Biancafiaba
di
Bianca2019
genere
orge
C'era una volta una donna.
Era una donna normale
Non bella, non brutta
Non brillante, non stupida.
Era una donna così. Affascinante, invisibile.
Una donna dotata di spirito e raziocinio, legata da una timidezza nascosta, un senso di inadeguatezza costante.
Fate malevoli e stupide in passato avevano compiuto incantesimi su di lei, per gioco e per invidia.
Tuttavia la donna, che portava il nome di Bianca, viaggiava nella vita con tenacia, apparentemente sicura di sé stessa, difesa dalla gabbia dorata, fatta di schemi e quotidianità, costruita a stregua di fortezza intorno all'anima.
Viaggiava senza troppo badare ai sentieri impervi, ingenua. Convinta che ogni strada porti ad un paesaggio nuovo.
Da anni si trovava a percorrere una regione rigogliosa, verdi campi di grano di cui non vedeva mai il frutto, piccoli boschi che allietavano con l'ombra un cammino a tratti caldo e soffocante.
Continuava a camminare Bianca. Si guardava intorno, trovando a volte persone interessanti. Ma sempre accadeva di prendere strade diverse ed un cenno del capo scioglieva la comitiva. Senza troppi addii, senza troppi rimpianti.
Non se ne rammaricava Bianca.
Camminava Bianca.
Sempre dritta, cercando di non perdere il sentiero e non farsi distrarre dai papaveri rossi che crescevano nei prati, troppo lontani dalla via. Decisa e leggera, a volte un po' scontrosa, a volte un po' annoiata.
Dentro Bianca si agitavano due poteri.
L'emozione e la ragione.
Poteri oscuri, apparentemente contrastanti.
Poco sviluppati entrambi. Entrambi a costruire una sorta di equilibrio impercettibile, preso come dato di fatto, ignorato, considerato irremovibile.
Bianca camminava e andava lontano con la forza d'inerzia delle sue gambe mai stanche ma un giorno, all'improvviso, si guardò intorno.
Fece correre i suoi occhi sul panorama circostante.
Dov'era finito il mare?
Dove erano andate le montagne innevate, i laghi color ghiaccio incastonati fra le rocce, le scogliere a picco e le spiagge dorate?
Camminava da tanto su una pianura bellissima, lussureggiante ma sempre, sempre tutta uguale.
Fu in quel momento che l'emozione si fece sentire. Parlò a Bianca, l'emozione.
Le disse che stava morendo, si stava spegnendo lentamente e, una volta consumata, non sarebbe mai più ritornata.
Si spaventò Bianca. Si accorse di quel flebile potere solo in quell'istante, rendendosi conto che la scomparsa dell'emozione l'avrebbe condotta ad una morte grigia, in un cammino nel deserto, senza ombra e sollievo, torturata da una sete perenne dalla quale non avrebbe mai trovato ristoro.
Si spaventò Bianca.
Dimentica dei suoi compagni di viaggio iniziò a distrarsi dal cammino, si avventurò sui prati, carezzando l'erba coi piedi scalzi e assaggiando la linfa dolce di fiori sconosciuti.
Si guardava intorno, Bianca.
Curiosa e allegra come da tanto non le capitava.
Attenta ai suoi passi ma anche sprovveduta e distratta.
Viaggiava col naso per aria, apprezzando tutto quello a cui non aveva mai fatto caso e davanti ai suoi occhi si materializzavano colline e foreste, ruscelli e casette disabitate di legno profumato.
Duravano poco le sue escursioni, non voleva trascurare troppo gli amici e quindi rientrava velocemente sul cammino, con sorriso soddisfatto e sguardo divertito. Ad un'occhiata attenta non potevano sfuggire i segreti di Bianca, adagiati sul fondo delle sue pupille, ma chi le stava accanto poteva dirsi felice del suo rinnovato buonumore, affascinato dal mistero.
Un giorno Bianca scorse un meraviglioso ciliegio, carico di frutti.
Golosa ed imprudente si avvicinò ad ammirarlo, indecisa se compiere una razzia.
Era lì a pensare come raggiungere i rami più alti quando ad un tratto si concretizzò davanti a lei un uomo.
Un mago, per la precisione.
Non era un mago vecchio e arcigno e nemmeno un mago rubicondo e bonario.
Era un mago strano. I suoi contorni erano vaghi: sul suo viso si susseguivano espressioni e colori, maschere e travestimenti, la voce era calda e le parole che diceva erano proferite con tono asciutto e sbrigativo, come di chi è indaffarato in mille incantesimi e mille pozioni. Come di chi ha troppo da fare per perdere tempo.
Il mago disse di chiamarsi IO.
Che nome strano, pensò Bianca, stregata.
IO parlava e le faceva domande incalzanti, senza lasciarle troppo tempo per pensare, senza lasciarle il fiato per respirare.
Il mago aveva scorto i poteri di Bianca e da stregone esperto decise di dedicare un po' del suo tempo a quella donna timida ed ingabbiata.
Anelava scoprire quali fossero i desideri e le fantasie di lei. Bramava ridurre al minimo il potere della ragione esaltando invece quello dell’emozione.
Voleva vederla ridere e godere.
Voleva renderla felice e schiava, libera e sottomessa.
IO aveva capito la curiosità di Bianca per il suo fascinoso regno e la condusse a scoprirlo , velocemente. Senza troppi compromessi, senza troppi inganni.
Bianca conobbe cortigiani ed elfi dei quali assaporò le solide verghe, bevendo il loro nettare. Apprezzò il suono tribale dei loro ritmi e la sensazione di essere strumento nelle loro mani.
Godeva dei loro tocchi decisi, imparando nuovi incantesimi.
Conobbe orgasmi esplosivi e torture piacevoli.
Ebbe anche l’opportunità di giocare con fate dalla lingua leggera e dalle dita veloci, delle quali ammirò le labbra umide e i turgidi seni, estasiata dall’osservare il suo mago compiere incantesimi con loro.
L’emozione era diventata potente. Talvolta Bianca faticava nel comprenderla e nel padroneggiarla ma imparava in fretta e riuscì presto a domarla, tenendola segreta quando non poteva utilizzarla e liberandola quando voleva saziarsi delle sue luci colorate.
Il mago era soddisfatto dei suoi progressi e decise di premiarla invitandola ad un ballo affollato, organizzato appositamente per loro e per le creature del regno.
Bianca arrivò timida al ballo, scortata dal suo mago e da un paio di cortigiani simpatici e belli. Si presentò a re e regine, a silfidi maliziose, a fauni e centauri, vestiti con stoffe sgargianti e dotati di eterogenei poteri.
Bianca faticò un po' a tenere a bada la ragione, timorosa che la sua emozione non potesse essere all’altezza della gran festa ma IO la condusse per mano in una stanza ombrosa dove una donna bellissima appassionava il gioco di molti. L’incertezza durò un attimo.
Un attimo soltanto, quello immediatamente precedente al tocco di IO sul suo corpo.
Il sortilegio del mago fu immediato e l’emozione di Bianca si sprigionò veloce portandola ad agognare i falli degli uomini presenti, falli che leccava e succhiava avidamente mentre un fauno dalle magiche mani la faceva venire e schizzare copiosamente, più volte, su coloro che la circondavano.
Aveva perso la nozione del tempo e dello spazio, Bianca. Voleva di più, voleva tanto, voleva godere e godere e godere. Se avesse potuto non si sarebbe mai fermata.
Bianca vagò per le stanze rumorose, tenendo per mano IO. Arrivarono da una fata esile e dolce con la quale condivise lunghi baci e carezze invadenti.
Intorno a alla scena si formò ben presto un palco di spettatori attratti da quella danza sinuosa e lussuriosa, un pubblico voglioso di partecipare con le proprie magie a quell’esibizione, una platea di uomini eccitati che trasformò il balletto in un’orgia musicale dai ritmi serrati.
Fu quello il culmine e la fine del ballo.
Fu alla fine di quel gioco che Bianca si accorse che la sua emozione poteva essere diversa dai poteri degli altri ma non per questo minore o migliore.
Si accorse che IO non l’aveva mai abbandonata, prese consapevolezza del suo sguardo su di lei, anche senza averlo visto.
Capì che gli insegnamenti del suo mago avevano iniziato a dare buoni frutti, che poteva sprigionare l’emozione a suo piacimento utilizzando la ragione senza difficoltà quando era necessario e a tenerla imbrigliata quando tentava di sfuggire al controllo.
Capì che il mago era importante e che con lui voleva condividere e sperimentare ancora molte alchimie ma il sentiero e la ragione avevano bisogno di lei.
Rientrò sul cammino con gli occhi stanchi ed un sorriso raggiante che la accompagnò per i giorni successivi, insieme alla certezza che presto avrebbe vissuto un’altra avventura.
Era una donna normale
Non bella, non brutta
Non brillante, non stupida.
Era una donna così. Affascinante, invisibile.
Una donna dotata di spirito e raziocinio, legata da una timidezza nascosta, un senso di inadeguatezza costante.
Fate malevoli e stupide in passato avevano compiuto incantesimi su di lei, per gioco e per invidia.
Tuttavia la donna, che portava il nome di Bianca, viaggiava nella vita con tenacia, apparentemente sicura di sé stessa, difesa dalla gabbia dorata, fatta di schemi e quotidianità, costruita a stregua di fortezza intorno all'anima.
Viaggiava senza troppo badare ai sentieri impervi, ingenua. Convinta che ogni strada porti ad un paesaggio nuovo.
Da anni si trovava a percorrere una regione rigogliosa, verdi campi di grano di cui non vedeva mai il frutto, piccoli boschi che allietavano con l'ombra un cammino a tratti caldo e soffocante.
Continuava a camminare Bianca. Si guardava intorno, trovando a volte persone interessanti. Ma sempre accadeva di prendere strade diverse ed un cenno del capo scioglieva la comitiva. Senza troppi addii, senza troppi rimpianti.
Non se ne rammaricava Bianca.
Camminava Bianca.
Sempre dritta, cercando di non perdere il sentiero e non farsi distrarre dai papaveri rossi che crescevano nei prati, troppo lontani dalla via. Decisa e leggera, a volte un po' scontrosa, a volte un po' annoiata.
Dentro Bianca si agitavano due poteri.
L'emozione e la ragione.
Poteri oscuri, apparentemente contrastanti.
Poco sviluppati entrambi. Entrambi a costruire una sorta di equilibrio impercettibile, preso come dato di fatto, ignorato, considerato irremovibile.
Bianca camminava e andava lontano con la forza d'inerzia delle sue gambe mai stanche ma un giorno, all'improvviso, si guardò intorno.
Fece correre i suoi occhi sul panorama circostante.
Dov'era finito il mare?
Dove erano andate le montagne innevate, i laghi color ghiaccio incastonati fra le rocce, le scogliere a picco e le spiagge dorate?
Camminava da tanto su una pianura bellissima, lussureggiante ma sempre, sempre tutta uguale.
Fu in quel momento che l'emozione si fece sentire. Parlò a Bianca, l'emozione.
Le disse che stava morendo, si stava spegnendo lentamente e, una volta consumata, non sarebbe mai più ritornata.
Si spaventò Bianca. Si accorse di quel flebile potere solo in quell'istante, rendendosi conto che la scomparsa dell'emozione l'avrebbe condotta ad una morte grigia, in un cammino nel deserto, senza ombra e sollievo, torturata da una sete perenne dalla quale non avrebbe mai trovato ristoro.
Si spaventò Bianca.
Dimentica dei suoi compagni di viaggio iniziò a distrarsi dal cammino, si avventurò sui prati, carezzando l'erba coi piedi scalzi e assaggiando la linfa dolce di fiori sconosciuti.
Si guardava intorno, Bianca.
Curiosa e allegra come da tanto non le capitava.
Attenta ai suoi passi ma anche sprovveduta e distratta.
Viaggiava col naso per aria, apprezzando tutto quello a cui non aveva mai fatto caso e davanti ai suoi occhi si materializzavano colline e foreste, ruscelli e casette disabitate di legno profumato.
Duravano poco le sue escursioni, non voleva trascurare troppo gli amici e quindi rientrava velocemente sul cammino, con sorriso soddisfatto e sguardo divertito. Ad un'occhiata attenta non potevano sfuggire i segreti di Bianca, adagiati sul fondo delle sue pupille, ma chi le stava accanto poteva dirsi felice del suo rinnovato buonumore, affascinato dal mistero.
Un giorno Bianca scorse un meraviglioso ciliegio, carico di frutti.
Golosa ed imprudente si avvicinò ad ammirarlo, indecisa se compiere una razzia.
Era lì a pensare come raggiungere i rami più alti quando ad un tratto si concretizzò davanti a lei un uomo.
Un mago, per la precisione.
Non era un mago vecchio e arcigno e nemmeno un mago rubicondo e bonario.
Era un mago strano. I suoi contorni erano vaghi: sul suo viso si susseguivano espressioni e colori, maschere e travestimenti, la voce era calda e le parole che diceva erano proferite con tono asciutto e sbrigativo, come di chi è indaffarato in mille incantesimi e mille pozioni. Come di chi ha troppo da fare per perdere tempo.
Il mago disse di chiamarsi IO.
Che nome strano, pensò Bianca, stregata.
IO parlava e le faceva domande incalzanti, senza lasciarle troppo tempo per pensare, senza lasciarle il fiato per respirare.
Il mago aveva scorto i poteri di Bianca e da stregone esperto decise di dedicare un po' del suo tempo a quella donna timida ed ingabbiata.
Anelava scoprire quali fossero i desideri e le fantasie di lei. Bramava ridurre al minimo il potere della ragione esaltando invece quello dell’emozione.
Voleva vederla ridere e godere.
Voleva renderla felice e schiava, libera e sottomessa.
IO aveva capito la curiosità di Bianca per il suo fascinoso regno e la condusse a scoprirlo , velocemente. Senza troppi compromessi, senza troppi inganni.
Bianca conobbe cortigiani ed elfi dei quali assaporò le solide verghe, bevendo il loro nettare. Apprezzò il suono tribale dei loro ritmi e la sensazione di essere strumento nelle loro mani.
Godeva dei loro tocchi decisi, imparando nuovi incantesimi.
Conobbe orgasmi esplosivi e torture piacevoli.
Ebbe anche l’opportunità di giocare con fate dalla lingua leggera e dalle dita veloci, delle quali ammirò le labbra umide e i turgidi seni, estasiata dall’osservare il suo mago compiere incantesimi con loro.
L’emozione era diventata potente. Talvolta Bianca faticava nel comprenderla e nel padroneggiarla ma imparava in fretta e riuscì presto a domarla, tenendola segreta quando non poteva utilizzarla e liberandola quando voleva saziarsi delle sue luci colorate.
Il mago era soddisfatto dei suoi progressi e decise di premiarla invitandola ad un ballo affollato, organizzato appositamente per loro e per le creature del regno.
Bianca arrivò timida al ballo, scortata dal suo mago e da un paio di cortigiani simpatici e belli. Si presentò a re e regine, a silfidi maliziose, a fauni e centauri, vestiti con stoffe sgargianti e dotati di eterogenei poteri.
Bianca faticò un po' a tenere a bada la ragione, timorosa che la sua emozione non potesse essere all’altezza della gran festa ma IO la condusse per mano in una stanza ombrosa dove una donna bellissima appassionava il gioco di molti. L’incertezza durò un attimo.
Un attimo soltanto, quello immediatamente precedente al tocco di IO sul suo corpo.
Il sortilegio del mago fu immediato e l’emozione di Bianca si sprigionò veloce portandola ad agognare i falli degli uomini presenti, falli che leccava e succhiava avidamente mentre un fauno dalle magiche mani la faceva venire e schizzare copiosamente, più volte, su coloro che la circondavano.
Aveva perso la nozione del tempo e dello spazio, Bianca. Voleva di più, voleva tanto, voleva godere e godere e godere. Se avesse potuto non si sarebbe mai fermata.
Bianca vagò per le stanze rumorose, tenendo per mano IO. Arrivarono da una fata esile e dolce con la quale condivise lunghi baci e carezze invadenti.
Intorno a alla scena si formò ben presto un palco di spettatori attratti da quella danza sinuosa e lussuriosa, un pubblico voglioso di partecipare con le proprie magie a quell’esibizione, una platea di uomini eccitati che trasformò il balletto in un’orgia musicale dai ritmi serrati.
Fu quello il culmine e la fine del ballo.
Fu alla fine di quel gioco che Bianca si accorse che la sua emozione poteva essere diversa dai poteri degli altri ma non per questo minore o migliore.
Si accorse che IO non l’aveva mai abbandonata, prese consapevolezza del suo sguardo su di lei, anche senza averlo visto.
Capì che gli insegnamenti del suo mago avevano iniziato a dare buoni frutti, che poteva sprigionare l’emozione a suo piacimento utilizzando la ragione senza difficoltà quando era necessario e a tenerla imbrigliata quando tentava di sfuggire al controllo.
Capì che il mago era importante e che con lui voleva condividere e sperimentare ancora molte alchimie ma il sentiero e la ragione avevano bisogno di lei.
Rientrò sul cammino con gli occhi stanchi ed un sorriso raggiante che la accompagnò per i giorni successivi, insieme alla certezza che presto avrebbe vissuto un’altra avventura.
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