Quel giorno in carcere

di
genere
gay

“Non ti preoccupare, tempo tre giorni e ti tiro fuori”, andava ripetendo il mio avvocato mentre mi portavano dentro con l’ordinanza di custodia cautelare. Non so neanche bene come mi sia inguaiato in quell’affare, io rispettabile giovanotto della società milanese, 28 anni, scuole private, università, master e poi via, lanciato nell’azienda di famiglia, con tanto tempo libero da dedicare a me stesso, palestra piscina solarium il drink prima di cena e ragazze intercambiabili da una sera all’altra.
Bel cambiamento rispetto a questi pochi metri quadrati in cui mi sono ritrovato quel giorno, dopo che mi hanno fatto spogliare dei miei vestiti firmati, comprese le mutande D&G, messo sotto la doccia e datomi la loro divisa. Il mio spirito da sbruffone è forse quello che mi ha aiutato a non cadere in depressione di fronte a questo sorprendente voltafaccia del destino.
“Tu dormirai sopra” mi ha subito detto, indicandomi il posto del letto a castello, prima di ogni presentazione, il compagno di cella settantenne con cui ho condiviso quei giorni. Non mi è sembrato il caso di obiettare, tanto meno dopo che scoprii che stava lì per aver accoltellato la moglie o, come diceva lui, per aver evitato il divorzio.
Mentre preparo la mia cuccia, mi sento osservato con un bisbiglio di sottofondo: mi volto e vedo dalle due celle di fronte due tipi che mi osservano,alti, tarchiati, uno bruno, rasato e tatuato, l’altro biondo con capelli lunghi sulle spalle, entrambi tra i trenta e i quaranta. Delle frasi che dicono non riesco a cogliere tutto, ma una distintamente mi arriva: “Quel bambolo ce lo impaliamo a dovere”. Guardo il vecchio e domando: “Chi sono quelli?”. “Li chiamano Il Toro e il Bisonte. Quelli su cui posano l’occhio li marchiano”. “Li marchiano? Ah, voglio un po’ vedere: sono 1,85 e i muscoli li ho anch’io per difendermi. E poi il mio avvocato me l’ha detto che più di tre giorni qui dentro non ci sto. Non avranno neanche il tempo di avvicinarsi”. Il vecchio non risponde, scuote solo la testa e si distende nella sua cuccetta.
La notte trascorre un po’ agitata; nel sogno che faccio si susseguono le immagini del Toro e del Bisonte nudi con i loro cazzi grossi e duri che mi vengono incontro mentre sto facendo la doccia. Sorprendentemente al mattino quando mi risveglio quella che mi rimane non è la sensazione di spavento, ma di umidità addosso: pazzesco, mi sono bagnato, sono venuto nel sonno come poche volte mi è capitato.
Al mattino, dopo colazione, si va in cortile o nei laboratori del carcere. Io scendo in cortile col mio compagno di cella. Si sta giocando una partita di calcetto, qualcuno fa esercizi per conto suo, altri si raccolgono in gruppetti a chiacchierare, le guardie dalle garitte controllano. “Ehi tu, che sei vicino a quella porta”, mi sento gridare a un certo punto da uno dei giocatori, “ci si è bucato il pallone. Vai lì dentro e ce ne prendi un altro”. Senza sospettare niente vado in quello che suppongo essere il deposito degli attrezzi sportivi. Entro, ma, come muovo un passo all’interno, la porta si chiude alle mie spalle e un braccio nerboruto mi afferra attorno alla gola. Faccio per gridare ma la sua mano mi tappa la bocca; tento una reazione, ma il bastardo mi stringe da non lasciar spazio a movimenti. Dal fondo della stanza vedo un’ombra avanzare, farsi distinta a poco a poco alla luce fioca della lampada, lo riconosco, è il Toro; allora quello che mi tiene afferrato deve essere il Bisonte, sento i suoi capelli lunghi ogni tanto toccarmi il collo. Ora le sue mani mi stanno spingendo a terra in ginocchio mentre il Toro è arrivato proprio davanti a me, canotta e jeans strappati da cui si rilevano i muscoli e un pacco, un pacco che sembra scoppiare. Si sbottona la patta e mi sbatte il cazzo in faccia, un membro di 24 cm così a occhio e croce, già turgido e venoso. Il Bisonte mi afferra per i capelli, - oh i miei capelli belli ondulati neri corvini – e mi spinge contro quella nerchia mai vista. Me la ritrovo in bocca senza avere il tempo di realizzare quel che sta succedendo, il mio spirito di resistenza si è come abbioccato. Ma ancor più singolare, mi scopro a succhiarla con veemenza senza che mi si faccia forza più di tanto. Il Toro con movimenti di bacino, appoggiato al tavolo dietro di lui, me la fa assaggiare fino in fondo. Oh com’è buono questo cazzo, duro come un torrone, nodoso come un tronco di quercia, umido come una roccia innevata. Con tutti gli sfizi che la mia vita da giovane rampante mi consentiva, dovevo finire in carcere per provare questo piacere! La mano del Bisonte mi calca sempre, ogni tanto mi vengono i conati ma non smetto, ci do dentro di brutto e sento che il mio lavoro piace perché il Toro inizia a muggire, un mugolio sordo e sommesso che mi scalda ancora di più. Allora mi stacco dall’asta e inizio a lavorargli i coglioni, cazzo che coglioni, gonfi e tesi, due palle da golf in una foresta di peli; uno e poi l’altro me li passo in bocca, li insalivo tutti ed ogni tanto, azzardo supremo, la lingua va a lambire il suo buco di culo che si contrae dal piacere appena viene sfiorato. Ma ora succede l’impensabile: il Bisonte, che intanto mi ha spogliato senza che me ne rendessi conto, mi solleva di peso; mi afferro ai fianchi del Toro, la bocca piena del suo sesso, mentre sento che il Bisonte mi divarica le gambe. Cazzo, forse questo è troppo, nessuno mi ha mai fottuto, penso tra me e me. Ma ormai potrei oppormi? Magari collaborando patisco di meno. E’ così che mi ritrovo con le caviglie aggrappate ai fianchi del capelluto con il suo cazzone ormai puntato dritto dritto al culo e lui che mi tiene da sotto il bacino. Pazzesco, sono completamente sollevato da terra con i miei 80 kg di peso, sollevato da due maschioni che ormai sono risoluti a impalarmi. Infatti sento la cappella del Bisonte affondarmi tra le cosce, cercare la strada con energia; un suo colpo di reni la fa entrare tutta, ahhh, ahhh, non riesco a trattenere una smorfia di dolore. Un calore intenso mi prende l’ano; sento il cazzo che entra, ohh, mmm, ma quant’è lungo, non finisce più, sarà anche questo almeno 22 cm. Il dolore sta lasciando il posto al piacere; a occhi rovesciati mi metto con foga a pompare il Toro, mentre il Bisonte mi sta montando il culo a colpi sempre più frequenti, sempre più fondi. Godo come un porco e non mi sembra vero. Ogni tanto alzo lo sguardo e vedo un rivolo di sudore scendere dal collo del Toro, zigzagare sul torace, fermarsi su un capezzolo turgido e imperlarlo – la bestia s’è tolta la canotta ormai, esibendo tutta la sua muscolatura da fottitore – per finire poi all’ombelico e lungo i peli del pube. Li sento ansimare entrambi, cazzo li sto facendo muggire di godimento questi due bovini da monta. Ah, ma sembra che al Toro non basti la mia bocca sul cazzo, mi alza la testa, mi regge e si gira appoggiandosi al tavolo. Ho capito, vuole sentire la mia lingua dentro il culo, e che culo, ragazzi; a ripensarci ancora mi vengono le vertigini: marmoreo, una leggera peluria che neppure ne offusca il biancore, un neo sulla chiappa destra e in mezzo un buchetto pulsante come due labbra che si contraggono a mandare un bacio. Come non rispondere a quell’invito e ricambiare il bacio mandato? Le mie labbra leccano quelle guance di marmo che sono le sue chiappe e poi , poi via a slinguare quel buchino da guinnes. Appena la mia lingua si mette al lavoro sul serio il Toro ha uno spasimo di godimento, muggisce in calore, si distende ancor di più per offrirsi alla mia voracità. E in tutto questo il Bisonte non ha smesso di chiavarmi; sento ormai le sue palle sbattermi contro le natiche. Devo tenermi bene ai fianchi del Toro per non cadere, mentre dall’altro vengo impalato come nessuno. Questa non è solo una chiavata mai vista, è anche un esercizio fisico da veri uomini, altro che la partitella che vogliono giocare in cortile – a proposito, l’avranno poi trovato il pallone? -. Una scena da foto: la mia faccia immersa ormai tra le chiappe maschie di questo galeotto, il mio corpo sollevato da terra lucido di sudore e di piacere con il cazzo che, nonostante sia già venuto due volte, ritorna ad indurirsi tanto da farmi male, e dietro un impalatore che vuole scaricare tutte le sue voglie nel mio culo.
E’ a questo punto che il mio spirito sbruffone sfida tutte le convenienze, azzarda, va a scherzare con il fuoco. Mi stacco dal buchetto del Toro, mi torco a fatica e con finta rabbia e spavalderia dico al Bisonte, ma in modo che mi senta anche l’altro: “Sarebbe questo il vostro marchio? Non siete neanche capaci di incularmi in due!”. Detto, fatto. Il Toro si alza dalla posizione di appoggio che aveva sul tavolo, si gira, guarda il Bisonte negli occhi, non si dicono nulla, l’intesa è già nello sguardo. Il Bisonte mi esce da dentro, i due mi fanno scendere a terra. Vedo il Toro ora distendersi sul tavolo a gambe larghe; il suo cazzo dritto è un’asta di bandiera che sventola di piacere, è un obice puntato sugli ultimi desideri. Il Bisonte mi spinge a salire sul tavolo e ad accovacciarmi sul Toro. Ecco, sono a cavalcioni su di lui: con una mano mi punta l’arnese tra le chiappe ormai elastiche; affonda che è un piacere. Mugolo anch’io insieme a lui. Mi stantuffa per bene, tenendomi ai fianchi mentre mi contorco come un’odalisca nella danza del ventre. Ma ecco che il Bisonte balza sul tavolo, mi fa andare giù di schiena, si accovaccia sopra… ohhh il bastardo vuole rompermi il culo. Il suo cazzo fatica a trovare spazio, dal dolore mi si tendono tutti i nervi del collo, ohhh mmmm,ahhgg. Lo sforzo è enorme, ma entra, entra, è dentro, ohhh cazzooo. Non capisco più niente, sento il sangue pulsarmi alle tempie. I due ora si mettono a chiavarmi di brutto, i loro arnesi mi dilatano e si strusciano lubrificandosi a vicenda. Una sensazione incredibile: cosa siamo? Tre corpi in uno, un corpo tutto muscolatura e umori che è fatto per godere. I due non hanno più l’ansimo dei bovini da monta, no ora la loro è l’accelerazione della locomotiva che si mette in marcia; io mi abbandono sulle spalle del Toro, completamente sopraffatto da tanto godimento. E qui avviene l’ultima sorprendente sorpresa che mai quello stanzino d’attrezzi abbia visto. Quei cazzoni che si strusciano nel mio ano, che si scambiano gli umori, quell’intimità maschia che ho provocato, fanno sì che il Toro e il Bisonte si guardino a fondo mentre mi spaccano, come probabilmente non si sono mai guardati prima. Non è solo più lo sguardo complice dei maschi che marchiano il loro territorio, dei due galeotti stupratori degli ultimi arrivati, no è lo sguardo di chi si perde negli occhi dell’altro, che riconosce per la prima volta che l’altro è davvero il proprio maschio. Il Bisonte si china, cerca le labbra dell’altro, inizia una limonata pazzesca, vorticosa, mentre i loro arnesi sono sempre saldamente al lavoro tra le mie cosce. Si amano questi due uomini, si amano, ed io sono stato il combustibile che ha fatto accendere la passione: i loro fiammiferi si sono sfregati dentro di me per la prima volta ed è partita la deflagrazione. In tutto questo direi che non ci rimetto se non la verginità del culo!
Si capisce la grande passione anche dalla sintonia dei tempi: i due sono al massimo, sento che i loro arnesi si sono fatti pali d’acciaio, le cappelle ingrossate come ovuli nel bosco. Lo capiscono anche loro che è il momento dell’esplosione finale. Si staccano e mi fanno scendere: mi ritrovo di nuovo in ginocchio, ai piedi di questi due bronzi di Riace che continuano a limonarsi in piedi, appoggiati al tavolo. Insieme mi hanno montato e insieme, ecco, ora schizzano: è un fiotto denso che viene sparato a forte pressione da entrambi i cazzi come da due idranti troppo gonfi; i due schizzi si incrociano nell’aria e, disegnando una rapida parabola, vengono ad irrorarmi tutto, fronte, guancia, bocca aperta a raccogliere il più bel dono di maschio, mento, spalle, capezzoli e torace. Quando il mio corpo intercetta le prime gocce, come per reazione spontanea, rilascia anch’esso gli ultimi umori che restavano al fondo dei coglioni e fa una bella fontanina di indimenticabile piacere…
“Come t’avevo promesso, ho ottenuto i domiciliari”, mi dice compiaciuto l’avvocato. “Su, non fare quella faccia. In fondo sei stato in guardiola solo due giorni.” Lui non può capire. Salendo sulla sua macchina gli faccio una domanda a bruciapelo, che forse avreste fatto anche voi: “Tornerei qui se domani rubassi un motorino?”.
(Racconto di invenzione, dedicato a Max)
scritto il
2011-08-10
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