Sex 11 Legami

di
genere
bondage

Il telefono di Bea si illuminò mentre lei si avvolgeva nel caldo asciugamano dopo la doccia. Riccardo, seduto sul letto, le baciava e massaggiava le braccia e i polsi. Dio quanto adorava che si prendesse cura di lei in quel modo!
“E’ Iolanda”, le disse Riccardo, “c’è anche un altro messaggio non letto”.
Bea avrebbe voluto dirgli “leggilo!”, ma per fortuna si fermò in tempo. L’avrebbe aperto più tardi.
Pensò “e adesso come le racconto tutto questo? Già le ho leccato la figa, mi prenderà per una pervertita!”. Guardò Riccardo che si era molto più concentrato sulle sue braccia. Non poteva certo sapere che il ragazzo si stava domandando in quel momento “chissà che fa quella troia, ho sbagliato a scoparmela una volta sola quella mattina...”.
Riccardo si alzò baciandola in fronte per andare a lavarsi a sua volta. Bea guardò più con sollievo che con rammarico il suo cazzo finalmente a riposo tra le sue gambe. Era demolita. Tuttavia non rinunciò a una leggera tastata sui coglioni e sul randello del suo “mezzo fidanzato”.
“Quanto mi piace...”, gli disse chiedendogli un bacio a sfioro.
“Quanto sei porca... per fortuna”, sussurrò lui.
Come fu entrato in bagno Bea prese il telefono e si rese conto che aveva fatto bene a trattenersi. Il primo messaggio di Dada diceva “quante volte hai già scopato con Ric?”, il secondo che doveva raccontarle un sogno e che sperava che si stesse “divertendo” con lui. E chiudeva “buona pasqua troietta!”.
Già, era la domenica di pasqua e lei doveva sbrigarsi se voleva arrivare a casa in tempo per il pranzo. Non ne aveva nemmeno mezza voglia. Non tanto per i suoi – che comunque se avessero saputo avrebbero avviato le pratiche per rinchiuderla in convento – quanto perché le sarebbe piaciuto passare più tempo possibile con Riccardo. Tuttavia già si era dovuta inventare una scusa assurda per ritardare fino all’ultimo il suo arrivo a casa, adesso era proprio ora di andare. Pensò di scrivere a Dada “anche io ho delle cose da raccontarti”, poi cambiò idea e scrisse invece: “Ti dico solo una parola: manette!”.

Bea era scesa dal treno il venerdì sera, Riccardo era lì ad aspettarla. Ma non per portarla a casa. Aveva prenotato un agriturismo sulle colline dove passare con lei la notte, tutta la giornata del sabato e la notte tra il sabato e la domenica. Il bacio sul marciapiede era stato quasi cinematografico, la voglia dei due “mezzi fidanzati” era incontenibile. Negli ultimi giorni, man mano che la data del loro incontro si avvicinava, i messaggi che i due si scambiavano erano diventati sempre più sconci, per non dire proprio zozzi! Soprattutto da quando, sei giorni prima, lui le aveva inviato una foto del suo cazzo in erezione. Naturalmente, il divieto di segarsi per Riccardo era rimasto: “Ogni tua goccia di sborra è mia, guai a te!”, gli aveva detto Bea scherzando, ma mica tanto...

Senza rendersene conto, mentre erano in auto, lo aveva afferrato per un spalla e lo aveva stretto così tanto che lui si era girato e le aveva detto ridendo “così me la stacchi!”. Per fargli capire le sue intenzioni gli aveva sussurrato all’orecchio: “Vorrei stringerti un’altra cosa, e non con le mani...”. Quello che davvero avrebbe voluto dirgli era però altro: “Fermati da qualche parte e stuprami in macchina!”, ma se ne era vergognata.

La casetta nella quale si sarebbero sistemati era molto lontana dal corpo centrale dell’agriturismo, alla fine di una serie di stanze che una volta erano stati magazzini o forse stalle.
“Lontanuccio”, commentò Bea dopo avere trascinato il trolley per almeno centocinquanta metri.
“Sì, un po’ scomodo, ma ha il suo perché”, le disse Riccardo.
“Vorrei proprio sapere qual è...”, chiese Bea.
“E’ proprio che è lontanuccio... così non svegli nessuno”, rispose lui.
“Ma quanto sei stronzo...”, rise Bea. E decise che era il momento di mostrare la sua sorpresa a Riccardo. Proprio lì, sul praticello davanti alla piccola casa dalle mura di pietra.
“Comunque non sarebbe male approfittare di tutta questa intimità”, disse lasciando cadere il giubbino di pelle che indossava mentre Riccardo cercava la chiave del portoncino.
Lui la osservò con un po’ di stupore. Chiodo, vestitino nero con inserti e collare, anfibi. Rossetto scuro e smalto nero. Lui l’aveva presa in giro chiamandola “punk fuori tempo massimo” ma adesso le sembrava più sexy che mai. Soprattutto per quegli occhi con cui lo guardava. Bea si sganciò il collare e allentò la zip, facendo cadere il vestito ai suoi piedi e mostrandogli che sotto non portava nulla. La ammirò per qualche secondo prima di dirle “mi ero accorto che non avevi il reggiseno, ma questo non me lo immaginavo”. Poi allungò una mano in mezzo alle sue gambe e con l’altra impugnò la tetta che Bea gli offriva. Lei rabbrividì per quelle prese, cominciando a bagnarsi.
“Tanto le mutande o me le tagli o me le strappi... non posso finire in rovina per te...”.
“Ma a me piace strappartele”, rispose Riccardo aumentando le strette e tirandola verso di sé, “e ora?”.
Bea gemette per quel gesto brutale, augurandosi che non fosse l’ultimo e che lui le infilasse almeno un dito dentro.
“E ora... te l’ho detto che sarei stata molto obbediente... o pensi che mi basti la fotografia del tuo cazzo?”, rispose inginocchiandosi sull’erba fredda e cominciando a trafficare con la patta dei pantaloni del ragazzo. Glielo tirò fuori già un po’ ingrossato, carezzando quei coglioni gonfi che da giorni non si scaricavano.
Riccardo se lo godé proprio parecchio quel pompino, ma solo finché Bea non decise di interromperlo. E lo interruppe quando lo sentì bello caldo e duro, girandosi e mettendosi a quattro zampe.
“Ti piace quando faccio la schiava? Usami allora!”, gli disse voltando un po’ la testa. Vide quel cazzo grosso e teso e desiderò che le distruggesse la figa, che la facesse smettere di pulsare.
“Ti piace proprio essere dominata, eh!”, le disse Ric inginocchiandosi dietro di lei e abbrancandola per il sedere.
“Ahahahah... non lo so! Magari è solo voglia del tuo cazzo... ooooh”.
Se era solo voglia del suo cazzo, Bea fu subito accontentata. Riccardo le affondò dentro di colpo senza fare il minimo sforzo tanto era bagnata.
“Sei davvero una puttana”, le disse ridacchiando lui cominciando a muoversi piano.
“La tua cagna!”, gli ricordò Bea sentendosi piena. Aveva aspettato e desiderato tanto quel piacere che quasi non sapeva come fare a goderselo tutto. Era semplicemente troppo! E quando il piacere era troppo Bea poteva fare solo una cosa per renderlo sopportabile: iniziare a gridare.
“Lo vedi che ho fatto bene a prendere la casa più lontana?”, la prese in giro Riccardo cominciando ad affondare i colpi.
“Siiiiì... siiiì!”, urlò Bea, “non smettere! Dio quanto sei grosso!”.
La faccia di Bea crollò sull’erba, con gli occhi pieni di lacrime di gioia e piacere.
“Più gridi più me lo fai diventare duro!”, le disse lui cominciando ad ansimare e a sbatterla sempre più velocemente.
Bea andò completamente fuori di testa quando lui la ritirò su afferrandola per i capelli e costringendola ad inarcare la schiena.
“Così! Più forte, più forte! Dammelo più forte che sto per godere! Sfondami Ric, godo... oddio... vengo Ric! VENGO!”.
La ragazza strillò il suo orgasmo tremando, ma anche Riccardo era ormai arrivato al limite. Sempre tenendola per in capelli la strattonò portandole la faccia davanti al suo cazzo gridandole “in bocca! Apri la bocca!”. Bea obbedì ma lui non fece in tempo a trattenersi. Il primo schizzo partì prima che lui riuscisse a infilarglielo tra le labbra. Per lei fu come una frustata di piacere caldo che quasi la fece godere di nuovo. Poi la sborra di Riccardo iniziò a invaderle la bocca e lei dovette impegnarsi davvero tanto per mandarla tutta giù senza soffocare né perderne una goccia. Avrebbe voluto dirgli “mamma mia quanto mi piace”, ma proprio non poté. Quando ebbe finito Riccardo le accarezzò la testa.
“Come una brava cagnetta?”, domandò Bea.
“Ahahahah... come preferisci”, rispose lui.
“... mmm sì, preferisco, ma la prossima volta il guinzaglio lo uso io, e anche tutto il resto”, rispose lei con la faccia furbetta.
“Sarà un piacere”, disse Riccardo aiutandola ad alzarsi, “andiamo che sennò ti piglia un malanno”.

Con una mano Riccardo teneva le chiavi della stanza e con l’altra le palpava il culo, le infilava un dito nella figa, glielo passava sul buchino. Fu per questo che ci mise parecchio ad aprire la porta...
“Dio che voglia di giocare con questo culetto...”, le disse con un sorrisino un po’ sadico mentre glielo strizzava forte.
Bea reagì al piacere di quella stretta sorridendogli e mordendosi il labbro, inviandogli uno sguardo da puttana.
“Non si potrebbe saltare un turno?”, disse tuttavia, “ti ricordo che quando sei venuto a casa mia me l’hai fatto due volte...”.
“Ti ricordo che la seconda volta me l’hai chiesto tu...”, le rispose lui.
“Uh... mi avevi confusa”, disse Bea abbandonandosi e lasciandosi prendere prigioniera da quella mano sul sedere.
“Sì? Mah, sarà... ma ‘Ric, ti prego mettimelo nel culo’ non mi sembrava una richiesta confusa, mi sembrava anzi piuttosto precisa”.
“Ma perché mi fai impazzire quando sei così maiale?”, domandò lei ridendo. Le era perfettamente chiaro, ma era perfettamente chiaro anche a lui, che si sarebbe concessa a tutto. Era il loro accordo, la loro promessa. Il patto che avevano stretto nelle loro chattate serali. Ora toccava a Riccardo. La prossima volta sarebbe stata lei a comandare.
Entrati in camera si lasciò cadere sul letto, aprendo le gambe.
“Grazie, buon uomo, me la può anche leccare”, gli disse facendo la voce da super snob.
“Sei scema? Da quando lecco la figa alle cagne?”, rispose Riccardo ridendo e inginocchiandosi per toglierle gli anfibi.
Bea sbuffò fingendosi scocciata, lui le indicò la testiera del letto in ferro battuto.
“E’ orribile vero? Ma ho chiesto questa stanza anche per questo motivo”, le disse. Il volto di Bea si illuminò.
“Le hai portate?”, chiese.
“Certamente”, rispose Riccardo. Il volto di Bea si rabbuiò.
“Ma come mai conosci questo posto?”.
Riccardo alzò le spalle, lei non si arrese.
“Non è bello portarmi dove sei già stato con una delle tue troie”, disse Bea. E si vedeva che non scherzava.
“Non era una troia... era una mia ex...”, si giustificò lui.
“La portavi qui a scopare?”, chiese ancora Bea.
“Mica sempre, costa un botto...”, rispose Riccardo, “ma era... comunque è una storia chiusa”.
“La prossima volta evita, eeee... era molto troia?”.
“Non era troia per niente! Era la mia ragazza, una volta”, rispose lui.
“Te lo prendeva in bocca? Glielo mettevi nel culo? Ci hai mai fatto quello che vuoi fare a me stanotte?”, insistette Bea.
“Dai, Bea...”.
“Ma dai che? Ti ho fatto una domanda!”, rispose Bea.
“Bea... non è che non ho mai avuto nessuna prima di te... ma ti giuro che come te non ho mai incontrato nessuna”, disse Riccardo.
“Ric... scopi in giro?”, domandò la ragazza.
“No, non scopo in giro”, mentì Riccardo pensando immediatamente a Iolanda, alle sue tette e al modo in cui lei gli aveva spalancato le gambe davanti.
“Allora scopa me... hai due notti e un giorno intero per farlo come hai detto tu... tirale fuori”.
Riccardo si alzò e andò a frugare dentro il suo borsone, tornando con due paia di manette. Le fece allargare le braccia e la ammanettò alla testiera di ferro battuto in modo che lei restasse così. Bea lo guardò ancora troppo incazzata per sorridergli, ma quella costrizione le fece risalire dentro il desiderio.
“Adesso sono tutta tua...”, gli disse.
“Mica è finita qui...”, rispose lui con un sorrisino. Era certo di avere riconquistato il controllo della situazione, ma solo perché Bea glielo aveva ceduto. Solo che di questo, lui, non se ne rendeva conto.
Riccardo frugò ancora nel borsone e tornò con una mascherina.
“Questa la davano in omaggio...”, disse a Bea mentre la bendava.
Lei piombò nel buio, ancora combattuta tra la gelosia, l’eccitazione fisica e quella, tutta mentale, che Riccardo le trasmetteva.
In quello che lei considerava ancora un “mezzo fidanzato” si concentravano un sacco di “prime volte”.
A nessuno, prima di lui, aveva concesso di legarla e addirittura di bendarla. Nessuno, prima di lui, l’aveva convinta a essere schiava anche solo per gioco. Nessuno l’aveva mai chiamata “cagna”, nessuno le aveva mai detto “troia”, scopandola. Nessuno l’aveva mai indotta a implorare di essere sodomizzata e nessuno l’aveva mai umiliata infilandole qualcosa nel sedere dopo averglielo scopato. E nessuno l’aveva mai fatta piangere di rabbia e vergogna come con quella telefonata, fasulla ma così realistica, nella quale raccontava ad un fantomatico amico di avere trovato una troia come in giro non ce n’erano. Per non dire del fatto che nessuno l’aveva mai chiavata nella toilette di un treno.
Ma forse quello che la eccitava ancora di più, e non era facile, era sapere che anche lei rappresentava per lui un sacco di “prime volte”. Perché nessuna, le aveva confessato, aveva mai accettato di assecondare ogni sua fantasia. Dal farsi legare al farsi esibire nuda in finestra, dall’impedirgli di masturbarsi per giorni per bere litri della sua sborra al farsi ammirare nuda, eccitata, immobilizzata, con la figa ancora aperta e una zucchina piantata nel culo. Per non dire del fatto che, quando lui l’aveva trascinata dentro la toilette del treno quel giorno, anche questo le aveva confessato, si sarebbe aspettato uno schiaffone, non un paio di cosce aperte.
“Sì Ric, sì, tutto quello che vuoi”, sussurrò Bea tremando. Poi sentì come un ronzio e qualcosa che le scivolava piano sul collo, vibrando.
“Cosa è?”, domandò.
Riccardo la baciò dolcemente e poi le mordicchiò un labbro, mentre la vibrazione le scendeva piano verso il seno.
“Se compravo anche questo non pagavo le spese di spedizione...”, sospirò lui. Poi le sue labbra le presero un capezzolo e la vibrazione raggiunse quell’altro. Bea capì che quella sarebbe stata un’altra “prima volta” e si lasciò andare gemendo “oddio...”.
Riccardo si accanì a lungo sui suoi capezzoli e Bea ben presto capì che dove la bocca del ragazzo aveva lasciato la sua saliva l’effetto del vibratore era micidiale. Cominciò a gemere e ad ansimare, le richieste pulsanti della sua figa la portarono dopo pochi minuti a supplicare Riccardo di scoparla. Cosa che comunque, per un tempo che le sembrò interminabile, non avvenne. La prima cosa che la penetrò fu proprio il vibratore. Non era un oggetto molto grande, appena più grande di un evidenziatore, avrebbe detto. Ma per quel minuto scarso che le restò dentro la devastò ancora di più. Lo sentiva tantissimo, non sapeva se a causa della sua sensibilità ormai esasperata o se perché il ragazzo aveva aumentato la vibrazione. Il buio della benda amplificava ogni sensazione.
“Ric... scopami... non ce la faccio!”, implorò. Ma fu l’ultima cosa che riuscì a dire per un po’ di tempo prima di cominciare a mugolare e a mordersi le labbra. Ma le sorprese non erano finite, perché sentì qualcosa di tiepido colarle tra le tette e immediatamente dopo la mano di Riccardo iniziare a scivolarci sopra.
“Consigliavano anche quest’olio per massaggi...”, sentì dire da Riccardo. E le parve di scorgere una nota sadica. Ormai non riusciva a stare ferma con il corpo e con le gambe. Più volte il piccolo arnese vibrante le scivolò fuori e più volte Riccardo glielo rimise dentro. Non prima però di essersi divertito ogni volta a vedere che effetto le faceva quando glielo passava sul clitoride. E ogni volta Bea schizzava. Le sembrava sempre di arrivare sull’orlo dell’orgasmo più forte mai provato, ma o le scivolava via o addirittura lui glielo sfilava fin quando non si calmava un poco.
“Dobbiamo cambiare o così è un casino...”, disse Riccardo.
“Scopamiiiii”, fu tutto quello che riuscì a dire Bea, eccitata e insieme furiosa.
Riccardo sganciò una manetta, fece passare la catenella dietro la sbarra di ferro battuto e tirò su una gamba di Bea, fino ad imprigionarle la caviglia. Lo stesso fece con l’altra gamba. Lei si ritrovò con le caviglie ed i polsi bloccati le gambe spalancate e ripiegate verso l’alto, impossibilitata praticamente a muoversi e completamente esposta.
“Mi fa male! Mi tira tutto!”, si lamentò.
“Dovresti vedere cosa sei”, le disse Riccardo ignorando le sue proteste, “faresti venire il cazzo duro a un morto”.
Le passò la lingua dal buchino alla figa solo per farle capire quanto facilmente poteva accedere a quelle porte del piacere. Bea lo insultò e lo supplicò per la centesima volta. Smise solo quando Riccardo le piantò di nuovo il vibratore nella fica, che in quella posizione ormai non poteva più scivolare fuori, annunciandole che doveva per forza farle un video con il telefono. Bea cominciò ad urlare e a non capire più nulla sentendo l’orgasmo arrivare per portarla via. Tutto si fermò quando per l’ennesima volta Riccardo glielo tolse, lasciandola sconvolta e tremante, a pulsare e a far scattare il bacino verso l’alto come se cercasse qualcosa che tornasse a penetrarla, senza avere nemmeno più la voce per supplicare. Quasi non si rese conto del corpo di Riccardo finalmente sopra il suo, sentì solo la punta del suo cazzo bussare al suo ingresso e immediatamente dopo la violenta invasione. Gridò quando quel caldo duro prese possesso di lei e venne dopo pochi e selvaggi affondi. La sua vagina stringeva quel cazzo così desiderato, lo sentiva benissimo, e tutto le sembrò ancora più buio. Poi per qualche istante non sentì quasi più nulla, solo il dolore delle manette ai polsi mentre cercava inutilmente di liberarsi.
“Ric mi stai ammazzando, è fantastico...”, sussurrò quando riuscì di nuovo a parlare. Lui non aveva mai smesso un attimo di montarla.
“Adesso ti faccio impazzire Bea, ti faccio davvero impazzire...”, le rispose lui tutto affannato.
“Sì...”, disse lei non sapendo più cosa volere. Ma improvvisamente lanciò un “nooo...” quando lui le tolse il cazzo dalla figa. Riapparve quel ronzio, quella vibrazione le tornò dentro.
“Sei bellissima Bea...”, le disse lui.
“Ric, torna! Voglio te!”, urlò lei dal suo buio.
Pochi secondi dopo il glande di Riccardo le scivolava nell’ano. Doveva per forza avere usato quell’olio, il suo brodo vaginale non sarebbe stato sufficiente a farlo entrare così.
Nonostante il dolore la aprisse in due gridò “sssiiiiiiì!” man mano che il cazzo le avanzava dentro. Non sapeva nemmeno se il piacere diffuso che sentiva fino alla pancia fosse dovuto alla carne di Riccardo nel culo o al vibratore impazzito nella sua figa. Ma era un piacere che in quel momento avrebbe sopravanzato qualsiasi dolore.
“Dio che culo magnifico...”, sfiatò lui.
“Inculami, sfondami!”.
“Sì che ti inculo...”.
“Toglimi la benda... TOGLIMI LA BENDA!”, urlò Bea.
Riccardo spinse con forza per arrivare in fondo, facendola gridare ancora, si fermò e le tolse la benda.
“La tua cagna vuole guardarti mentre la inculi...”, sussurrò lei.
“Dio che occhi...”, mormorò Riccardo prima di ricominciare a scoparla.
“Sono tuoi anche quelli... è tutto tuo”, rispose Bea un attimo prima di sentire i grugniti e la sborra calda di Riccardo che le allagava l’intestino. Pianse di dolore, di piacere e di gioia.

Riccardo la slegò. Le era crollato addosso baciandole il collo. Restò così finché il suo cazzo non si arrese. Bea quasi maledì quel momento. Ma poi ammise a sé stessa che non ne poteva più. Voleva solo addormentarsi. Riccardo invece le prese i polsi e li baciò, baciò quei segni e quell’indolenzimento. “Aspetta”, le disse, “non ti addormentare, non ancora”. Lei si spaventò, ma si abbandonò a lui quando la prese in braccio e la portò verso il bagno. Aprì la doccia e attese che arrivasse l’acqua calda. La lavò con il doccino, delicatamente. Lei, forse per la prima volta nella sua vita, si rese conto che anche i maschi avevano un’igiene intima. Lo osservò lavarsi il cazzo e le palle. Non era nelle condizioni di fare niente, ma la trovò una cosa molto personale e le sembrò quasi che lui gliela dedicasse. Naturalmente non era così, ma Bea la classificò subito nel cassetto delle cose iper riservate.
“Ti fanno male?”, chiese Riccardo sciacquandole con l’acqua tiepida i polsi dopo averci passato sopra il sapone liquido.
“No, cioè, mi fa male tutto... ma sto benissimo Ric”, disse Bea appiattendosi a lui. Voleva solo un accappatoio caldo e protezione. Lui la riportò a letto e si addormentarono abbracciati.

Dormirono ben oltre l'ora stabilita per la colazione. Contrariamente a ogni previsione, la prima a svegliarsi fu Bea. Per il caldo e per la luce che filtrava da una fessura delle imposte. La stanza era illuminatissima, fuori doveva esserci un sole da spaccare le pietre. Stette una decina di minuti a guardare Riccardo, che dormiva di fianco voltato dalla sua parte. Lo trovò molto bello come la prima volta che aveva accettato la sua conversazione in treno. Bello, brillante, dolce. Le sembrava impossibile che quando gli partiva l'ormone diventasse così bestia. La sera prima, sul prato, le aveva chiesto se le piacesse essere dominata e lei aveva risposto ridendo. Era solo un gioco tra loro due, d'accordo. Non gli avrebbe mai confessato esplicitamente che con lui era così, come mai era stato con nessuno. Fare la troia e lasciarsi scopare è un conto, immaginare tutto quello che immaginava la sera quando si masturbava pensando a lui un altro. Pretendi, ordina, anche le cose più luride, sono pronta. Sorrise pensando che chissà se Riccardo gliele avrebbe davvero mai chieste, le cose più luride, e se lei sarebbe stata davvero pronta a soddisfarlo. Probabilmente nessuna delle due cose, fu la risposta che si diede. Però intanto, pensandoci, si era risvegliata. E le sue mani erano corse ad accarezzare il cazzo di Riccardo e il suo seno. Chiuse gli occhi e pensò: lui che arriva alle spalle e le prende le tette tra le mani, la possiede, la fa sentire sua. Le era sempre piaciuto offrire le sue mammelle alle mani e alle bocche dei ragazzi, ma mai nessuno l'aveva fatta sentire così presa.
Si infilò sotto le coperte. Riccardo dormiva. Le sembrava inconcepibile che l'unica cosa sveglia del suo corpo fosse il suo cazzo. Già duro, già caldo. Lo baciò, lo leccò e ne ciucciò la cappella continuando a segarlo piano. L'altra mano scese dal seno al ventre, la vagina le doleva ma la trovò già umida. "Sono proprio una vacca", si disse. Il primo segno di risveglio Riccardo glielo diede cominciando a giocare con i suoi capelli. Questo spinse Bea ad accelerare leggermente, infilandosi in bocca un po' di cazzo in più ad ogni affondo. Capì che Riccardo si era svegliato del tutto quando fece volare via coperte e lenzuolo, scoprendoli nudi e uniti da quel bacio così sporco e sublime. Bea si fermò, lo guardò incassando la testa tra le spalle e gli sorrise mordendosi il labbro, sembrava una ragazzina scoperta a fare uno scherzo. "Buon-gior-no!", gli disse con una intonazione che avrebbe usato entrando dal fornaio per comprare il pane. Riccardo rise in silenzio ma non le rispose, la afferrò per le cosce portandosi in faccia il ventre di Bea. "Aaaaah.... mmmm...". La prima esclamazione era stata di sorpresa, la seconda di tutto il piacere che riusciva ad esprimere con un cazzo piantato in bocca. La lingua di Riccardo le dava fastidio, ma era bastata la combinazione di quel marmo caldo e di quel gesto così deciso a scatenarle dentro ogni voglia. Un'altra cosa che le sembrava incredibile di lui era ciò che le faceva provare quando le leccava l'ano. Quel paio di volte che gliel'avevano fatto le era piaciuto e anche tanto (anche se una fu il preludio di una inculata non proprio piacevole), ma non era mai riuscita a respingere un certo senso di vergogna. Con Riccardo la vergogna spariva del tutto! Cominciò a godere di quello e del dito che le aveva infilato nella vagina. Ma accanto al godimento c'era il fastidio, troppo fastidio. Era ancora indolenzita. Le tornò in mente quel maledetto-benedetto vibratore e la foga bestiale con cui lui l'aveva posseduta in entrambi i buchi solo poche ore prima. "No Ric, mi fa male...", sussurrò gattonando un po' in avanti e rinunciò a malincuore anche al pompino. Si insalivò un capezzolo anche se forse non ce ne sarebbe stato bisogno e iniziò a strusciarselo con la punta scoperta del cazzo di Riccardo. Tirò fuori un gemito sottile ma persistente, lungo, si diede della scema per non avere mai pensato di fare una cosa del genere in vita sua.
"Che fai?", le domandò lui.
"Voglio che lo fai tu", gemette stendendosi sulla schiena, "voglio che ti strusci e ti fai una sega qui sopra, voglio vederti sborrare sulla mia tetta... voglio spalmarmi la sborra e poi leccarmi la mano... e leccare il tuo cazzo ancora sporco".
Riccardo la osservò ansimare leggermente, era sempre più affascinato da quegli occhi da cerbiatta dentro i quali Bea sembrava nascondere tutte le voglie, anche quelle più inconfessabili.
"Va bene, ma solo se mentre lo faccio anche tu ti fai un ditalino".
"Non ce la faccio Ric, mi fa male...", rispose Bea.
“Ma io intendevo un'altra volta, non ora”, le disse Riccardo con una voce quasi cattiva, facendola rotolare sulla pancia e salendole sopra.
Bea sentì il suo cazzo duro sul culo e capì immediatamente, iniziando a urlare.
“No Ric, no! Lì mi fa anche più male, no! No” AHIAA AAAH!”.
Riccardo la inculò di colpo, brutale come non era mai stato. Spinse cercando di arrivare il prima possibile in fondo. Bea si sentì andare a fuoco, strillando fino a rimanere senza fiato, aggrappandosi alla testiera di ferro battuto e scalciando.
“Senti come scende bene, te l’ho proprio sfondato...!”, le gridò quasi Riccardo, anche se non era esattamente così. Però spingeva, e spingeva forte.
“Uuuuh.... Bastaaa! Aaaah!”. Bea si lamentava, ma l’ultima spinta di Riccardo la fece quasi restare senza fiato. Ci fu un momento in cui respirare divenne più importante di qualsiasi cosa.
“Vuoi che esco?”, le domandò lui con il tono di chi non l’avrebbe fatto qualunque fosse stata la risposta.
“N-no... no, Ric, non uscire”, balbettò lei.
“Ti piace...”.
“Sì... sì mi piace...”, rispose Bea sorprendendo anche se stessa.
E il bello è che non mentiva. Il cazzo di Riccardo l’aveva dilaniata. Ma era vero, provava piacere. Un piacere non fisico e forse nemmeno mentale. Un piacere istintivo.
“Ti piace il mio cazzo nel culo?”.
“Sì... non solo quello...”.
“Cosa ti piace?”, domandò lui cominciando a muoversi e a fare su e giù.
“Mi piace questo... mi piace essere la tua cagna...”, rispose Bea quasi piangendo. Forse per la vergogna, forse per il piacere, “Ric è bellissimo!”.
Fu in quel momento che il piacere esplose. Quello fisico, quello della penetrazione, quello del sentirsi posseduta.
Bea aveva sempre considerato quella dell’orgasmo anale poco più di una leggenda metropolitana. Sì, il piacere dell’essere inculata più o meno lo sentiva sempre, prima o poi. Ma quella volta lo sentì diverso, montante, arrivare a ondate. Quasi come un orgasmo, anche se molto diverso, molto più sconvolgente.
“Siiiì.... siiiiì! Scopami, inculami, legami! Legami, mettimi una catena al collo come una cagna!”, cominciò a urlare.
“Ma certo che ti lego come una cagna... mica ho finito!”, le rispose lui con tutta la sua eccitazione esasperata, “vieni!”.
Si sfilò da lei e prese le manette lasciate sul comodino. Bea gridò sentendosi svuotata di colpo, e gridò un’altra volta quando lui la voltò e le prese le braccia per imprigionarla al letto. Attese ansimando che Riccardo si stendesse sopra di lei e le schiacciasse il ventre. Allargò le gambe e pazienza se la figa le avrebbe fatto male. Lui la prese di colpo, con forza, come le aveva preso il culo. Bea sentì il bruciore, strillò, richiamò a sé le braccia facendosi male sui polsi ammanettati. Ma allacciò le gambe dietro la schiena di Riccardo per non lasciarlo scappare.
Lui non poté rinunciare ancora una volta ai suoi occhi.
“Dio che occhi...”.
“Vedono qualcosa di molto bello...”, sussurrò lei.
Riccardo la scopò a lungo, come se non riuscisse a venire. In certi momenti la scopò in modo così violento, quasi disperato, che a lei sembrò che il letto si muovesse. Nemmeno per un secondo Bea smise di gemere, smaniare, urlare
“Bea sto arrivando, vieni.. vieni anche tu...”.
Bea scosse leggermente la testa. “Non ce la faccio, vieni tu... vienimi dentro...”.
Sentì il suo ruggito nell’orecchio e la sua bestia impazzire dentro di lei.
Mentre gli spruzzi di sborra le allagavano la figa tenne gli occhi chiusi, ma a Riccardo sembrò distintamente di averla vista sorridere. Anzi, ci avrebbe giurato.
di
scritto il
2020-04-21
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