Incontro fatale

di
genere
bondage

Mi chiamo D.B. e sono uno studente universitario; come molti dei miei colleghi, per pagarmi gli studi faccio dei lavoretti che mi consentono di sbarcare il lunario e di andare avanti con il mio corso di laurea. Quello che pochi sanno, invece, è che sono uno scrittore di racconti erotici e che proprio da quello ricavo la mia maggiore fonte di reddito.
La storia che voglio raccontarvi riguarda proprio il mio lavoro, per così dire, “sotterraneo”; anche se non ho certo la pretesa che i miei lettori la considerino veritiera o degna di fede.
Mi trovavo, come al solito, alle prese con un esame da superare (in netto ritardo) ed assillato dall’ennesima scadenza impostami dal mio editore: ancora una volta avrei dovuto fare salti mortali per ultimare il voluminoso programma di studi e, allo stesso tempo, trovare un’idea originale per il mio racconto.
Mentre annegavo tra le pagine del manuale tentando di capire il senso astruso di quelle parole, all’improvviso il campanello di casa si mise a suonare.
Non aspettando visite, mi ero avvicinato alla porta con aria contrariata e avevo risposto in modo piuttosto seccato; quale non fu la mia sorpresa nel sentire la voce di una mia collega di corso che abitava nei paraggi.
All’Università ci eravamo incontrati qualche volta per scambiare due chiacchiere e per confrontare gli appunti presi durante le lezioni; avevamo anche scoperto di abitare a poca distanza l’uno dall’altro, per cui ci eravamo scambiati i numeri di telefono con la promessa di vederci, un giorno; l’occasione, però, non si era ancora presentata prima di allora.
Pur preso alla sprovvista, facevo entrare dentro casa Gwen (non c’è bisogno che vi dica che è un nome di fantasia), che esibiva un sorriso smagliante; portava in mano un vassoio di pasticcini e, molto candidamente, diceva di aver rintracciato il mio indirizzo sul’elenco telefonico perché aveva bisogno degli appunti delle ultime sessioni di diritto.
Sorpreso ma allietato da quella presenza femminile, mi permettevo di offrirle un tè, che degustavamo in piacevole compagnia assieme ai dolci; per diverso tempo parlammo amabilmente di esami e di lezioni, ma la mia sensibilità maschile non mi impediva di guardarla con un occhio non disinteres-sato: lei era piuttosto bassina ma dalle forme generose; la natura l’aveva inoltre dotata di un seno piuttosto prosperoso. Il viso catturava maggiormente l’attenzione, perché ad un sorriso smagliante univa delle labbra alquanto sensuali.
Mentre stavo sprofondando nei meandri di pensieri poco edificanti per un anfitrione, non mi avvedevo che stava frugando nella borsetta, con fare piuttosto seccato.
Stupito da quell’improvviso sbalzo d’umore, ne chiedevo la ragione con un tono che si sforzava di essere sinceramente partecipe.
Quale non fu la mia sorpresa quando le vidi prendere in mano una pistola, che brandiva con fare minaccioso.
Probabilmente la guardai con un’aria che era tra l’incredulo e lo spaventato, circostanza questa che non fece che peggiorare il suo cipiglio.
“Spogliati, adesso” disse con un tono secco che non ammetteva repliche “Non penserai mica che sia venuta qui solo per parlare di testi universitari?”.
Probabilmente la mia reazione non fece che peggiorare la situazione; totalmente inebetito, non sapevo se protestare o buttarla sul ridere, ma il fatto che la mia ospite avesse comunque in mano un’arma non aiutava la mia lucidità.
“Ho detto spogliati!”, urlò una seconda volta Gwen con un tono imperioso che non ammetteva repliche.
Che cosa pensate che abbia fatto? Il rischio era troppo grosso, non sapevo esattamente con chi avevo a che fare, perciò mi prestai al suo gioco senza obiettare.
Mentre mi spogliavo lentamente, notavo che mi fissava con aria soddisfatta, salvo poi ritrovare il cipiglio severo di prima quando mi vide esitare nel togliermi gli slip.
Ero oramai nudo davanti a lei e mostravo un certo imbarazzo: ma lei non si scompose, anzi mi fece cenno di spostarmi dalla cucina e di entrare nella mia camera, dover era ancora acceso il computer (nei ritagli di tempo, come vi dicevo, tentavo di ultimare il mio racconto).
Mentre entravo nell’altra sala, la sentivo sibilare con un filo di crudeltà: “Ora mettiti in ginocchio, con le mani dietro la schiena”. Che fare, a questo punto? Obbedire nuovamente, sperando che la follia di quella ragazza avesse un limite…
La sentivo armeggiare alle mie spalle tra gli oggetti della borsa e tirare fuori qualcosa di metallico; in un attimo due collari di metallo mi serrarono i polsi; e così ero sistemato ben bene.
“Stai fermo, adesso!”, esclamò con voce che cominciò ad essere anche lievemente isterica, cosa che non contribuì certo a rasserenarmi.
Gwen si mise a girarmi attorno, guardandomi con aria piuttosto attenta concentrata; poi iniziò a tirare fuori dalla solita borsa delle corde robuste.
“Abbassa lo sguardo, adesso: voglio che la tua fronte tocchi terra”, esclamò con il solito tono deciso, cui – ancora una volta – non fui in grado di oppormi.
Mentre stavo in quella ridicola posizione, potevo percepire che avvolgeva le corde con rapida e studiata precisione attorno alle mie caviglie, poi ancora attorno ai polsi (come se non bastassero le manette); quindi, quando avevo i piedi e le mani legate, mi fece cenno che potevo di nuovo alzare la testa; levai lo sguardo solo per notare che anche lei aveva cominciato a spogliarsi.
Aveva appena finito di togliersi le mutande, un minuscolo pezzo di tessuto che ne ricopriva appena le parti intime, quando iniziò ad appallottolarle; poi si avvicinò a me ingiungendomi di aprire la bocca. In un attimo, mi ficcò dentro quel batuffolo di cotone, poi cominciò a srotolare del nastro adesivo, avvolgendolo abbondantemente intorno alla mia testa per imbavagliarmi.
Solo a quel punto, Gwen rimise nella borsa la pistola e con aria estremamente compiaciuta esclamò: “Sei proprio stupido! Possibile che tu non ti sia accorto che era una pistola giocattolo?”.
Indignato, tentai una specie di reazione ma non dovetti essere molto convincente anche perché dalla mia bocca uscì solo un patetico mugolio, mentre tentavo di alzarmi in piedi.
Gwen mi afferrò i testicoli con una mano e strinse, costringendomi a fermarmi se non volevo provavo enormi fitte di dolore: “Sei pazzo?”, mi disse “Adesso sei il mio schiavo, che tu lo voglia o no. Perciò non cercare di ribellarti o sarà peggio per te. E visto che sei così indisciplinato, qui ci vuole qualche altro buon metro di corda”.
Ancora una volta, dal nulla apparve della corda che Gwen mi avvolse prima attorno al torace, con più tratti, stringendo i nodi con tenace precisione; poi, toccò alle gambe, che vennero strette attorno alle ginocchia, mentre un ultimo umiliante nodo mi serrava gli alluci.
Soddisfatta del suo lavoro, la mia padrona si sedette davanti al computer e cominciò a leggere. Mentre stava esaminando con calma il mio lavoro, si voltò verso di me e sibilò: “Adesso rimani pure in ginocchio davanti a me mentre proseguo la mia lettura. Credi che non sappia che scrivi racconti erotici? Ho dato un’occhiata alle tue bozze, che avevi imprudentemente lasciato in sala studio all’Università. Se riuscirai ad eccitarmi, dopo averli finiti, ti consentirò di leccarmela; altrimenti…”. Gwen non finì la frase, che suonava come una minaccia.
E così eccomi qui, legato ed imbavagliato, in balia di una pazza dominatrice venuta qui solo per leggere le mie storie in anteprima. Non è certo una situazione facile, ma è sicuramente eccitante. E poi… che splendido spunto per il mio prossimo racconto!!!
scritto il
2011-07-27
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