Guardami
di
Valerio56
genere
voyeur
Accompagnare una donna a fare acquisti di vestiario è il classico supplizio che si cerca volentieri di evitare. Passare ore a seguirla mentre vaga da una vetrina all’altra, vederla provare e riprovare decine di capi, e ogni volta chiederti: “Come mi sta?”, sapendo che regolarmente ignoreranno il tuo parere. I minuti passano e tu preghi che trovino qualcosa che le piaccia e che il tormento finisca. Quel che è peggio e che spesso, alla fine, si torna a casa senza nulla di acquistato.
Tutta quest’angoscia scompare se a chiederti di accompagnarla è lei: Teresa, figlia di mia moglie. Mora e minuta, un corpicino da favola, tette piccole e culetto a mandolino. Una delizia per gli occhi.
Non occorre fare fatica per godere di quella presenza, anche perché senza malizia si aggira spesso per casa quasi svestita e usa dei tanga ridottissimi. Non manca giorno in cui il mio sguardo non si posi con discrezione su quei glutei ben torniti, su quella bella “patata” incorniciata dai peli che trasbordano oltre l’orlo delle mutandine, perché lei, in controtendenza, preferisce non radersi. Certo, il mio spirito voyeur mi spinge a cercare quell’elemento essenziale che porta a livelli di eccitazione più alti. Così, usando ogni cautela possibile, cerco le occasioni per poterla guardare di nascosto, di ammirare il suo corpo quando lei sicuramente non sa di essere vista e questo accade quando dorme oppure, un classico, quando la spio mentre è in bagno.
Da me ha preso l’abitudine di fare il riposino pomeridiano, la classica pennichella. Arriva quasi sempre dopo di me, si toglie i pantaloni e la maglietta e quasi nuda si piazza al mio fianco sul lettone matrimoniale, che reputava più comodo del suo. Con modi felini s’infila sotto la coperta e si addormenta quasi subito. Nei mesi caldi a coprirla è solo il lenzuolo, ma bastava aspettare che si giri su se stessa perché rimanga scoperta, alla mercé dei miei sguardi. L’accarezzo con gli occhi, seguendo le curve della nuca e della schiena, scendendo giù fino a raggiungere la perfezione di quelle natiche tonde e sode. Lo sguardo prosegue lungo le gambe snelle fino ad arrivare ai piedi.
Non oso toccarla e lascio che sia la mia vista a percepire la setosità della sua pelle, quella leggera e chiara peluria che la fa somigliare a una pesca, dolce e saporita.
Quante erezioni e quante volte mi sono a lungo accarezzato con desiderio davanti a quel corpo.
Quando si posiziona di fianco, dal lato opposto al mio, riesco a vedere, a mala pena coperto dalla sottile striscia del tanga, la zona più scura dell’ano e, più sotto il gonfiore della sua fica pelosa. Con la fantasia immagino di spostare quel precario ostacolo e di poggiarle contro la punta del mio pene, per sentire il calore di quel nido.
Con l’olfatto amplificato dall’eccitazione, mi sembra di percepire il profumo della sua pelle e quello della sua intima natura.
“Mi accompagni al centro commerciale, ho bisogno di comprare un nuovo jeans”. L’invito giunge all’inizio di una giornata che si annunciava noiosa. Invece ecco che la fantasia iniziava a galoppare e a colorare le mie prossime ore.
“Finisco di sistemare alcuni documenti – rispondo tenendo un tono di sufficienza – e poi andiamo. Ti avviso quando sono pronto”.
Sale sorridente in auto e ci godiamo il viaggio fuori città, tra le risaie verdi e i campi di granturco, diretti all’outlet.
Arrivati, ci avviamo in un emporio di una nota marca di jeans e lei sceglie due pantaloni che, dopo aver chiesto il permesso alla commessa, si avvia a provare in camerino.
Mi prende per un gomito perché la segua: “Stai qui fuori a tenermi la tendina, che qui c’è sempre qualche maiale che prova a sbirciare”.
Sorrido dentro di me. Vorrei dirle: “Ecco un maialino pronto a guardarti in esclusiva”.
Sistemo la tenda avendo cura di lasciare un piccolo spiraglio dal mio lato. La commessa si è già allontanata per seguire un altro cliente. Le danze possono iniziare.
Teresa cala giù la gonna con la solita lentezza e si china per slacciarsi le scarpe, mi offre ignara la completa visione di tutta la sua intimità, a mala pena coperta dal tanga rosa, tra l’altro il mio preferito, che a stento contiene la rotondità della sua “patata”, come lei stessa la chiamava.
Con un’erezione veloce il cazzo mi si drizza in una posizione che si mostra evidente. Cerco velocemente di sistemarlo in maniera più discreta. Lei indossa il primo capo scelto e mentre ancora è intenta a chiudere la lampo, sposta la tendina, per chiedermi cosa ne penso.
“Mettono bene in evidenza le tue forme da miss culetto – so che un po’ di adulazione le è gradita - ma mi sembrano troppo stretti. Per me dovresti prendere uno con una taglia più comoda”.
“Ok provo l’altro che è una misura in più”.
Stessa operazione. Cala giù il jeans, non senza difficoltà. Sono così stretti che insieme al pantalone viene trascinato giù anche il tanga. Lei se ne accorse e tira su l’indumento con tanta lentezza da consentirmi di prolungare lo sguardo su quelle parti, mai viste così da vicino. Quante volte ho desiderato che i miei occhi potessero essere come registratori, per immortalare quelle visioni per poi poterle rivedere tutte le volte che ne ho voglia, anche con l’effetto moviola e fermo immagine.
L’erezione è al massimo. Preso dall’eccitazione di quegli attimi, ho allenato la guardia, tanto da non accorgermi subito che lei, attraverso lo specchio posto dentro la cabina, mi guarda e sorride.
Preso in castagna sento un profondo disagio e non so come uscirne fuori. A questo ci pensa lei.
“Sai perché andiamo d’accordo noi due? – dice mentre finisce di fare la prova – perché ci completiamo. A te piace guardarmi e a me piace di essere guardata da te”.
Rimango si sasso, perché quest’affermazione crea una situazione di ambiguità che da anche risposta a certi dubbi che di tanto in tanto mi assalgono. Sì, perché quell’ostentare il suo corpo a volte non sembrava del tutto naturale, non quello di una ragazzina che si sente a suo agio nell’intimità delle mura domestiche e alla presenza di persone di famiglia.
Tornando a casa un vortice di pensieri mi tiene ammutolito alla guida. “A cosa stai pensando - mi chiede - forse a quello che ti ho detto prima? Sono stata sincera ed ero convinta che ti fossi accorto di questo gioco di ruoli che facciamo da qualche tempo. Tu cerchi ogni occasione per guardare il mio corpo ed eccitarti, io faccio in modo che queste occasioni si creino perché mi eccita molto sapere che mi guardi con gli occhi del desiderio, maggiormente quando credi che io non me ne accorga. Prima, in camerino, mi sono tanto eccitata nel farmi guardare che ancora adesso sento le mutandine bagnate. Non ci credi?”.
Teresa tira su la gonna fino a mettere in luce le mutandine. Allarga le cosce e basculando il bacino mi consente di vedere chiaramente la macchia umida di umore che metteva in evidenza la forma della sua dolce patatina. Istintivamente allungo la mano verso quel frutto succoso ma lei subito la blocca.
“No. Se lo fai il gioco è finito. Se vuoi che continui non dobbiamo cambiare le regole. Ci devono legare solo gli occhi e il desiderio”.
Ha ragione. Violare quell’intesa significava azzerare tutto.
Da quel giorno tutte le volte che si offre alla mia vista, anche se non lo dice, sento nella testa la sua voce dirmi: “Guardami!”.
Tutta quest’angoscia scompare se a chiederti di accompagnarla è lei: Teresa, figlia di mia moglie. Mora e minuta, un corpicino da favola, tette piccole e culetto a mandolino. Una delizia per gli occhi.
Non occorre fare fatica per godere di quella presenza, anche perché senza malizia si aggira spesso per casa quasi svestita e usa dei tanga ridottissimi. Non manca giorno in cui il mio sguardo non si posi con discrezione su quei glutei ben torniti, su quella bella “patata” incorniciata dai peli che trasbordano oltre l’orlo delle mutandine, perché lei, in controtendenza, preferisce non radersi. Certo, il mio spirito voyeur mi spinge a cercare quell’elemento essenziale che porta a livelli di eccitazione più alti. Così, usando ogni cautela possibile, cerco le occasioni per poterla guardare di nascosto, di ammirare il suo corpo quando lei sicuramente non sa di essere vista e questo accade quando dorme oppure, un classico, quando la spio mentre è in bagno.
Da me ha preso l’abitudine di fare il riposino pomeridiano, la classica pennichella. Arriva quasi sempre dopo di me, si toglie i pantaloni e la maglietta e quasi nuda si piazza al mio fianco sul lettone matrimoniale, che reputava più comodo del suo. Con modi felini s’infila sotto la coperta e si addormenta quasi subito. Nei mesi caldi a coprirla è solo il lenzuolo, ma bastava aspettare che si giri su se stessa perché rimanga scoperta, alla mercé dei miei sguardi. L’accarezzo con gli occhi, seguendo le curve della nuca e della schiena, scendendo giù fino a raggiungere la perfezione di quelle natiche tonde e sode. Lo sguardo prosegue lungo le gambe snelle fino ad arrivare ai piedi.
Non oso toccarla e lascio che sia la mia vista a percepire la setosità della sua pelle, quella leggera e chiara peluria che la fa somigliare a una pesca, dolce e saporita.
Quante erezioni e quante volte mi sono a lungo accarezzato con desiderio davanti a quel corpo.
Quando si posiziona di fianco, dal lato opposto al mio, riesco a vedere, a mala pena coperto dalla sottile striscia del tanga, la zona più scura dell’ano e, più sotto il gonfiore della sua fica pelosa. Con la fantasia immagino di spostare quel precario ostacolo e di poggiarle contro la punta del mio pene, per sentire il calore di quel nido.
Con l’olfatto amplificato dall’eccitazione, mi sembra di percepire il profumo della sua pelle e quello della sua intima natura.
“Mi accompagni al centro commerciale, ho bisogno di comprare un nuovo jeans”. L’invito giunge all’inizio di una giornata che si annunciava noiosa. Invece ecco che la fantasia iniziava a galoppare e a colorare le mie prossime ore.
“Finisco di sistemare alcuni documenti – rispondo tenendo un tono di sufficienza – e poi andiamo. Ti avviso quando sono pronto”.
Sale sorridente in auto e ci godiamo il viaggio fuori città, tra le risaie verdi e i campi di granturco, diretti all’outlet.
Arrivati, ci avviamo in un emporio di una nota marca di jeans e lei sceglie due pantaloni che, dopo aver chiesto il permesso alla commessa, si avvia a provare in camerino.
Mi prende per un gomito perché la segua: “Stai qui fuori a tenermi la tendina, che qui c’è sempre qualche maiale che prova a sbirciare”.
Sorrido dentro di me. Vorrei dirle: “Ecco un maialino pronto a guardarti in esclusiva”.
Sistemo la tenda avendo cura di lasciare un piccolo spiraglio dal mio lato. La commessa si è già allontanata per seguire un altro cliente. Le danze possono iniziare.
Teresa cala giù la gonna con la solita lentezza e si china per slacciarsi le scarpe, mi offre ignara la completa visione di tutta la sua intimità, a mala pena coperta dal tanga rosa, tra l’altro il mio preferito, che a stento contiene la rotondità della sua “patata”, come lei stessa la chiamava.
Con un’erezione veloce il cazzo mi si drizza in una posizione che si mostra evidente. Cerco velocemente di sistemarlo in maniera più discreta. Lei indossa il primo capo scelto e mentre ancora è intenta a chiudere la lampo, sposta la tendina, per chiedermi cosa ne penso.
“Mettono bene in evidenza le tue forme da miss culetto – so che un po’ di adulazione le è gradita - ma mi sembrano troppo stretti. Per me dovresti prendere uno con una taglia più comoda”.
“Ok provo l’altro che è una misura in più”.
Stessa operazione. Cala giù il jeans, non senza difficoltà. Sono così stretti che insieme al pantalone viene trascinato giù anche il tanga. Lei se ne accorse e tira su l’indumento con tanta lentezza da consentirmi di prolungare lo sguardo su quelle parti, mai viste così da vicino. Quante volte ho desiderato che i miei occhi potessero essere come registratori, per immortalare quelle visioni per poi poterle rivedere tutte le volte che ne ho voglia, anche con l’effetto moviola e fermo immagine.
L’erezione è al massimo. Preso dall’eccitazione di quegli attimi, ho allenato la guardia, tanto da non accorgermi subito che lei, attraverso lo specchio posto dentro la cabina, mi guarda e sorride.
Preso in castagna sento un profondo disagio e non so come uscirne fuori. A questo ci pensa lei.
“Sai perché andiamo d’accordo noi due? – dice mentre finisce di fare la prova – perché ci completiamo. A te piace guardarmi e a me piace di essere guardata da te”.
Rimango si sasso, perché quest’affermazione crea una situazione di ambiguità che da anche risposta a certi dubbi che di tanto in tanto mi assalgono. Sì, perché quell’ostentare il suo corpo a volte non sembrava del tutto naturale, non quello di una ragazzina che si sente a suo agio nell’intimità delle mura domestiche e alla presenza di persone di famiglia.
Tornando a casa un vortice di pensieri mi tiene ammutolito alla guida. “A cosa stai pensando - mi chiede - forse a quello che ti ho detto prima? Sono stata sincera ed ero convinta che ti fossi accorto di questo gioco di ruoli che facciamo da qualche tempo. Tu cerchi ogni occasione per guardare il mio corpo ed eccitarti, io faccio in modo che queste occasioni si creino perché mi eccita molto sapere che mi guardi con gli occhi del desiderio, maggiormente quando credi che io non me ne accorga. Prima, in camerino, mi sono tanto eccitata nel farmi guardare che ancora adesso sento le mutandine bagnate. Non ci credi?”.
Teresa tira su la gonna fino a mettere in luce le mutandine. Allarga le cosce e basculando il bacino mi consente di vedere chiaramente la macchia umida di umore che metteva in evidenza la forma della sua dolce patatina. Istintivamente allungo la mano verso quel frutto succoso ma lei subito la blocca.
“No. Se lo fai il gioco è finito. Se vuoi che continui non dobbiamo cambiare le regole. Ci devono legare solo gli occhi e il desiderio”.
Ha ragione. Violare quell’intesa significava azzerare tutto.
Da quel giorno tutte le volte che si offre alla mia vista, anche se non lo dice, sento nella testa la sua voce dirmi: “Guardami!”.
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