi grandi e neri, un seno importante, ma non immenso, una quarta, ma bello sodo. Il corpo era allo stesso tempo muscoloso e sinuoso. Muscolose erano le gambe, in particolare i polpacci, le cosce erano ben tornite, la schiena dritta, il petto generoso, il viso era spigoloso, ma la bocca era carnosa. Era perfettamente adatta allo scopo.
Quella mattina l’aveva adornata come aveva sognato di fare da tanto tempo, ma senza mai riuscirci, perché non aveva mai trovato la preda adatta allo scopo. Il giorno prima l’aveva portata da un suo conoscente che faceva tatuaggi, ma sapeva anche inanellare le troie, sia sui capezzoli, che sulle grandi labbra e per dire la verità anche al naso ed al clitoride, ma questi ultimi due, per il momento, non li aveva presi in considerazione.
Era un bel sabato di metà dicembre e Gil percorreva l’autostrada a ritmo sostenuto, ogni tanto dava un’occhiata dietro per vedere come stava la sua bella. Il furgone era uno dei tanti che la sua ditta utilizzava per lavoro, la portiera scorrevole che separava la cabina dal cabinato era aperta e Gil si godeva lo spettacolo, ogni tanto si girava e la guardava direttamente sorridendole beffardo, più spesso la osservava attraverso lo specchietto retrovisore.
Valentina era praticamente nuda e non reagiva allo scherno del suo Padrone, aveva altro a cui pensare, prima di tutto doveva tenersi in equilibrio e poi era impaurita e frustrata, non sapeva quale sarebbe stato il suo futuro, anche se qualcosa iniziava a capire e quel qualcosa la terrorizzava. Se non fosse stato per i tiranti, agganciati alle assi superiori e laterali del furgone, che la tenevano in piedi, sarebbe già finita per terra sbattendo il muso sul pianale. Era terrorizzata e rischiava comunque di farsi male.
Aveva le braccia ricoperte da due lunghi guanti neri di pelle che le arrivavano fin sopra il gomito, su ogni guanto c’erano diversi ganci che permettevano facilmente di legare un braccio all’altro semplicemente agganciandoli. Infatti, aveva le braccia legate dietro la schiena, ogni polso era agganciato all’altro braccio all’altezza del gomito ed entrambe le braccia erano fissate strette strette e ben in alto a delle cinghie che scendevano dalle spalle. Ciò la costringeva a stare diritta, pancia in dentro e petto in fuori. In vita indossava una larga, pesante e robusta striscia di cuoio che le copriva la pancia e parte della schiena, ma lasciava nuda in basso la vulva depilata e le natiche ed in alto si fermava molto sotto il seno. Il pesante sottopancia era l’anima di quel particolare abbigliamento, sia dietro che davanti c’erano innumerevoli borchie ed anelli, da esso partivano diverse strisce di cuoio più o meno larghe e più o meno robuste. Due, sottili, scendevano in basso e passavano ai lati della vulva, quindi ritornavano indietro passando sulle natiche, altre striscioline scendevano ancora in basso e si collegavano ai lunghi stivali che arrivavano fino alla sommità delle cosce. Gli stivali erano molto particolari, pelle molto leggera e morbida in alto, tanto morbida da aderire perfettamente alle cosce. Gli stivali diventavano sempre più pesanti sotto le ginocchia, verso i polpacci e le caviglie, poi terminavano con una foggia singolare che li faceva somigliare a degli zoccoli, il tacco mancava, ma il calcagno era spinto molto in alto.
Valentina era alta, ma non particolarmente alta, solo centosettanta centimetri, ma su quei trampoli, con quei plateau arrivava tranquillamente ai centoottanta centimetri. La posizione era innaturale, l’altezza era notevole e Valentina pensava che si sarebbe rotta una gamba o quantomeno una caviglia, ma fino ad allora era riuscita a stare in piedi e compensare con piccoli movimenti rimanendo in equilibrio.
Altre strisce partivano dal robusto sottopancia ed andavano in alto passandole sotto il seno e sostenendolo, quindi ritornavano giù dopo essere passate sulle spalle, a queste stringhe erano legate le braccia. Anche il seno era scoperto e due anellini d’acciaio le pinzavano i capezzoli, e particolare interessante, dai due anellini pendevano due campanelle miniaturizzate, che con l’ondeggiare del corpo si facevano sentire e la facevano sentire ridicola.
Anche dalle grandi labbra della vulva pendevano due anellini. Il capo di Valentina era ornato di tutto quello che serviva allo scopo: cavezza, museruola, frontale ed infine un morso ricoperto di cuoio. Il morso serviva tra l’altro ad impedirle di parlare, ma per questo problema sarebbero state prese altre precauzioni. Un robusto collare le stringeva il collo costringendola a tenere la testa diritta. Non le erano stati risparmiati neanche gli ultimi ed avvilenti accessori: un pennacchio di piume rosso, la coda che pendeva dal retro del sottopancia di cuoio, i paraocchi.
Valentina era in piedi. Due robuste fibbie di cuoio partivano dagli anelli del sottopancia ed erano legati alle pareti del furgone ed altre due al tetto. Non c’era pericolo che Valentina potesse cadere, ma rimanere ferma era impossibile. Lei si teneva in equilibrio con le gambe larghe e muovendosi quando era necessario nel piccolo gioco che le corde le consentivano, trenta o quaranta centimetri in ogni direzione. Non potendo urlare la sua rabbia schiumava attraverso il morso e perdeva bava, il suo seno era tutto impiastricciato e sul pavimento del furgone, tra le sue gambe, si era formata una macchia scura.

Gilberto era un uomo d’affari, proprietario di una catena di supermercati che rendeva molto bene. Un bastardo quarantenne, simpatico ed appesantito dalla vita sedentaria e dalla buona tavola. Valentina l’aveva vinta al gioco qualche giorno prima. In un casinò clandestino, collocato in una splendida e grande villa sul lago Maggiore, dove, una notte si era ritrovato al tavolo da gioco con un po’ di persone che, negli ultimi mesi, aveva frequentato.
Lì non si facevano nomi e si giocava in contante, avevano tutti mazzette di decine di migliaia di euro, con meno era inutile sedersi al tavolo. Erano in una saletta, in cinque al tavolo ed un paio di donne in piedi, dietro ai rispettivi mariti, a guardare. Al giovanotto stava andando male, Valentina, la moglie venticinquenne, assisteva preoccupata alla partita. Era una bella ragazza, svestita più che vestita con una minigonna inguinale e una camicetta aperta fino all’ombelico. Niente era lasciato all’immaginazione. Per Gil quella ragazza aveva qualcosa che agli altri non interessava, ma a lui sì, un fisico atletico oltre che sinuoso, un fisico nervoso e scattante. Gil la vedeva guizzare nervosa e rabbiosa per le stupidaggini del marito, il viso pallido a volte diventava scuro e buio, la donna si mordeva le labbra e si torturava le mani.
Era una ragazza chiara di carnagione, ma i capelli erano corvini e lunghi fino alla spalla. Era robusta e giovane, e questi erano particolari importanti per Gil.
Anche l’altra donna, una bionda quarantenne, era vestita da troia, ma era meno scollacciata della ragazza.

Valentina era alta centosettanta centimetri, alta per una dona, ma non per quello che lui aveva in mente, però aveva belle e forti gambe, longilinee, nervose, guizzanti. Aveva un carattere bizzoso, inquieto e ribelle. Gil non la conosceva, ma intuiva tutto ciò da come si muoveva, dallo sguardo irrequieto, irritato, collerico… certo il marito perdeva un sacco di soldi e lei era infuriata, ma non riusciva a trattenere la sua rabbia in nessun modo.
Il marito era già sotto di duecentomila euro, era tutto quello che avevano, con quei soldi dovevano comprare casa, si erano già impegnati a farlo con una caparra di cinquantamila euro, rischiavano di perdere anche quella.
Era un giovanotto poco più alto della moglie, snello, magro, longilineo pure lui, capelli neri, lunghi e fini. Delicato e dai lineamenti fini come una donna, nervoso ed irrequieto anche lui.
Poi arrivò la mano fatale. A Gil fu servito un poker di donne. Marco, il marito, ebbe una doppia coppia di assi.
Uno degli altri giocatori rilanciò di cinquemila euro, aveva una scala. Accettarono tutti, Gil non si voleva scoprire. Sia Gil che Marco cambiarono una carta, il primo nessuna, gli altri due ne cambiarono due.
Marco si ritrovò con un full di assi. Gil aveva sempre il suo poker e iniziarono i rilanci. Quando toccò a Marco rilanciò del piatto, erano venticinquemila che diventarono cinquantamila e Gil rilanciò di quella cifra, il piatto ora era di centomila. Gli altri tre si ritirarono, Marco rilanciò del piatto. Era sotto di centoventicinquemila euro che non aveva messo nel piatto.
Gil glielo fece notare e intanto vide il rilancio. Marco si rese conto che forse era stato molto precipitoso, ma non aveva né settantacinquemila, né centoventicinquemila, quindi cambiava poco, era comunque rovinato.
- Le farò una cambiale disse Marco, se perdo… - rise nervosamente.
- No amico, io non so chi è lei e delle cambiali non so che farmene, se non come garanzia eventuale di qualcosa che mi dà fino a che non paga. –
Gli altri giocatori osservavano e non dicevano niente. Non un fiato. La tensione era altissima, lo sapevano tutti che li si giocava con contanti. Marco si guardò intorno, stava per chiedere un prestito, ma capì che nessuno glielo avrebbe fatto. Il piatto era pieno di fiches, ma mancavano quelle di Marco.
- Come facciamo? – disse Marco.
Gil fece finta di riflettere, in effetti nel suo cervello c’era un dibattito, una parte diceva prenditi i soldi e vai, un’altra suggeriva qualcosa di molto più intrigante, rischioso ed eccitante, ma…
- Giocati tua moglie. – Gil ora gli dava del tu.
L’altro arrossì, balbettò. – Mia, mia moglie… come… -
Non aveva detto propriamente no, e la donna ora guardava il marito stranita, che cazzo gli passava per la testa a quell’idiota, pensava.
Gil sorrise e a quel punto trovò tutto divertente, guardò gli altri. Tutti avevano un sorrisetto sulle labbra, anche l’altra donna sorrideva divertita. Tutti erano divertiti e in attesa di vedere come andava a finire. Gli unici tirati in volto e stressati, quasi tremanti tra rabbia, voglia di mandare tutti in culo e costernazione o rassegnazione erano Marco e Valentina.
- Ascoltatemi bene – disse Gilberto, - tu questi soldi non li hai, d’altra parte se vinci ti rifai e magari ci guadagni pure qualcosa. Se invece perdi sei rovinato e se non mi paghi sei rovinato il doppio. – Gil fece una pausa, Marco era sempre teso, non sapeva cosa replicare. La situazione, rifletteva Marco, era proprio in quel modo. Se perdeva era rovinato, non aveva più nulla e per di più non sapeva come pagare i centoventicinquemila euro che ancora doveva mettere nel piatto.
Gil continuò, - se vinco io mi prendo quello che c’è nel piatto e voglio tua moglie per due anni, firmerai delle cambiali come garanzia, se la rivorrai indietro prima dei due anni dovrai pagare, altrimenti tra due anni te la restituisco e siamo a posto. –
- Non puoi dire sul serio – ribatté Marco.
Gil continuò, come se l’altro non avesse parlato. – Farò di lei tutto quello che voglio, è una bella troia, sarà il mio giocattolo sessuale, se voglio la trasformo in una puttana, d’altra parte mi devo rifare di un sacco di soldi e farle fare la puttana può essere una buona idea. –
Il linguaggio crudo e scioccante fece fremere i due giovani coniugi, Valentina stava per aprire bocca e dire che lei non ci stava, ma poi la richiuse. Gli altri non emisero un fiato, la faccenda era diventata talmente seria che non si scherzava più. Mentre Gil parlava guardava Valentina. La giovane sposina era bianca in volto, pallida, ma sosteneva lo sguardo. – Per due anni. Poi te la restituisco integra. –
Marco guardò la moglie, che ricambiò lo sguardo sgomenta. Marco non osava rispondere.
Gilberto diede loro il tempo necessario per digerire la faccenda.
Marito e moglie si guardarono ancora, poi la moglie con le lacrime agli occhi – va bene. –
E fu la sua rovina.
Si scoprirono le carte e Marco capì che era successo l’irreparabile, Valentina diventò una statua di marmo, non realizzava quello che aveva fatto.
Gilberto non le diede tempo di riflettere, si mise in piedi e raccattò tutte le fiches mettendosele in tasca, lo stesso fecero gli altri giocatori. Il tavolo era libero.
Gilberto si avvicinò a Valentina che sembrava una condannata che va al patibolo, incapace di reagire, rassegnata e pronta all’evento fatale.
Gilberto la sovrastava, era grande e grosso. – Sali sul tavolo e spogliati troia, è bene che ti adatti da subito alla tua nuova vita! –
Valentina guardò il marito che a sua volta guardava a terra, lei era imbambolata, lui era un cadavere. Il marito la guardò da sottecchi, poi chinò la testa. Gilberto la prese per un gomito e la fece salire su una sedia e da lì sul tavolo.
– Fai quello che ti ho detto e fallo bene, lentamente. Uno spettacolino come si deve per questi signori. Sono sicuro che ne sei capace. –
Tutti gli uomini si rimisero a sedere intorno al tavolo, lo sguardo rivolto in alto, guardando, sotto la gonnellina inguinale, le impalpabili mutandine nere di Valentina e il biancore delle cosce dove terminavano le balze delle autoreggenti.
Tutti gli uomini, tranne il marito, che fece per andare via. – Dove vai, cornuto – lo fermò Gil, - mettiti a sedere e guarda quella troia di tua moglie che dà spettacolo. –
Marco, sottomesso, si mise a sedere, mentre gli altri uomini sorrisero, di lì a poco lo avrebbero apertamente umiliato. Era quello che Gilberto voleva, la coppia doveva capire bene chi comandava.
Valentina ondeggiava divinamente sui tacchi a spillo. Si levò la camicetta e gli sguardi risalirono per guardarla dalla vita in su. Era bella, snella, il ventre piatto e le membra lunghe, il reggiseno pieno, non aveva un seno imponente, ma una terza generosa o una quarta.
Levò il reggiseno e le tette dondolarono sul petto della ragazza, si videro due capezzoli grossi, bruni e incredibilmente ritti. La troia nonostante la situazione si stava eccitando. Ed al tavolo erano tutti accalorati, anche la bionda che incrociò lo sguardo con Gilberto. Gil le fece un cenno di assenso e la bionda montò anche lei sul tavolo. Aveva belle gambe, tornite e lunghe. Valentina continuò come se non fosse successo nulla. Si muoveva lentamente al ritmo di una musica lenta che sentiva solo lei e non guardava nessuno, era calda e rossa in viso. La bionda si mise dietro di lei e iniziò ad accarezzarla sul seno e a strizzarle delicatamente i capezzoli, la baciò sulle spalle e sulla schiena. Valentina, remissiva si lasciò fare. Pensò che ribellarsi non serviva a nulla, solo a portare ulteriori umiliazioni.
La bionda mise i pollici sulla fibbia della gonnellina e tirò verso il basso. La fibbia scavalcò i fianchi di Valentina e poi la gonna cascò a terra. Valentina ruotò i fianchi e le magnifiche tette ondeggiarono, la bionda ripeté l’operazione con le impalpabili mutandine e Valentina rimase nuda. Il sesso era completamente depilato e traslucido, la bionda inserì un dito nella fichetta di Valentina e lo mostrò al pubblico, era lucido, bagnato. Gli uomini ora erano tutti, anche il marito, infoiati.
A quel punto la bionda, senza spogliarsi si levò le mutandine e fece inginocchiare Valentina sul tavolo.
Valentina ormai era in balia del suo destino, si lasciava fare, ubbidiva, sembrava un automa, un automa eccitato e ricettivo, l’unico segno di vita lo dava quando guardava, con disprezzo, il marito, per il resto si sottometteva ai capricci della bionda che le offrì la fica da leccare spingendole la testa tra le gambe.
Tutti i maschi intorno al tavolo erano esaltati, qualcuno se lo era tirato di fuori e se lo menava.
Quando la bionda venne stringendo le cosce sul viso di Valentina, Gilberto la tirò per una caviglia e la mora si sdraiò sul tavolo offrendo e mettendo in mostra la fica palpitante e aperta. Gilberto la penetrò, era incredibilmente scivolosa ed entrò dentro di lei come un siluro. Il marito della bionda, in piedi un metro più in là, attirò la testolina di Valentina sul suo cazzo e glielo mise in bocca. La bionda spinse la testa di Valentina sul cazzo del marito che iniziò a pomparla grugnendo. Anche Gilbero sbuffava mentre si preparava a scaricarsi dentro la troia, mentre la bionda strizzava con cattiveria i capezzoli di Valentina.
Dopo, presero il loro posto gli altri due e i quattro si alternarono più volte dentro i buchi di Valentina, anche la bionda si servì ancora una volta della bocca della schiava. Alla fine Valentina era ricolma di sborra e di umori, in fica, in bocca, in culo ed in tutto il corpo.
Gilberto le buttò la coperta verde, che ricopriva il tavolo da gioco, addosso, le passò un braccio sulle spalle e uscì da quella camera, attraversò un lungo corridoio e scese per delle scale. Mentre scendeva sentiva l’aria fresca che arrivava dal lago e arrivò sul pontile della villa con la sua nuova schiava che seguiva come un automa, senza rendersi conto di niente imbrattata di sborra, umori e lacrime, le sue, di rabbia ed umiliazione. Al pontile Gil aveva ormeggiato il suo motoscafo. Salì, mise in moto e se ne andò via con la sua preda.

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2019-04-12
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