Signora padrona
di
Jon Harmon
genere
bondage
L’incontro casuale è sempre stato uno dei pensieri più ricorrenti nell’immaginario erotico maschile: quella volta, tuttavia, sapevo bene con chi avrei avuto a che fare e non potevo certo recriminare se con me stesso.
Ci eravamo conosciuti sul luogo di lavoro e, dopo alcuni scambi di battute, inevitabilmente i nostri discorsi erano finiti su argomenti piccanti, basati su doppi sensi e sul nostro comune stato di single.
Tuttavia, mai mi sarei aspettato di scoprire che la mia collega amasse passatempi erotici a me cari da tempo: i nostri discorsi, ormai sempre più incentrati sul sesso, si incontravano alla perfezione sulle variazioni più raffinate del sado-masochismo, sulla passione comune per il bondage e sulla sua vocazione a fare la Dominatrice.
Ricordo quando, per posta elettronica, ricevetti una lista completa dei giochi erotici più tipici dell’immaginario bizarre, alla quale io dovetti rispondere punto dopo punto, spiegando esattamente quali fossero le mie fantasie erotiche e quali i miei tabù.
Pochi giorni dopo ci incontrammo al bar, all’ora di colazione, e Lei mi consegnò con molta disinvoltura una lettera, commentando con assoluta naturalezza: “Una di queste sere vorrei legarti, per cui avrei bisogno di una tua liberatoria; leggila con calma e fammi sapere; se hai qualche dubbio, ti pregherei ovviamente di farmelo sapere”.
E’ superfluo raccontare che lessi, con simulata attenzione, quell’atto dai toni apparentemente simili ad un contratto, nel quale con minuziosa precisione venivano elencate tutte le fantasie bondage possibili ed immaginabili: di volta in volta dovevo barrare tutte le caselle, indicando le attività per le quali davo il mio assenso e quelle invece per cui le negavo; chiudeva il tutto una bizzarra formula di manleva con la quale rinunciavo a far causa alla mia Padrona per eventuali traumi derivanti da pratiche sadomasochistiche.
Inutile aggiungere che firmai e consegnai il foglio alla mia collega, che rimirò le mie risposte con aria piuttosto soddisfatta. “Bene, bene” esclamò “Credo che ci siano i presupposti per passare una bella serata. Ti aspetto venerdì sera a casa mia per l’ora di cena; e quel giorno mettiti un perizoma femminile, al posto delle mutande: le trovo più sexy, in uno schiavetto…”.
Mentre accennavo ad alzarmi, mi fulminò con lo sguardo: “E un’altra cosa!”, esclamò “Vedi di farti trovare depilato; detesto gli uomini villosi”.
E così eccomi a casa di una collega d’ufficio, di venerdì sera, con la prospettiva che tutto possa svilupparsi in qualcosa che si annuncia quanto meno insolito.
La cena, devo dire, va avanti piacevolmente: porto con me dei fiori e una bottiglia di vino che acquisto in enoteca, con tutta la cura e l’attenzione che merita la serata.
La cucina, devo ammettere, è deliziosa; anche la conversazione è piacevole e verte su tutto tranne che sul sesso; gli argomenti spaziano con disinvoltura dal cinema, ai libri, sfiorando – ma solo di sfuggita – su aspetti lavorativi; neanche un accenno al bondage.
E’ quando arriva il momento di sparecchiare e di rigovernare la camera da pranzo che lo sguardo della mia collega si fa più deciso e mostra un cipiglio che sa di perversione.
“Adesso è arrivato il momento di fare sul serio, che ne pensi?”, sussurra lei.
“Mi sembra un’ottima decisione”, mi limito a rispondere candidamente.
“Spogliati, allora!” esclama la mia padrona con un tono così deciso che non ammette repliche.
Sorpreso da tanta autorevolezza nella sua voce, comincio a togliermi tutti i miei indumenti, riponendoli con cura sulla sedia.
Lei mi guarda con aria canzonatoria, mostrando di apprezzare comunque le mie gambe depilate e il perizoma femminile che porto, di colore nero.
“Bravo: vedo che hai seguito le mie istruzioni alla lettera”, mi dice con tono compiaciuto: “Ora inginocchiati”.
Non posso fare a meno di seguire i suoi ordini: con il suo tono di voce, con i suoi modi mi ha praticamente stregato. Mi inginocchio davanti a lei senza sollevare obiezioni.
“A questo punto sei ancora in tempo per decidere: se vuoi andartene, facciamo finta che non sia successo niente; se vuoi essere il mio schiavo per tutta la notte, metti le mani dietro la schiena. Ma sappi che, in quest’ultimo caso, sarà l’ultima decisione che potrai prendere”.
Mentre metto docilmente le mani dietro la schiena la vedo tirare tira fuori dalla tasca, con molto garbo, del nylon di colore nero, con il quale impacchetta per bene le mie mani: il tratto di corda si avvolge più volte attorno ai miei polsi e i nodi sono stretti con molta cura in modo tale che ogni mio eventuale tentativo di slegarmi sia frustrato.
Poi, la mia padrona comincia a guardarsi attorno alla ricerca di qualcosa che non riesco a capire, ma è solo un attimo di esitazione; dopo di che, inizia lentamente a spogliarsi, rivelandosi in un completo intimo mozzafiato: nero il perizoma, nero il reggiseno semitrasparente, nere le calze a rete che comincia a sfilarsi con lentezza ben studiata.
“Leccami i piedi, Schiavo!” esclama con quel tono deciso che ormai riconosco “Intanto decido cosa fare di te per questa notte”. Non posso fare a meno di inginocchiarmi ancora di più per raggiungere la punta dei suoi piedi e cominciare a leccarne le dita, a succhiarle gli alluci; nonostante sia evidente che questo atto di sottomissione le procuri piacere, non lascia trasparire alcuna emozione.
Continuo a leccare i piedi e le caviglie ancora per un po’, sino a quando la mia padrona decide di mettersi seduta più comodamente, sul divano del salone: in maniera esplicita, ammicca e mi fa cenno di avvicinarmi.
Faccio per alzarmi, quando il suo sguardo severo mi fulmina: “Chi ti ha detto di alzarti? Avvicinati lentamente, rimanendo in ginocchio; voglio sentirti strusciare sul pavimento”.
Ancora una volta è una decisione che non ammette repliche o contestazioni: remissivo, mi avvicino a lei trascinando le ginocchia.
La vedo fissarmi con un’espressione che è ad un tempo severa e divertita; quando sono ormai vicinissimo a lei, si alza in piedi e comincia a passeggiare attorno a me con fare interessato, il pollice e l’indice della mano destra poggiati sotto il mento con la tipica espressione di chi sta valutando.
E’ un attimo: la mia padrona si allontana di qualche metro, apre un cassetto da cui esce fuori una ballgag di plastica rossa; poi, con un movimento rapidissimo me lo avvicina alle labbra e mi fa cenno di aprirla: “Un vero schiavo deve essere imbavagliato, non trovi? Perciò fai il bravo e fatti mettere questo bel gingillo in bocca”.
Rassegnato, mi faccio imbavagliare senza opporre alcuna resistenza; la mia dark lady si assicura che io non possa emetter alcun suono comprensibile stringendo la cinghia della ballgag; poi mi guarda soddisfatta ed esclama: “Sei proprio carino! Adesso, voglio che tu ti metta nella posizione di chi implora: abbassa per bene la schiena, la tua fronte deve arrivare a toccare terra”.
Ancora una volta, non mi resta che obbedire e mi metto docilmente nella posizione che mi ha ordinato di assumere la mia padrona; non contenta, mi lega le caviglie ed assicura un tratti di corda tra i miei polsi e le gambe in modo da rendere improbabile ogni mio tentativo di rimettermi in piedi.
Infine, lei si rimette di nuovo a sedere sul divano e stende le gambe sulla mia schiena, a mo’ di sgabello; la posso sentire armeggiare con il telecomando e accendere il televisore: con studiata calma, ascolta un notiziario mentre io mi trovo in quella umiliante ma allo stesso tempo eccitante posizione; ogni tanto, non posso fare a meno di emettere un mugolio, che lei regolarmente punisce con fermezza, tormentandomi rudemente la schiena e i glutei con un frustino uscito fuori da chissà dove.
Dopo alcuni interminabili minuti, finalmente la mia padrona decide di cambiare metodo di tortura: spegne la televisione e mi consente di rialzare la schiena, liberandomi da quella scomoda posizione in cui mi trovavo; ora sono in ginocchio, le mani legate dietro la schiena e i piedi bloccati, ma con lo sguardo dritto davanti a lei.
Con aria divertita la mia padrona mi toglie la ballgag e poi mi sorride, con rinnovata sadica ironia: “Ebbene, non penserai mica che sia finita qui? Hai accettato di fare lo schiavetto e allora agisci da schiavetto. Non ti viene in mente niente di adatto al tuo ruolo?”.
Non chiedetemi come abbia fatto a capire al volo le sue intenzioni: sia pure con i movimenti impediti dai tratti di corda avvinghiati attorno a me, mi avvicino lentamente al suo pube e lo fisso con aria adorante.
Poi, la mia lingua si posa sulle sue morbide labbra della vagina e stabilisce un primo contatto con le sue parti intime; la sento gemere di piacere, in quello che è stato una vero e proprio sovvertimento del rapporto schiavo-padrone; incoraggiato dalla sua reazione, mi spingo ancora oltre e continuo a sfiorarla.
Il contatto tra la mia lingua e la mia padrona è letteralmente guidato dalla intensità dei suoi gemiti e dal tremore del suo corpo, che mi rivelano quali sono le parti maggiormente sensibili al piacere: tutte le volte che capisco di aver provocato il suo godimento, anche io esulto nell’andare a fondo in questa armonia che si è perversamente instaurata tra di noi.
Indugio tra le sue labbra, accarezzandole con la mia lingua con voluttà ed ingordigia, godendo ancora di più quando la sua voce freme di eccitazione; mi soffermo poi sul clitoride, provocando lunghi acuti di piacere nella mia padrona.
Ora esploro il territorio del piacere reciproco con la punta della lingua, premendo appena laddove so di provocare appagamento, ora lecco avidamente come se stessi assaporando un gelato.
Questo gioco continua senza interruzione per diversi minuti; improvvisamente, una esplosione di godimento scuote il corpo della mia padrona; il suo corpo inizia a tremare e la sua voce è sempre più rotta; capisco che sta raggiungendo il suo orgasmo e ciò mi spinge ancora di più ad esplorare le segrete vie del suo piacere.
In poco tempo, un urlo selvaggio ed animale suggella l’apice del suo totale appagamento, di cui sono l’umile e sottomesso artefice.
La posso vedere mentre mi fissa con aria soddisfatta dell’orgasmo raggiunto, ma con lo sguardo ancora accesso per il desiderio non ancora sopito; nel ruolo che mi sono scelto e ho accettato senza battere ciglio, non mi resta che una sola alternativa, per cui sussurro con un filo di voce: “Vuole venire un’altra volta, padrona?”.
E’ ovviamente una domanda retorica, cui la mia dark lady risponde con un eloquente gemito di piacere che suona come un invito a continuare.
Di nuovo la mia lingua esplora i sentieri della felicità della mia padrona e ancora una volta sono mie guide il tremito ed i mugolii di quel corpo che non sembra ancora sazio di godimento.
Il secondo orgasmo sembra più difficile da raggiungere, perché l’eccitazione cresce in modo più lento e graduale rispetto alla esplosione di qualche momento prima. Ma io non mi faccio scoraggiare e continuo nel mio imperterrito compito di soddisfare gli appetiti di questa donna di cui sono alla mercé.
Questa volta ci vuole più pazienza e abilità nello scovare tra i meandri del corpo il punto che trascinerà la mia padrona nuovamente all’apice della felicità.
Alla fine, eccolo che viene; se l’eccitazione era stata più lento da raggiungere, l’orgasmo è come un torrente in piena senza argini e barriere che tengano; senza freni inibitori, la sento ancora una volta gridare di piacere e scuotere il suo corpo come un animale rabbioso; ma non è rabbia, quella che promana dalla mia padrona, ma il pieno appagamento dei sensi.
Lei sta ancora ansimando, recuperando lentamente il controllo di sé, mentre mi fissa per la prima volta con aria benevola: “Sei stato bravo, lo sai? Ti meriti quasi un premio”, esclama la mia dark lady. Con decisione, taglia la corda che teneva vicini i miei polsi e le caviglie e mi aiuta ad alzarmi in piedi. Poi mi fa sedere sul divano e, mentre mi fa cenno con il dito indice di non fiatare, mi rimette la ballgag: “Stai buono così”, sussurra “vedrai che ti piacerà”.
In ogni caso non avrei avuto alcuna intenzione di protestare, ma di fronte ad un invito così rassicurante non posso che mettermi comodo e aspettare di capire che cosa ne sarà di me.
La mia padrona si siede dolcemente accanto a me e mi afferra il membro con le mani; poi si avvicina lentamente al mio pene e comincia a sfiorarlo con la bocca, con una studiata lentezza che aumenta in me l’eccitazione che era già sorta sin da quando mi ero calato nel mio ruolo di schiavo.
Il gioco dura ancora alcuni minuti: la mia dark lady si decide infine ad abbracciare la mia dura asta con le sue labbra turgide ed inizia una perversa fellatio.
Non riesco a dominare una sensazione di piacere estremo; la mia padrona succhia, succhia avidamente il mio membro, soffermandosi ogni tanto a leccare il glande.
So benissimo che non riuscirò a resistere molto: quando giungo all’apice del piacere, non riesco a trattenere la mia frenesia.
Raggiungo l’orgasmo emettendo un mugolio selvaggio per via della ballgag che mi impedisce di proferire parola: il mio fluido esce abbondante e viene avidamente ingoiato dalla mia padrona.
Pochi istanti dopo, siamo uniti in un abbraccio sado-masochistico, che vede me ancora legato e imbavagliato ma con la testa appoggiata sul suo seno accogliente; sporadicamente, lei accenna a qualche moina, che stride con il contenuto della serata e con il mio status di schiavo, ma non mi importa.
La serata è stata intensa ed eccitante, ho ottenuto quello che desideravo. So che alla fine lei mi slegherà, ma anche qualora se ne dovesse dimenticare non sarò certo io a protestare…
Ci eravamo conosciuti sul luogo di lavoro e, dopo alcuni scambi di battute, inevitabilmente i nostri discorsi erano finiti su argomenti piccanti, basati su doppi sensi e sul nostro comune stato di single.
Tuttavia, mai mi sarei aspettato di scoprire che la mia collega amasse passatempi erotici a me cari da tempo: i nostri discorsi, ormai sempre più incentrati sul sesso, si incontravano alla perfezione sulle variazioni più raffinate del sado-masochismo, sulla passione comune per il bondage e sulla sua vocazione a fare la Dominatrice.
Ricordo quando, per posta elettronica, ricevetti una lista completa dei giochi erotici più tipici dell’immaginario bizarre, alla quale io dovetti rispondere punto dopo punto, spiegando esattamente quali fossero le mie fantasie erotiche e quali i miei tabù.
Pochi giorni dopo ci incontrammo al bar, all’ora di colazione, e Lei mi consegnò con molta disinvoltura una lettera, commentando con assoluta naturalezza: “Una di queste sere vorrei legarti, per cui avrei bisogno di una tua liberatoria; leggila con calma e fammi sapere; se hai qualche dubbio, ti pregherei ovviamente di farmelo sapere”.
E’ superfluo raccontare che lessi, con simulata attenzione, quell’atto dai toni apparentemente simili ad un contratto, nel quale con minuziosa precisione venivano elencate tutte le fantasie bondage possibili ed immaginabili: di volta in volta dovevo barrare tutte le caselle, indicando le attività per le quali davo il mio assenso e quelle invece per cui le negavo; chiudeva il tutto una bizzarra formula di manleva con la quale rinunciavo a far causa alla mia Padrona per eventuali traumi derivanti da pratiche sadomasochistiche.
Inutile aggiungere che firmai e consegnai il foglio alla mia collega, che rimirò le mie risposte con aria piuttosto soddisfatta. “Bene, bene” esclamò “Credo che ci siano i presupposti per passare una bella serata. Ti aspetto venerdì sera a casa mia per l’ora di cena; e quel giorno mettiti un perizoma femminile, al posto delle mutande: le trovo più sexy, in uno schiavetto…”.
Mentre accennavo ad alzarmi, mi fulminò con lo sguardo: “E un’altra cosa!”, esclamò “Vedi di farti trovare depilato; detesto gli uomini villosi”.
E così eccomi a casa di una collega d’ufficio, di venerdì sera, con la prospettiva che tutto possa svilupparsi in qualcosa che si annuncia quanto meno insolito.
La cena, devo dire, va avanti piacevolmente: porto con me dei fiori e una bottiglia di vino che acquisto in enoteca, con tutta la cura e l’attenzione che merita la serata.
La cucina, devo ammettere, è deliziosa; anche la conversazione è piacevole e verte su tutto tranne che sul sesso; gli argomenti spaziano con disinvoltura dal cinema, ai libri, sfiorando – ma solo di sfuggita – su aspetti lavorativi; neanche un accenno al bondage.
E’ quando arriva il momento di sparecchiare e di rigovernare la camera da pranzo che lo sguardo della mia collega si fa più deciso e mostra un cipiglio che sa di perversione.
“Adesso è arrivato il momento di fare sul serio, che ne pensi?”, sussurra lei.
“Mi sembra un’ottima decisione”, mi limito a rispondere candidamente.
“Spogliati, allora!” esclama la mia padrona con un tono così deciso che non ammette repliche.
Sorpreso da tanta autorevolezza nella sua voce, comincio a togliermi tutti i miei indumenti, riponendoli con cura sulla sedia.
Lei mi guarda con aria canzonatoria, mostrando di apprezzare comunque le mie gambe depilate e il perizoma femminile che porto, di colore nero.
“Bravo: vedo che hai seguito le mie istruzioni alla lettera”, mi dice con tono compiaciuto: “Ora inginocchiati”.
Non posso fare a meno di seguire i suoi ordini: con il suo tono di voce, con i suoi modi mi ha praticamente stregato. Mi inginocchio davanti a lei senza sollevare obiezioni.
“A questo punto sei ancora in tempo per decidere: se vuoi andartene, facciamo finta che non sia successo niente; se vuoi essere il mio schiavo per tutta la notte, metti le mani dietro la schiena. Ma sappi che, in quest’ultimo caso, sarà l’ultima decisione che potrai prendere”.
Mentre metto docilmente le mani dietro la schiena la vedo tirare tira fuori dalla tasca, con molto garbo, del nylon di colore nero, con il quale impacchetta per bene le mie mani: il tratto di corda si avvolge più volte attorno ai miei polsi e i nodi sono stretti con molta cura in modo tale che ogni mio eventuale tentativo di slegarmi sia frustrato.
Poi, la mia padrona comincia a guardarsi attorno alla ricerca di qualcosa che non riesco a capire, ma è solo un attimo di esitazione; dopo di che, inizia lentamente a spogliarsi, rivelandosi in un completo intimo mozzafiato: nero il perizoma, nero il reggiseno semitrasparente, nere le calze a rete che comincia a sfilarsi con lentezza ben studiata.
“Leccami i piedi, Schiavo!” esclama con quel tono deciso che ormai riconosco “Intanto decido cosa fare di te per questa notte”. Non posso fare a meno di inginocchiarmi ancora di più per raggiungere la punta dei suoi piedi e cominciare a leccarne le dita, a succhiarle gli alluci; nonostante sia evidente che questo atto di sottomissione le procuri piacere, non lascia trasparire alcuna emozione.
Continuo a leccare i piedi e le caviglie ancora per un po’, sino a quando la mia padrona decide di mettersi seduta più comodamente, sul divano del salone: in maniera esplicita, ammicca e mi fa cenno di avvicinarmi.
Faccio per alzarmi, quando il suo sguardo severo mi fulmina: “Chi ti ha detto di alzarti? Avvicinati lentamente, rimanendo in ginocchio; voglio sentirti strusciare sul pavimento”.
Ancora una volta è una decisione che non ammette repliche o contestazioni: remissivo, mi avvicino a lei trascinando le ginocchia.
La vedo fissarmi con un’espressione che è ad un tempo severa e divertita; quando sono ormai vicinissimo a lei, si alza in piedi e comincia a passeggiare attorno a me con fare interessato, il pollice e l’indice della mano destra poggiati sotto il mento con la tipica espressione di chi sta valutando.
E’ un attimo: la mia padrona si allontana di qualche metro, apre un cassetto da cui esce fuori una ballgag di plastica rossa; poi, con un movimento rapidissimo me lo avvicina alle labbra e mi fa cenno di aprirla: “Un vero schiavo deve essere imbavagliato, non trovi? Perciò fai il bravo e fatti mettere questo bel gingillo in bocca”.
Rassegnato, mi faccio imbavagliare senza opporre alcuna resistenza; la mia dark lady si assicura che io non possa emetter alcun suono comprensibile stringendo la cinghia della ballgag; poi mi guarda soddisfatta ed esclama: “Sei proprio carino! Adesso, voglio che tu ti metta nella posizione di chi implora: abbassa per bene la schiena, la tua fronte deve arrivare a toccare terra”.
Ancora una volta, non mi resta che obbedire e mi metto docilmente nella posizione che mi ha ordinato di assumere la mia padrona; non contenta, mi lega le caviglie ed assicura un tratti di corda tra i miei polsi e le gambe in modo da rendere improbabile ogni mio tentativo di rimettermi in piedi.
Infine, lei si rimette di nuovo a sedere sul divano e stende le gambe sulla mia schiena, a mo’ di sgabello; la posso sentire armeggiare con il telecomando e accendere il televisore: con studiata calma, ascolta un notiziario mentre io mi trovo in quella umiliante ma allo stesso tempo eccitante posizione; ogni tanto, non posso fare a meno di emettere un mugolio, che lei regolarmente punisce con fermezza, tormentandomi rudemente la schiena e i glutei con un frustino uscito fuori da chissà dove.
Dopo alcuni interminabili minuti, finalmente la mia padrona decide di cambiare metodo di tortura: spegne la televisione e mi consente di rialzare la schiena, liberandomi da quella scomoda posizione in cui mi trovavo; ora sono in ginocchio, le mani legate dietro la schiena e i piedi bloccati, ma con lo sguardo dritto davanti a lei.
Con aria divertita la mia padrona mi toglie la ballgag e poi mi sorride, con rinnovata sadica ironia: “Ebbene, non penserai mica che sia finita qui? Hai accettato di fare lo schiavetto e allora agisci da schiavetto. Non ti viene in mente niente di adatto al tuo ruolo?”.
Non chiedetemi come abbia fatto a capire al volo le sue intenzioni: sia pure con i movimenti impediti dai tratti di corda avvinghiati attorno a me, mi avvicino lentamente al suo pube e lo fisso con aria adorante.
Poi, la mia lingua si posa sulle sue morbide labbra della vagina e stabilisce un primo contatto con le sue parti intime; la sento gemere di piacere, in quello che è stato una vero e proprio sovvertimento del rapporto schiavo-padrone; incoraggiato dalla sua reazione, mi spingo ancora oltre e continuo a sfiorarla.
Il contatto tra la mia lingua e la mia padrona è letteralmente guidato dalla intensità dei suoi gemiti e dal tremore del suo corpo, che mi rivelano quali sono le parti maggiormente sensibili al piacere: tutte le volte che capisco di aver provocato il suo godimento, anche io esulto nell’andare a fondo in questa armonia che si è perversamente instaurata tra di noi.
Indugio tra le sue labbra, accarezzandole con la mia lingua con voluttà ed ingordigia, godendo ancora di più quando la sua voce freme di eccitazione; mi soffermo poi sul clitoride, provocando lunghi acuti di piacere nella mia padrona.
Ora esploro il territorio del piacere reciproco con la punta della lingua, premendo appena laddove so di provocare appagamento, ora lecco avidamente come se stessi assaporando un gelato.
Questo gioco continua senza interruzione per diversi minuti; improvvisamente, una esplosione di godimento scuote il corpo della mia padrona; il suo corpo inizia a tremare e la sua voce è sempre più rotta; capisco che sta raggiungendo il suo orgasmo e ciò mi spinge ancora di più ad esplorare le segrete vie del suo piacere.
In poco tempo, un urlo selvaggio ed animale suggella l’apice del suo totale appagamento, di cui sono l’umile e sottomesso artefice.
La posso vedere mentre mi fissa con aria soddisfatta dell’orgasmo raggiunto, ma con lo sguardo ancora accesso per il desiderio non ancora sopito; nel ruolo che mi sono scelto e ho accettato senza battere ciglio, non mi resta che una sola alternativa, per cui sussurro con un filo di voce: “Vuole venire un’altra volta, padrona?”.
E’ ovviamente una domanda retorica, cui la mia dark lady risponde con un eloquente gemito di piacere che suona come un invito a continuare.
Di nuovo la mia lingua esplora i sentieri della felicità della mia padrona e ancora una volta sono mie guide il tremito ed i mugolii di quel corpo che non sembra ancora sazio di godimento.
Il secondo orgasmo sembra più difficile da raggiungere, perché l’eccitazione cresce in modo più lento e graduale rispetto alla esplosione di qualche momento prima. Ma io non mi faccio scoraggiare e continuo nel mio imperterrito compito di soddisfare gli appetiti di questa donna di cui sono alla mercé.
Questa volta ci vuole più pazienza e abilità nello scovare tra i meandri del corpo il punto che trascinerà la mia padrona nuovamente all’apice della felicità.
Alla fine, eccolo che viene; se l’eccitazione era stata più lento da raggiungere, l’orgasmo è come un torrente in piena senza argini e barriere che tengano; senza freni inibitori, la sento ancora una volta gridare di piacere e scuotere il suo corpo come un animale rabbioso; ma non è rabbia, quella che promana dalla mia padrona, ma il pieno appagamento dei sensi.
Lei sta ancora ansimando, recuperando lentamente il controllo di sé, mentre mi fissa per la prima volta con aria benevola: “Sei stato bravo, lo sai? Ti meriti quasi un premio”, esclama la mia dark lady. Con decisione, taglia la corda che teneva vicini i miei polsi e le caviglie e mi aiuta ad alzarmi in piedi. Poi mi fa sedere sul divano e, mentre mi fa cenno con il dito indice di non fiatare, mi rimette la ballgag: “Stai buono così”, sussurra “vedrai che ti piacerà”.
In ogni caso non avrei avuto alcuna intenzione di protestare, ma di fronte ad un invito così rassicurante non posso che mettermi comodo e aspettare di capire che cosa ne sarà di me.
La mia padrona si siede dolcemente accanto a me e mi afferra il membro con le mani; poi si avvicina lentamente al mio pene e comincia a sfiorarlo con la bocca, con una studiata lentezza che aumenta in me l’eccitazione che era già sorta sin da quando mi ero calato nel mio ruolo di schiavo.
Il gioco dura ancora alcuni minuti: la mia dark lady si decide infine ad abbracciare la mia dura asta con le sue labbra turgide ed inizia una perversa fellatio.
Non riesco a dominare una sensazione di piacere estremo; la mia padrona succhia, succhia avidamente il mio membro, soffermandosi ogni tanto a leccare il glande.
So benissimo che non riuscirò a resistere molto: quando giungo all’apice del piacere, non riesco a trattenere la mia frenesia.
Raggiungo l’orgasmo emettendo un mugolio selvaggio per via della ballgag che mi impedisce di proferire parola: il mio fluido esce abbondante e viene avidamente ingoiato dalla mia padrona.
Pochi istanti dopo, siamo uniti in un abbraccio sado-masochistico, che vede me ancora legato e imbavagliato ma con la testa appoggiata sul suo seno accogliente; sporadicamente, lei accenna a qualche moina, che stride con il contenuto della serata e con il mio status di schiavo, ma non mi importa.
La serata è stata intensa ed eccitante, ho ottenuto quello che desideravo. So che alla fine lei mi slegherà, ma anche qualora se ne dovesse dimenticare non sarò certo io a protestare…
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