Una serata particolare - Claudia 3

di
genere
dominazione

Nei giorni seguenti ovviamente la mia eccitazione, quella che era ormai divenuta la mia ossessione, non si era placata un attimo, anzi era cresciuta alimentandosi dell’ibrido piacere di un’attesa che temevo – a tratti ne avevo la certezza – che sarebbe stata frustrata. Ero tornato alle mie solite occupazioni, o almeno avevo cercato di farlo. In realtà il mio stato di empasse non si era dissolto e mi trovavo costantemente a pensare a Claudia, a ricordare gli istanti trascorsi insieme, a torturarmi rivedendo per l’ennesima volta le videocassette di cui era per così dire la protagonista e infine a macerarmi nell’attesa.
Questa situazione che stava raggiungendo ormai un livello intollerabile si è però dissolta il fine settimana successivo, infatti il venerdì sera ho sentito squillare il cellulare e alla risposta ho trasalito nel riconoscere la voce all’altro capo del filo. Era morbida e suadente e con un tono basso e sensuale aveva detto solo: «Mi riconosce?» Mentre cercavo di rispondere balbettando qualcosa lei aveva proseguito: «Mio marito vorrebbe parlarle un attimo, attenda che glielo passo» e prima che potessi dire alcunché ho sentito che l’apparecchio passava di mano e un attimo dopo è stata la voce calda e sicura dell’uomo a giungermi all’orecchio.
«E’ sempre interessato a intervenire a una delle nostre serate?» aveva chiesto. La mia mente era avvolta in una sorta di strano torpore, incapace di rendersi conto se si trattasse di un sogno o se veramente stesse accadendo quello che stava accadendo. Avevo annuito e poi farfugliato il mio assenso e l’uomo aveva ripreso dicendo: «Immagino che si renderà conto che si tratta di qualcosa di assolutamente particolare e che devo chiederle di avere al riguardo la massima discrezione, ora come in futuro.» Capivo, naturalmente e con voce incerta lo assicurai che poteva contare su tutta la discrezione di cui ero capace.
«Molto bene, allora» aveva detto «la cosa è fissata per domani sera. Passerò a prenderla a casa sua verso le sette. Si faccia trovare pronto» poi dopo un attimo «le auguro di divertirsi» aveva concluso e subito dopo aveva chiuso la comunicazione lasciandomi lì come un salame a chiedermi in che pasticcio mi stavo cacciando.
Quella notte ovviamente non avevo chiuso occhio e il giorno dopo l’avevo passato in uno stato di agitazione anche maggiore del solito. Verso le cinque mi ero fatto una doccia e la barba e poi mi ero vestito indossando uno spezzato con pantaloni grigi e giacca blu. Non ho messo la cravatta, ma ne ho presa una adatta e me la sono infilata in tasca. In realtà non sapevo dove saremmo andati né quale sarebbe stato l’abbigliamento adeguato. Alle sette meno dieci ero pronto e impaziente e alle sette meno cinque ero sceso in strada e avevo cominciato nervosamente ad aspettare. Mi ero persino acceso una sigaretta benché avessi smesso di fumare da alcuni mesi.
Alle sette in punto una Mercedes nera coi vetri affumicati aveva accostato al marciapiedi vicino a me. Il finestrino dalla parte del passeggero si era abbassato e, nonostante fossero trascorsi diversi mesi dall’unica volta che ci eravamo incontrati, avevo subito riconosciuto l’uomo al volante.
«Salga» mi ha detto, «l’ho fatta attendere molto?»
«No, no» ho risposto, «è stato puntualissimo» e l’auto è ripartita. L’uomo ha subito intavolato una piacevole quanto assolutamente asettica conversazione toccando gli argomenti più disparati e insignificanti, dal tempo ai viaggi, dai miei studi al campionato di calcio. Io ascoltavo e rispondevo alle sue domande in modo abbastanza laconico. In realtà facevo fatica a concentrarmi tanta era la mia eccitazione. L’impianto stereo diffondeva musica classica e l’auto percorreva una strada periferica. Non conoscevo la zona e avrei avuto difficoltà a tornarci. A un certo punto il marito di Claudia mi aveva detto di non stupirmi se non aveva organizzato la cosa a casa loro, ma per le ragioni di discrezione già evidenziate riteneva opportuno che il nostro primo incontro avvenisse su un terreno più neutro. Naturalmente avevo risposto che capivo benissimo.
Dopo una mezz’ora abbiamo voltato in una traversa buia e quindi abbiamo imboccato una discesina, l’uomo ha azionato un telecomando e aperto la saracinesca di un garage interrato. Una volta all’interno ha parcheggiato e mi ha invitato a scendere.
«Siamo arrivati» ha detto.
Mi ha guidato fino a un ascensore e una volta dentro, prima di premere il pulsante, ha dovuto infilare una chiave in una piccola serratura. Nel girare la chiave si è voltato verso di me sorridendo.
Quando l’ascensore si è fermato e le porte si sono aperte ci siamo ritrovati direttamente all’interno di una grande sala. Ci ho messo qualche istante a capire che si trattava di un ampio loft all’americana, col pavimento coperto da una pesante moquette. Le pareti esterne erano in gran parte a vetri e si potevano scorgere all’esterno le luci della città. Eravamo piuttosto in alto, almeno un quinto piano avrei detto, e le costruzioni di fronte erano più basse, per cui si godeva una vista stupenda. L’ampio salone era arredato in modo piuttosto semplice: c’erano divani e poltrone, alcuni tavolini, un ampio fratino in noce massiccio circondato da alte sedie, dei puff e vari cuscini sparsi sul pavimento. La zona a sinistra era adibita a cucina, mentre quella a destra a zona notte. l’unica porta era quella del bagno.
«Si accomodi» aveva detto l’uomo indicandomi un divano «beve qualcosa?»
«Quello che prende lei» avevo risposto e lui aveva versato due whisky, poi mi aveva offerto una sigaretta e benché, come ho detto, ormai avessi smesso di fumare, stavolta ne avevo sentito il bisogno.
Avevo fatto qualche apprezzamento sull’appartamento e la splendida vista e l’uomo mi aveva spiegato che non era suo ma di amici che a volte glielo prestavano. Avevamo conversato ancora per qualche minuto, poi finita la sigaretta, l’uomo aveva detto: «E’ pronto per cominciare?» Io avevo tratto un lungo sospiro e annuito.
«Non sia nervoso» aveva detto lui, «non è lei che deve preoccuparsi» e nel pronunciare la frase aveva sorriso ancora, poi si era alzato e diretto verso il bagno.
Qualche secondo dopo ne era uscito e dietro di lui, trascinandosi a quattro zampe, tirata da un guinzaglio agganciato al collare, Claudia. Era completamente nuda a eccezione del collare, dei bracciali e delle cavigliere di cuoio. L’uomo le ha fatto fare in quel modo un ampio giro della stanza in modo che potessi ammirare quello splendido corpo da tutte le angolazioni. Mentre camminava aveva detto: «Non credo siano necessarie presentazioni. Lei si ricorda certamente di Claudia e sono certo che Claudia si ricorda di lei.»
Io non riuscivo a staccare gli occhi dalla donna che, come una cagnetta obbediente, si trascinava per la stanza, il capo chino e le terga ben sollevate ed esposte.
Alla fine l’uomo l’aveva fatta fermare davanti al divano dov’ero seduto e dove s’era accomodato a sua volta. L’aveva poi afferrata per i capelli e costretta a sollevare il viso verso di noi. I nostri occhi si erano incontrati e avevo provato un brivido. Era bellissima, così indifesa e sottomessa eppure così orgogliosa. Sentivo già il sesso gonfiarsi nei pantaloni.
«Molto bene, schiava» diceva tirandola sempre per i capelli e costringendola a piegare la testa verso di me e guardarmi in viso, «come vedi abbiamo ospiti… voglio sperare che apprezzerai la cosa e saprai soddisfarci completamente… non vorrei fare brutta figura proprio stasera…» a questo punto aveva tirato il guinzaglio verso di sé e ora si trovava col viso a pochi centimetri da quello di Claudia «allora, saprai essere ubbidiente?»
«Sa-sarò… ubbidiente, pa… drone…» aveva balbettato la donna dopo qualche istante di esitazione.
«Lo vedremo subito» aveva detto l’uomo allontanandola leggermente da sé. Ora Claudia era in ginocchio davanti a noi, nuda e fremente, con gli occhi bassi e il respiro affrettato. A un cenno del marito aveva portato le mani dietro la nuca e schiuso di più le ginocchia esponendo così al massimo il grembo e il sesso completamente depilato. Era rimasta immobile in quella posizione mentre il marito si alzava e si avvicinava a un mobile basso addossato a una parete, apriva un paio di cassetti, estraeva degli oggetti che dalla mia posizione non potevo distinguere e dopo averli deposti sul tavolino vicino a noi, tornava a sedersi. Ora potevo vederli, disposti in bell’ordine sul ripiano del tavolo, e anche Claudia che infatti aveva tratto un lungo sospiro. C’erano un frustino e una specie di paletta di cuoio (che poi ho scoperto chiamarsi twase), vari tipi di mollette metalliche, piccoli pesi di piombo, un grosso vibratore e il bavaglio a palla che avevano comprato in mia presenza (o almeno uno del tutto simile).
Senza dire nulla l’uomo aveva allungato le mani e cominciato a palpare le tette piene e sode della donna. Le stringeva e le tirava, afferrava i capezzoli con le dita, li accarezzava rudemente e poi, senza preavviso, li torceva strappando a Claudia un gemito. L’operazione era durata parecchio. Claudia aveva sopportato tutto senza perdere mai la posizione, solo inclinando talvolta il capo ed emettendo una specie di grugnito quando il dolore era più intenso. Quando gli era sembrato che i capezzoli fossero sufficientemente eretti, l’uomo vi aveva applicato le pinzette metalliche. Ogni volta che le ganasce si erano chiuse sulla tenera carne dei capezzoli Claudia aveva emesso un gemito, ma non si era scomposta. Sapevo che per lei non doveva essere la prima volta che sopportava quel tormento, ma non riuscivo a capacitarmi di come potesse riuscirci.
Dopo averle dato qualche minuto per abituarsi, il marito aveva preso dal tavolo due piccoli pesi di piombo e li aveva agganciati agli anelli delle mollette. Non erano pesantissimi ma comunque sufficienti a tirare i capezzoli verso il basso e strappare a Claudia un lungo mugolio. Poi erano comparse anche alcune lacrime. L’uomo aveva guardato la sua opera con soddisfazione, quindi aveva ordinato alla moglie di toccarsi.
Così avevo potuto osservare Claudia portarsi le mani all’inguine e mentre con la sinistra si apriva, con la destra si accarezzava il clitoride. Dopo qualche secondo aveva cominciato a gemere e mordersi le labbra. Ora, chiaramente, dolore e piacere erano mescolati in modo inscindibile e lei stava scivolando rapidamente verso l’orgasmo.
Ma il marito aveva altri piani. Prima che Claudia potesse venire la sua voce autoritaria l’aveva fermata e costretta a riprendere la posizione con le mani dietro la nuca. Poi mi aveva spiegato che il primo dovere di una schiava è non venire senza il permesso del suo padrone e che quella sera il permesso di godere la sua cagnetta se lo sarebbe dovuto guadagnare.
Io ero intontito ed eccitato. Non riuscivo a comprendere tutto e mi accontentavo di osservare rispondendo a monosillabi e continuando a sorseggiare il mio whisky.
L’uomo aveva poi ordinato a Claudia di alzarsi. La donna aveva eseguito anche se con qualche difficoltà. Ora il suo pube era proprio all’altezza dei nostri occhi e il marito, dopo averle fatto aprire di più le gambe e piegare leggermente le ginocchia per aver un più agevole accesso alle parti intime, aveva applicato alle grandi labbra del sesso, già congestionate per la masturbazione e rese lucide e scivolose dagli umori della donna, altre due mollette a coccodrillo. Ancora una volta Claudia si era lasciata sfuggire dei mugolii mentre i denti aguzzi delle mollette le serravano la carne. Anche a queste mollette l’uomo aveva poi agganciato dei pesi (più grossi dei precedenti) e così avevo visto l’incredibile spettacolo delle grandi labbra di quel sesso che si allungavano a dismisura, causando certo non poco dolore alla donna le cui gote erano di nuovo rigate di lacrime. A un cenno del marito poi Claudia aveva dovuto cominciare ad ancheggiare leggermente in modo che i movimenti del bacino facessero muovere i pesi e aumentare il tormento che le infliggevano. Dopo aver goduto a lungo dello spettacolo, l’aveva fermata e le aveva detto di restare immobile. E mentre lei ubbidiva docilmente si era versato di nuovo da bere e acceso un’altra sigaretta. Ne aveva offerta una anche a me, spiegandomi nel frattempo che quando si giocava con la propria schiava non bisognava mai avere fretta ed era opportuno gustarsi ogni istante. Certamente Claudia doveva essere di un diverso parere.
Finita la sigaretta aveva preso il twase (è stato allora che mi ha spiegato come si chiamava e che era uno strumento molto efficace perché provocava un dolore intenso senza però rovinare troppo la pelle, rendendo così possibile un’applicazione frequente e prolungata). Si era poi avvicinato alla moglie e aveva preso a far scorrere lo strumento sul suo corpo, poi glielo aveva portato alla bocca ordinandole di baciarlo. Claudia aveva eseguito docilmente e poi, obbedendo all’ordine successivo, si era piegata in avanti, appoggiando le mani sulle ginocchia in modo da offrire le terga alla nostra vista.
Avevo già assistito alla fustigazione di Claudia quando l’avevo incontrata al negozio, e poi ancora nelle videocassette, ma lo spettacolo dal vivo a cui ho partecipato quella sera è stato qualcosa di indimenticabile e per il quale non ero preparato.
L’uomo non aveva perso tempo e aveva cominciato a colpire con forza e precisione. I colpi di twase si abbattevano violenti e sonori sulle natiche offerte e indifese della donna. Il suo corpo tremava, lei sudava e gemeva ma si sforzava di non perdere la posizione. Le terga si arrossavano a vista d’occhio e certo dovevano bruciare parecchio. A tratti scuoteva la testa cercando di trovare sollievo ed emetteva un gemito più lungo. Ora il viso bellissimo era inondato di lacrime, eppure non si ribellava, non cercava di fuggire né chiedeva pietà. Era qualcosa di sconvolgente e al tempo stesso meraviglioso. Non ho contato i colpi, ma dovevano essere stati parecchi a giudicare dal rossore delle natiche. L’uomo si era fermato, anche lui sudato. Aveva atteso vari istanti mentre il respiro di Claudia lentamente si calmava, poi mi aveva porto lo strumento dicendo che era il mio turno. Mi sono sentito quasi mancare. Non avevo previsto che avrei fatto qualcosa di più che osservare, almeno per quanto riguardava la somministrazione dei supplizi. Non l’avevo mai fatto, non sapevo da che parte iniziare. E poi era tremendo e non sapevo se sarei stato all’altezza, se avrei avuto il coraggio. Ma l’uomo insisteva e diceva che non intendeva farmi uscire da lì senza aver provato cosa vuol dire punire una schiava e ricordandomi che Claudia era una donna molto particolare e che la sofferenza la eccitava. Per convincermi, come già aveva fatto quel giorno al negozio, aveva guidato la mia mano tra le cosce della donna facendomi verificare che era fradicia.
Di fronte a quella prova ho ceduto, quasi in preda a un raptus, quasi rabbioso nei confronti di quella donna bellissima verso la quale provavo sensi di colpa mentre lei godeva nel farsi torturare. Al diavolo, brutta troia, se ti piaceva la frusta te l’avrei data. E così mi sono tolto la giacca e rimboccato le maniche: ora ero pronto. Un attimo dopo provavo la sensazione incredibile di essere io a manovrare la frusta, di essere io a guidare i colpi che si abbattevano sonori su quelle terga indifese e già provate, io che decidevo dove e quando, che misuravo la forza e provocavo quei sussulti e quei mugolii che sempre meno Claudia riusciva a soffocare, io che le riempivo il viso di lacrime. Non ho contato i colpi ma a un certo punto è stato l’uomo a fermarmi dicendo che poteva bastare. Mi sono lasciato cadere nella poltrona distrutto, sfinito, fisicamente e psicologicamente.
Mentre mi riprendevo l’uomo aveva strappato (letteralmente) le pinzette dai capezzoli e dal sesso della donna, facendola urlare ogni volta per il dolore, sia dello strappo sia dell’afflusso del sangue che tornava a circolare. Quindi le aveva concesso di andare in bagno a rinfrescarsi e nel frattempo aveva acceso un’altra sigaretta e messo su un po’ di musica.
Mentre Claudia era in bagno il marito mi ha spiegato che quella che stavamo ascoltando era un’incisione jazz piuttosto rara e che lui era un amante di quel genere musicale. Io ascoltavo e annuivo inebetito, incapace d’intavolare una conversazione ragionevolmente intelligente, tutto preso a scandagliare l’oceano di sensazioni che mi avevano investito nelle ultime ore.
Credo che siano trascorsi una decina di minuti prima che Claudia, un po’ rinfrancata, uscisse dal bagno. Appena fuori dalla porta il marito le ha fatto un cenno e lei si è messa carponi e ci ha raggiunti camminando a quattro zampe: «Come una brava cagnetta» ha rimarcato l’uomo. Quando è stata nuovamente di fronte a noi le ha ordinato di rimettersi in posizione, cioè, come ormai avevo ben compreso, in ginocchio, ginocchia divaricate e mani incrociate dietro la nuca. Le ha poi ingiunto di sporgersi un po’ in avanti in modo che i grossi seni penzolassero nel vuoto e quindi, per aumentare il senso di umiliazione e assoluta impotenza le ha fatto schiudere le labbra e tirar fuori la lingua.
«Non ti muovere assolutamente!» le ha ordinato poi e accendendosi un’altra sigaretta è tornato a parlarmi di musica jazz.
Mentre facevo del mio meglio per dare l’impressione di seguire il suo discorso non potevo distogliere lo sguardo dalla povera Claudia che sudava cercando di mantenere l’equilibrio in quella scomoda posizione, dai suoi muscoli tesi e frementi, né dalle labbra schiuse che lasciavano colare fino a terra dei piccoli rivoletti di saliva. Il marito parlava e sorrideva facendo scorrere lo sguardo da me alla moglie, visibilmente soddisfatto dello spettacolo che stava offrendo.
Non so quanto tempo sia durata questa tortura incruenta ma sottile e, credo, psicologicamente devastante. La donna ormai boccheggiava e mugolava per la fatica ed ero certo che presto avrebbe ceduto dando al marito un buon pretesto per punirla quando l’uomo, inaspettatamente, le ha detto che poteva raddrizzarsi e richiudere la bocca. Lei ha eseguito con una smorfia e ha mormorato: «Grazie, Padrone!» Ma non ha potuto godersi a lungo la pausa perché quasi subito il marito le ha ordinato di girarsi offrendoci le terga, chinarsi in modo da sollevare il culo e toccare con spalle e viso il pavimento e con le mani aprirsi per bene le natiche. Ancora una volta Claudia ha eseguito senza discutere e un attimo dopo offriva ai nostri sguardi, impudicamente esposte, le sue intimità. Per alcuni minuti l’uomo le ha fatto mantenere l’umiliante posizione, poi ha preso dal tavolo il vibratore (era piuttosto grosso e nella forma imitava perfettamente un sesso maschile), si è chinato su di lei e glielo ha avvicinato alle labbra ordinandole di succhiarlo per bene. Così ho potuto ammirare ancora una volta l’abilità fellatoria della schiava che docilmente e quasi con passione (probabilmente immaginando già cosa sarebbe accaduto da lì a poco) ha accolto in bocca l’oggetto preoccupandosi di insalivarlo per bene. Quando è stato soddisfatto dell’operazione il marito le ha sfilato il vibratore dalle labbra e portandosi alle spalle della moglie, senza fare complimenti, le ha piantato l’oggetto nel culo. Claudia ha emesso un rantolo mentre l’enorme dildo affondava nelle sue carni straziandole. L’uomo lo ha spinto bene in fondo, ruotandolo e dicendo: «Avanti troia rottainculo, prendilo tutto!»
Claudia boccheggiava e rantolava con il palo conficcato tra le chiappe, tremava e aveva il viso rigato di lacrime. Io ero come ipnotizzato. Mi rendevo conto che accogliere quello strumento nel retto doveva essere un’impresa difficile e dolorosa anche per quella donna che certo doveva essere abituata a ogni sorta di penetrazioni. Lo sapevo e ne vedevo gli effetti tremendi, eppure non potevo fare a meno di sentirmi eccitato.
Una volta completata l’introduzione l’uomo ha ruotato l’interruttore posto all’estremità del dildo e quello si è messo a ronzare e vibrare. Claudia ha preso a dimenare i fianchi e rantolare. L’effetto ora doveva essere devastante.
«Sì, muovi quel culo, lurida cagna!» continuava a incitarla il marito «avanti facci vedere quanto sei zoccola, dillo che ti piace prenderlo nel culo!»
Claudia in effetti uggiolava come una cagna in calore e scuoteva i fianchi e a un certo punto, sempre incitata dalle oscenità che il marito le riversava addosso, ha cominciato a rantolare confusamente: «S-ssssìììì… oooooh…. sssssìììì, nel… culoooooh… mi… pia-ceeeeh… oooooh!»
Non riuscivo quasi a capacitarmene. Ancora una volta quella donna, proprio nel momento in cui dolore e umiliazione raggiungevano l’apice, invece di ribellarsi, confermava la totale accettazione del suo stato, la sottomissione al suo padrone e provava che aveva ragione lui, che le piaceva, che era proprio ciò di cui aveva bisogno.
Mentre Claudia continuava a rantolare e mormorare frasi sconnesse in preda a una sorta di folle orgasmo, il marito ha ripreso il twase e ha cominciato a colpire le terga e le reni con forza. Ora mugolii e rantoli di piacere erano mescolati a gemiti di dolore, ma la donna non smetteva di dimenarsi né l’uomo di colpire. La scena mi ha così eccitato che non ho resistito e ho preso a menarmelo attraverso la stoffa dei calzoni. L’uomo se n’è accorto ha smesso di colpirla e afferratala per i capelli l’ha costretta a sollevare il capo e voltarsi nella mia direzione.
«Guarda cosa hai combinato, brutta vacca, con tutto quel dimenarti: hai eccitato il nostro ospite! Ora per farti perdonare devi fargli un pompino con ingoio coi fiocchi!» le ha detto in faccia e l’ha spinta versi di me. Claudia, ubbidiente, ha strisciato tra le mie gambe e senza farselo ripetere mi ha sbottonato i calzoni e dopo aver liberato il mio cazzo duro e gonfio lo ha accolto in bocca iniziando uno dei suoi splendidi pompini. Il marito invece si è portato ancora alle sue spalle e ha ripreso a colpirla sulle natiche esposte.
La situazione era incredibile. Io ero semisdraiato sul divano, le gambe aperte, il cazzo sprofondato nella gola di Claudia che rantolavo di piacere. Attraverso le palpebre semichiuse vedevo l’uomo che continuava a colpire e avevo la sensazione che ogni colpo si ripercuotesse sul mio cazzo attraverso la bocca della donna. Il ronzio del vibratore conficcato nel suo culo non era cessato e quindi immaginavo che l’oggetto continuasse a lavorarsela. Io le avevo afferrato il capo tra le mani obbligandola a ingoiare il mio uccello fino alla radice. Cazzo! Non era la carezza delle sue labbra che cercavo, ma la profondità della sua gola. Ed è lì che mi sono scaricato poco dopo, grugnendo e tenendola ferma perché ingoiasse tutto fino all’ultima goccia.
Ho la sensazione di essere svenuto per qualche secondo. Mi sono ritrovato ancora lì sul divano, steso, il cazzo floscio, a due centimetri dal viso di Claudia che ancora boccheggiava mentre un fiotto di sperma le colava dal mento. Il marito aveva smesso di frustarla e le aveva anche estratto il vibratore dal culo. Entrambi ansimavamo. Lui invece sembrava calmo, si era seduto in poltrona e ammirando la scena si era versato ancora da bere.
«Vedo che anche questa volta ha voluto onorare la mia troia!» ha detto mentre ancora mi stavo riprendendo e poi, rivolgendosi a Claudia, «e tu, gran vacca che non sei altro, ringrazia il nostro ospite!»
Claudia, lentamente ha sollevato il capo e guardandomi dal basso verso l’alto, con l’aria più innocente e gli occhi lucidi, mi ha sussurrato «Grazie.»
Mi ci sono voluti parecchi minuti per riprendermi del tutto. L'uomo era rimasto seduto in poltrona a bere e fumare e Claudia accucciata ai suoi piedi col capo posato sulla sua coscia. Il marito le accarezzava la testa e avevo la sensazione che in quella carezza ci fossero mescolati affetto e soddisfazione per il suo potere e nella tranquilla sottomissione della donna ci fosse un intimo, folle orgoglio. Ma d'altra parte tutto di quella situazione appariva assolutamente folle e non avevo più la forza di stupirmi di nulla.
Quando ha considerato che mi fossi ripreso a sufficienza l'uomo mi ha offerto da bere e poi ha ordinato a Claudia di prendere una sedia e portarla al centro della stanza. Claudia ha naturalmente eseguito senza fiatare e il marito, sotto i miei occhi incapaci di credere che il "gioco" non fosse ancora finito, l'ha fatta sistemare a cavalcioni, coi seni che posavano sull'orlo dello schienale e si protendevano in avanti. Come ipnotizzato ho seguito i gesti con i quali l'uomo l'ha assicurata alla sedia usando alcuni tratti di corda: le caviglie bloccate alle zampe posteriori, il busto ben stretto allo schienale, i polsi legati dietro la schiena e infine, tocco artistico ha detto scherzando, i capelli sistemati a coda di cavallo e assicurati a una corda che li tirava obbligandola a piegare il collo all'indietro.
Finito il lavoro l'uomo si è piegato su di lei e l'ha baciata a lungo mentre con una mano le tormentava un capezzolo. Claudia ha risposto al bacio ma quando le dita dell'uomo si sono strette intorno al tenero germoglio di carne ha emesso un lungo gemito che si è spento nella bocca del marito.
A questo punto l'uomo mi ha fatto cenno di avvicinarmi. Nel frattempo aveva estratto da un cassetto un paio di grosse candele colorate e le aveva accese. Claudia, la testa immobilizzata, aveva seguito tutta l'operazione con la coda dell'occhio e ora notavo che il suo respiro si era fatto più rapido ed era tutta sudata. Sotto il mio sguardo attonito il marito le aveva preso il mento fra le dita e guardandola dritta negli occhi con un misto di tenerezza e crudeltà che mi aveva fatto rabbrividire aveva detto: «Sarai brava, vero?»
Claudia, con gli occhi lucidi, aveva mormorato impercettibilmente un: «Ti prego…» di cui come al solito non era facile stabilire il vero significato: poteva essere, ora lo sapevo, sia una richiesta di pietà che un incitamento a proseguire nella tortura. Ma non c'era stato il tempo di porsi altre domande perché con un gesto rapido l'uomo aveva inclinato le candele lasciando colare la cera bollente sui seni offerti della moglie. Dalle labbra di Claudia era uscito un breve grido subito soffocato e poi un lungo rantolo. Una breve pausa e poi di nuovo la cera fusa è colata sul seno palpitante e l'ho vista creare una scia prima di rapprendersi. Claudia ha nuovamente rantolato e ora aveva gli occhi pieni di lacrime. la tortura si è ripetuta varie volte e ogni volta ho sentito Claudia gemere e mugolare, l'ho vista scuotere i legami e sudare, ma mai ho udito una parola di protesta. Ero come ipnotizzato e incapace di fare un gesto quando l'uomo mi ha teso una candela perché anch'io partecipassi al "gioco". Non so dove ho trovato il coraggio o la forza di prendere la candela, di lasciare che il fuoco ne liquefacesse una certa quantità e poi a rovesciarla sadicamente sui seni indifesi di Claudia. Eppure l'ho fatto. Una, due, dieci volte. All'inizio timidamente, poi sempre con maggior sicurezza. E non posso negare di averci provato gusto, di essermi eccitato. Il cazzo mi si era nuovamente drizzato e ora tirava nei calzoni. E i gemiti soffocati della nostra bella vittima, i suoi movimenti scomposti, non facevano che eccitarmi di più.
A un tratto il marito ha detto: «Ora le farò vedere qualcosa di speciale!» e poi, rivolto alla moglie «tira bene fuori la lingua, troia!» Esitando e tremando, Claudia ha eseguito, e un attimo dopo ho visto l'uomo far colare la cera fusa direttamente sulla lingua della donna. Un rantolo, una scossa violenta ai legami e grossi lacrimoni che le rigavano le gote. Claudia ha ritirato la lingua, ma l'uomo le ha ordinato di offrirgliela ancora e ha ripetuto il gesto, una, due volte, gongolando visibilmente per il grado di sottomissione dimostrato dalla sua schiava. Ora la cera rappresa ricopriva la lingua di Claudia che aveva ricevuto l'ordine di continuare a esibirla.
«Notevole, no?» aveva detto l'uomo rivolgendosi a me. La gola secca e impastata m'impediva di rispondere. Lui aveva sorriso compiaciuto del mio sbigottimento e aveva afferrato un frustino. «Toglierla sarà anche più divertente» aveva detto e subito dopo aveva appoggiato l'estremità larga e piatta del frustino sulla lingua sempre esposta di Claudia. «Tieni bene aperto» le aveva ordinato e poi con movimenti brevi ma decisi aveva preso a colpire la lingua per far staccare la cera rappresa. Claudia si sforzava di non ritirarla, ma l'impresa era difficile e a tratti il frustino la colpiva sulle labbra. L'uomo le diceva che se non collaborava la cosa sarebbe durata più a lungo. Ripulita dalla cera la lingua il frustino era stato usato sui seni, con molta più decisione adesso, così mentre la cera si staccava in grossi pezzi, Claudia aveva ripreso a gemere e i suoi seni si erano ornati di striature violacee.
Alla fine ogni traccia di cera era scomparsa dai seni e l'uomo l'aveva liberata dalle corde e le aveva permesso di andare in bagno. Al ritorno le aveva offerto da bere e mentre lei, in piedi e tremante, sorseggiava la sua bevanda, le era passato alle spalle e aveva preso ad accarezzarle i seni martoriati. Claudia a un certo punto aveva chiuso gli occhi abbandonandosi all'inconsueta dolcezza di quella carezza e proprio allora il marito le aveva sussurrato all'orecchio: «Non crederai che sia già finita, vero tesoro?»
Stavolta l'uomo aveva ordinato a Claudia di stendersi supina sul tavolino del salotto fermandole poi polsi e caviglie alle zampe del tavolo in modo che le gambe restassero ben aperte e la fica risultasse totalmente offerta. Le candele erano poi ricomparse nelle nostre mani e stavolta il nostro bersaglio erano stati la fica spalancata e implume e il delicato interno delle cosce. Claudia, impotente, ha ripreso a divincolarsi e rantolare, incapace di arrestare le lacrime, ma sufficientemente forte da non supplicare di risparmiarla. Perfino quando abbiamo usato ancora il frustino per ripulirla dalla cera rappresa (e stavolta il marito ha voluto che maneggiassi anch'io il terribile strumento), le sue grida soffocate non si sono trasformate in preghiere. Solo una volta, quando un colpo di frustino l'ha centrata proprio sul clitoride gonfio ho creduto che stesse per cedere, ma invece si è morsa le labbra e mugolato mentre tutto il suo corpo madido era scosso da un tremito, ma ha resistito.
A questo punto avevo il cazzo duro come marmo e non sapevo se avrei potuto resistere oltre, ma l'uomo, forse leggendomi dentro o forse perché anche lui era arrivato al capolinea, ha slegato la moglie e dopo avermi fatto cenno di sdraiarmi a mia volta sul tavolino, le ha ordinato di impalarsi su di me. Il mio cazzo è scivolato facilmente dentro una fica incredibilmente fradicia nonostante le sevizie subite. Claudia ha preso a muovere il bacino ma il marito l'ha subito fermata e fatta piegare in avanti. Ho sentito che il canale vaginale in cui ero sprofondato andava stringendosi e ho capito che l'uomo stava sodomizzandola. Claudia, penetrata contemporaneamente dai nostri due cazzi, boccheggiava e rantolava, dimenando i fianchi mentre noi cercavamo di prendere un ritmo alternato. Non avevo mai provato una sensazione simile. L'uomo si muoveva con decisione, afferrando Claudia per i capelli e incitandola ad aprirsi di più e prendere fino un fondo i nostri cazzi. Io mi ero aggrappato ai suoi fianchi e cercavo di non perdere il ritmo. Avevo davanti agli occhi il suo volto sfatto ma bellissimo, i capelli scarmigliati che mi sfioravano il petto. Poi ha cominciato a gemere e mugolare dei lunghi «Sì» e «Ancora» e poi, in rapida successione, entrambi ci siamo scaricati dentro di lei.
Ancora annebbiato dal piacere ho avvertito che il peso del corpo di Claudia su di me diminuiva e infatti il marito l'aveva fatta scivolare a terra, nuovamente in ginocchio e si stava facendo ripulire il cazzo. Poi è toccato a me e ho creduto che quelle labbra morbide e quella lingua rovente mi facessero venir meno. Invece ho potuto udire distintamente l'uomo ordinare ancora una volta alla moglie di ringraziarmi e quindi permetterle di ritirarsi in bagno.
Mentre mi versava ancora da bere e mi accendeva un'altra sigaretta, mi sono rivestito e ho cercato di ricompormi alla meglio. Ho detto che avevo bisogno di usare il bagno e l'uomo ha richiamato Claudia e le ha chiesto se era pronta. A un suo cenno affermativo mi ha invitato a usare liberamente la stanza da bagno.
Quando sono uscito, decisamente più rinfrancato, mi attendeva un'ultima sorpresa. Claudia era su un grosso puf, sempre nuda a esclusione di collare e bracciali, i quali erano stati uniti insieme in modo che la donna era sistemata sulla pancia, con i polsi uniti dietro la schiena e le gambe piegate in modo che anche le caviglie fossero unite ai polsi. La posizione doveva essere oltremodo scomoda e la presenza del bavaglio a palla non doveva migliorare la situazione.
L'uomo mi indicava la porta dell'ascensore e a un mio sguardo interrogativo circa la sistemazione di Claudia, mi ha spiegato che sarebbe rimasta lì per l'intero fine settimana, a disposizione dell'amico, che era il proprietario della casa, e di sua moglie, una coppia con gusti molto particolari che non le avrebbero fatto mancare le necessarie attenzioni. Mentre parlava sorrideva e nei suoi occhi era comparsa una strana luce che non sapevo come interpretare. Non capivo se era divertito o compiaciuto e se la sola idea di poter disporre con tale assoluta libertà della moglie era in grado di procurargli un piacere così grande.
Mentre le porte dell'ascensore si chiudevano ho gettato un'ultima occhiata alla povera Claudia, al suo corpo stupendo, segnato dal supplizio appena sopportato, teso e fremente per la posizione in cui era bloccata, già pronto a offrirsi a nuovi tormenti, a essere il giocattolo di nuovi e, immaginavo, certamente crudeli, padroni. Eppure non c'era in lei il minimo cenno di rivolta o disperazione. Quella che era la sua sorte veniva accettata totalmente, con docilità ma anche con piacere (come avevo potuto constatare io stesso). Piacere e dolore, fierezza e umiliazione: un cocktail assurdo e misterioso. Il solo pensiero mi sconvolgeva. E mi affascinava.
«E' soddisfatto?» mi ha chiesto l'uomo durante il viaggio di ritorno. Ho annuito, incapace di articolare un pensiero compiuto, ancora immerso nel marasma delle sensazioni devastanti che avevo provato.
«Si è comportato bene» ha aggiunto. «Certo le manca esperienza, ma credo che potrà farsela in fretta. E' decisamente portato.»
Non sapevo se provare orgoglio o dispetto per quelle affermazioni. Avrei dovuto dire qualcosa, ribellarmi, dire che non ero quel genere di uomo, che tutto questo era un'assurdità, una barbarie. Ma non era quello che sentivo. Nelle profondità del mio essere sapevo di essere stato toccato. Sapevo di aver scoperto qualcosa di terribile e meraviglioso. E che la mia vita non sarebbe stata mai più la stessa.
«Credo che ci rivedremo presto» mi ha detto l'uomo lasciandomi sotto casa. Non ho risposto e mi sono limitato a salutare con un cenno della mano, ma a dispetto della confusione che m'invadeva, sapevo che se mi avessero chiamato ancora non mi sarei tirato indietro.
scritto il
2011-08-11
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